giovedì 29 agosto 2013


1866



  

Traduzioni.


  Onorato Balzac, Amore e civetteria ovvero Il Convento delle Carmelitane Scalze. Racconto storico di Onorato Balzac, Firenze, Tipografia Adriano Salani, Via S. Niccolò n° 102, s. d. [1866?], pp. 136.[1]


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  Un volume in 16°. Questa ulteriore edizione italiana de La Duchesse de Langeais non è altro che la riproduzione, seppur con qualche sporadica variante formale, della traduzione del romanzo balzachiano fornita da Giuseppe Lubrano nel 1856. Rispetto all’edizione napoletana, questo testo presenta una frequenza ancor maggiore di omissioni testuali e propone una suddivisione in capitoli che non abbiamo riscontrato in nessuna delle edizioni francesi dell’opera di Balzac.


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Studî e riferimenti critici.

  Appendice. Eccentricità artistiche. Giorgio Morland, «Il Comune. Periodico settimanale d’interessi amministrativi e varietà», Padova, Anno 3.°, N. 17, 26 Aprile 1866, pp. 129-134.

  p. 132. I negozianti di quadri furono il cattivo genio del pove­ro Morland. Le birbonate d’ogni specie, i tiri artificiosi che gli giuocavano richiamano alla mente le fantasmagorie di Hoffmann e le fecciose realità di Balzac.


  Carlo Felice Biscarra, L’Opera di Massimo D’Azeglio artista considerata all’Esposizione fatta a cura del Municipio di Torino in Aprile, Maggio e Giugno 1866 nel Palazzo Carignano. Cenni del Cav. Prof. Carlo Felice Biscarra Pittore Segretario della R. Accademia Albertina di Belle Arti in Torino. Estratto dal Giornale Le Alpi con varie aggiunte, Torino, per gli Eredi Botta Tipografi del Municipio, 1866.

 

L’opera di Massimo D’Azeglio artista.

 

  p. 8. In un ordine diverso di idee non avrete nel Tasso la vena trascinante dell’Ariosto, non l’analisi anatomica e fisiologica del cuore umano di Balzac nelle orditure fascinanti e trascinatrici di Dumas, come non potrete pretendere la ferma severa linea di Flandrin nelle lussureggianti e direi quasi inarrestabili movenze di Delacroix, ovvero i ravviluppati nebulosi avvolgimenti delle armonie di Meyerbeer nella casta e purissima musa di Bellini.


  P. Antonio Bresciani, L’Ebreo di Verona. Racconto storico dall’anno 1846 al 1849, in Opere del P. Antonio Bresciano della Compagnia di Gesù. Volume VI. L’Ebreo di Verona. Racconto storico dall’anno 1846 al 1849. Parte prima, Roma, Ufficio della Civiltà Cattolica; Torino, Pietro di G. Marietti Tipografo Pontificio, 1866, pp. 360.

 

X. Le società secrete, pp. 86-98.

  p. 96. Cfr. 1855; 1858.
  XI. La congiura del 17 luglio, pp. 98-104.
  p. 98. Cfr. 1855; 1858.


  Appendice. Eccentricità artistiche. Giorgio Morland, «Il Comune. Periodico settimanale», Padova, Anno 3°, N. 17, 26 Aprile 1866, pp. 129-134.

 

  p. 132. I negozianti di quadri furono il cattivo genio del povero Morland. Le birbonate d’ogni specie, i tiri artificiosi che gli giuocavano richiamano alla mente le fantasmagorie di Hoffmann e le fecciose realità di Balzac.


  Luigi Capuana, Teatro Niccolini – “I nostri buoni villici”, di V. Sardou, «La Nazione», Firenze, Anno Ottavo, 19 dicembre 1866, pp. 1-2.[2]
  I Nos bons villageois di Sardou rammentano i Paysans di Balzac con qualcosa di meno. Balzac, pubblicando il suo libro dopo otto anni d’incertezze diceva di commettere una imprudenza! Sono dunque così terribili cotesti campagnoli, se con tutto il suo coraggio, il celebre romanziere credette opportuno creare una provincia che non si trova in nessuna carta della Francia, e un generale di corazzieri non mai esistiti negli eserciti del primo impero? Sì; i campagnoli dell’Avonne, di Soulanges, di Ville-aux-Fayes di cotesto magnifico paesaggio che egli nella lettera di Blondet ci dipinge con mano veramente maestra, sono creature terribili. Memori della Jacquerie, figli dell’89, trionfatori della legge feudale, essi hanno pei terreni un amore sconfinatamente geloso, e in attesa di preda, odiano il lavoro che li potrebbe far vivere da onesti, perché trovano nella loro miseria un maggior tornaconto. «À voir comments (sic) ils s’appuient de leur misère, on devine que ces paysans tremblent de perdre le prétexte des leurs débordements,» dice il suo arguto Blondet ; ma ciò non è tutto. Ecco come essi parlano :
  «Le paysan sera toujours le paysan ! Ne voyez-vous (mais vous ne connaissez rien à la politique !) que le gouvernement n’a tant mis de droits sur le vin que pour nous repincer notre quibus et nous maintenir dans la misère ? Le bourgeois et le gouvernement, c’est tout un. Que qu’ils deviendraient si nous étions tous riches ? Laboureraient-ils leurs champs ? feraient-ils la moisson ? Il leur faut des malheureux ! J’ai été riche pendant dix ans, et je sais bien ce que je pensais des gueux ! …» Paragona questo discorso alle tirate del Grinchu dei Nos bons villageois, e conoscerai la differenza che passa tra i campagnuoli di Balzac e quelli di Sardou. Il giovane poeta ha avuto paura anche lui? Ma proseguiamo ancora il confronto perché la relazione è necessariamente grandissima, sebbene la differenza sia anche più grande. Che sinistre congiure quelle della vallata dell’Avonne! … Mentre i congiurati discutono alla taverna-caffè del Grand-J-Vert la vecchia megera Tonsard sta in sentinella sull’uscio per assicurare ai bevitori il segreto delle loro parole … Entra poi nel salone de Soudry a Soulanges. Vedrai che ceffi ti cadranno sott’occhi! Sentirai che machiavellismo distillato in quintessenza! Che cosa diventano innanzi a questa galleria che in Balzac porta il tiolo: Les conspirateurs chez la reine, i complotti del calunniatore Grinchu, dell’avaro Tétillard, dell’ambizioso Floupin? Che cosa le notti passate a spiare attorno le mura del parco del sindaco per scoprire il supposto amante della baronessa sua moglie, innanzi a quella notte terribile in cui il povero Michaud, l’onorata ed intrepida guardia campestre, è ucciso a tradimento da quegli assassini che escono cheti cheti da un ballo di nozze, per tornarvi poco dopo come se nulla fosse stato, le mani ancora calde del sangue d’un uomo? Che cosa ti parranno quei gridi d’avvisaglia che imitano il gracidare delle rane, quando tu senti nei Paysans arrivare il cavallo della vittima? «Il y avait dans le galop furieux du cheval et dans le claquement des étriers vides qui sonnaient je ne sais quoi de désordonné accompagné des (sic) ces hennissements significatifs que les chevaux poussent quand ils sont seuls. Bientôt … le cheval arriva à la grille, haletant et trempé de sueur, mais seul ; il avait cassé ses brides, dans lesquelles il s’était sans doute empêtré».
  Però, se noi ti facciamo notare queste differenze non è per rimproverare il Sardou di non avere dato al suo quadro quelle proporzioni e quel colorito che esso meritava. Balzac infatti scriveva un’opera da pensatore; e destinava il suo libro al legislatore, al pubblicista: egli levava il grido d’allarme in mezzo alla vertigine democratica che accieca tanti scrittori, e mostrava che cosa sia cotesto campagnolo il quale rende il codice inapplicabile, e riduce la proprietà a qualcosa che è e che non è … cotesto elemento sociale creato dalla rivoluzione che un giorno o l’altro assorbirà la borghesia, come la borghesia ha divorato la nobiltà.
[…]
  Vi è un capitolo nel libro di Balzac già citato, – l’ultimo della seconda parte – che s’intitola: Le triomphe des vaincus! Il generale De Moncornet che aveva combattuto sul Danubio contro gli austriaci, ove erano perite attorno a sé tutte le sue legioni di corazzieri, non ha nelle sue possessioni d’Aigues forze bastanti da lottare contro le piccole guerriglie dei campagnoli, e si vede costretto a mettere all’asta il suo castello se non vuole un giorno o l’altro incontrare la sorte del povero Michaud. Così i contadini vinti (perché taluni sono già arrestati come presunti autori dell’uccisione di questi, gli altri impediti dalla imponente forza governativa di devastare i boschi del generale) giungono con sorde manovre a ridurlo alla risoluzione disperata di tornare a Parigi. – Anche nella commedia di Sardou vi è questo inevitabile triomphe des vaincus; e per quanto contrario dalle proprie intenzioni, l’autore se l’è lasciato scappare di bocca proprio nell’ultime parole. Alors, dice il Barone a Morisson, vous retournez à Paris? E Morisson: Ah ! … Je me le demande si j’y retourne !
  Ma che c’importa di ciò? Il poeta ha cavato dal suo soggetto tutto quello che aveva intenzione di cavarne, cioè scene umoristiche deliziosissime, scene delicate e spiranti un profumo di primavera, scene ardite, forti, commoventi all’ultimo grado … Non curiamoci d’altro.

  Vincenzo De Castro, Della vita e delle opere di Paolo Emiliani Giudici, «Rivista Contemporanea Nazionale Italiana», Torino, Presso Augusto Federico Negro Editore, Volume XLVII, Anno XIV, Fascicolo CLVI, Novembre 1866, pp. 185-215.

  p. 203. Una nuova gloria dell’Italia, gloria che può dirsi un’espansione della sua vecchia gloria nel novellare, avrebbe toccato il Giudici; e i Promessi Sposi, il Marco Visconti, i romanzi dell’Azeglio e del Guerrazzi avrebbero ottenuto i primi onori nel convito imbandito da lui. Il Manzoni ha fatto solo un romanzo, e Walter Scott, Balzac, la Sand le Serque. Il Manzoni rinnegò il genere del lavoro e l’opera; gli altri, scrivessero di genio o per danaro, riuscissero o no, si tennero cari i loro parti; e tuttavia il Manzoni è glorioso quant’essi. Il Grossi lo vince di effetto, non di efficacia. L’Azeglio è paesista anche scrivendo; dipinge siffattamente che non vide me’ di me chi vide il vero, e quando ne’ suoi paesi gli piace gettare una figura umana, te la dà spiccata e viva come la natura. Del Guerrazzi non si può dir tanto che basti. Fecondo come Balzac, e più variato di lui, egli va dal lirismo byroniano della Battaglia di Benevento al fantastico di Fides, dall’umoristico del Moscone e del Buco nel Muro all’austerità storica del Pasquale Paoli.


  Alessandro Dumas, [Ferdinando] Petruccelli della Gattina, Il Conte di Mazzara o Lo Jettatore per Alessandro Dumas e Petruccelli della Gattina, Milano, Fratelli Ferrario, s. d. [1866].

  p. 68. Il conte pareva ringiovanito di venti anni. Era tutto passione e poesia. La musica, passando attraverso ai suoi sensi, pareva esser penetrata sino alla sua anima. La vita, che di solito pareva nascosta e concentrata dentro al suo cuore, ne traboccava a torrenti. Mi snocciolò con enfasi, l’un dopo l’altro, varii brani del Meli, l’inimitabile Anacreonte della Sicilia, di Vittor Hugo, di Lamartine, di Byron, di Aleardi, e scene intere di Enrico III di Dumas. Mi fece cento ritratti delle sue conoscenze europee, i cui nomi sono su tutte le labbra; poichè ciò che chiamasi mondo non è in realtà, siccome l’ha così ben detto Balzac, che una cifra di tre o quattrocento persone sparse ne’ due emisferi.


  Paolo Ferrari, Artista e cospiratore. Scene della vita italiana dopo il 1831 per Paolo Ferrari. Volume unico, Milano, Tipografia di Giuseppe Redaelli, 1866.

  Parte prima. Capitolo XII, pp. 244-264.
  p. 260. La contessa Olga se ne stava tuttora in letto leggendo un recente romanzo di Balzac, quando le fu recata una lettera.

  Giuseppe Giusti, Una chiacchierata ai lettori di Dante, in Scritti vari in prosa e in verso di Giuseppe Giusti per la maggior parte inediti pubblicati per cura di Aurelio Gotti, Firenze, Successori Le Monnier, 1866, pp. 173-178.
  pp. 174-175. Cfr. 1863.

  Carlo Gustavy, Parigi Lettera XXII, «La Scena. Giornale di Musica, Drammatica e Coreografia», Trieste, Anno IV, Nro. 3, 17 Maggio 1866, p. 11.

 

  6 maggio 1866

 

  I trattati internazionali come la confezione delle leggi, l’ingerenze governative e le ciancie diplomatiche non significano nulla, finchè l’azione privata consociativa e cooperativa, finchè il civis romanus universale non domini e predomini avanti tutti. – Esempi: Balzac, il celebre pubblicista, nel 1836, non ottenne ragione dal Giornale di Rouen predatore sistematico, che sotto l’impulso della Società dei letterati parigini di cui egli era presidente.


  Michele Lessona, Méry, «Museo di Famiglia. Rivista illustrata», Milano, tip. di G. Redaelli, Anno VI, Vol. VI, 8 Luglio 1866, p. 423.
  Il regno di Luigi Filippo è l’età dell’oro della letteratura francese. Vittor Hugo, Dumas, Thiers, la Sand, Alfred de Musset, Béranger, Balzac, Guizot, Soulié, Sue, Delavigne, Chateaubriand, sono scrittori ciascuno de’ quali avrebbe potuto solo dar lustro al suo tempo: e tutti quegli uomini scrissero contemporaneamente, e con essi una schiera numerosa d’altri pure segnalati, Scribe, Janin, Gauthier (sic), Sandeau, la signora Girardin, la signora Desbordes-Valmore, ecc., ecc.
  In quel tempo visse Méry, e nella onorata schiera seppe segnalarsi.

  P.[aolo] Lioy, Racconti contemporanei. Parere ed essere (Cont.), «L’Emporio Pittoresco. Giornale settimanale», Milano, Anno III, N. 86, dal 22 al 28 Aprile 1866, pp. 679-683.

  La citazione che qui sotto riportiamo, potrebbe forse essere una vaga reminiscenza balzachiana del romanzo Le Lys dans la vallée

  p. 682. E svenne [Maria]. Ma sul suo aspetto scolorito, sulla sua testa, che colle treccie disciolte si disegnava tra le bianche lenzuola, gli angeli scossero le loro bianche ale invisibili; sprigionarono, dalle forme in cui l’inesperta natura aveala deturpata, l’armonia celeste di quei lineamenti; e Maria apparve bella come il giglio della valle che scuote verso l’alba il suo calice profumato.

  F. Martini, Conversazioni artistiche. La caricatura antica, «Museo di Famiglia. Rivista illustrata», Milano, Anno VI, Vol. VI, N. 3, 21 Gennaio 1866, pp. 43-44.

  p. 44. Quanta differenza dall’Avaro di Plauto al Grandet del Balzac: quanta distanza da Timone ad Alceste, da Frine a Maria Duplessis!


  Giuseppe Mastriani, Doveri della donna. Lezioni di Giuseppe Mastriani, Napoli, Stamperia dei Classici italiani, 1866.  

  pp. 82-83. Leggete le pagine di Rousseau, di Balzac e di Leopardi, e vedrete come, non tristi uomini essi stessi, vi fanno stringere il cuore e parere il mondo un antro di belve. Contro di costoro, o per meglio dire, contro di questa barbara opinione, deve la donna sorgere con la sua fede sincera e gagliarda; e, come abbiamo detto che ella col suo amore deve fare che altri ami, così con la sua fede al bene, alla virtù e alla giustizia, deve fare gli altri credenti in esse. E ciò massimamente contro le parole e le teoriche di certi uomini, che diconsi uomini di mondo e sono d’inferno, i quali tentano dimostrarvi la follia del sacrifizio e la vanità dell’annegazione.


  B.[iagio] Miraglia, Vittoria Colonna e Michelangelo, in Introduzione alla scienza della storia con altri scritti editi ed inediti di B. Miraglia da Strongoli, Direttore Capo di Divisione al Ministero degli affari Interni, Torino, Stamperia dell’Unione Tipografico-Editrice, 1866, pp. 214-222.

  (Torino, febbraio 1860).
  p. 214. Le odi di Victor Hugo e di Lamartine, le più vecchie canzoni e le tetre fantasie della Musa nordica, i romanzi di Balzac e le traviate di Dumas, dalle Alpi alla estrema Sicilia, sono – chi nol sa? – il cibo quotidiano, il più dolce ricreamento de’ nostri studiosi e delle nostre damine dalle calze azzurre; ma i santi amori di Vittoria Colonna, che non ruppe mai fede al marito, benché lo perdesse nel fiore degli anni, come puossi pretendere, santi numi! che non annoino ne’ nostri tempi? Ed è naturale. Chi è immerso nella nebbia densa della valle non vede e non può respirare l’etere purissimo e luminoso che fascia la cima della montagna.

  Emmanuele Rocco, L’elitropia, in Bazzecole di Emmanuele Rocco, Napoli, Stabilimento tipografico, 1866, pp. 35-39.

  p. 37. Toltomi di dosso questo ingiurioso sospetto, vi dirò io che cosa vorrei fare se fossi possessore dell’anello di Gige o di quel di Angelica, del bastone di Balzac o della nube di Enea, tutte varietà dell’unica e vera elitropia.


 [1] Segnalato e analizzato da L. Carcereri, Editoria e critica balzachiana … cit., p. 515. L’opera è presente nella Biblioteca Centrale della Regione Siciliana di Palermo.
  [2] Pubblicato successivamente in: Il Teatro italiano contemporaneo. Saggi critici di Luigi Capuana nuovamente raccolti e riveduti dall’autore. Teatro italiano contemporaneo. Teatro straniero. Letteratura, Palermo, Luigi Pedone Lauriel, editore, 1872, pp. 268-275. Sui riferimenti a Balzac presenti nell’opera critico-letteraria di L. Capuana, cfr. R. de Cesare, Capuana e Balzac, «Annali della Fondazione Verga», 14, 1997 (2001), pp. 49-115.

Marco Stupazzoni

lunedì 26 agosto 2013


1865




Traduzioni.


  O. Balzac, La Marana. Racconto di O. Balzac, in La Rosa rossa di Alessandro Dumas, Milano, Fratelli Ferrario, s. d. [1865 ca.?], pp. 67-84.[1]



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  Storia di Madama Diard, Ivi, pp. 85-110.



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  Si tratta della ristampa dei racconti di Balzac inseriti nel volume di A. Dumas edito nel 1859.


 

Studî e riferimenti critici.

 

  Hippel Teodoro (biogr.), in Supplemento perenne alla quarta e quinta edizione della Nuova Enciclopedia Popolare Italiana per arricchire la medesima delle più importanti scoperte scientifiche e letterarie e servirle di continua integrazione radunando fatti storici e biografici avvenuti durante la stampa e compiute le ultime edizioni. Opera corredata di tavole in rame e d’incisioni in legno intercalate nel testo. Volume Secondo, Torino, dalla Società l’Unione Tipografico-Editrice, 1865-67, pp. 240-241.

  p. 241. Celebre soprattutto è il suo libro sul matrimonio (Ueber die Ehe; Berlino 1774) che non teme il confronto della famosa Physiologie du mariage di Balzac.


  Philipon Carlo (biogr.), in Supplemento perenne … cit., pp. 611-612.

  p. 611. In un caricaturista così franco e spiritoso com’era il Philipon, doveva necessariamente nascere il pensiero di fondare un giornale politico di caricature; ed infatti nel 1830 fondò il giornale La Caricature, la cui compilazione letteraria fu da lui affidata al Balzac.


  Due parole ancora sulla tolleranza e sulla carità, «Letture Cattoliche. Pubblicazione periodica di Padova», Padova, Tip. Seminario, Vol. IV, 1865, pp. 33-37.

 

  pp. 33-34. Ma se lo scritto non ischerza, ma taglia riciso, e con prove e verità incontrovertibili smaschera la menzogna e l’ipocrisia, ed è insomma tale che non ammette risposta; nessuno, vedete, viene battersi coi suoi argomenti, sicuro che ne porterebbe il capo infranto. E che si fa quindi, in tal caso? [...]. Nominano un Guerrazzi, un Dumas, un Vittor Hugo, un Balzac, e per dire eccetera, dicono: e simile lordura! Vedete tolleranza, vedete carità! In quanto alle prove e agli argomenti, niuno zittisce; si dirà al più ironicamente: bellissimo è l’argomento onde è svolta quella tal tesi.


  Appendice bibliografica. “Siamo papisti. Strenna pubblicata a cura delle ‘Letture cattoliche’ di Padova”. – Anno Primo. – Tip. del Seminario, «Il Comune. Periodico non politico», Padova, Anno 1.°, N. 13, 1° Gennajo 1865, pp. 145-151.

  p. 150. […] disapproviamo altamente il citare nomi e versi di quello scomunicato del Giusti, che ben meritava di esser posto a fascio con Guerrazzi, Dumas, Vi­ctor Hugo, Balzac e simile lordura (p. 98).


  Rivista della stampa italiana. III. “La Società Romana”, delizie estetiche” di H. Taine, nella «Revue des deux Mondes” di Parigi, dei 15 aprile 1865, «La Civiltà Cattolica», Roma, coi tipi della Civiltà Cattolica, Anno Decimosesto, Vol. II della Serie Sesta, Fascicolo 363, 27 Aprile 1865, pp. 333-341.

  p. 335. Costui [H. Taine] ci è sceso in Italia con la fantasia già ingombra di tutte le più lucide immagini, raccolte nei lupanari di Parigi, o tra le immondezze scritte dai Balzac e dai Sue; e con in capo questo corredo di estetica veramente suina, è venuto a giudicare delle nostre usanze, dei nostri capolavori, del nostro cattolicismo, delle nostre chiese, delle nostre città, dei nostri popoli.


  Pensieri staccati, «Annali dello spiritismo in Italia. Rivista psicologica diretta da Niceforo Filalete», Torino, Anno II, N° 7, Luglio 1865, pp. 334-336.

 

  p. 334. Vi fu chi asserì essere l’uomo il zimbello degli avvenimenti. – Ma di quali avvenimenti? qual n’è la causa? quale il fine? Niuno vide mai in essi il dito di Dio. Questo giudizio vago e materialista, padre del fatalismo, ha fuorviato più d'un grand’ingegno, più d’una intelligenza profonda. Disse il Balzac: «Non vi sono principii, si solo avvenimenti». Vale a dire, secondo lui, l’uomo non ha il libero arbitrio: il destino lo afferra alla culla, e conducelo sino alla tomba. Mostruosa invenzione dello spirito umano! Questo pensiero abbatte la libertà; la libertà, che è quanto dire, il progresso, l'ascensione dell’anima umana, la dimostrazione evidente dell’esistenza di Dio. L’uomo lascerebbesi dunque condurre, sarebb’egli dunque lo schiavo di tutto, degli altri uomini e di sė stesso? ... O uomo! discendi in te; sei tu nato per la schiavitù? No, sei nato per la libertà.


  La Commedia elettorale, «Lo Spirito Folletto. Giornale umoristico-illustrato», Milano, Anno V, N. 225, 21 Settembre 1865, p. 700.

  Se c’è un giornale che abbia il diritto di occu­parsi di elezioni, quello è un giornale umoristico!

  Quante commedie, quanti intrighi, quante ridico­laggini, sotto l’ombra di comitati, al nome di pa­triottismo!

  Nessuno ci accusi di poco rispetto al grande affare del paese; l’umanità è qualche cosa di più serio che le elezioni, eppure Balzac scrisse la Commedia Umana; e Dante scrisse la Divina.

  Lo Spirito Folletto ha tutto il diritto di scrivere la Commedia Elettorale; e così spera che i posteri riconoscenti dedicheranno anche a lui un centenario.


  Cletto Arrighi, Ad alcuni Associati milanesi, «La Cronaca grigia. Giornale-Opuscolo Settimanale», Milano, presso l’Ufficio della Cronaca Grigia, N. 10, 4 Giugno 1865, pp. 1-8.

 

  pp. 4-5. Esprimere colla maggior evidenza possibile quelle idee che si sentono in cuore, ma che forse non avete tempo di spiegare a voi stessi poter conversare di tutti gli argomenti che capitano, come si farebbe in un crocchio di amici, accanto al fuoco dopo pranzo, quando si sta bene a me mi è sempre parso il non plus ultra di quella voluttà che Balzac descrisse tanto vivamente in una sua opera.


  M. B., Scene della nuova capitale. Atto secondo. Il trasporto, Firenze, Tipografia di Simone Birindelli, 1865.

Atto secondo. Scena I.

  pp. 21-22. – Poffar di bacco! Studia di molto cotesto barone! ha la valigia piena di libri e di fogli.
  – Buoni per mio! Senti un pochino – Renan, Vita di Gesù – Ausonio Franchi, La Religione del secolo XIX – A. Bianchi-Giovini, Vite de’ papi – F. De Boni, Storia del papato – Balzac, Romanzi – Sue, Romanzi – Casti, Novelle – Batacchi, Novelle – ec. ec. I fogli poi sono tutti regolamenti per le scuole e module di giuramenti pei professori, pegli uscieri e perfino per gli spazzini delle università. […]. O in che maniera tanti regolamenti?
  – Perché tutti coloro che si sono succeduti nell’ufficio di sbarbarire l’Italia, hanno voluto sempre imbrogliare e imbestialire la pubblica istruzione a seconda de’ propri capricci, talchè l’hanno ridotta peggio della Torre di Babele. Già del mestiere non ha mai saputo un’acca nessuno, e hanno tutti annaspato a casaccio.


  Pietro Balan, I Clericali, i liberali e l’Enciclica dell’8 Decembre 1864. Pensieri del Dott. Pietro Balan, Padova, dalla Tipografia del Seminario, 1865.

 

  p. 18. Le più luride infamie degli scritti d'una dama adultera fino nel nome, come la chiamava Pietro Giordani, mascheratasi sotto nome di Giorgio Sand, le più turpi e sconce novelle che Eugenio Sue, condotto dal suo abbrutito e selvaggio ingegno, trasse dai postriboli e dai covi de’ comunisti, le sconcissime scipitezze di Paolo de Kok (sic), le finę ribalderie del Balzac, le disperanti frenesie del Goëthe, le infamie morali del Marmontel, le pungenti empietà del Voltaire; qualche strana lambiccatura dell’Hugo, ecco i libri prediletti delle signorine e de’ giovani, se pure al più non si aggiunga la Isabella Orsini del Guerrazzi, e alcuni dei libri moderni che farebbero arrossare al titolo solo qualsisia più rotto e scapestrato giovinastro.


  Giuseppe Bianchetti, Degli Uomini di lettere. Libri quattro di Giuseppe Bianchetti. Seconda edizione riveduta dall’autore, Milano, dalla Tipografia di Gio. Silvestri, 1865 («Biblioteca scelta di opere italiane antiche e moderne», vol. 500).

  Cfr. 1855.
  Libro Terzo. Degli uomini di lettere considerati nelle relazioni che hanno o possono avere con alcune classi particolari della società, pp. 151-321.
  p. 201.
  Libro Quarto. Del merito letterario considerato in sé stesso e nell’opinione degli altri, pp. 322-393.
  p. 381.

  P. Antonio Bresciani, Opere del P. Antonio Bresciani della Compagnia di Gesù. Volume II, Roma, Ufficio della Civiltà Cattolica; Torino, Pietro di G. Marietti Tip. Pontificio, 1865:

  Ammonimenti di Tionide al giovine Conte di Leone. Mezzi per conservare il frutto della buona educazione ricevuta in Collegio. LXV. Le società segrete, pp. 262-275.
  p. 265. Il semplicetto, che legge sulla gazzetta di Ginevra il suo nome infranciosato, che reca l’i finale in ipsilon, si pavoneggia, divisandosi che tutto il mondo debba parlare di lui, come di lord Byron e del signor di Balzac.
  Avvisi a chi vuol pigliar moglie, pp. 277-328. La ricerca, pp. 297-310.
  pp. 297-298. La giovinetta è in sui diciassett’anni. […] Ha già viaggiato oltremonti sotto la scorta paterna […].
  Nel suo albo ha notate le meraviglie vedute e udite: ove abitano i più celebri profumieri, i più eleganti guantai, i più squisiti magazzini di galanterie. Conversando poi co’ più grandi uomini dell’età nostra, li pregò, per conforto dell’anima sua, che scrivessero nel vezzoso suo albo i nomi loro; e mostra agli ospiti e agli amici, colla più soave albagietta, la sottoscrizione di quell’onnipotente Gros, che per chimica sapienza creò l’Accarus horribilis. V’è il nome di quell’uomo miracoloso, che insegnò a camminare sull’acque e corrervi in cocchio a sei cavalli, qual novello Nettuno. Havvi i santi nomi di Balzac, di Dumas, di Victor Ugo (sic), che al nome loro aggiunsero per ciascuno una sentenza spirituale, per buono ammaestramento della casta pulcella.
  La scelta, pp. 318-322.
  p. 322. Amico, se tu la richiederai in moglie, credimi, che non avrai d’uopo d’apprestare l’appartamento nuziale, secondo le regole della fisiologia del Balzac, né d’osservare al nodo della cravatta di chi va e di chi viene in casa tua.
  Il savio sposo, pp. 322-328.
  p. 327. I novelli maestri de’ mariti delle gentil donne hanno strettamente a cuore d’aprir loro un grande arcano, ed è che non lascino accostar sovente la moglie ai confessionali, dicendo: esser egli pessimo indizio di corrotta coscienza, la quale, per calmare i latrati della non serbata fede, eccita le spose alla frequenza de’ Sacramenti. I nostri maggiori per contrario riputavano argomento di non pura coscienza il veder le giovani donne starsi lontane dai santi lavacri di vita eterna; ma eglino eran semplici i nostri vecchi, né era venuto ancora il Balzac a dar loro sì leggiadra novella. Ed appunto perciò, ora si veggono i mariti recarsi a tanto scrupolo di non accompagnare essi medesimi la sposa loro alla chiesa, ch’è una delizia a vederli col libro della donna sotto il braccio, accompagnarla fin presso allo sportello, e poi, tiratisi in disparte, star lì ritti come sentinelle, acconciandosi il nodo del fazzoletto, abbottonandosi il camicino, o succhiando il pomo della canna, senza piegar né anco il ginocchio mentre Dio onnipotente si leva nell’ostia.
  Del Romanticismo italiano rispetto alle lettere, alla religione, alla politica e alla morale, pp. 329-382. Articolo IV. Della mitologia e dell’espressione della civiltà attuale, pp. 365-382.

  Parte seconda.

  pp. 380-381. Io mi reco ben finalmente a credere, che voi non vorrete descrivere la civiltà attuale, mentre ci avvolgete di continuo fra le tetre e paurose immagini dei più efferati delitti, che l’umana ferocia abbia potuto giammai, non che commettere, ma pensare né anco. Conciosiacchè vi gode l’animo, e tripudiate, e gavazzate ogni volta che ci venite ravviluppando fra le sanguinose e atroci scene degl’incredibili delitti de’ vostri protagonisti. Qui la moglie col riso in volto e fra i maritali vezzeggiamenti mesce il tossico allo sposo, e i tenerelli figliuoli, che innocentemente abbracciati dormono, pria bacia e poi scanna. Colà il truculento cipiglio d’un sicario spaventa la pia giovinetta che, nel silenzio de’ virginali recessi colle mani giunte sul petto, invoca la Madre di Dio; e l’empia mano ravvoltale fra le chiome, ivi inginocchiata l’uccide, la spara, le strappa il cuore e al disperato amante lo reca. Ivi madri spose maledicono ai figliuoli ed ai mariti; sorelle ai fratelli, e maledizioni di padri, e imprecazioni di sacerdoti, e sacrilegii di vergini, e abbominazioni di re. Qui voti bugiardi, giuramenti infranti, sacramenti vituperati, l’Ostia santa pugnalata e fatta pasto dei cani e nelle fogne gittata; e veleni, e trabocchetti, e omicidii, e furti, e arsioni, e tradimenti, e ribellioni perpetue. Le notti oscene, i giorni spaventevoli, i boschi ricettacoli d’assassini, le vie assediate, le case di rapine e di stupri ripiene, i templi di Dio d’ogni contaminazion maculati(1). E questi nefandi orrori non solo descritti ne’ libri, e dipinti nelle tele, e incisi sui rami, ma ogni sera nei teatri, alla vista dei popoli, rappresentati. La virtù sempre oppressa, il delitto sempre vittorioso e felice.
(1) Che si direbb’egli adesso che ci venner di Francia i demoniaci del Balzac; gli spergiuri, i falsarii, gli adulteri, gl’incestuosi, i sicarii, con tutte le altre luride e nere abbominazioni, onde insanguinarono i loro scritti i Dumas, i Victor Ugo (sic), e le Georges (sic) Sand? Si dirà che sì deliziose e amabili cose è d’uopo render volgari all’Italia ristampandole, traducendole, acconciandole alle nostre scene: anzi perché più dolci e spirituali divengono, egli è da accordarle colla celeste armonia della musica, e cantando e sonando insegnare al popolo i più truci e stomacosi delitti.

  C. Castellani, Parole dette il dì 14 maggio 1865 quando il R. Liceo di Potenza da Salvatore Rosa prendeva il nome e si dispensavano gli annuali premj agli alunni, Potenza, Stabilimento tipografico di Vincenzo Santanello, 1865.

  pp. 11-12. […] e quali furono dunque da tre secoli in qua i nostri poeti, (lascio i viventi) che poterono tener fronte a Milton, a Goethe, a Byron? quali i nostri scrittori drammatici che agguagliassero Shakspeare (sic), Molière, Shiller (sic)? quali i nostri storici che pareggiassero Sismondi, Gibbon, Hume, Robertson, Hallam, Macaulay? quali i nostri novellieri eguali a Scotto, a Thacheray, a Balzac, a Hugo? quali i nostri oratori così eloquenti come Bossuet e Mirabeau e Burke e Pitt e Sheridan e Fox? – Ora sapete voi, giovani egregi, in qual modo costoro diventarono grandi? – Diventarono grandi perché cercarono la sapienza ne’ filosofi, e lo stile ne’ maestri del dire; diventarono grandi perché studiarono la scienza, ma amarono insieme la parola; perché educarono la fantasia e l’intelletto, il cuore e la mente; infine, diventarono grandi perché furono pensatori e scrittori ad un tempo.


 D. Ciccio, Studi sul bel sesso – Fisonomie, «Lo Spirito Folletto. Giornale umoristico-illustrato», Milano, Anno V, N. 194, 16 Febbraio 1865, p. 471.

 

 Tra i ritratti presenti in questa galleria di fisionomie femminili, troviamo la donna che «parla con orrore di Paul de Kock, di Casti, di Balzac, di Carlo Porta, ma ne legge avidamente di nascosto le opere».


  Paolo Ferrari, Persuadere, convincere e commuovere. Scherzo Comico in un atto di P. F., in Opere Drammatiche. Vol. V. Il codicillo dello Zio Venanzio. Commedia in tre atti di Paolo Ferrari. Scritta per la Compagnia drammatica del sig. Luigi Bellotti-Bon e recitata la 1.a volta al teatro Gerbino di Torino l’Aprile del 1865, Milano, Francesco Sanvito, 1865, pp. 125-175.
  pp. 139-140.
ERMINIA [Prima Donna]
  Ci vorrebbe un amore romanzesco, infelice! ...
AMILCARE [Dilettante Filodrammatico]
  C’è anche questo: io no amo! ma oh sventura! sono amato … amato pazzamente, d’un amore che rende infelice, non lei, ma me.
ERMINIA
  Cattivo! voi ingannate così una povera fanciulla! …
AMILCARE
  Sì, una fanciulla che fu fanciulla due volte! per la quale il matrimonio sarebbe una seconda edizione ritoccata ed accresciuta! … Conoscete la commedia del Martini Una donna di 40 anni? Mettete l’azione 10 anni dopo, e tirate il totale! Questo è il prospetto, la facciata! … Ora immaginate un naso sporgente quanto dovrebb’esserlo il petto, che non lo è; due spalle una più bella dell’altra e avrete il profilo, lo spaccato!
AJACE [Primo Attore]
  Misericordia!
AMILCARE
  Aggiungete a questo una testa tutta poetica, romantica, anacreontica, saffica! … che sa a mente Walter Scott, Cooper, Paul de Cok (sic), Soulié, Féval, Sue, Balzac e tutti i Dumas padri e figli fino alla sesta generazione … che parla d’amore incompreso, di suicidio con ferro o veleno, e qualche volta, per variare, d’impiccatura! … Insomma l’ideale della calamità pubblica applicata al fastidio di un privato! …

  Carlo Fumagalli, Letterature straniere. Alfredo Tennyson. I, «La Civiltà Italiana», Anno I, I1 Trimestre, N. 3, 16 Aprile 1865, pp. 42-43.

  p. 43. Il pubblico di Tennyson vuole più che divertirsi, istruirsi trattandosi di un poeta accetterò anche il divertimento ma purchè sia accompagnato da una qualche utilità pratica e che il bello che gli vien messo sott’occhio non si trovi soltanto ne’ campi dell’immaginazione ma abiti eziandio sopra la terra. Una comparazione dei romanzi inglesi coi francesi potrebbe, a chi bene non la comprendesse, far vedere manifestissima questa sua indole: si confronti Dickens con Balzac, con Giorgio Sand e si vedrà che l’idealizzazione e l’apoteosi di una passione sono pressoché vietate all’Inglese e cedono il luogo a scene della vita di famiglia ed a lunghi sermoni e dissertazioni che raccolti potrebbero costituire un manuale di morale pratica.

  Paolo Giacometti, Il Poeta e la ballerina. Commedia in tre atti di Paolo Giacometti, Milano, Francesco Sanvito, 1865 («Florilegio drammatico», Fasc. 120-121).

  Cfr. 1861.

  G.[iuseppe] Guerzoni, Arte e politica. Sintomi di decadimento, «Rivista Contemporanea Nazionale Italiana», Torino, presso Augusto Federico Negro editore, Anno XIII, Volume XL, Fascicolo CXXXV, Febbraio 1865, pp. 266-281.

  pp. 274-275. La Francia ci appesta da molto tempo; ma l’Italia, ben lunge dal tirar il suo cordone sanitario, apre follemente tutti i suoi sbocchi, e riceve senza visita e senza quarantena tutti gli equivoci doni della sua signora.
  E un dì la Francia ci inviava co’ veleni i loro antidoti, e questi eran certo più possenti di quelli, e noi stessi per il domestico nutrimento eravamo più temprati a sopportarli. Una pagina di Chateaubriand, un canto di Lamartine o di Berrier, un dramma di Victor Hugo o di De Vigny, un racconto di Nodier o di Giorgio Sand, misti ad un’ode di Manzoni e ad una tragedia di Nicolini potevano rifare il sangue corrotto da un romanzo di Balzac e di Paolo De Kock … Erano quelli i giorni gloriosi delle lettere francesi, ed il trionfo del genio gallico pareva legittimo.

  Carlo Haugwitz [a cura di], La Tregenda di Merlino, in Il Mago Merlino. Memorie, tradizioni, leggende raccolte da Carlo Haugwitz aggiuntavi La Tregenda di Merlino la notte del 19 marzo 1865. Tre Tomi in Uno, Milano, C. Corradetti e C. Editori, 1865, pp. VII-LV.

  pp. XXXIV-XXXV. E di nuovo mi si velava l’occhio, e nel dormiveglia mi appariva la fontana di Merlino, co’ suoi begli intagli descritti dall’Ariosto, ma avvicinandomi per meglio vederli, la confusione delle rimembranze mi tramutava le immagini guerresche in guazzabugli letterari. Da una parte mi pareva veder la caldaia di Macbeth, e intorno ad essa, non le streghe, ma strani diavoli, che stracciavan libri e ne gettavano i brani dentro a bollire. Anzi i libri prendendo figura de’ loro scrittori, mi pareva che uno lacerasse Ciullo d’Alcamo e Heine, l’altro Prati e Victor Hugo, un terzo mettesse insieme i bricioli di Balzac e della Sand, e i frammenti di Ugo Foscolo.


  Oscar Honoré, La Figlia di Byron per Oscar Honoré. Traduzione italiana. Volume primo, Genova, Tipografia Moretti, 1865.

 

  p. 5. Qual posto poteva rimanere in quel cuore ed in quella testa per la vita reale ed immediata? Balzac, il principe degli analizzatori, non l’avrebbe scoperto in un giorno.


  [G. I.], Pagine intime [1865], «La Rassegna Nazionale», Firenze, presso l’Ufizio del Periodico, Vol. V, Anno III, Fascicolo 2°, Maggio 1881, pp. 221-243.

14 Novembre [1865]
  p. 230. Finora avevo sempre creduto che in fatto di romanzi le ragazze non dovessero intendersene, o almeno non dovessero parlare che di Zénaide Fleuriot e Madame Bourdon, ma anche questa era un’utopia; la Contessa ha educato sua figlia [Elisa] all’inglese e tranne Balzac e pochi altri, le concede ampia libertà di lettura.
18 Novembre
  p. 232. Matrimonio! mi si parla di matrimonio, a me che, non sono ancora tre settimane, deridevo di gran cuore i meschini che come buoi si lasciano aggiogare a cotesto carro, a me che a quanti venivano nella mia stanza facevo vedere sulla tavola la phisiologie (sic) du mariage di Balzac, additando quel libro come la più perfetta manifestazione delle mie idee sul pigliar moglie!

  P.[aolo] Mantegazza, Un mese a Teneriffa, note di viaggio del prof. P. Mantegazza; prima e seconda parte, «Il Politecnico. Repertorio mensile di Studj applicati alla prosperità e coltura sociale», Milano, Editori del Politecnico, Volume XXVI, 1865, pp. 1-144.

  p. 23. Non scorderò mai la strana impressione che mi fece l’entrata della città della Laguna. […] Io mi credeva in pieno cinquecento e mi pareva di vedere sognando quelle scene che il genio plastico di Balzac e la fantasia feconda del Dorè hanno illustrato nei Contes drolatiques.


  Ferdinando Martini, L’Arte contemporanea e l’Esposizione della nuova promotrice per Ferdinando Martini, Firenze, A. Bettini Editore, 1865.

 

  p. 14. Se le parole del grande poeta tedesco, che ho sopra citate, troveranno ascolto da più, l’arte si farà migliore e più efficace la critica: ci persuaderemo, che per ammirare il Manzoni non è necessario bistrattare il Balzac, e potremo lodare ad un tempo l’Heine e il Leopardi, la Sand e lo Scott, il Monti ed il Byron, l’Alfieri e lo Shakespeare [...].



  Ugo Michelozzi, Idea e fede. Discorso letto all’Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Pistoia dal dottore Ugo Michelozzi, «Rivista Contemporanea Nazionale Italiana», Torino, presso Augusto Federico Negro editore, Anno XIII, Volume XLIII, Fascicolo CXLIII, Ottobre 1865, pp. 18-31.

  pp. 19-20. So bene che a queste parole d’idea e di fede, di contemplazione e d’amore non pochi crolleranno sdegnosamente le spalle come a parole di senso vuoto o puerile. V’è infatti disgraziatamente una scuola di filosofi, dirò meglio, v’è pur troppo una moltitudine di cittadini, non so se più illusi o malvagi, che ciò faranno perché spargono a piene mani lo scetticismo su tutti e su tutto – scetticismo sulla fede che beffeggiano – scetticismo sul passato, sul presente e sull’avvenire che maledicono. – Essi non credono all’uomo perché in esso temono sempre l’animale che essi foggiarono a similitudine loro – essi non credono alla donna perché le plasmano tutte sul modello di quelle in mezzo alle quali vivono e si consumano – essi non credono nemmeno a se stessi perché avvezzi a tutto negare non si accorgono nemmeno di esistere. E spesso allo scetticismo che uccide l’anima aggiungono il materialismo che uccide la intelligenza. Datemi un uomo che traduca un canto di Dante o una tragedia di Shakspeare (sic) in un listino di borsa, che converta il David di Michelangiolo o la Trasfigurazione di Raffaello in un sacchetto di napoleoni d’oro, che baratti la Scienza Nuova del Vico o le opere di Galileo in un romanzaccio di Kock o di Balzac, e quest’uomo, credetelo, non avrà più anima, non avrà più intelligenza – Poveri illusi! Essi non veggono che le prime vittime delle false dottrine son quei medesimi che se ne fanno gli apostoli! Essi non conoscono che covano una tempesta di morte nell’anima e che le tempeste di un’anima guasta e corrotta non la perdonano mai!
 

  Vincenzo Mortillaro, Capo XXXVI, in Reminiscenze de’ miei tempi per Vincenzo Mortillaro Marchese di Villarena, Palermo, Stamperia di Pietro Pensante, 1865 pp. 287-294.

  pp. 292-293. Si sparse voce di poi che i retrivi dovesser pugnalarsi; sicchè molti fuggirono atterriti, vedendo che anco alquante signore guaste dai romanzi di Sue, di Soulié, di Pyat, di Balzac, e dalle monotone elegie di Giorgio Sand non si sarebbero ricusate a farla da bojesse; tanto erano innamorate del proletarismo e dei suoi appetiti grossolani.

  Fr.[ancesco] Predari, Balzac (di) (Onorato), in Dizionario biografico universale per cura di Fr. Predari. Volume primo, Milano, Tipografia Guigoni, 1865, p. 150.[2]

  Uno dei più fecondi e celebrati romanzieri moderni francesi, nato a Tours nel 1799, morto a Parigi nel 1850. Dal 1822, o poco innanzi, fino al 1829, mandò in luce varii romanzi sotto il nome di Orazio di Saint-Aubin, di Veillergé (sic), e di lord Rhoone (anagramma di Honoré): nel 1826, associandosi con lo stampatore Barbier per la pubblicazione degli Annali romantici, faceva professione di libraio, di stampatore e di scrittore. Nel 1829 mise in luce il primo romanzo sotto il proprio nome, e fu Le dernier Chouant (sic): solo l’anno seguente la sua Fisiologia del matrimonio destò l’attenzione dell’universale sul novello scrittore. Da allora in poi mandò in luce senza posa una stupenda quantità di opere, nelle quali sotto i titoli di Scene della vita privata, di provincia, militare, di campagna, politica o di Studi filosofici o analitici, tolse a dipingere con vivi colori il gran quadro della civiltà moderna, collegando tutti que’ suoi scritti sotto una idea comune, ch’ei chiama Commedia umana, un libro solo, libro vivente, luminoso, profondo, per entro al quale tu vedi andare e venire, e muovere e discorrere con un certo che di trafelato e terribile, misto del vero, tutta la civiltà presente, “un libro che piglia tutte le forme, tutti gli stili, che sorpassa Tacito e va sino a Svetonio, che trascorre da Beaumarchais fino a Rabelais”. A dir vero il nostro autore, ostentando nei suoi scritti il fare d’uomo senza principii, assumendo tutti i caratteri, mostrasi alternativamente e, per dir così, indifferentemente, severo moralista, o mistico estetico o cinico sfrontato. Balzac si provò anche in cose drammatiche, ma con minor ventura: quantunque il Mercadet faccendiero, commedia rappresentata dopo la sua morte, avesse grandi accoglienze siccome quella che ci discopre le mariuolerie degli speculatori. Tutte o quasi tutte le opere sue sono tradotte in italiano.

  Amedeo Roux, Corrispondenze nazionali e straniere. Corriere di Parigi. Parigi, 25 giugno 1865, «Rivista Italica», Firenze, coi tipi di M. Cellini e C. alla Galileiana, Volume I – Fascicolo VI e VII, 31 Luglio 1865, pp. 644-648.

  pp. 646-647. Les confessions d’une jeune fille, romanzo pubblicato in prima dalla Revue des deux mondes, e che fece nel mese di aprile una seconda comparsa sotto forma di libro, hanno riscosso grandissimi elogi sulla stampa; elogi sinceri, lo voglio credere, ma che però mi sembrano esagerati. Questo libro infatti unisce tutti i difetti e tutti i pregi del bell’ingegno di Giorgio Sand, che sola forse col Saint-Beuve (sic) fra tutti i nostri scrittori odierni, ebbe dalla natura il dono di una perpetua giovinezza intellettuale. […].
  Troppo superbi per accontentarsi dell’uomo naturale, i nostri grandi romanzieri gli hanno sostituito un fantasma, che secondo l’istinto di ognun di loro, è più magnanimo o più vile della creatura volgare che dappertutto può vedersi,
  In carne in ossa e colle sue giunture …
  Il Balzac diceva: “ma ménagerie” parlando degli eroi della sua “comédie humaine”; la Sand almeno potrebbe chiamare “mon empyre” (sic) quest’accolta numerosa di donne e d’uomini che animano il mondo de’ suoi romanzi, e che serbano un’aureola in fronte anche quando s’imbrattano di fango.

  S., Mister Nicholson (Reminiscenze di Londra), «Il Giornale illustrato», Firenze, Anno II, N° 12, dal 12 al 30 marzo 1865, pp. 94-95.

III.

Il rivelatore.

  p. 95. La prima volta ch’io posi piede nella taverna Coal-Hole, mi fu dato d’assistere alla rappresentazione di una causa coniugale.
  Un meccanico che, per dirla con Balzac, aveva l’amore della meccanica piuttosto che la meccanica dell’amore, dopo un anno di matrimonio si era amichevolmente separato da sua moglie. […].


  S., In città ed in campagna. Cicalata, «Il Giornale Illustrato», Milano, Anno II, N. 36, dal 9 al 15 Settembre 1865, pp. 283-286.

 

  p. 286. Le lionnes pauvres non sono che una delle tante varietà della specie, e chi sapesse riunire in un solo quadro le spostate farebbe opera laudabilissima e forse più importante che non lo sia la Commedia Umana di quel grande psicologo che nomossi Orazio di Saint-Albin (sic) prima di nomarsi Onorato di Balzac.


  Nicola Taccone-Gallucci, Un tributo di sincero affetto alla memoria del benemerito P. Antonio Bresciani D.C.D.G. per Nicola Taccone-Gallucci, Firenze, Tipografia Virgiliana per M. Casini, 1865.

  pp. 7-8. È vezzo, o per dir meglio, è debolezza della moderna società osservare le cose superficialmente e non approfondirle affatto; ama perciò le letture semplici, andanti, romantiche e non dialettiche; gode coi satirici giornali, coi mordaci dialoghi conditi d’attico sale, coi romanzi, colle argute novellette e con mille altre facezie. «Il secolo nostro, scriveva Bresciani, non è più avvezzo ad acuire la mente troppo a lungo, e si reca a noia i gravi studi e le profonde meditazioni delle cose; ma nella sua leggerezza ama di trascorrere coll’occhio a fior di pagina, e però vuol le cose lì sciorinate ed aperte, senza che gli dia fatica l’intenderle1». Or quella peste, quella lordura dell’umanità, quella satanica congrega dei frammassoni, ideò tra i molteplici suoi mezzi anche quello di corrompere gli incanti con libri di simil fatta, i quali

Di fuor dorate son, sì ch’egli abbaglia;
Ma dentro tutte piombo, e gravi tanto,
Che Federico le mettea di paglia2.

  I suoi affigliati vi corrisposero. Balzac, Eugenio Sue, George Sand, Renan, Dumas, Vittor Hugo si resero celebri della fama di Erostrato. Potean mai i cattolici veder questi barbari osteggiare religione e buon costume senza porvi riparo? senza applicare un antidoto a questo venefico e pestifero morbo?
  1 Bresciani, Avvisi a chi vuol pigliar moglie, pag. 44.
  2 Dante, Inferno, canto XXIII.

  Igino Ugo Tarchetti, Idee minime sul romanzo, «Rivista Minima», Milano, 31 ottobre 1865; ora in Tutte le opere, a cura di Enrico Ghidetti, Bologna, Cappelli, 1967, vol. II, pp. 522-535.

  p. 534. Ma una letteratura [quella francese] che ha creato l’Atala, i Natchesi e Paolo e Virginia, che può vantare Lesage, Balzac, Sue, Vittor Hugo, ha in sé tali elementi di grandezza che si elevano al disopra d’ogni giudizio e d’ogni opinione di parti.

  Niccolò Tommaseo, Della pena di morte. Discorsi due di Niccolò Tommaseo, Firenze, Felice Le Monnier, 1865.

  Capitolo Settimo. Il Supplizio., pp. 258-285. 3. – Celebrità data al reo, pp. 272-274.
  p. 273. La smania inglese di singolarità trascende le bizzarrie del romanziere Balzac, a cui piacque desinare col boia, e commendarne il buon senso; si diletta nell’assistere alla rappresentazione del supplizio ripetuta dall’arte, come a cosa gradevolmente spettacolosa.

  Felice Tribolati, La Lisa e il re Pietro. Diporto letterario sulla settima novella della X giornata del “Decamerone” ad una suora della carità, «Il Borghini. Giornale di filologia e di lettere italiane compilato da Pietro Fanfani», Firenze, Stamperia sulle Logge del Grano, Anno Terzo, Maggio 1865, pp. 269-283.

  pp. 281-282. Se le passioni sono forze di squilibrate, se la virtù resulta dall’armonia delle medesime, quando essa è turbata, imparate a ristabilirla, adoperandovi a risvegliare le altre, allorchè una di quelle tende al suo fatale sviluppo, e vuol farsi tiranna. Il riposo è sogno o morte. Ciò è quanto insegna il Boccaccio in queste tre novelle intorno all’amore [VI, VII e VIII novella della X giornata]. Di questa dottrina è forse più savia quella di Balzac, di Sand e di Sue? Parvi questo italiano del trecento indegno del decimo nono secolo, detrattore in Italia dell’immortale volume?

  Felice Tribolati, L’ultimo Volume delle Opere di Voltaire (Paris, Henri Plon, imprimeur-éditeur, MDCCCLXII). Lettera al Sig.-Prof. C.-F. Gabba, «Il Borghini. Giornale di filologia e di lettere italiane compilato da Pietro Fanfani», Firenze, Stamperia sulle Logge del Grano, Anno Terzo, Settembre 1865, pp. 532-539.

  p. 533. I francesi che chiamano l’ingegno genio (anche qui si pare la loro vanità, secondo il Balzac romanziere) la qualità più nazionale di Francia, figurano l’uomo che possiede un essere angelico o infernale, non lasciandogli nulla di quel di Adamo.
 

  Agostino Verona, Letteratura. Degli scritti di F. D. Guerrazzi dal 1859 in quà (sic), «La Civiltà Italiana. Giornale di Scienze, Lettere ed Arti», Firenze, Tipografia delle Muse, II Semestre, Num. 22, 10 dicembre 1865, pp. 337-339.

  p. 338. Coloro che fanno carico al Guerrazzi della mordente sua ironia, vogliano riflettere che più di lui è spietato anatomico delle nostre malvagità, ossia delle malvagità della società odierna, il grande romanziere francese Onorato Balzac. Infatti, quale scopo assegna costui nella vita a’ suoi uomini eminenti? Il piacere appassionato. Quando Balzac li dota della bellezza, della forza, della nascita illustre, della fortuna amica, o di meglio ancora, del coraggio e dell’ingegno, tutti questi doni non sono adoperati che ad innalzare alla sua più alta potenza la felicità di godere quanto accarezza i loro sensi ed il loro orgoglio. Questo mondo (così il Balzac) non esiste se non perché essi lo domino, se non perché essi lo usino come lo strumento o la preda dei loro capricci. A questa crema dell’umana società, ch’egli esalta, e ch’egli descrive con tanta compiacenza, a questi egoisti energici ed insaziabili che egli propone alla nostra ammirazione, non si dovrebbe che odio e castigo. Si è col ferro e col fuoco che si dovrebbe rifare tosto questa società, che il Balzac crede di nobilitare attribuendole l’intensità dei vizii invece della frivolezza dei gusti; e se Balzac è nel vero, il patibolo dovrebbe lavorare senza interruzione: spaventevole assioma, emesso già dal filosofo religioso De Maistre quando proclamò il carnefice gran-sacerdote dell’umanità. Quindi, il pretenzioso partigiano dell’aristocrazia, il cortigiano del nobile sobborgo San Germano, non fe’ altro che inasprire e legittimare ad un tempo tutti i sospetti, tutti i rancori, e tutte le ire della già inasprita democrazia. Se si ammette la società dipintaci da Balzac, i comunisti sarebbero i vendicatori della giustizia oltraggiata e i Barbari sembravano essere i liberatori del mondo.


  Diego Vitrioli, L’Asino pontaniano di Diego Vitrioli. Dialogo II. De literis latinis tradotto dal Canonico Bernardino Quatrini, Recanati, Tipografia Badaloni, 1865.

 

  p. 10. Raro latinam opellam in librariis officinis venalem invenies: alienigenis affluunt. Victor Hugo, Dumas, Balzac per omnium labra pererrant [...].

 

  p. 11. Di rado troverai da comprare un’operetta latina nelle botteghe dei librai; di opere straniere a iosa. Vittor Ugo (sic), Dumas, Balzac vanno per ogni labro [...].



  [1] L’opera è presente nelle seguenti Biblioteche italiane: Biblioteca Comunale Vallesiana di Castelfiorentino; Biblioteca del Gabinetto Scientifico Letterario ‘G. P. Vieusseux’ di Firenze; Biblioteca Civica ‘P. Majno’ di Gallarate; Biblioteca Comunale Antonelliana di Senigallia.
  [2] Segnalato da L. Carcereri, Editoria e critica balzachiana … cit., p. 540.

Marco Stupazzoni