lunedì 26 agosto 2013


1864



Studî e riferimenti critici.

  Romanzo (letter.), in Nuova Enciclopedia Popolare Italiana ovvero Dizionario generale di scienze, lettere, arti, storia, geografia, ecc ecc. Opera compilata sulle migliori in tal genere, inglesi, tedesche e francesi coll’assistenza e col consiglio di scienziati e letterati italiani corredata di molte incisioni in legno inserite nel testo e di tavole in rame. Quinta edizione conforme alla quarta interamente riveduta ed accresciuta di più migliaja di articoli e di molte incisioni sì in legno che in rame. Volume Vigesimo, Torino, dalla Società L’Unione Tipografico-Editrice, 1864, pp. 81-87.

  p. 85. Da questi due scrittori [Goethe e Scott] ha principio la folta schiera di romanzieri francesi. Noi rammenteremo alcuni dei più celebri. Balzac ha principali doti la minuta analisi dei sentimenti dell’anima, l’evidenza con cui descrive i particolari della sua tela, ed in generale la verità dei caratteri. Questa facoltà di dipingere il vero, non comune agli altri scrittori francesi, è notevole in lui; ma egli non possiede il segreto di disporre un piano di racconto in modo che tutte le parti abbiano giusta proporzione e dilettino colla loro armonia. Egli è talvolta prolisso: gli antefatti ne’ suoi romanzi ritardano molto l’interesse dell’azione; le digressioni appajono frequenti; le descrizioni sono troppo minute. Balzac non si prefigge altro fine ne’ suoi scritti che di mostrare la società francese quale egli crede che sia, e di procacciare piaceri ai suoi lettori: il carattere della società ch’egli dipinge non è il carattere generale della società francese. Lo scopo morale è spesso tradito da quello scrittore, perché suole adornare e far piacevole il vizio. Giorgio Sand segue altra via diversa da Balzac ne’ suoi romanzi. Il suo concetto è più subbiettivo che obbiettivo; non osserva come il Balzac, non esamina, non scruta per dar la forma del linguaggio a quel che vede, ma concepisce un’idea e poi la veste di avvenimenti, e perciò i suoi concetti non sono veri come quelli dell’altro romanziere, lo scrittore crea personaggi ideali che rispondono ad un pensiero nella mente del lettore. Sarà probabilmente un pensiero democratico, un presentimento di fusione di enti, un simbolo del martirio del genio, un’immagine di qualche utopia, lo sbozzo di qualche demone in cui si personifica qualche gran corruttela. Madama Sand cerca di sciogliere a suo modo nei romanzi astrusi problemi sociali, dove sparge il dubbio, dove la disperazione, dove la speranza in un ordine futuro di cose, architettato nella sua mente. Ma qualche volta trincia da profetessa e da riformatrice, il che non fa Balzac, che si delizia a contemplare la società come si svela alla sua immaginazione. La collezione de’ suoi romanzi è stata da lui intitolata Comédie humaine. Alessandro Dumas, altro romanziere di fama e forse più clamorosa di quella che godono i due citati, essendo ad un tempo drammaturgo e romanziere, quando scrive romanzi è più drammatico, più veemente nelle passioni, più complicato negl’intrecci, più ricercato e più profondo nelle situazioni che Balzac e madama Giorgio Sand. Meglio che in questi due si manifesta in lui lo scopo di ricreare; e vario e molteplice nella scelta degli argomenti, non bada ad idealità, né a riforme; egli non tende che a scuotere i cuori, ad infiammare le immaginazioni. Il suo dire, sebbene non elegante, è molto pittoresco, e superiore in ciò a quello di Balzac e di madama Sand; ma lo stile di Balzac è fiorito, delicato, analitico, e quello di Sand nobile, robusto, poetico, originale.
[…]

  pp. 86-87. In Francia il romanzo scadde assai dopo la morte di Balzac, Sue, Soulié, ecc., e alla grande avidità di leggere romanzi si supplisce con traduzioni da tutte le lingue.


  Sopra i cattivi libri. Istruzione pastorale indiritta dall’Em. Cardinale Arcivescovo e dal Mons. Vescovi del Belgio al Clero e ai fedeli delle rispettive loro Diocesi con aggiunte spettanti alla Pia Società Preservatrice dalla corruzione de’ cattivi libri e giornali, Padova, dalla Tipografia del Seminario a spese della Società Preservatrice, 1864.

 

  p. 11 e nota (3). Noi mettiamo gran peso, nel dimostrare con autorità, che non potrebbero ricusare le persone più preoccupate contro del Clero, in quale grado i libri già riprodotti, e sparsi per la stampa belgica, appartengono ad una letteratura empia, satanica, maledetta. Questa marca ignominiosa, altri prima di noi la hanno già impressa (3).

  (3), pp. 11-12. Il Costituzionale chiama questa letteratura maledetta. La Rivista nazionale ha data la qualificazione di satanica a quella specie detestabile di romanzi, e tuttavia alla moda, ove Alessandro Dumas, Eugenio Sue, Balzac, ed altri «personificano un eroe, al quale essi attribuiscono delle facoltà soprannaturali, un potere misterioso ed occulto, che impera a questo mondo .... essi compongono intrecci spaventevoli da fare drizzare i capelli in testa ... accumulando le maledizioni agli anatemi ... mettendo la virtù inerme alle strette col vizio in agguato per tutti bivji della vita; e poi conchiudono con disperazione, che il mondo è un abisso d’infamia e di malvagità». Dopo avere fatta la critica d’un di questi detestabili romanzi, la Rivista nazionale, parlando degli effetti, che simili letture sono in caso di fare sopra lo spirito del lettore, aggiunge: «Le infelici creature, che teorie menzognere del bene e del male hanno fatto perdere, non sono venute tutte a sedere in sullo scanno d’una corte di Assise? Domandate all’abbominevole suicidio donde riscuota egli ogni giorno il suo orribile tributo; interrogate la dissolutezza, interrogate la miseria, ascoltate al loro letto di dolori la confessione di tutte le infermità morali, che si agitano nel centro della nostra società, e voi forse allora penserete che ... il romanzo satanico ha de’ pericoli che bisogna fare conoscere, ha delle ignominie che la critica deve smascherare». Revue nationale, 5.a serie, 4.° e 5.° fascicolo.

 

  Agli ascritti della Pia Società Preservatrice, pp. 70-72.

 

  p. 70. Affine di rendere sempre più esteso e maggiore il frutto dei Decreti e delle cure degli Illustrissimi e Reverendissimi nostri Superiori Ecclesiastici, avvertiamo i nostri Confratelli dei Libri e Giornali, dalla cui lettura debbono astenersi, se vogliono essere fedeli alle fatte dichiarazioni.

  Essi sono

[...] Balzac, Tutti i romanzi [...].



  La Difesa dei legittimi governi al cospetto della Rivoluzione, Napoli, 1864.

 

  p. 11. Ad una vita di tanti secoli, che ha compiuta la unificazione Cattolica, e per mezzo di una sola credenza ha ravvicinato il mondo, che ha saputo fare la vera Unità d’Italia, la Unità del 500, che ha creato il secolo di Michelangelo di Raffaello, dei grandi miracoli di Arte, e che ha dati all’Italia, ed al mondo gli Ariosto, i Tasso, tutti i grandi poeti della moderna civiltà, voi, pigmei del progresso, supplirete con le vostre utopie, con la letteratura dei Voltaire, dei D’Alembert, dei Guerrazzi, dei Paul de’ Koch (sic), dei Sue, dei Balzac, alle grandi speculazioni della scienza del San Tommaso, di San Bonaventura, del Bacone, del Vico con le idee dei Gioberti, dei Ferrari, degli Ausonio Franchi, alla Unificazione dei Comuni del Medio Evo, con la vostra sfatata Unità, con la vostra sapienza civile? Quando si è pigmei, perché vuolsi avere la stolida pretenzione di esser giganti?



  I clericali ed i liberali, «L’Eco delle Alpi Retiniche», Trento, Anno I, Num. 31, 12 marzo 1864, p. 1.

 

III.

 

  I liberali hanno già libertà di stampa da un pezzo e ne usano ai loro fini; le sette hanno già diffuso in ogni parte i libri che la vendita ha giudicato opportuno mettere in circolazione. Si dia uno sguardo dalle Bibliotechine eleganti delle dame ai poveri ripostigli de’ giovinetti del popolo e vi si troveranno di bei maestri di pudore e di virginale verecondia. Le più luride infamie degli scritti d’una dama adultera fino nel nome, come la chiamava Pietro Giordani, mascheratasi sotto nome di Giorgio Sand, le più turpi e sconce novelle che Eugenio Sue, condotto dal suo abbrutito e selvaggio ingegno trasse dai postriboli o dai covi de’ comunisti, le sconcissime scipitezze di Paolo de Kok (sic), le fine ribalderie del Balzac, le disperanti frenesie del Goethe, le infamie morali del Marmontel, le pungenti empietà del Voltaire; qualche strana lambicatura dell’Hugo, ecco i libri prediletti delle signorine, e de’ giovani [...].



  Memorie originali. Estratti ed analisi di opere. “La scienza dell’ordinamento sociale”: del professore Giovanni Bruno, Palermo 1863. Volume II, di pag. 470, «Annali di statistica economia pubblica, legislazione, storia, viaggi e commercio» compilati da Giuseppe Sacchi e da varj economisti italiani, Milano, presso la Società per la pubblicazione degli Annali universali delle scienze e dell’industria, Volume CLVIII della Serie prima, Volume decimottavo della Serie Quarta, Aprile, Maggio e Giugno 1864, pp. 125-153.

 

  Cfr. 1862.



  Appendice. Per la strada, «Il Termometro mercantile. Periodico Settimanale dell’Agenzia Generale d’Affari rappresentata da Ferrari Giovanni», Mantova, Anno I, N° 3, 20 Giugno 1864, pp. 9-11.

 

  p. 11. Le donne!!!

  Lasciate ch’io vi metta tre bei punti ammirativi; le donne sono creature calunniate e che ancora non hanno trovato altro panegirista che Balzac; ebbene, io pure farò il loro panegirico.


  Notizie, «Gazzetta di Mantova», Mantova, Anno II, N. 77, 5 Luglio 1864, pp. 309-310.

  p. 310. La Congregazione dell’Indice ha condannato tredici opere, fra cui: I Miserabili, di Vittor Hugo; i romanzi di Balzac e di Federico Soulié; Gesù, Mosè, Maometto, per il barone Orbach; la Vita di Gesù di Renan […].

  Cronaca contemporanea. I: Cose italiane, «La Civiltà Cattolica», Serie V, XI, Fascicolo 344, 6 luglio 1864, p. 227.[1]
  Con decreto del 20 Giugno 1864, riferito nel Giornale di Roma del 27, furono inscritte nell’Indice de’ libri proibiti le opere seguenti: […]
  «Balzac (H. de) Le père Goriot. Histoire des Treize. Splendeurs et misères des courtisanes. Esther heureuse : etc., et omnia scripta eiusdem Auctoris.

  Lettere di un Francese sull’Italia. Teatri – Torino – Parigi, «Il Giornale illustrato», Firenze, N. 12, dal 20 al 26 agosto 1864, pp. 91-94.

  Oh mie carissime compatriote dei teatri delle Variétés, della Porte Saint-Martin, oh mie carissime incettatrici di diamanti e di perle fine; voi che prendete per vocazione teatrale il vostro ardente desiderio di vivere all’ombra dei belli alberi dipinti da celebri pittori, alberi le cui frutta sono dei rubli e dei marenghi, voi esitereste ad esporvi agli occhi del pubblico senza belletto e senza bianco in pieno giorno, come le valorose figlie d’Italia. È vero però d’altronde che unicamente preoccupate della loro arte, le mie protette non si occupano né dei proscenii, né degli stalli dell’orchestra, è vero che quella valorosa prima attrice che si chiama Giulia Romei pensa al personaggio che rappresenta e che sia questo od una gran signora italiana o la Linda di Chamonix, o la cantatrice da strada, o la virtuosa moglie di Stenterello negli intrighi della sua ambizione, l’intelligente comica è sempre nella parte che rappresenta. Essa ha pure il dono tanto raro di saper ascoltare i suoi interlocutori, e senza trascurar la sua persona ed il suo abbigliamento, cosa tanto utile al teatro, essa non ne fa però il perno della sua riuscita, né l’origine degli applausi che le si prodigano.
  E la bella amorosa che si direbbe ha ispirato a Balzac il romanzo La fille aux cheveux d’or (sic), può mai essere più ingenua, più accorta. E qual vivacità, qual brio, che anima!

  Fisiologia della Camera, in Cletto Arrighi [direz.; pseud. di Carlo Righetti], I 450 Deputati del presente e i deputati dell’avvenire per Una Società di egregi uomini politici, letterati e giornalisti diretta da Cletto Arrighi. Volume Primo, Milano, Presso gli Editori, 1864, pp. 12-21.

  p. 16. «Questo quadro, coloro che fra voi non conoscono la fisonomia del Parlamento, lo crederanno umoristico, esagerato, e in ogni caso eccezionale. Mi duole altamente di doverli disingannare. I particolari descritti sono côlti dal vero; e i particolari sono preziosi nello studio delle umane vicende. – Les détails, toujours les détails – raccomandava Balzac. I particolari cono come le pietruzze che compongono il mosaico».

  Cesare Cantù, L’Abate Parini e la Lombardia nel secolo passato. “Il Meriggio” di Giuseppe Parini, in Storie minori di Cesare Cantù. Volume Secondo. Storia di Milano. – La Lombardia nel secolo XVII. – Parini e il suo secolo, Torino, dall’Unione Tipografico-Editrice, 1864, pp. 786-829.

  p. 792, nota (9).
Dunque a te giovi de la scorsa notte
ricordar le vicende, e con obliqui
motti pugnerla alquanto; o se, nel volto (9)
paga più che non suole, accor fu vista
il novello straniero, e co’ bei labbri
semiaperti aspettar, quasi marina
conca, la soavissima rugiada
de’ novi accenti; […]
  (9) Questa il Balzac la chiamerebbe une étincelle d’amour propre, baptisé du nom de jalousie.[2]

  G.[iovanni] de Castro, Tredici (I), in Il Mondo secreto. Vol. IX, Milano, G. Daelli & C. Editori, 1864, p. 99.

  Esercitarono occulto potere a Parigi, durante il primo impero. Balzac dedicò ad essi uno de’ suoi più dilettevoli romanzi.

  Luigia Codemo Gertenbrand, Andrea ovvero Il Padre e la Famiglia. Scene domestiche del Veneto per Luigia Codemo Gertenbrand. Volume unico, Venezia, Premiata Tipografia di Gio. Cecchini Edit., 1864.

  p. 61. Gli [a Antonio Dauli] nasce il primo figliolo e la felicità e l’affetto di Antonio per questo suo primogenito si manifesta in modo che supera quello dei più caldi genitori. Ma tutto questo è niente in confronto dei trasporti d’amore, della tenerezza quasi insensata da cui è preso al nascergli una bambina: e poi un’altra e così per ogni nuovo nato: ma soprattutto per le figliuole ... le pazzie di questo nuovo papà Goriot passavano il segno, poichè di mano in mano che le sue creature venivano su belline, e le grazie dell’infanzia si univano a ciò che ha in sé di seducente l’infanzia femminile, sempre maggiore facevasi l’amor cieco, la cieca ambizione del padre.

  p. 525.

– Non impicciarti nelle mie faccende – ringhiò egli [il padre di Ildegarda] – e s’affagottò nel suo nefando tabarro coll’occhio sempre fisso nell'’ldegarda, sempre con quella passionata ambizione, che lo rendeva così miserevolmente un secondo Papà Goriot.


  C.[arlo] C.[ollodi], La Madre debuttante, in Strenna Garibaldi del giornale “Il Lampione” pel 1864, Firenze, Tipografia Grazzini, Giannini e C., 1864, pp. 41-51.
  Viene qui riproposto, con qualche variante formale, l’articolo pubblicato, a firma Carlo Lorenzini, ne «Lo Scaramuccia» dell’otto dicembre 1855.

 
  [Eugène] Cormon, Eugenio Grangé, I Misteri di un marito oppure Emicrania e mal di nervi ovvero Un interrogativo conjugale. Commedia in due atti dei signori Cormon ed Eugenio Grangé. Tradotta dall’Artista Giacomo Martini, Milano, presso l’Editore Carlo Barbini, 1864 («Biblioteca ebdomadaria-teatrale ossia Scelta raccolta delle più accreditate Tragedie, Commedie, drammi e Farse del teatro italiano, francese, inglese, tedesco e spagnuolo», Fasc. 526).

Atto Primo. Scena IV.

  pp. 18-19.
  Ama. [Amalia, moglie di Durosel] E con chi hai fatto questo frugalissimo pasto?
  Mau. [Maurizio Durosel] Con chi? Oh, se anche te lo dicessi, non ne sapresti più di ciò che sai … perché non ne conosci la persona …
  Ama. Ma pure?
  Mau. Ebbene, te lo dirò! con … con un negoziante … un negoziante di Marsiglia … che doveva parlarmi d’affari … il signor … (cercando un nome) il signor Mercadet.
  Ama. Che razza di nome! … Si direbbe che l’hai inventato.
  Mau. Oh, bene! molto bene! prima avevo certi occhi … ora invento dei nomi … ma questo mia cara … Sta a vedere che un uomo non può aver nome Mercadet!
  Ann. [Annetta, moglie di Bertolini] Ah! ah! ah! egli è un nome molto ridicolo!
  Mau. (ridendo anche lui) Ah! ah! ah! voi trovate che? … è un nome Marsigliese … un nome d’origine forense … Mercadet! …
[…]
  Ama. Come! come! esci di nuovo?
  Mau. Oh! non subito … ma fra venti minuti, un quarto d’ora … ho un appuntamento … per certi effetti … che devo rimettere questa sera … a …
  Ama. Al signor Mercadet forse?
  Mau. Precisamente!
[…]
  Ann. (piano ad Amalia) (Oh, mia cara amica, io vorrei che Bertolini pure conoscesse un Mercadet).


  Luigi Gualtieri, I Piombi di Venezia. Racconto storico del secolo XVII seguito dell’Innominato – di Dio e l’Uomo dello stesso autore. Volume II, Milano, Francesco Sanvito, 1864.
  p. 7. Molti poeti e romanzieri descrissero gli effetti dell’alba; e con immagini rubate alla grazia ed alla eleganza dei Greci ora ce la presentano sotto le forme di un’avvenente giovinetta, che colla dita rosee schiude le porte d’Oriente; ovvero sotto le sembianze della sposa di Titone che si alza per fare una infedeltà al vecchio marito, e viene gettando dal grembo rose, perle e rubini sulla strada, dove aspetta il suo favorito, che dee arrivare sopra un carro di luce. […].
  pp. 8-9. La vanità, la burbanza, la meschinità di costoro era il men peggio; ma la loro falsa scuola attecchì; la creazione originale fu proscritta; il concetto fu detto nullo; lo stile tutto; e quale stile? non quello dell’epoca nostra, non quello del trecento; in una maniera si debbe parlare, e scrivere in un’altra; fu stabilito in massima questo errore madornale; e la povera Italia perduta la bussola fu governata in letteratura da questi pedantucoli, colla stessa insipienza, colla medesima intolleranza con cui in politica veniva governata dai suoi tiranelli; e mentre la Francia in questo secolo dava i Vittor Hugo, i Balzac, i Sue, i Delavigne, i Sand, gli Scribe, l’Italia non aveva da porre a riscontro di costoro che un sol uomo, una sola opera degna di star a fronte a quelle di questi grandi: i Promessi Sposi.
  Quali ne furono le conseguenze?
  Che Italia, regina delle arti, della poesia, perdeva il suo scettro, la sua corona d’alloro. I Francesi invasero la scena e i nostri lari colla stessa furia con cui i Galli antichi e moderni invasero Roma; e l’Italia invece di diventar classica divenne oltremontana.

  Francesco Domenico Guerrazzi, La Torre di Nonza. Racconto storico di F. D. Guerrazzi, Milano, Casa editrice Guigoni, 1864 («Biblioteca Enciclopedica Popolare»).
  pp. 55-56. Cfr. 1857.

  L., Tra Scilla e Cariddi. II. «Il Giornale illustrato», Firenze, N. 11, dal 13 al 19 agosto 1864, p. 83.
  All’urto che diede Alfredo nel balzare, in piedi un terzo compagno, il quale sino allora se ne era rimasto rincantucciato e silenzioso levò la testa. Vecchio emigrato del 1830, maturato tra le congiure, le prigioni, le sofferenze e gli esigli, cresciuto tra lo scetticismo d’ogni fede vivente, tenacemente devoto ad una cotal credenza tutta sua alla libertà, alla fratellanza e al progresso, scettico e quasi ateo a fior di labbra, ma più credente d’un apostolo in fondo al cuore, e più immemore di sé che un martire, lottando sempre, egli aveva seguitato il generale da Montevideo al Messico, dal Messico alla China, a Roma, da Roma al nuovo esiglio, da questo a Varese e Marsala, e levando, dico, la testa calva e la vasta barba, che bianca come le spume del mare gli scendeva sino a mezzo il petto.
  – Siete pur fanciulli ancora! egli disse, e malgrado il vostro nobile entusiasmo, il cuore audace e aperto, non siete che figli del realismo vacuo di cui si piace cotesta metà del secolo decimo nono, il quale non è né carne né pesce, né lupo né vergine a guisa del nostro Scilla descritto da Virgilio, né libero né schiavo, ma barcollon barcolloni tra Scilla e Cariddi. Qui non trattasi né di antichi né di moderni, né di classici né di romantici, né di Omero o di Balzac, ma la vista di quello Stretto di Messina, mi offre l’istoria eterna, e mi rappresenta l’eterno dramma dell’umanità. Scilla e Cariddi, miei cari, sono le rivoluzioni, sono le monarchie, sono i popoli, è l’umanità ne’ suoi rigiri eterni, siamo noi. […]
  Questa l’arte magna, che, applicata sopra larga scala da tutti attende ancora il suo istoriografo o meglio il suo medico o naturalista per segnare i caratteri, svelarne i sintomi, fissarne le leggi. Essa si può applicare all’uomo come alla donna, al filosofo come al credente, all’individuo come alla nazione.
  E qui, componendo le labbra tra il severo ed il faceto, dopo breve pausa, «Cominciamo dalle donne, egli riprese: li vedete, là, alla nostra destra in quell’isola delle Sirene cantate da Omero, e poi giù giù ricopiata su mille tuoni da tutti sino a Balzac, li vedete? Eccovi la donna, il marito, l’amante.

  Michele Lessona, L’anno geografico pel 1864, in Dopo il tramonto per Michele Lessona, Genova, Tipografia del R. I. de’ Sordo-Muti, 1864 [1865 in copertina], pp. 145-154.

  p. 145. Ami tu i romanzi, o lettor mio, i buoni romanzi?
  Se sì, ti raccomando la lettura della Chartreuse de Parme del signor Enrico Beyle, il quale scrisse parecchi volumi col pseudonimo di Stendhall (sic), ove si mostrò profondo conoscitore ed amante dell’Italia, e fu, letteralmente, il padre spirituale di Balzac.

  Paolo Lioy, Proemio, in Escursione nel cielo o Descrizione pittoresca dei fenomeni celesti di Paolo Lioy con nove incisioni intercalate nel testo e una carta della luna appositamente incisa, Milano, presso gli Editori della Biblioteca Utile, 1864, pp. 5-16.

   pp. 11-12.  Nella solitudine di un gabinetto nulla più affascina della lettura di alcuni libri ove l’umano ingegno con ardito ma artifizioso lavoro ha costruito sistemi filosofici, con gloriosa illusione vantandosi di avere scoperto l’assoluta essenza del mondo. […] L’entusiasmo dei primi studi non fiorisce invidiabile che in quelli i quali non curando troppo di indagare s’arrestano presuntuosi per via, ma l’erudizione lo colpisce a morte, e se si comincia coll’ardore di apostoli, si finisce collo scetticismo di Bayle; nei creduti rivelatori del supremo mistero dell’esistenza, pallido e desolante sollevasi il profilo di Baldassare, l’uomo della Ricerca dell’assoluto di Balzac.

  Paolo Lioy, Proemio dell’autore, in Fra le Alpi. Romanzo di Paolo Lioy, Milano, G. Daelli e C. Editori, 1864, pp. V-XLVIII.
  pp. XI-XII. Non ha guari fra l’immenso affollarsi delle mediocrità nel campo letterario si riconobbe che il bello non poteva più essere scusa bastevole al traviamento delle lettere. Presagita quasi per istinto la loro condanna, ricorsero al vero. «Noi non presumiamo più, sclamarono i mediocri, di trovare nel valore estetico dei nostri scritti il motivo di pubblicarli; ci sentiamo gretti, meschini; l’arte ci è matrigna. Ebbene! Rinunciamo al genere d’imaginazione, diamo un saluto d’abbandono alla poesia che ricusò di rivelarsi a noi. Pianteremo le nostre tende in un campo più facile; ci raccoglieremo sotto altra bandiera, sotto la bandiera del vero. Saremo adoratori della realtà; non più slanci di fantasia; umili fotografi, se non ci è dato essere grandi pittori. Il maestro lo abbiamo grande e celebrato: l’autore della Ricerca dell’assoluto, di Eugenia Grandet».
  Questo indirizzo letterario che in Francia chiamano realismo, si è finora aggirato intorno a un circolo vizioso. Non difeso dal prestigio di un artista insigne come in tanti romanzi si mostrò Balzac, riuscì solo a farsi condannare ugualmente dal lato del bello e dal lato del vero. Scambiò pel vero l’assurdo, il brutto, il malefico; intese apparecchiare una vasta fisiologia della società delineando solo una odiosa patologia. […].
  p. XXXI. Rinunciando a compiere una nobile missione, lo scrittore si è almeno tenuto nelle alte sfere dell’arte? […] Ha conservato almeno le sue classiche tradizioni? No, non segue altre idee che quelle di Balzac propagate nella Physiologie du mariage. L’effetto di quella stampa è sì illuminante, sì liberale, sì civile è il discredito della famiglia. […].
  p. XXXIV. In Ernesto Feydeau […] v’ha, come fu detto, lo splendido fulgore dello stile di Lelia (sic), l’orientale grandiloquenza di Gauthier (sic), la fine elocuzione di Balzac, ma cuciti a toppe […].


  Avv. Mazzucchi, Udienza del 26 Agosto. Requisitoria e difesa nella causa di associazione di malfattori e di altri crimini discussa dinnanzi la Corte d’Assise [...]. Pubblicazione fatta per cura della Direzione della Gazzetta delle Romagne, Bologna, Tipografia Fava e Garagnani al Progresso, 1864, pp. 281-304.

 

  p. 288. Prendo dunque in esame la fantasmagoria che al rappresentante della legge è piaciuto di presentare al pubblico asseverantemente affermando che in Bologna esisteva una vasta, tremenda, tenebrosa catena di malfattori associati tra loro, un nuovo genere di setta di cui Balzac e Dumas avrebbero potuto comporre interessanti romanzi se conoscessero gli elementi.


  A. Maria Mozzoni, La donna e l’opinione, in La Donna e i suoi rapporti sociali di A. Maria Mozzoni in occasione della revisione del Codice civile italiano. Proprietà dell’autrice, Milano, Tipografia Sociale, diretta da G. Ferrari, Settembre 1864, pp. 27-53.

  p. 28. G. G. Rousseau considerò la donna in natura; Balzac ne disse dal punto di vista degli interessi virili; La Bruyère l’assoggettò a fina analisi senza che da questa si curasse.

  F.[erdinando] Petruccelli della Gattina, Libro Primo. Il Placito, in Il Re dei Re. Convoglio diretto nell’XI secolo per F. Petruccelli della Gattina. Vol. I, Milano, G. Daelli e C. Editori, 1864, pp. 5-68.

p. 7. Per chi ama la storia sbadiglio, come quella
del Guicciardini e del Botta, questo libro è
romanzo.
Per chi ama il romanzo, come quello di Paul
de Kock, di Paul Féval o di Soulié, questo
libro è storia.
A chi si delizia della storia-dramma di
Michelet, della storia in azione di Balzac, di
Vittor Hugo, di Dumas, queste pagine sono
leggere.
Esse sono dei freschi di un secolo di giganti.

  Antonio Piccirilli, Pensieri sull’arte drammatica presso di noi, in Prose e versi di Antonio Piccirilli. “La Vittima” dramma – Prose – Versi. Vol. I, Napoli, Antonio Alberino Librajo-Editore, 1864, pp. 23-27.

  Cfr. 1859.

  R., Appendice. Rivista bibliografica. “Pasquale Paoli”. Racconto di F. D. Guerrazzi. “Storia d’Italia dal 1814 al 1863” di Luigi Anelli, «Gazzetta di Milano», Milano, Anno VI, 23 Marzo 1864, p. 1.
  Quando abbiam pubblicato, or non fanno molti giorni, l’articolo intorno al Maledetto dell’egregio Patuzzi (col quale concordiamo pienamente nel giudizio di quel libro coraggioso), abbiamo omesso di fare alcune osservazioni alla prima parte di esso, perché ci riserbavamo di esporle nell’occasione che avremmo parlato del Guerrazzi. Noi, concedendo libero posto a tutte le opinioni, non possiamo però tacere quand’esse non vanno d’accordo colle nostre vedute. Il silenzio sarebbe un atto di accettazione. Leggendo quell’articolo mentre avevamo tra le mani il bel libro del Guerrazzi, che spontaneamente c’invitava a considerare la condizione, la fortuna e i meriti del romanzo in Italia, non abbiamo potuto sottoscrivere a quel passo, dove i primi posti in Europa, in codesta sfera della letteratura, non sono concessi che a Balzac, a Sue e a Vittor Hugo, che vi è chiamato il più grande di tutti. Quest’opinione espressa da un Francese sarebbe un’ingiustizia, ma pure un’ingiustizia spiegabile; espressa da un Italiano non si può nemmeno chiamarla ingiustizia, ma rimane soltanto un giudizio inesplicabile. […].
  Se consideriamo il Guerrazzi come artista pittore, ei ci offre descrizioni che raggiungono l’evidenza della plastica; se guardiamo lo scrittore filosofo, non è possibile andar più innanzi di lui nello studio del cuore umano. In ciò Guerrazzi non è superabile, e tale già era, sebbene con una certa terribilità che per gli inesperti pareva uscir dal vero, fin da quando giovanissimo dettava la Battaglia di Benevento; Balzac non era ancor celebre allora, e l’anatomia profonda del cuore umano Guerrazzi l’aveva già tentata con pari verità del Francese, e con più poderosa efficacia di stile.

  Dott. F. S…, Bibliografia italiana. […]. “Le farfalle di provincia, scena della vita reale per Lodovico De Rosa, due volumi. […], «La Favilla. Giornale di letteratura, politica, educazione e varietà», Trieste, Anno II, Disp. 10, N. 16, 15 Agosto 1864, pp. 523-524; N. 17, 1. Settembre 1864, pp. 554-555.

  p. 523. Fu allora che taluno ai assunse la cura di far prendere al romanzo la piega opposta, che messa in moda da E. (sic) Balzac, oggi con Flaubert è ancora la predominante e la prediletta, in mezzo ad altri generi che sono parti convulse di menti ammalate. Al concerto di realismo ed ai lavori artistici che ne incarnarono il colorito, la vita e le tendenze, in grazia dell’antitesi che rappresentarono e che rappresentano anche oggi, fu concessa dall’opinione pubblica una, diremo quasi, patente di novità. Veramente, a ben considerare i lavori di questo genere in relazione alla natura, ne pare che i romanzieri del realismo non abbiano che rimesso l’arte al suo posto, mentre tendeva a scostarsene coll’esagerazioni ideali che sono fuori della natura, e coll’agitarsi fra le nubi, rendendosi così infruttifere ai cervelli sani e dannosa ai cervelli deboli ed ammalati. Ciò che fu certo un bene, ma tutt’altro che una novità. Quanti, prima dell’autore dell’Eugenia Grandet, attesero a ritrar la natura tale e quale è? Machiavelli nella Mandragola, Goldoni, L. Sterne, Manzoni e mille e mille altri. La forza del contrasto che nasceva, dall’occasione però impose ai romanzieri del realismo una cura speciale nella ricerca della realtà fino nelle minuzie, ravvicinando a poste e troppo soventi circostanze e particolarità di colore contrario per far spiccare sempre più le continue contraddizioni della natura.

  pp. 554-555. Lo scopo del libro è di mostrare a quali disordini possa condurre una famiglia anche agiata la smania ad ogni costo di accorrere dalla provincia a stabilirsi nella capitale. La lezione non è certo fuor di proposito nemmeno in Italia, benché questo più o meno volontario accentramento d’ogni grandezza e d’ogni miseria, non abbia, nè possa avere qui da noi le proporzioni che ha in Francia. Colà infatti agli economisti invocanti il discentramento, s’unirono i romanzieri a dipingere le tristezze della delusione che attendono la folla accorrente. E Balzac conduce a Parigi, per metà rapito da una donna, il povero poeta di provincia, il signor di Robemprè (sic) che non è che il figlio di uno speziale: il gran centro pieno di vita per lui non è che una vasta solitudine: Parigi col desolante confronto gli straccia foglia per foglia tutti i fiori delle sue illusioni. Queste scene della vita reale, che discendono in linea retta dalla scuola di Balzac, hanno il merito di rammentare molti dei pregi del maestro. Non vi si trova la osservazione profonda e minuta d’ogni atto benché indifferente delle persone, l’analisi eloquente e continua del sentimento, nè il colorito così profuso nelle scene veneziane della Massimilla Doni, ma vi è sempre una gran delicatezza di tatto e la conoscenza del cuore umano e ella società presa a dipingere. La lingua è viva ed elegante; ma, non senza torto, qualche pedante potrebbe trovarla non sempre in buon accordo col vocabolario della Crusca.


  Dott. F. S., Bibliografia italiana. “Il re dei re”, convoglio diretto nell’XI secolo per F. Petrucelli della Gattina, quattro volumi. — “Le farfalle di provincia”, scena della vita reale per Lodovico De Rosa, due volumi. — “Fra le alpi”, romanzo di Paolo Lioy, un volume, «La Favilla. Giornale di educazione, letteratura, varietà e politica», Trieste, Anno II, Disp. 11, N. 17, 1. Settembre 1864, pp. 554-558.

 

  pp. 554-555. Ma torniamo al signor De-Rosa col quale ci è caro congratularci delle sue vivaci pitture di scene della vita reale [...].

  Lo scopo del libro è di mostrare a quali disordini possa condurre una famiglia anche agiata la smania ad ogni costo di accorrere dalla provincia a stabilirsi nella capitale. La lezione non è certo fuor di proposito nemmeno in Italia, benchè questo più o meno volontario accentramento d’ogni grandezza e d’ogni miseria, non abbia, nè possa avere qui da noi le proporzioni che ha in Francia. [...]. E Balzac conduce a Parigi, per metà rapito da una donna, il povero poeta di provincia, il signor di Robemprè (sic) che non è che il figlio di uno speziale; il gran centro pieno di vita per lui non è che una vasta solitudine: Parigi col desolante confronto gli straccia foglia per foglia tutti i fiori delle sue illusioni. Queste scene della vita reale, che discendono in linea retta dalla scuola di Balzac, hanno il merito di rammentare molti dei pregi del maestro. Non vi si trova la osservazione profonda e minuta d’ogni atto benchè indifferente delle persone, l’analisi eloquente e continua del sentimento, nè il colorito così profuso nelle scene veneziane della Massimilla Doni, ma vi è sempre una gran delicatezza di tatto e la conoscenza del cuore umano e della società presa a dipingere.



  S., Le vacanze. Fantasia autunnale, «Il Giornale illustrato», Firenze, N. 20, dal 14 al 20 ottobre 1864, p. 155.

Le but de la vie civilisée
Ou sauvage est le repos.
Le repos absolu produit le
spleen.
H. de Balzac[3]

 
  P. Gioacchino Ventura, Sopra l’uso dei teatri nei luoghi di pubblica educazione, in Opere del P. Gioacchino Ventura. Enciclopedia Ecclesiastica riprodotta e riordinata dal P. Francesco Saverio Procopio del SS. Redentore. Vol. I, Napoli, presso Gabriele Sarracino, 1864, pp. 496-505.

  p. 500. L’umor feroce reciterà da Balzac nel Melesindo; ed il malinconico e il tetro rappresenterà le furie del Serse o dell’Aristodemo.


  X., Lettere dal quinto piano, «Pasquino», Torino, Vol. IX, Num. 5, 31 Gennaio 1864, pp. 34-37.

  p. 35. Da Balzac a Carlo Nugelli, tutti gli uomini di spirito si sono datti la parola per canzonare «questa classe laboriosa e intelligente».

Io, che non sono nè Balzac nè Nugelli, nè uomo di spirito, mi cavo il cappello a questa classe, ecc. E quantunque non sia impiegato io stesso, e che non dia né riceva banchetti, nondimeno riconosco che essi – gli impiegati, non i banchetti – sono altamente benemeriti dalla nazione.


  Y. Y., Appendice. Giornata anti-omeopatica, «Gazzetta Medica Italiana. Provincie Sarde», Torino, Anno decimo quinto, Num. 21, 23 maggio 1864, pp. 161-162.
  p. 162. […] vi racconterò un grazioso aneddoto, di cui ne garantisco la storica verità.
  Lo spiritoso Balzac entrò un giorno da un medico omeopatico, quando era loro concesso di esercitare anche da farmacisti, e si lamentò simulatamente di una fiera e ribelle emicrania.
  Medico. Sarete stato curato dagli allopatici?
  Balzac. Pur troppo.
  M. Non sanno quello che fanno. Io vi guarirò e subito (prende una boccetta); questo è il primo grado del rimedio, basta il far così (la stura e gliela fa odorare tre volte). Come state?
  B. Mi pare un po’ meglio.
  M. Attendete (prende un’altra boccetta). Questo è il secondo grado (la stura e fa come sopra). Ed ora?
  B. Ah! molto bene; ma mi resta un lieve risentimento.
  M. Non è nulla: il rimedio fu anche troppo. Escite fuori, fate per 5 volte 50 passi in fretta davanti la mia porta, e tornate tosto da me.
  B. (Ubbidisce e ritorna dicendo): Son rinato, sto benissimo.
  M. Ve lo dissi. Un allopatico vi avrebbe smunta la borsa prima di arrivare a tanto. In noi, scienza e disinteresse vanno del pari, però siamo uomini e viviamo dell’uomo.
  B. Intendo. Quanto vi devo?
  M. Bastano 20 franchi.
  B. Così avevo io pure stabilito (gli passa un marengo sotto il naso per tre volte).
  M. Cos’è questo? Voi impazzite!
  B. Se non basta, prendo il secondo grado (gli passa, come sopra, sotto il naso un marengo doppio).
  M. Mi meraviglio di voi! È una insolenza!
  B. Nulla, nulla; se manca qualche cosa, escite fuori, passeggiate come ho fatto io davanti la vostra porta e sarete pagato del tutto, come io sono perfettamente guarito.


  [1] Segnalato da L. Carcereri, Editoria e critica balzachiana … cit., p. 539.
  [2] Citazione tratta da : Physiologie du mariage, Méditation III, « De la femme honnête ».
  [3] Citazione tratta da: Traité de la vie élégante. De la vie occupée.

Marco Stupazzoni

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