domenica 11 agosto 2013


1854




Studî e riferimenti critici.



  Mode, «Il Diavoletto. Giornale Triestino», Trieste, Anno VII, Nr. 3, 6 Gennajo 1854, p. 38.

 

  Dall’eccellente giornale di Venezia, intitolato: i Fiori, diretto dall’egregio G. J. Pezzi, togliamo il seguente spiritoso articolo: La coda delle donne. […].

 

  A lunghi intervalli si presenta al teatro qualche ardita bellezza, incipriata i capelli e con nastro, o roseo, o cilestro, sovr’essi; ma sono rari esempi che non trovano seguaci né lodatori; tanto più che l’audace è sovente in quella equivoca età, che Balzac direbbe una certa età, tanto certa, quanto è incerto se quella candida polvere sia piuttosto stata diffusa per mascherare qualche argenteo capello.


 

  Teatro Carignano, «Il Fischietto», Torino, Anno VII, Num. 38, 28 Marzo 1854 (martedì), p. 304.

 

  Per sabbato venturo, a benefizio dell’artista G. Gattinelli si sta preparando la rinomata commedia in tre atti di Onorato Balzac, intitolata

 

Mercadet ossia Il Secolo e la borsa

 

  Prima traduzione italiana liberamente eseguita da M. Pinto.


 

  Teatri d’oggi. Carignano, «L’Italiano. Gazzetta del Popolo», Torino, Anno VII, Num. 80, 31 Marzo 1854, p. 4.

 

  Sabbato avrà luogo la beneficiata dell’artista G. Gattinelli con una commedia di C. Balzac, intitolata: Mercadet, o, vero Il Secolo e la Borsa, libera versione di M. Pinto.


 

  Sacco nero. Teatro Carignano, «L’Italiano. Gazzetta del Popolo», Torino, Anno VII, Num. 80, 31 Marzo 1854, p. 3.

 

  L’attore Gattinelli ha scelto per sua serata, che avrà luogo domani a sera, il Mercadet di Balzac, ossia Il secolo e la borsa.

  Il buon Gattinelli non potea fare una scelta che meglio di questa combaciasse coi moderni tempi borsaiuoli.

  Il teatro Carignano sarà pieno zeppo, e ci vuol poco merito a farla in ciò da profeta, trattandosi e di Gattinelli e di una commedia di Balzac.


 

  Teatro Carignano, «L’Italiano. Gazzetta del Popolo», Torino, Anno VII, Num. 83, 4 Aprile 1854, p. 4.

 

  Sarebbe male per conto nostro lasciar passare senza saluto il borsaiuolo Mercadet, così bene stereotipato prima da Balzac e poi da Gattinelli.

  È questa una buona commedia piena di frizzi, di spirito e di pepe. Ma di un pepe che leva le frolle d'in sulla pelle, e giustamente, alle arpie del ribasso e del rialzo.

  Dunque, grazie a Gattinelli che ci fece gustare una eccellente satira, recitandola in modo veramente squisito.



  Appendice. Rivista teatrale. Carignano — “Mercadet”, commedia in 3 atti di Balzac, liberamente tradotta da M. Pinto — Prossima-partenza della Compagnia Sarda — Chiaccherata sul teatro dei Paesi Bassi,«L’Opinione», Torino, Anno VII, N. 98, 8 Aprile 1854, pp. 1-3.

 

  Mercadet è uno speculatore di borsa, del rialzo e del ribasso, un faiseur d’affaires, come dicono i parigini, attivo, audace, astutissimo, cui alcune cattive operazioni di borsa e la subita sparizione del suo socio Godeau, che gli portò via la cassa, stanno per ridurre alla rovina ed al fallimento. Quantunque i suoi debiti ammontino a meglio di 400,000 franchi, ed ei non abbia più neppure venti scudi nel suo scrigno, vive tuttavia con tutte le apparenze del lusso e della opulenza; ma basterà che un mandato d’arresto contro lui s’eseguisca, perché egli sia irrevocabilmente perduto. La sua vita perciò diventa una lotta viva, accanita, continua fra lui ed i suoi creditori. In questa lotta terribile e perigliosa, in cui stanno di mezzo la sua fortuna, il suo onore e la sua libertà Mercadet coglie partito di tutto, e tutto a lui serve, gli avvenimenti politici come le faccende private, l’ingordigia non meno che la paura e la timidità dei suoi creditori; ogni mezzo per lui è buono: e sue armi favorite sono il raggiro e la frode. Non v’ha istinto, non v’ha passione od interesse dei suoi creditori che il destro borsaiuolo non conosca e non metta abilmente in giuoco per tenerli a bada e dominarli e raggirarli a suo talento. Con tali arti ei si ride delle citazioni e dei mandati di arresto, del fisco e degli uscieri.

  Ciononostante il terreno su cui cammina non è ben sodo; qualcuno dei suoi creditori un bel giorno può trovarsi stanco delle sue fole è delle sue lusinghe, e a lui non rimanere altra alternativa che le acque della Senna o Clichy.

  Un’ultima carta rimane all’abile giuocatore. Mercadet è padre di un’unica figlia. Un ricco e brillante matrimonio sarà la sua tavola di salvezza. Ei farà passare nella sua cassa i capitali del genero, è con essi rialzerà il suo credito e la sua fortuna.

  Giulia, la figlia di Mercadet ama Adolfo Minard; ma Adolfo è povero ed orfano, non ha terreni, né capitali, nè rendite, nè azioni: non è dunque il genero che convenga allo speculatore.

  Un altro sposo egli destina a sua figlia, ed è il conte Della Brive, giovane ricco ed elegante, che possiede tremila iugeri di terreno, un castello ed ampie paludi nei dintorni di Bordeaux, ed è futuro erede d’una vecchia zia, la marchesa di Burdillac, che ha quarantamila lire di rendita.

  Il conte Della Brive sta appunto per giungere in casa Mercadet. Bisogna che il pretendente rimanga abbagliato da una splendidissima accoglienza: bisogna che Mercadet provveda almeno il corredo alla sposa. Ma come fare s’egli non possiede venti scudi e se i mercanti ricusano di dargli più a credenza?

  Mercadet si rivolgerà ancora ai suoi creditori e saranno essi che gli forniranno il danaro occorrente. Ei li convoca uno ad uno in casa sua. Primo a giungere è Goulard, borsaiuolo non meno avido che pusillanime, e di tutti i creditori di Mercadet il più duro ed inesorabile. Costui è interessato per 300 azioni nelle miniere delle Basse Indie. Mercadet gli confida che le azioni sono in ribasso, che il giorno prima si era già venduto, ma segretamente, e che fra pochi dì queste azioni diventeranno titoli senza valore. Goulard a tale rivelazione si vede all’orlo della ruina e gli pare mille anni di poter disfarsi delle sue azioni. Mercadet viene in suo aiuto; s’incarica di fargliele vendere, ed intanto gli spilla 5,000 franchi.

  Dopo Goulard capita Pierquin, il. quale, a sua volta, è così bene abbindolato dal nostro borsaiuolo, che, in cambio di alcune azioni senza valore che gli cede, ottiene una dilazione di tre mesi, e per soprassello un credito di L. 47,000 verso un tale Michonnin, cavaliere d’industria dei dintorni di Bordeaux, un concittadino del conte Della Briye.

  A costui tien dietro Violette, sordido usuraio, pezzente all’aspetto, tanto, avaro e gretto, quanto stupido ed imbecille. Mercadet il tira nella trappola pel mezzo il più lepido. di questo mondo. Gli parla d'una sua famosa scoperta, che è niente meno che un selciato conservatore su cui le barricate diventeranno impossibili. È una scoperta che frutterebbe un milione al suo autore, e sarebbe, protetta, ed incoraggiata da re, imperatori, ministri, capitalisti, proprietari e da tutti, gli amici dell’ordine; ma ei non può metterla ad effetto perché privo di capitale e di credito. E sì che non gli occorrerebbero che seimila lire!

  Violette trova sorprendente l’idea di un selciato conservatore: il guadagno d’un milione lo tenta; mette mano alla borsa, e Mercadet intasca altre seimila lire.

  Ultimo si presenta Verdelin, l’amico ed il compagno di giovinezza di Mercadet. Questi si studia di commuoverlo a suo favore colle rimembranze della loro prima età; gli parla del matrimonio di sua figlia, che omai dipende dal suo talento, e tanto si adopera, che a lui pure viene a strappare cinque mila lire.

  Anche questa volta i suoi creditori sono stati colti nella rete, ed ei con questo nuovo danaro che loro carpì si tien sicuro di vincere la partita.

  È questa la tela del primo atto. Nel secondo succede l’arrivo del conte della Brive in casa Mercadet, e la sua presentazione a madamigella Giulia Mercadet ha persuaso Adolfo a rinunziare all’amore di sua figlia, alla quale più non resta che di accettar la mano del conte. Il contratto sta per fermarsi, quando Mercadet scopre che il genero tanto da lui vagheggiato, non è che un, cavaliere d’industria, lo spiantato Michonnin, suo creditore.

  Tutto è dunque perduto. Ma no: Mercadet tenterà un. colpo ardito e decisivo: farà venire il suo socio Godeaux (sic) da Calcutta; ed il signor Godeau sarà Michonnin, il falso conte della Brive. Si sparge alla borsa e per Parigi che Godeau è ritornato dalle Indie ricco come un Creso. Godeau ossia Michonnin vedrà i creditori di Mercadet, e promette di pagarli. Mercadet avrà riacquistato il credito. Che la finzione duri due giorni, e Mercadet che ha fraudolosamente determinato il ribasso delle azioni delle Basse-Indie, e di altri fondi, ne procaccierà un’ingente quantità; rialzerà la sua fortuna, e sarà di nuovo proclamato il re ed il padrone della borsa.

  Arriva una carrozza alla casa di Mercadet. È Godeau! È Godeau? gridano i suoi creditori, che ivi sono radunati, precipitandosi verso di lui. Il borsaiuolo si frega le mani, e fa voti perché Michonnin sostenga bene la sua parte. I creditori ritornano lieti e raggianti di gioia. Hanno visto Godeau, gli hanno parlato; Godeau gli ha soddisfatti.

  Ciò non è tutto. Godeau manda a Mercadet centomila franchi. Mercadet è sbalordito ed è fuori sé finché giunge a conoscere che Michonnin venne dispensato dal recitare la commedia dal vero Godeau che è proprio ritornato dalle Indie carico di oro e disposto a salvare la vita e la fortuna al suo antico socio.

  Ora è inutile il dire che Giulia sposerà il suo Adolfo, e Mercadet rinunzierà per sempre ai giuochi di borsa, non s’impaccierà più nè di rialzo, nè di ribasso; ed andrà a stabilirsi in campagna, ove non s’occuperà più che della coltivazione dei cavoli e delle barbabietole.

  È questa la commedia di Balzac, la quale ebbe un clamoroso successo a Parigi: e che con esito non meno felice si rappresentò sabbato scorso sulle scene del Carignano.

  Mercadet è un’opera postuma di O. Balzac. Ei compose questa commedia fin dal 1835, in quella epoca appunto in cui Parigi e la Francia tutta erano invasi dalla febb[r]e delle speculazioni e dei giuochi di borsa, e tutte le più matte intraprese commerciali ed industriali trovavano voga, credito e capitali. Ma o non riputasse il suo lavoro abbastanza perfetto, od acconcio alla scena, o temesse che prodotto alla luce fosse per ferire troppo acerbamente i borsaiuoli di quell’epoca, l’illustre autore non credette di doverlo esporre sul teatro. Così non fu che nell’agosto del 1851, e quando il celebre romanziere era già sceso nella tomba, che il Mercadet venne la prima volta rappresentato al Gymnase di Parigi.

  L’opera del Balzac, quale era stata da lui ideata, pareva troppo dura e secca ed aspra. Alcuni timidi e permalosi s’incaricarono di rammorbidirne le ruvidezze. La commedia ne guadagnò forse dal lato dell’effetto drammatico, ma il concetto di Balzac non potè a meno di riuscir monco e d adulterato. Così il triviale scioglimento della commedia per mezzo dell’arrivo di Godeau non era punto quello stato immaginato dal «Balzac. L’amore di Adolfo e di Giulia nel lavoro originale non aveva tinte così entusiastiche e generose; giacchè Balzac faceva che Adolfo abbandonasse Maria allorquando veniva a sapere che essa non aveva più dote ed il padre di lei era rovinato.

  Ad onta di tutto ciò questa commedia riesce pur sempre la pittura più fedele, e la critica più acerba degli uomini di borsa. Non si poteva certo con maggior acrimonia, flagellare le loro frodi ed inganni, e le loro arti, ed i loro giuochi immoralissimi; nè con più beffarda ironia deridere la mania delle intraprese industriali.

  Dal lato artistico questa, commedia è ben lungi dall’essere un capolavoro. Lo scioglimento a parer nostro è infelicissimo, siccome quello che tiene troppo dello inverosimile, e non nasce dalle viscere dell’azione, ma poggia sopra un mero accidente. La dabbenaggine dei creditori di Mercadet è così grande che finisce per apparirvi incredibile. Sopratutto manca l’ispirazione, manca l’invenzione, manca l’interesse. L’entusiasmo e l’anima generosa ed ardente di Adolfo Minard, con cui correggendo il concetto di Balzac si volle infondere un po’ di vita e di colore a questa commedia fanno, è vero, un notevole contrasto colla freddezza egoistica e collo scetticismo del borsaiuolo; ma non bastano; questi slanci di generosità sono tosto rintuzzati ed annichiliti dall’inesorabile logica e dal sogghigno dello speculatore. In complesso è troppo tetra e malinconica. Il riso che di quando in quando vi spunta è troppo secco e beffardo, perché abbia virtù di rallegrarvi. Lo stesso dicasi dei frizzi e degli epigrammi che vi sono sparsi a piene mani, e sono tutti pungenti e freddi come la punta di un coltello.

  Questa commedia venne liberamente tradotta ed adattata alla scena italiana da un valoroso nostro scrittore, il sig. Michelangelo Pinto. La libertà per altro della traduzione ci parve un po’ troppo ardita, giacchè il sig. Pinto non sappiamo bene, se per ragioni d’arte, o per le solite convenienze di attori non si fece scrupolo di eliminare nella sua versione un intiero carattere, quello della moglie di Mercadet — cercando invece di dare maggior sviluppo ed importanza a quello della figlia. Nel che invece di guadagno vi fu perdita. Balzac avea fatto di Giulia una fanciulla tutta grazia, tutta ingenuità e candore; il sig. Pinto la tramutò in una donna di governo, spogliandola di ogni prestigio e poesia.

  L’esecuzione riposava per la massima parte sul personaggio di Mercadet, e questo personaggio così difficile ed inamabile venne sostenuto dal sig. Gattinelli. Era in quella sera la beneficiata di questo valente. e simpatico attore, il quale perciò venne al suo apparire sulla scena salutato da straordinarii applausi, i quali si rinnovarono durante e dopo la rappresentazione. Nella parte di Mercadet il sig. Gattinelli ci diede una novella prova del suo valore artistico. Ciò peraltro non vuol dire che il critico nulla abbia da osservare sul modo con cui venne da lui ritratto questo carattere. Perciò con buona venia del pubblico noi diremo francamente che o noi prendiamo abbaglio, o ci parve che in alcune situazioni il signor Gattinelli non ci esprimesse bene il concetto di Balzac. Ci parve che il zelante artista in alcuni momenti si lasciasse trasportare dagli impeti del suo cuore sì gentile e generoso, e si mostrasse troppo enfatico ed animato; ci parve che s’infiammasse e declamasse più del bisogno. Un fare caldo, declamatorio ed enfatico non s’addiceva punto al carattere di Mercadet. Il famoso borsaiuolo era per indole freddo ed egoista; per esperienza del suo secolo, per disgrazie sofferte e per necessità presenti scettico e calcolatore. Ora, un tal uomo ragiona e non declama; scruta ed investiga, e non s’infiamma, ed il suo labbro si compone più naturalmente al sogghigno, all’ironia ed al sarcasmo, che all’invettiva.

  Degli altri attori non diremo se non che il Bucciotti fu lepidissimo nella parte di Violette, e che gli applausi tributatigli dal pubblico sarebbero stati più meritati, se fosse stato un po’ più spiccio nel dire, e che la signora Ristori, malgrado la somma sua perizia, non potè nascondere che rappresentava in Giulia un carattere anfibio. [...].



  Cose locali, «Il Diavoletto. Giornale Triestino», Trieste, Anno VII, Nr. 114, 26 Aprile 1854, p. 506.


  Teatro Grande. (Ore 8.). Pari Nro 10. La drammatica compagnia al servizio di S. M. il Re di Sardegna, esporrà: Mercadet, commedia in 3 atti di O. Balzac.



  Teatri e spettacoli, «La Fama del 1854. Rassegna di Scienze, Lettere, Arti, Industria e Teatri», Milano, Anno XIII, N. 36, 4 Maggio 1854, pp. 142-143.


  p. 142. Trieste, 1 maggio. – Teatro Grande […] – Il valente Gattinelli ci fe’ passare un paio d’ore dilettevolmente colla spiritosa commedia di Balzac, Mercadet, sostenendovi maestrevolmente la parte del protagonista.

  
  Notizie politiche, «Il Diavoletto. Giornale Triestino», Trieste, Anno VII, Nr. 123, 5 Maggio 1854, p. 542.
Francia.
  Alessandro Dumas avea organizzata una solennità musicale, coll’introito della quale si dovea alzare un monumento alla memoria di Balzac e di F. Soulié. Ora madama E.-C.-V. Bzewuski (sic), vedova di Balzac, diresse contro Dumas una petizione al tribunale, nella quale essa espone che non ha incaricato nessuno della cura di compiere questo pio dovere alla memoria di suo marito, e ch’essa non intende che il pubblico sia chiamato, coll’intermediario di Dumas, a concorrere ad un’opera di cui essa sola si riserva l’esecuzione. Essa chiede quindi che il nome di Balzac venga soppresso dall’affisso, altrimenti un indennizzo di 10,000 franchi. Questo processo sarà trattato il 3 maggio.

  Notizie. Una lite fra Dumas e la vedova di Balzac, «L’Annotatore friulano. Giornale di Agricoltura, Arti, Commercio e Belle Lettere», Udine, Anno II, N° 37, 10 Maggio 1854, pp. 146-147. 

  Alessandro Dumas organizzò una solennità musicale allo scopo di erigere cogl’introiti della stessa un monumento alla memoria di Balzac e di Federico Soulé (sic). A questo proposito la signora E. C. V. Rzewuski, vedova di Balzac, intentò un processo a Dumas, in cui dichiara: «di non aver mai dato in carico a chicchessia di adempiere a questo pio debito alla memoria di suo marito. Che ella non vuole che il pubblico, col mezzo del sig. Alessandro Dumas, sia chiamato a concorrere ad un’opera di cui ella sola riserbasi l’esecuzione. La vedova di Balzac chiede pertanto che sull’avviso sia soppresso il nome di Balzac o sia pagata una somma di 10,000 franchi per danni e spese». L’affare fu discusso in tribunale il giorno 3 maggio.



  Teatri e notizie diverse, «L’Italia musicale», Milano, Anno VI, N. 37, 10 Maggio 1854, p. 148.

 

  Doveva aver luogo in questi ultimi giorni a Parigi nella sala di Santa Cecilia la grande solennità musicale, il cui prodotto era destinato all’erezione del monumento alla memoria di Balzac e di Soulié. Varii principali artisti, fra i quali la Ugaldè, concorreranno a rendere più brillante tale trattenimento.


  Rivista letteraria. Degli effetti de’ moderni romanzi per ciò che riguarda la letteratura, «Lo Scaramuccia. Giornale – Omnibus», Firenze, Anno 1, N.° 56, 12 Mag. 1854, [pp. 1-3].
  p. 2. Quindi gli animi ben fatti subito se ne disgustano; e guai se siffatte imagini giungono a piacere ai lettori! poiché allora gli è segno che l’abuso delle forti impressioni ha spostato in questi la facoltà di ben sentire; il che sorge in taluni i quali accostumati al Dumas, al Soulié, al Balzac trovano per insipido il Petrarca, smaccato il Racine un po’ sonnifero Virgilio.            

  Notizie politiche, «Il Diavoletto. Giornale Triestino», Trieste, Anno VII, Nr. 134, 16 Maggio 1854, pp. 586-587. 
Francia.
  p. 587. Il curioso processo della vedova di Balzac contro Dumas finì a danno della prima. Il tribunale però prese atto che Dumas non volea innalzare una tomba a Balzac, ma un monumento.

  Un “sì” della Frezzolini, «Lo Scaramuccia. Giornale – Omnibus», Firenze, Anno 1, N.° 55, 9 Mag. 1854, [p. 2]; «I Fiori. Scienze, lettere, arti – Industria, commercio, manifatture – Obblighi e doveri cittadini – Progressi e miglioramenti – Scoperte e invenzioni – Mode, teatri, varietà, annunzii ecc. ecc.», Venezia, A. II, N. 22, 1 giugno 1854, p. 182.
  È noto che Alessandro Dumas ha promosso l’erezione di due monumenti a Balzac ed a Soulié, provvedendo alle spese con gli incassi di rappresentazioni teatrali e di concerti che egli organizza a questo scopo con quell’infatigabile alacrità che lo distingue. Tutti i direttori teatrali di Parigi hanno messo a disposizione di Dumas i loro teatri per una serata ciascuno; tutti gli artisti, così drammatici che musicali, hanno offerto o accordato il loro concorso per questa opera di riparazione nazionale, per la cui attuazione si erano fatti finora in Francia inutili sforzi.
   Erminia Frezzolini richiesta di cantare al concerto che sarà dato alla Sala di Santa Cecilia, ha risposto a Dumas la seguente lettera che noi riproduciamo a titolo di lode per la grande artista:
   «Honoré de Balzac et Soulié, à la prière d’Alexandre Dumas!
   Si vous trouvez un moyen de refuser le concours à l’exécution d’une autre si belle œuvre et à tale intercessore, veuillez me l’indiquer, car moi je ne saurais le trouver.
   À vous toute dévouée 19 avril. E. Frezzolini».
   È impossibile di dir con spirito, con grazia e con gusto migliori.


  Fatti diversi. Accademia filodrammatica, «L’Opinione», Torino, Anno VII, N. 161, 13 giugno 1854, p. 1.

 

  Se egli è vero che il nostro drammatico teatro debba essere incoraggiato e protetto onde abbia valenti attori, non v’ha dubbio; chè meritano lode coloro che si esercitano in tale palestra con favorevole successo. Egli è per questo che non possiamo a meno che esternare, quantunque tardi, le nostre congratulazioni ai signori dilettanti della accademia filodrammatica di Torino, che nel 28 maggio vi presentarono con felicissimo esito La figlia d’avaro, nella quale ebbero encomii la damigella Lerdi nel carattere della vecchia Anna, la vezzosa e gentile damigella Pellini sotto gli abiti della figlia dell’avaro; il signor avv. Amoretti nella parte dell’appassionato Carlo; il signor Combrissò nella parte d’Isidoro; il signor Mangia sotto le forme del Notaio, come in particolar modo il signor Guido Fiore, rimembranza del Vestri, sotto le sembianze del Papà Grandet. Valgano questi elogi ai nascenti artisti ad animarli a maggiori cose ed a ricompensare le loro fatiche.



  Appendice. Rivista teatrale [...]. Teatro Nazionale — “Amante e Madre”, Dramma italiano in 4 atti del sig. Uda-Baylle [Michele Uda Baille], «L’Opinione», Torino, Anno VII, N. 171, 24 Giugno 1854, p. 2.

 

  [...]. Resa ora giustizia al pregio veramente eccellente che ravvisiamo in questo dramma, passiamo ad accennarne i difetti, i quali sono molti e grandi. Alcuni di essi sono inerenti alla natura dell’argomento che l’autore imprese a trattare, e ch’ei ricavò da un romanzo di O. Balzac, Il Giglio della (sic) valle, romanzo il meno atto ad essere ridotto in dramma. Il Giglio della valle è un capolavoro di psicologia; un’analisi finissima e delicata di passioni ed affetti, la maggior parte dei quali nascono, si sviluppano e si estinguono nell'interno dell’animo, senza che alcun atto esteriore li manifesti e ne palesi la intensità e la forza. Ora ponete sulla scena i personaggi del romanzo; fate, per esempio, che Enrichetta e Felice ragionino d’amore e si svelino le loro fiamme reciproche, e vedrete ch’essi, così simpatici nel racconto di Balzac, perderanno ogni attrattiva e prestigio, sparirà la loro fisionomia, e troverete in essi altre persone. Ciò fece il sig. Uda-Baylle non accorgendosi che ponendo in bocca alla sua Costanza parole troppo ardenti di amore veniva a guastarne il carattere e renderlo inverosimile.

  Così nel romanzo il momentaneo amore onde il visconte di Vandenesse s’infiamma per lady Arabella, e che gli fa un istante dimenticare l’angelo di Clochegourde, il Giglio della valle, è giustificato e scusato dalla straordinaria bellezza dell’ardita inglese, dal suo spirito, da quell’aura inebbriante che circonda una donna regina della moda, dalle arti più raffinate della civetteria e del sensualismo da essa adoperate per trionfare della ritrosia del visconte, e da mille altre circostanze che qui non è il luogo di accennare. Ma pel dramma il cedere che fa Giuliano alle lusinghe ed agli allettamenti della giovine vedova, perché Clemenza resiste alle sue ardenti espressioni d’amore è tal leggerezza che vi rivolta e vi fa prendere in avversione il carattere di Giuliano. [...].

  Ben diversamente operava Balzac. Maddalena, poiché sua madre scese nel suo sepolcro e ne sospettò il motivo, prese in odio ed avversione il visconte di Vandenesse, e gl’impose di non mai più comparirgli al suo cospetto. [...].


  Teatri e spettacoli, «La Fama del 1854. Rassegna di Scienze, Lettere, Arti, Industria e Teatri», Milano, Anno XIII, N. 34, 6 Luglio 1854, p. 214.

  Verona. – La drammatica compagnia di Sardegna dalle scene del teatro San Benedetto di Venezia si è trasmutata per circa dieci recite al teatro Valle, ove ebbe le festevoli accoglienze che già accennammo dal 18 giugno in poi. […] Il Mercadet, la migliore delle commedie del Balzac, porse quindi il destro al Gattinelli a meritarsi il pieno suffragio di lode del pubblico, che gustò, sua mercè, le bellezze di quel capolavoro, ed applaudì al protagonista e a tutti gli altri.


  Teatro drammatico italiano. Notizie, «Polimazia di famiglia. Giornale scientifico, letterario, artistico e teatrale», Firenze, Anno I, Appendice N. 62, 14 Luglio 1854, p. 247.

 

  Il Mercadet, la migliore delle commedie del Balzac, porse quindi il destro al Gattinelli a meritarsi il pieno suffragio di lode del pubblico, che gustò, sua mercè, le bellezze di quel capolavoro, ed applaudì al protagonista ed a tutti gli altri.



  Corrispondenze particolari della Bilancia. Francia, «La Bilancia. Giornale di Milano», Milano, Anno IV, Num. 91, 12 Agosto 1854, p. 365.

 

  La letteratura propriamente detta era screditata per gli abusi e gli scandali dell’appendice-romanzo. Le più romanzesche invenzioni non erano che l’anticamera delle teorie politiche. Il signor Balzac di dava spesso l’aria di romanziere legittimista, conservatore, anzi francamente retrogrado; la signora Sand patrocinava ne’ suoi romanzi l’emancipazione delle donne e la rivoluzione; il signor Eugenio Sue scriveva appendici socialiste in cui le alte classi sociali rappresentavano sempre le parti più ignobili.



  Rivista drammatica. Teatro del Cocomero. “L’Amante Muto” – Commedia in un atto dell’Autore del “Cavalier d’Industria”, «Lo Scaramuccia. Giornale – Omnibus», Firenze, Anno 1, N.° 95, 26 Set. 1854, [p. 2]. 

   L’Amante Muto non è una commedia, perché manca degli elementi comici; in essa non intrigo, non sospensione. Potrebb’essere un proverbio, ed è assolutamente un dialogo […].

  Certo che questo dialogo è qualche cosa più d’una commedia vera e propria che non provi nulla, mentre esso racchiude due o tre fisiologie così stupende, così perfette, che si direbbero tracciate dalla penna elegantemente filosofica di Onorato Balzac.

  Questo paragone non ha nulla di esagerato.


  Dell’invidia in fatto di arte, «L’Italia Musicale. Giornale di letteratura, belle arti, teatri e varietà», Milano, Anno VI, N. 91, 15 Novembre 1854, pp. 362-363.

 

  p. 362. Balzac paragonò giustamente la critica ad una spazzola che ripulisce le stoffe di buona qualità, consuma i drappi leggeri. E questo è il vero beneficio della critica! Volatilizza, e distrugge tutte le materie o impure od inutili, sicchè nel suo crogiolo altro non vi rimane che l’argento puro e forbito.

  Carlo Adami, Breve compendio di storia della letteratura italiana proposto dal Professore Abate Carlo Adami ex Vice-Prefetto onorario del Ces. R. Ginnasio di Padova, Trieste, Tipografia del Lloyd austriaco, 1854.


Capitolo Decimoquarto.

Del Secolo Decimonono ossia del 1800, pp. 60-80.


  p. 75. Cesare Cantù, fratello al primiero [Ignazio], sorge eminente come l’autore della sua Storia del Mondo, di cui, che che ne dicano gli emuli, sarà per essere un monumento durevole di maravigliosa e ben adatta fatica, con quel felice successo che noi vedemmo finora, mentre non per anco compiuta venne per ben sette volte ripubblicata con accurate ed eleganti edizioni, e tradotta in quasi tutte le lingue d’Europa. […] Più Opere d’altri autori e di eguale natura [a confronto di Margherita Pusterla], sebbene di merito molto inferiore, fan bella mostra di sé con replicate edizioni, cotali ad esempio: La Lega Lombarda del Maestrazzi, e la Val d’Intelvi e la Valsassina del Viganò, ecc. Ma tali cose giovano più ad ingannare, anche utilmente il poco tempo ozioso del letterato, ond’è che vi corriamo sopra senza molto riflesso. In cotale arringa per altro del dilettare in romanzi, è d’uopo che noi Italiani cediamo la palma ai Francesi, de’ quali il brio nel racconto, come un Dumas, e l’arte psicologica d’un Sue e d’un Balzac sono per siffatta maniera ed arte ideati e condotti, da sbalordirne ogni lettore; le Opere loro però deggiono essere lette con quella prudente riserva che non è propria di gioventù, o di chi poco o male ha studiato.

  Emiliano Avogadro, Teorica dell’istituzione del matrimonio. Parte II che tratta della guerra moltiforme cui soggiace per Emiliano Avogadro Conte della Motta già Riformatore delle R. Scuole Provinciali ora Deputato al Nazional Parlamento, Torino, Tipografia Zecchi e Bona, 1854.

Capo XVIII, pp. 214-236.

Cfr. 1853.

 

  [Théodore] Barrière, [Arthur de] Beauplan, Il Giglio nella valle. Dramma in cinque atti di Barrière e Beauplan. Traduzione di Ercole Pagnini, in AA.VV., Florilegio Drammatico. Scelto repertorio moderno di componimenti italiani e stranieri pubblicato per cura di Pietro Manzoni, Milano, coi tipi Borroni e Scotti, 1854 («Anno Quarto, Volume XII»), pp. 67.



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  Gaetano Bernardi, Sull’avviamento che han preso nel corrente secolo le scienze e le lettere, «Poliorama pittoresco. Opera periodica diretta a spandere in tutte le classi della società utili conoscenze di ogni genere e a rendere gradevoli e proficue le letture in famiglia», Napoli, dalla Tipografia e Litografia del Poliorama, Anno XV, N. 49, 1854, pp. 389-391[1].

  Le lettere dovevano sentire il controcolpo di questo sviamento della ragione; per chi gli animi gentili non più paghi di soavi e placide armonie, furon presi di estatica ammirazione pel Corsaro di Byron e pel Brigante di Schiller; ed ogni più pazza fantasia di Victor Hugo, di Balzac, di Hoffman (sic), di Burger e simili, procacciavasi gli onori del trionfo. Annoiati gl’ingegni di andare innanzi nel cammino delle lettere per mezzo di un passo uniforme, d’un prudente consiglio, sbrigliarono l’immaginazione, e caddero nel fantastico e nell’assurdo; e ciò pure si appellò progresso. […] Quindi quella schiera infinita di Romanzi nei quali è gara a chi più trascende i confini del possibile; quindi quel vago ed indeterminato che t’illude senza contentarti; e quel continuo mirare ad un tipo che più si allontana, quanto più ti affatichi a conseguirlo; e ciò per la semplice ragione, che, trapassato una volta il confine del bello, più corri innanzi, e più lo lasci indietro e lo perdi. […] Ma facendo eziandio astrazione dal decadimento letterario cui menava così tristo costume di scrivere, altro più grave danno da esso veniva al benessere sociale. Nessuna cosa a me sembra più turpe che far della letteratura un mezzo di speculazione; ed a questo riuscirono specialmente in Francia quegli scrittori a dozzina, che dilagarono l’Europa delle loro mostruose opere. […] Non è lecito al Romanziere andare scrutando per mestiere i mali della società; bensì al moralista ed al filosofo per apportarvi il medicamento; […] Per altra strada, io penso, dee condursi l’uomo al bene, e non per vie pericolose, nelle quali il vizio ha pur delle spaventose attrattive.

  Cesare Cantù, Il Meriggio, in L’Abate Parini e la Lombardia nel secolo passato. Studj di Cesare Cantù, Milano, presso Giacomo Gnocchi, 1854, pp. 355-408.
  p. 362, nota 8. Questa il Balzac la chiamerebbe une étincelle d’amour propre, baptisée du nom de jalousie. (vv. 125-129: “Dal venenoso aere stagnante oppresso Fra le inutili ciurme al suol languendo. Dunque a te giovi de la scorsa notte Ricordar le vicende, e con obliqui Motti pugnerla alquanto”).

  Ed. Carriès, Varietà. Il medico per E. Carriès. Trad. del dottor Bartolomeo Mammì, «Filiatre Sebezio. Giornale delle scienze mediche», Napoli, Anno XXIV, Fascicolo 284, Agosto 1854, pp. 111-126.

  p. 113. È per questo lato cristiano che il medico più di ravvicina al bello ideale dell’arte che esercita si vede questo lato brillare del più bello splendore in questi due epitaffi che raccontano la vita di due medici […] «Qui giace il buon Benassis, nostro padre a tutti». Questo è vero, non appartiene che al ondo immaginario (Il medico di campagna di Balzac) ma esprime ammirabilmente quella paternità del disinteresse, della carità, e della scienza che distingue più di un medico oscuro, e consacrato allo esercizio dell’arte.


  Luigi Chiala, Rivista letteraria. “Revue des deux-mondes”, XXV année, tom. IX - (Paris 1855, rue St.-Bénoît, 20), «Rivista Contemporanea. Filosofia – Storia – Scienze – Letteratura – Poesia – Romanzi – Viaggi – Critica – Archeologia – Belle Arti», Torino, Pelazza Tipografia Subalpina, Volume Secondo, Anno Secondo, 1854, pp. 877-882.

  pp. 879-880. […] Questo fascicolo oltre ad uno studio sul poeta russo Lermontof per Saint-René Taillandier, contiene una biografia di Carlo de Bernard, diligentemente scritta dal Pontmartin. Il Bernard nato a Besansone nel 1804, moriva nel 1850, con fama di eccellente romanziere. Amicissimo di Balzac, seppe preservarsi abbastanza dalla costui influenza per conservare un carattere originale, e un merito speciale di lui fu una rara conoscenza della vita del mondo, da niuno posseduta in più alto grado di lui. […]
  Accennando il Pontmartin all’intima amicizia di Carlo de Bernard con Onorato di Balzac, coglie il destro di tratteggiare il ritratto di quest’ultimo, ed il fa con mano veramente maestra. «Parleremo noi del sig. di Balzac, dic’egli. E perché no? Non riesce unquamai inutile di pesare i capricci della posterità dell’indomani, disprezzante con pari violenza i rigori e le ovazioni della vigilia. Il sig. di Balzac, come gli imperatori romani, è divenuto un Dio pel più energico e sicuro di tutti i mezzi: la morte. Secondo una certa scuola non è più questione di porne in dubbio l’ingegno o di ammirarlo, ma sì di adorarlo. Ogni critica a suo riguardo è un’empietà, ogni restrizione un sacrilegio. Dobbiamo noi forse soscrivere in silenzio a questo raddoppiar di entusiasmo? … No, la morale, il buon senso e il gusto non possono lasciarsi superare da queste tarde e postume apoteosi. No, l’autore della Vieille fille e della Physiologie du mariage, della Rabouilleuse e dei Parents pauvres, non sarà annoverato giammai tra quei genii i quali illuminano, fortificano, rasserenano l’umanità. Che dico io? Gli mancò anzi un gran numero delle qualità del genio, - la semplicità dapprima, quindi la verità, la chiarezza, la proporzione, la misura e quel senso morale la cui assenza imbastardisce le facoltà più ricche, e quel sentimento del possibile il quale sa divinare dove incomincia l’impossibile. Eccellente soprattutto per l’invenzione, ha il difetto degli inventori incompiuti o eccessivi: di abbagliarsi e inebbriarsi del suo pensiero, della sua creazione, della sua opera. Quel carattere schizzato con mano ferma e maestra, quella descrizione incominciata con una potenza e con un’ispirazione impareggiabile, quell’analisi di sentimento e di passione aperta, come una vigorosa trincea, attraverso alle vie sotterranee della vita sociale o della vita intima, quella pagina scritta con stile solido e pomposo, vengono ad un tratto a perdersi in un dedalo ove tutto s’imbroglia, si annebbia e si contraddice, la figura e l’abbozzo, la frase e l’idea. Che sarebbe mai se volessimo tener dietro a quelle austere altezze in cui l’anima si sente inaccessibile ai vapori inebbrianti, ai miasmi funesti, agli effluvi magnetici dei grandi ingegni perniciosi? Il sig. di Balzac non esalta l’immaginazione, non travia il cuore come la musa eloquente e la lirica immoderata di Lélia: ma forse fa peggio ancora, poiché discioglie. Egli s’infiltra e si distilla goccia a goccia nel cervello come un veleno sottile, raro, invisibile che non uccide né strazia, ma il cui effetto immediato o lontano è di snervare le buone facoltà dell’intelletto e di svegliare le cattive, di indebolire l’anima a fronte delle veraci lotte della coscienza, dei pericoli reali del mondo, e di armarlo in guerra per non so quali avventure chimeriche o colpevoli le quali non sono più la difesa dell’onest’uomo, ma l’arma offensiva dell’eroe avventuriere ed equivoco, perennemente sospeso tra il pantheon e il bagno. Da ciò ai sogni mostruosi che producono le rivoluzioni e i delitti non vi ha che un passo, e se è vero, come si disse, che la rivoluzione di luglio è stata fatta dalla politica, e che la rivoluzione di febbraio sia stata originata dalla letteratura, il sig. di Balzac, sebbene affettante di avere in disdegno il liberalismo del pari che la democrazia, ha cooperato più d’ogni altri a quest’ultima catastrofe».


  Art. com., Teatrino del Carmine, «Osservatore del Trasimeno. Gazzetta politica di Perugia», Perugia, Anno XXIX, Num. 62, 4 Agosto 1854, p. 4.

 

  Come parole di giustissima lode furono, egli ha pochi giorni, tributate in questo foglio alle recenti recite de’ molto esperti ed abili dilettanti della Minerva; così piace a chi scrive queste linee di non lasciar sotto silenzio il merito palesato dai dilettanti dell’Accademia di Belle Lettere ed Arti nell’ultima loro rappresentazione Papà Goriot. Poiché se è dovuto l’elogio a chi con lungo studio ed esperienza ha saputo andar molto innanzi nell’arte, sarebbe ingiusto e dannoso negarlo a quelli che, sebben progredienti, si trovano ancora sul primo stadio della non agevole carriera.

  Se v’ha personaggio difficile a rappresentarsi, egli è certo Papà Goriot il ricchissimo vermicellajo, che si spoglia di tutto l’avere per felicitare due ingratissime figliuole. Per ritrarre questo Re Lear de’ maccheroni, questo padre di singolar bonomia si vorrebbe invano ricorrere a que’ compensi, o, a dir meglio, mezzucci balordi di cui spesso si vale chi non ha la pazienza di studiare un carattere: convien trasmutarsi in lui, tutto in lui, perocché una parola, un atto fuor di proposito può cacciar via per sempre dagli spettatori l’illusione. E, a dir vero, il sig. Costantino Casella si portò in ciò molto abilmente; e se in altre precedenti rappresentazioni diede prova di sentire assai nell’arte; in questa fece palese di esservisi molto più addentrato. Laonde ben fece il pubblico a significargli ripetutamente la sua piena soddisfazione. — A chi non è nolo il carattere di Remigio? Ebbene eccovi qua nel sig. Vautrin un suo fratello; carnale o cugino non importa, ma sempre suo fratello. Anche questo non è un personaggio da prendersi a gabbo; anche questo richiede non poco studio e abilità. E il signor Raffaele Omicini non sarebbe stato sovente applaudito se avesse mancato al difficile impegno ch’erasi tolto col rappresentarlo. Ma il signor Vautrin, come pure il buon Papà, ebbe la buona ventura di trovarsi spesso a colloquio con Eugenio di Rastignac (Annibale Calindri) intelligente e zelante giovinetto che molto contribuì al buon successo. — Voi forse credete che Anastasia e Delfina (Fanny Palombi e Filene Tassi), le due figlie senza cuore, si sien fatte spesso veder sulla scena: no, esse non poterono dar bastante materia al pubblico di ben giudicarle ed apprezzarle. Ma sì esse che Vittorina (Fulvia Rasinucci) seppero ben mantenere l’armonia dell’insieme.


  G. D.-C., I Buongustai. Un’avventura alla Rapée, «Letture di Famiglia. Opera illustrata con incisioni in acciaio che si pubblica dal Lloyd Austriaco», Trieste, Annata III, 1854, pp. 94-97.

  p. 94.
I.
  Voi non è vero mi conoscete, damine care? Mi caccio dappertutto, tutti mi vogliono. Di qui, di là, in casa B, in casa C. Le vecchie ammirano le mie grazie, le giovani mi chieggono consigli, le maritate mi caricano di petizioni, di repliche, di dupliche contro i loro degni consorti … già s’intende che sono dottore in utroque. Dacchè non si parla più di Goldoni, io, Don Florindo, ho dato un gentile disvolto alle mie occupazioni. Vedrete poi che Don Florindo non è quel buàcciolo che comunemente si crede. Il secolo XIX ha messo più di lumi nel suo cervello, più di sale nella sua zucca. Si è fatto studioso della scienza fisionomista, dei fluidi magnetici; egli ama soprattutto la scienza delle scienze, l’arte delle arti, il vero Organo di Bacone, la flânerie del mirabile, divino Balzac.


  Enrico Delaage, La Eternità svelata o Vita futura delle anime dopo la morte per Enrico Delaage, Venezia, dalla Prem. Tip. di P. Naratovich, 1854.

 

 

II. L’organismo umano spiegato coi fluidi imponderabili.

 

  p. 19.

 

  Mesmer succomba par l'incertitude

des faits , par l'ignorance du rôle que

jouent dans la nature les fuides im-

pondérables alors inobservés. Mais, si

le trouveur manqua de génie, il triste

est pour la raison humaine et pour la

France d'avoir à constater que le ma-

gnétisme , science contemporaine des

sociétés cultivées par l’Egypte et par

la Chaldée, par la Grèce et par l'Inde,

cut le sort qu'avait éprouvé la vérité

en la personne de Galilée, et à Paris,

au dix -huitième siècle , fut repousée

par les gens religieux et les philoso-

phes matérialistes également alarmés .

H. de Balzac.

  G., [rec. a] “Le mal qu’on dit des femmes” par Émile Deschanel – Bruxelles et Leipsig – hieseling et C., 1851, «Il Cimento. Rivista di Scienze, Lettere ed Arti», Torino, Tip. Scolastica di Sebastiano Franco e Figli e Comp., Anno II, Serie 3, Volume IV, 1854, pp. 1198-1199.

  p. 1198. L’autore, esule a Bruxelles, dove fa un applauditissimo corso di letteratura francese, ha raccolto dall’antica e moderna letteratura dei popoli più diversi, tutti i luoghi, in cui si dice male delle donne. – Il suo proposito è di ribatterli, ma si potrebbe applicargli la sentenza, con la quale egli mette Euripide tra i nemici delle donne: quando altri si versa molto in un dato circolo d’idee, mostra una certa inclinazione per esse. Nei detti ve n’ha di molto originali e piacevoli. – Ne vogliamo addurre alcuni. – Madama di Girardin dice così del costume di Balzac, di collocare per l’ordinario i suoi amori al trentesimo anno. La colpa non è del signor di Balzac: il poeta è costretto a dipingere la passione dove la trova, e non si trova più in un cuore di sedici anni. […].
  Il sig. de Balzac ha pertanto perfettamente ragione di pingere la passione ove la trova, vale a dire fuori dell’età naturale. Veramente questo è noioso al lettore di romanzi: ma anche più doloroso pei giovani che sognano d’amore, e sono costretti nelle loro estasi ad esclamare! Oh come io la amo! Come deve essere stata bella! – […]
  p. 1199. Per concludere ecco un piccolo dialogo di Balzac: «avete voi notato mia cara che le donne d’ordinario amano solo gli stolidi?» Che dite mai signora Contessa! Ma come conciliate quest’osservazione con l’avversione delle donne ai loro mariti?

  Eugenio Guinot, Il Romanzo Interrotto, «Rivista Contemporanea. Filosofia – Storia – Scienze – Letteratura – Poesia – Romanzi – Viaggi – Critica – Archeologia – Belle Arti», Torino, Pelazza Tipografia Subalpina, Volume Primo, Fascicolo XV, Luglio e Agosto 1854, pp. 1162-1171.

  p. 1168. Tutto gli sorrideva: le idee venivagli in abbondanza, la penna scorreva sulla carta, ed egli stesso meraviglia vasi della mirabile sua facilità, della fecondità e dell’ingegno suo. Le pagine che rileggeva gli sembravano stupende; applaudiva se stesso, e seco rallegra vasi del suo stile. Il nascente romanziere sognava già la gloria di Balzac, i trionfi di Alessandro Dumas. Quanti castelli di Spagna fabbricati su que’ fogli volanti! Era la rinomanza, la ricchezza; e qual nobile vendetta verso lo zio!


  Josuè, “Il Cavaliere d’industria”. Commedia nuova in 5 atti dell’autore della Donna di 40 anni [Vincenzo Martini] rappresentata per la prima volta al Teatro del Cocomero la sera del 10 Febbraio 1854, «Lo Scaramuccia. Giornale – Omnibus», Firenze, Anno 1, N.° 31, 14 Feb. 1854, [pp. 1-4].

  p. 1. Molière ha creato Alceste, Tartufo, M. Jourdain; Lesage ha creato Turcaret; Beaumarchais ha creato Figaro; Goldoni ha creato il Maldicente, il Bugiardo; Lord Byron ha creato Don Giovanni; Balzac ha creato Mercadet e l’autore della Donna di 40 anni aumenta questa lista con la sua creazione del Cavalier d’Industria.

  Noi non abbiamo più ai nostri tempi dei misantropi come Alceste, ma il seme dei Tartufi continua a radicare con una fecondità sempre crescente. Essi non hanno più il cilicio e la disciplina, ma conservano ancora l’astuzia, la perfidia e la cupidità del loro tipo originario. La razza dei M. Jourdain è lungi dall’essere spenta; meno l’adorabile ingenui­tà del tipo primiero, gente che faccia della prosa senza saperlo ve ne sarà in tutti i tempi. Del Turcaret, in questi giorni di rialzo e di ribasso di fondi commerciali, ne abbiamo a centinaia; essi non portano più il gilet e l’abito tutti dorati, ma la tasca guarnita di promesse di azioni di strade ferrate in aria. Quanto a Figaro, egli ha cam­biato di sfera — non si agita più esclusivamente in un cerchio d’intrighi d’amore, ma in mezzo agli intrighi di ogni genere. Il Maldicente ed il Bugiardo vivono ancora, ed in tutta la purezza della loro origine. Don Giovanni è svanito in una razza di povera e sfinita gioventù agghindata e frisata, che ha la pretensione di imitarlo senza avere nè l’eleganza, nè lo slancio di lui. Se volete trovare del Mercadet, esaminate affari com­merciali grandiosi; io garantisco un Mercadet per affare, senza carico per il di più.

  E il Cavalier d’industria che cosa è egli? Riducete i tipi che ho menzionati ad una espressione confacente all’epoca nostra , prendete qualche cosa da ciascuno di loro, vale a dire, una buona dose di Tartufo, una forte dose di Turcaret, una dose più forte an­cora di Figaro, un po’ del Maldicente, moltissimo del Bugiardo, un po’ di Don Giovan­ni, moltissimo di Mercadet; condite tatti questi ingredienti con l’acqua ardente della passione dei piaceri e della sete dell’oro, spinta fino alle ultime sue conseguenze, vale a dire fino al furto; ammestate tutto questo mescuglio e l’amalgama che ne trarrete sarà la materia prima per la formazione di una gran figura.


  Carlo Lorenzini, È morta! …, «Lo Scaramuccia. Giornale – Omnibus», Firenze, Anno 1, N.° 97, 3 Ottob. 1854, [p. 1].

  Vi fu un bello spirito, che affacciò un dubbio. Eccolo qui: Traviata (diceva costui) significa una donna fuori di strada, e per conseguenza una donna tutt’altro che virtuosa: d’altronde ho sentito sempre che le donne di strada, sono anche meno virtuose di quelle fuori di strada – dunque quali sono le donne veramente virtuose? ecco un quesito che potrebbe risolversi da Onorato Balzac. Intanto lo Scaramuccia lo sottopone, in mancanza di tribunali competenti, al giudizio dei piccoli Balzac più o meno onorati del nostro paese.


  O., Fantasie. Un sì della Frezzolini, «Teatri, Arti e Letteratura», Bologna, Tipografia Gov. Alla Volpe, Anno 32°, 1854 al 55, Tomo 61, p. 119.

  Cfr. supra.

  O., Fantasie. Pensieri, «Teatri, Arti e Letteratura», Bologna, Tipografia Giov. Alla Volpe, Anno 32°, Tomo 61°, N. 1548, 17 Agosto 1854, pp. 196-197.

  p. 197. Dolore. – Il dolore inchioda lo spirito come il coraggio, dice Balzac. Il dolore fisico è il solo male della vita, cui la ragione non può guarire, né indebolire.

  Enrico Ray, Rivista Drammatica. Stifelius – L’Asino morto – Il Giglio nella valle – Il Trovatore – I Vignati e i Vesterini, «Gazzetta della Provincia di Lodi e Crema», Lodi, N. 36, 9 Settembre 1854, p. 287; N. 39, 30 Settembre 1854, pp. 309-310.
  p. 287. La drammatica compagnia Metastasio nel dipartirsi da noi ne ha voluto far dono di alcuno de’ novissimi drammi del teatro francese e dell’italiano. Il signor Gandolfini, ex comico, autore del Trovatore, e il signor Federico Serbelloni, che dal miserevol Romanzo di Rodigino Ferrari, La caduta de’ Vestarini, scrisse il più miserevole dramma, I Vignati e i Vestarini, poco degnamente rappresentarono il progresso, che per la via storica specialmente, si sforza d’arrivare la scena italiana; né la Stifelius, ricavato da un romanzo tedesco, né il Giglio della valle (sic), impastojato su di un racconto di Balzac, né finalmente l’Asino morto, infermo parto di un mal sano intelletto, valsero a rappattumarci col moderno teatro francese.
  p. 310. Poche parole spenderò intorno al Giglio della Valle, poiché tolto da un conosciuto racconto del signor di Balzac. Maria (il Giglio del dramma) è maritata in un vecchio fastidioso, egoistico e brontolone. Questi accoglie presso di sé Raffaele, giovine marinaio bello e d’animo caldo e generoso. Ben presto il giovanotto impietosisce alla sventura dell’ospite, che bella e nel fiore dell’età fu per orgoglio di razza sagrificata ad un pazzo vecchio. La pietà in simili casi è madre d’amore; e questo accende in lui ferventissimo, e secreto arde pure nell’animo di Maria, che lo confessa all’amante nel punto, che si muore di languore, e per lo sforzo messo nel non tradirsi, e nel superare i moti dell’animo. Ermengarda nell’Adelchi, che vi è detta neppur rea di un pensiero, dal divino ingegno di Alessandro Manzoni ne viene presentata come una vittima della prepotenza umana, ma però come donna, non come un essere che per la perfezione sua meriti d’essere comparata alla creatura unica, che ne’ libri Santi e chiamato il giglio, il fior della valle. O che mi fa se la donna non mi rompe i legami materiali della fede matrimoniale mentre nel cuor suo è d’altrui? Non ha ella sempre macchiato la purezza della sua coscienza, rotta la verginità dell’animo suo? Il dramma il Giglio nella Valle (e quindi l’originale racconto del signor Balzac) a mio giudizio, ci mette sott’occhio un esempio contrario a’ sani principj della cristiana morale, e non ostante i conati di Maria per resistere agli impetuosi flotti della passione e agli ardori del senso, nell’anime giovinette delle donzelle e delle spose può fatalmente influire quel pernicioso accomodarsi della coscienza di Maria, per cui ella, patteggiando seco stessa, nutresi nel cuore un amore, che ha riconosciuto colpevole, s’accontentando di compiere agli esterni doveri del suo stato.
  In questo dramma, tolti di peso dal racconto, sono bellissimi frizzi, e vivacissime satire contro la corruzione della società moderna, e v’hanno caratteri disegnati da maestro, e felicissime scene. E ne ho disgusto perché più dannoso è il veleno quando ne viene offerto sotto le apparenze di salutevole farmaco.

  [Antonio Zoncada], Varietà. Pericolosa lettura di romanzi, «Gazzetta Provinciale di Pavia», Pavia, Anno 18, N. 6, 14 Febbrajo 1854, p. 23.  
  Cfr. 1853.
  Che diremo dunque di quei romanzi nei quali l’uomo virtuoso è sempre la vittima, il tristo, il perverso finisce sempre a trionfare; di quei romanzi nei quali certe virtù sono sempre sì maltrattate che riescono ridicole; nei quali si scalzano le basi della civile convivenza, talchè l’orgoglio che aspira in alto ha sempre ragione, il diritto che vuol mantenersi ha sempre torto? Voi siete povero, e però ben vi sta l’odiare il ricco per la semplice ragione che non vuol fare a mezzo con voi; questa donna è vostra, vostra per elezione, vostra per solenne promessa, vostra perché Dio stesso vi congiunse all’altare; ma voi siete uno sciocco, un uomo del tempo antico, se per questo pretendeste di avere ogni ragione sul suo cuore; v’è un altro che pretende di amarla più di voi, v’è un altro che se ne crede più degno di voi, v’è un altro che contro voi adduce certa quale fatalità che lo trascina verso questa donna che è pur vostra; se voi vi fate sentire, se trovate che questa tresca non cammina secondo le buone regole della morale, voi siete un insensato, un brutale, uno stupido tiranno. Ecco i belli insegnamenti che ci danno tanti e tanti romanzi che, quasi da impura officina, ci vengono ogni giorno dalla Senna; ecco a che scuola di morale si viene ammaestrando la nostra gioventù, che pur vuol essere la speranza della patria. Che altro c’insegnano i Balzac, i Sue, i Dumas, i Kock, le Dudevant[2], per tacere di altri il cui nome è un insulto al pudore? Eppure, chi li credesse, non mirano essi che a togliere gli abusi, a riformare i costumi, a prosperare gli stati; essi hanno la nobile missione di far felice il genere umano. Ma vedete strano modo di procacciare la felicità! Mettere sossopra tutto il mondo, inimicare l’una classe coll’altra, dire al padrone ubbidisci, e al servo comanda, dire al vecchio impara, e al giovane insegna; e per sempre più conciliare il vicendevole affetto, predicare a tutti che il mondo è un ospital di pazzi, un bosco di malandrini; e dopo aver dipinta la società coi più neri colori, dopo avermi mostrato che il vizio è la regola, la virtù l’eccezione, che la colpa trionfa, la virtù si martóra nella sua impotenza, conchiudere poi con ineffabile ingenuità: - Eccoti, o uomo, la società che tu devi amare. – E sapete come si difendono costoro quando vengono accusati d’ispirare l’odio degli uomini, il disprezzo delle leggi, l’oblio della morale? La discolpa è forse peggiore della colpa. Altro non fanno, dicono esso, che dipingere il mondo tal qual è; sarebbero ben lieti di poter presentarci l’uomo sotto migliore aspetto, ma nol potrebbero fare senza tradire la verità.


Adattamenti teatrali.

  Mercadet ossia Il Secolo e la Borsa, commedia in 3 atti di Balzac, liberamente tradotta da Michelangelo Pinto. Attori: Gaetano Gattinelli (Mercadet), Antonio Bucciotti (Violette), Adelaide Ristori (Giulia), Stagione 1854.


  [1] Segnalato da L. Carcereri, Editoria e critica balzachiana … cit., pp. 526-527.

  [2] Più nota sotto il pseudonimo di Giorgio Sand. [N.d.A.]

Marco Stupazzoni


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