lunedì 18 dicembre 2017


1915



Estratti in lingua francese.


  Honoré de Balzac, Oiseaux de proie, in L.[uigi] de Anna, A.[ldo] Sorani, Moisson dorée. Pages choisies des meilleurs auteurs français du XVIIe au XXe siècle avec notes et notices précédées d’un abrégé de l’histoire de la littérature française à l’usage des lycées-gymnases modernes et des instituts techniques, Florence, R. Bemporad & Fils – Éditeurs, 1915, pp. 279-285.
  Extrait du Cousin Pons, chap. XXI.

                                                                                                                     Estratti.

 Balzac, In cerca di Dio, in Emilio V. Banterle, Spiritualismo e materialismo fideistici, «Luce e Ombra. Rivista Mensile Illustrata di Scienze Spiritualistiche», Roma, Anno XV, 1° fasc., Gennaio 1915, pp. 32-40.
 p. 40. Prima di tutti noi, San Paolo aveva detto In Deo vivimus, movemus et sumus. Noi viviamo, siamo e ci muoviamo in Dio. Oggi meno credenti e più sapienti, o meno istruiti e più increduli, domanderemmo all’apostolo: A che questo moto perpetuo? Dove conduce questa vita, distribuita in zone? A che questa intelligenza, che incomincia con le percezioni confuse del marmo, e va di sfera in sfera, fino all’uomo, fino all’angelo, fino a Dio? Dov’è la sorgente, dove il mare? Se la vita, pervenuta a Dio attraverso i mondi e le stelle, attraverso la materia e lo spirito ridiscende verso un altro scopo?
 Voi vorreste vedere l’universo dai due lati; adorereste il sovrano, a patto di sedervi un momento sul suo trono. Insensati che siamo! Rifiutiamo agli animali più intelligenti il dono di comprendere i nostri pensieri e lo scopo delle nostre azioni, siamo senza pietà per le creature inferiori, le scacciamo dal nostro mondo, neghiamo loro la facoltà d’indovinare il pensiero umano, e vorremmo conoscere la più alta di tutte le idee, l’idea dell’idea!
  Citazione tratta da Les Proscrits.
      

Traduzioni.


 
  Onorato Balzac, I Parenti Poveri II. Il cugino Pons. Traduzione di Galeazzo Falconi, Milano, Fratelli Treves Editori, 1915 («Biblioteca Amena», N. 701), pp. 309.

  Cfr. 1908.

  Onorato Balzac, Eugenia Grandet. El Verdugo. Ufficiali di cavalleria. I guanti rivelatori, Milano, Fratelli Treves Editori (Tip. Treves), 1915 («Biblioteca Amena», N. 701), pp. 269.
     
  Struttura dell’opera:

  Eugenia Grandet, pp. 1-234;
  El Verdugo, pp. 237-252;
  Ufficiali di cavalleria, pp. 255-260;
  I guanti rivelatori, pp. 263-268.

  Cfr. 1906.


  Honoré de Balzac, Dagli “Studi Geografici” (sic: corretto in “Studi Filosofici” a partire dal numero 200). Le “Marana”, «Avanti! Giornale del Partito socialista», Roma, Anno XIX, Numero 197-98-99-200-01-07-08-10-11-14-16-18-19-22-25-26; 18, 19, 20, 21, 22, 27, 29, 31 Luglio; 1, 4, 6, 8, 9, 12, 15, 16 Agosto 1915, p. 4/6.



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  La traduzione del racconto filosofico balzachiano si rivela, in più luoghi, approssimativa e non del tutto aderente a costrutto francese; il modello di riferimento utilizzato dall’anonimo compilatore è quello dell’edizione Furne del 1846.



  Balzac, Luigi Lambert. Prima trad. italiana di A. Morosi, Milano, Casa Editrice Collezioni Esperia, 1915 [?] (“I capolavori della letteratura amena, di tutte le nazioni. Grandiosa Biblioteca diretta da Salvatore Farina. Romanzieri di Francia. Prima Serie”, 1).



  Balzac, Memorie di due Giovani Spose, Milano, Fratelli Treves, Editori (Tip. Treves), 1915 («Biblioteca Amena», N. 605), pp. XII-308.


  Struttura dell’opera:


  Balzac, pp. V-XII;

 Memorie di due giovani spose, pp. 1-306.


  Cfr. 1901, 1909.


  Onorato Balzac, Storia dei Tredici. Scene della vita parigina. Ferragus. La duchessa di Langeais. La ragazza dagli occhi d’oro, Milano, Casa Editrice Sonzogno (Stab. Grafico Matarelli), 1915 («Collezione Sonzogno», 18), pp. 315.

  Struttura dell’opera:

  Prefazione, pp. 5-10;
  I. Ferragus, capo dei divoranti, pp. 11-127;
  II. La duchessa di Langeais, pp. 119-246;
  III. La ragazza dagli occhi d’oro, pp. 247-314.

  Cfr. 1903, 1904.

      

Studî e riferimenti critici.

  Conversando intorno all’ultimo morto socialista, «La Folla. Periodico settimanale illustrato», Milano, Anno IV, N. 3, 17 Gennaio 1915, pp. 20-23.

 

  pp. 20-22. Non ho mai avuto la passione dei funerali. Ma ho avuto la curiosità dei grandi funerali. Così non ho esitato a leggere quelli di Napoleone I, di Balzac, di Victor Hugo, di Napoleone III, di Gladstone, di Engels, di Guglielmo Morris, il poeta socialista, di Goncourt, di Sainte-Beuve, di Cavallotti, di Zola, di Verdi, di Kossuth. […].

  Balzac è morto a 51 anni. Signori, ha detto un grande uomo, l’Europa sta per perdere l’autore della «Commedia Umana». Egli era spirato nell’aurora. E’ stato esposto nella cappella della chiesa attigua alla sua casa. Tutto il suo corpo aveva subito la devastazione. Le sue carni si disfacevano. Lo scultore ha dovuto rinunciare alla maschera. Il naso in poche ore gli era caduto sulla guancia purulenta. Lo si è incassato putrescente. I funerali sono passati attraverso un silenzio di commozione parigina. Un’immensa folla seguiva il suo feretro. La bara letteralmente coperta di viole di Parma, racchiudeva il padre romanzesco di Zola. La gente era a capo scoperto. Ai cordoni camminavano due uomini di celebrità mondiale. Victor Hugo a destra e Dumas padre, a sinistra. Il Père-Lachaise era stipato. La collina sulla quale era stata scavata la buca, era gremita. Le parole d’addio sono state pronunciate dall’autore della più bella cattedrale nel romanzo su Parigi. Si è udito un singhiozzo generale. La cassa discendeva e le carrucole che la calavano rompevano il cuore L’uomo che aveva scritto: quello che non ha fatto Napoleone con la spada lo farà Onorato Balzac con la penna, riceveva le ultime badilate di terra e le moltitudini si disperdevano con il ricordo immortale. […].

  Ai funerali di Balzac superava la gente del libro e del giornale. A quello di Emilio Zola c’erano tutte le masse state ringiovanite e fortificate dal suo stile e dalle sue idee versate in tutti i volumi a profluvi.



  I divertimenti. Cinema Splendor. “Il Principe Saltimbanco”, «La Stampa», Torino, Anno XLIX, Num. 24, 24 Gennaio 1915, p.6.

  Quanto prima si proietterà un nuovo grande lavoro della Pathè: L’eredità di Orsolina, dramma in 4 atti, tratto dal celebre romanzo Orsola Mirouet, dell’immortale Balzac.[1]

  I divertimenti, «La Stampa», Torino, Anno XLIX, Num. 28, 28 Gennaio 1915, p. 5.
  Domani [al Cinema Splendor], venerdì, la première della grande film «Pathè» L’eredità di Orsola Mirouet, tratta dall’immortale romanzo del Balzac, per cui vi è una grande aspettativa.

  I divertimenti. I Romanzi celebri allo “Splendor”, «La Stampa», Torino, Anno XLIX, Num. 32, 30 Gennaio 1915, p. 6.

  Numerosissimo pubblico, tra cui si notavano i più bei nomi dell’aristocrazia e dell’alta borghesia della nostra città, accorse ieri alla première di «Orsola Mirouet», film dal celebre romanzo del Balzac. La cronaca della giornata è molto semplice: uno schietto e grandioso successo; la Casa Pathè ed i suoi artisti per la fedele e magnifica riproduzione del romanzo e dei costumi dell’epoca, per la perfetta interpretazione, non vennero meno alle loro tradizioni ed il nome di Balzac rifulse di nuova gloria in un nuovo campo! Oggi si replica […].

  I divertimenti, «La Stampa», Torino, Anno XLIX, Num. 31, 31 Gennaio 1915, p. 6.

  Un entusiastico successo ottenne pure ieri al Cinema Splendor il magnifico film della «Pathè» in 4 atti «Orsola Mirouet», tratto dall’omonimo romanzo dell’immortale Balzac.

  Letteratura lucrosa (da “Scena illustrata”), «Giornale della libreria, della tipografia e delle arti e industrie affini», Milano, Anno XXVIII, N. 4, 31 Gennaio 1915, pp. 58-59.

  p. 58. La su menzionata Giorgio Sand ed Onorato di Balzac percepivano 2 lire per ogni copia di volume stampato; onde i loro scritti costavano all’editore lire 2000 al volume (di soli diritti d’autore) per ogni mille copie stampate. Balzac guadagnò così somme enormi, ma le sue spese da prodigo irriducibile soverchiavano d’assai i benefici ch’ei realizzava – ed egli era spesso costretto a chiedere ai creditori una mora sino alla pubblicazione del suo prossimo articolo o romanzo!

  I divertimenti, «La Stampa», Torino, Anno XLIX, Num. 32, 1° Febbraio 1915, p. 5.

  Ancora per oggi e domani per aderire alle insistenti richieste del pubblico numerosissimo che affluì ieri sera al Cinema Splendor e che si vide in parte rifiutato l’ingresso per i continui esauriti, la Direzione ha deciso di ripetere il grandioso dramma in 4 atti della «Pathè»: Orsola Mirouet, tratto con gran fedeltà dal commovente romanzo omonimo del «Balzac».

  Nostre corrispondenze. Da Genova, «Il Maggese Cinematografico», Torino, Anno III, N. 4, 15 Marzo 1915, p. 6.


Cinema «Moderno».

  Si ripete col maggior consenso del pubblico la commedia drammatica l’Eredità di Orsola, tolta da un romanzo di Onorato de Balzac. È stata interpretata dai migliori artisti dell’«Eclair».


  Goccie d’oro, «L’Idea. Periodico settimanale – letterario – artistico», Andria, Anno II, N. 13, 18 Aprile 1915, p. 3.

  Les ámes (sic) grandes sout (sic) toujours disposèes (sic) à faire une vertu d’un malheur. [Citazione tratta da : Illusions perdues – Les deux poètes]. Balzac.
  La gelosia è la sentinella dell’amore. [Citazione, tradotta e storpiata, tratta da Mémoires de dux jeunes mariées]. Balzac.


  La pagina umoristica. L’arte de nuovo, «La Vita cinematografica. Settimanale internazionale illustrata», Torino, Anno VI, N. 19, 22 Maggio 1915, pp. 65-66.

  p. 65. Il Direttore parlava:

  – Balzac, Flaubert, Maupassant? … Non me ne parli. Avevano una fantasia a scartamento ridotto, a cortissimo metraggio. Forse per i loro tempi, ma per i nostri non possono più andare.

  Marginalia. Balzac e la vita militare, «Il Marzocco», Firenze, Anno XX, N. 50, 12 Dicembre 1915, p. 3.
     
  Studiando la storia e la società del suo tempo, Balzac non poteva trascurare la vita militare. Le Scene della vita militare – scrive la Revue Bleue [2]– tengono un gran posto nella Commedia umana. Balzac, che voleva essere storico dei costumi, come avrebbe potuto trascurare i caratteri, gli avvenimenti, i tipi rappresentativi e caratteristici della vita militare? «Le scene della vita militare sono la conseguenza della vita politica» - egli faceva scrivere nel 1835. «Le nazioni hanno degli interessi; questi interessi si formulano in alcuni uomini privilegiati destinati a condurre le masse e questi uomini che stipulano per esse le mettono in movimento». Ecco, notiamolo, tutta la filosofia della guerra espressa in rilievo dal grande scrittore in una frase che riassume dei volumi. «Le scene della vita militare sono dunque destinate a dipingere – continuava lo scrittore – nelle sue principali linee la vita delle masse in marcia per combattersi. Non saranno più vedute di “interni” prese nelle città, ma pitture di un paese intero, non saranno più i costumi di un individuo, ma quelli di un esercito, non sarà più un appartamento, ma un campo di battaglia. Non più la lotta ristretta di un uomo con un uomo, con una donna o due donne tra loro, ma il corso della Francia e dell’Europa, o il trono dei Borboni che alcuni generali vogliono rialzare nella Vandea, o l’Emigrazione alle prese con la Repubblica in Bretagna; infine sarà la nazione ora trionfante ed ora vinta». Le Scene della vita militare dovevano essere quasi un coronamento della Commedia umana. È facile rendersi conto dello sviluppo che doveva prendere questa parte della Commedia umana leggendo la semplice enumerazione degli studi che l’infaticabile creatore progettava. Eccone una piccola lista: «I soldati della Repubblica – L’entrata in campagna. – I Vandeani. – I francesi in Egitto. – La guardia consolare. – Sotto Vienna. – La pianura di Wagram. – Gli inglesi in Ispagna. – Mosca. – La battaglia di Dresda. – I tentoni. – La campagna di Francia. L’ultimo campo di battaglia ecc. ecc.». A questa lista debbono aggiungersi Gli sciuani e Una passione del (sic) deserto. Anzi, queste due opere formano le sole che Balzac riuscì a scrivere. Le altre sono rimaste allo stato di nebulose nel cervello dell’inventore. Ma moltissime altre scene della Commedia umana potrebbero esser chiamate Scene militari. Nel Colonnello Chabert non troviamo un quadro di vita militare in cui campeggia un eroe della Grande Armata napoleonica? Vi è forse una pagina più impressionante del racconto in cui si crede che Chabert abbia perduto la vita? Altri storici ci racconteranno come Napoleone condusse la Grande Armata a Mosca e come essa tornò indietro dalla Russia; ma solo Balzac poteva farci vedere questa ritirata e poteva evocarcene il quadro come l’ha fatto nell’Addio in modo tale da farci passare per le stesse ansie sofferte dall’esercito napoleonico. E la Rabouilleuse che altro è se non lo studio di una psicologia profonda di due soldati dell’esercito imperiale, diventati dei miseri spostati della vita civile? Ma Balzac ci presenta anche un compenso nel suo Filippo Bridau e nel suo Massimo Gillet nell’ammirabile Medico di campagna; e i personaggi che egli mette in scena in questo romanzo non sono magnifici tipi della vita militare? E che cos’è ancora la Cugina Betta se non il parallelo tragico di due soldati, il barone Hulot, decaduto nel fango della sua passione senile e suo fratello il maresciallo, gloriosa personificazione delle più alte virtù militari? Ad ogni pagina della Commedia umana noi troveremmo delle scene militari e una scelta dei suoi racconti di guerra sarebbe come un grandioso sommario di tutta l’opera sua, con le caratteristiche direttrici di questa opera immortale.


 “Gabba-la-morte” di Balzac a Firenze, «La Patria il Resto del Carlino. Giornale di Bologna», Bologna, Anno XXXI, Numero 342, 13 dicembre 1915, p. 5.

 Al teatro della Pergola ha avuto splendido successo la riduzione del Vautrin di Balzac, che Valentino Soldani, condensando in tre atti, ha chiamato con titolo ... più chiaro Gabba-la-morte.
  Il capolavoro balzacchiano è stato applauditissimo in questa nuova veste, e l’esecuzione eccellente della compagnia Renzi-Gabrielli e la ricca ed elegante messa in scena hanno contribuito al grande successo. E’ un dramma a forte coloritura; ma nobilissimo, ricco di tutta la filosofia di Balzac, dramma avvincente e commovente.

  Giovanni Amendola, Etica e biografia di Giovanni Amendola, Milano, Studio Editoriale Lombardo, 1915.

  pp. 145 e 149. Balzac ha espresso una volta l’esitazione dei popoli carichi di storia dinanzi al Vangelo. “Est-ce notre faute à nous – dit Clousier – si Jesus-Christ n’a pas eu le temps de formuler un gouvernement d’après sa morale, comme l’ont fait Moïse et Confucius, les deux plus grands legislateurs (sic) humains: car les Juifs et les Chinois existent, les uns malgré leur isolément, en corps de nation?”[3]. E fra i popoli cristiani l’italiano è certamente quello che più ha sentito questa esitazione, perché più carico di storia, e quindi più saturo di attitudine politica. […].
  Non vi sono due leggi – una etica e l’altra politica – vigenti entrambi nell’interno del medesimo individuo; ma vi è una stessa legge che solo sembra diversa se l’applichiamo all’individuo o agl’individui. E perciò la domanda del personaggio di Balzac è fondata su di un errore: Cristo non aveva bisogno di proclamare due leggi, poiché in realtà ve n’è una sola.

  Diego Angeli, L’Opinione dell’America, in A Parigi durante la guerra. Nuove lettere parigine (gennaio a luglio 1915) di Diego Angeli, Milano, Fratelli Treves, Editori, 1915 («Quaderni della Guerra», n. 34), pp. 177-186.

  pp. 177-178. […] questo popolo [i Francesi] che è un così acuto osservatore della vita e della società e che ha dato al mondo Molière e Onorato Balzac, non ha la facoltà di capire la psicologia più o meno complessa dei popoli che lo circondano.


  Luigi de Anna, Abrégé de l’histoire de la littérature française depuis ses origines jusqu’à nos jours, in L.[uigi] de Anna, A.[ldo] Sorani, Moisson dorée. Pages choisies des meilleurs auteurs français du XVIIe au XXe siècle avec notes et notices précédées d’un abrégé de l’histoire de la littérature française à l’usage des lycées-gymnases modernes et des instituts techniques, Florence, R. Bemporad & Fils – Éditeurs, 1915, pp. 1-67.

  p. 58. H. de Balzac (1799-1850) est le grand maître du roman réaliste. Il a composé plusieurs volumes, réunis plus tard sous le nom de Comédie Humaine, monument impérissable que l’humanité ne perdra plus de vue. Il est l’évocateur le plus fécond et le plus profond, le plus extraordinaire créateur d’âmes et de types qui ait jamais paru ; nul n’a excellé plus que lui à expliquer tout d’abord ses personnages par une peinture minutieuse du milieu dans lequel ils vivent, de leurs habitudes, de leurs attitudes. Son style manque de grâce et de finesse; mais son observation est d’une force et d’une pénétration exceptionnelles. En dépit de beaucoup de fatras, l’œuvre de Balzac a survécu. Elle montre bien comment le romantisme, par goût de l’exception, a été amené à observer la réalité, mais de préférence la réalité brutale.
  p. 63. P. Bourget (né en 1852) est le maître actuel du roman psychologique […]. Il se documente beaucoup, il aime comme Balzac mêler des réflexions à son récit, expliquer ses personnages, et les secrets ressorts de leurs actes, interrompre même le récit par l’exposé d’une théorie.

  p. 279.

H. de Balzac.

(1799-1850).

  Honoré de Balzac, né à Tours le 20 mai 1799, commença ses études au collège de Vendôme et les acheva à Paris, où il devint bientôt clerc de notaire. Puis il s’associa avec un imprimeur, mais il fit de mauvaises affaires, qui ne servirent qu’à l’endetter davantage. Il se jeta alors dans le travail littéraire et publia divers romans sous des pseudonymes de 1822 à 1825, qu’il proscrivit plus tard de ses œuvres complètes. En 1829 il donna la première œuvre de son admirable Comédie humaine, qui le plaça à la tête des plus grands romanciers du XIXe siècle. Dès lors il ne cessa plus de travailler, même quinze heures par jour, ne se soutenant qu’à force de café, et toujours harcelé par le besoin d’argent. Il épousa, presque à la fin de sa vie, la contesse (sic) Hanska, avec qui il avait entretenu une correspondance passionnée de quinze ans, mais il mourut peu de temps après, le 20 (sic) août 1850, foudroyé par l’apoplexie, se débattant encore contre ses créanciers. Les Œuvres de Balzac se composent essentiellement de ses romans, dont la réunion forme la Comédie humaine. Elle contient : Scènes de la vie privée [le Colonel Chabert (1832); le Père Goriot (1835) ; la Femme de trente ans (1842), etc.] – Scènes de la vie de province [le Curé de Tours (1832); Eugénie Grandet (1833); le Lys dans la Vallée (1835); la Vieille fille (1836); Pierrette (1840); Un menage (sic) de garçon (1842), etc.] – Scènes de la vie parisienne [Histoire des treize (1833); Le Cousin Pons (1846); La Cousine Bette (1847), etc.] – Scènes de la vie militaire [Les Chouans (1827-1829), etc.] – Scènes de la vie de campagne [Le Médecin de campagne (1833); Le Curé du village (1839); Les Paysans (1845), etc.] – Scènes de la vie politique [Une ténébreuse affaire (1841); Le Député d’Arcis (1847), etc.] – Études philosophiques [Peau de chagrin (sic) (1831); La Recherche de l’absolu (1834).] – Études analytiques [La Physiologie du mariage (1829), etc.] – Il y faut ajouter son Théâtre comprenant: Vautrin (1840); les Ressources de Quinola (1842); Paméla Giraud (1843) et la Marâtre (1848); les Contes drolatiques (1832-1837) et enfin sa Correspondance p. en 1876, 2 vol.

  Une bonne édition des Œuvres complètes de Balzac a été p. p. Calmann-Lévy, Paris 1885-1886, 24 vol. (Com. hum. 17 vol.; Théâtre, 1 vol.; Contes drol., 1 vol.; Oeuv. diverses inéd., 4 vol.; Corresp., 1 vol.). Voy.: Brunetière, Honoré de Balzac, Paris, 1906; M. F. Sandars, Honoré de Balzac, London, 1914.

  Segue, alle pp. 279-285, un Extrait du Cousin Pons, chap. XXI intitolato: Oiseaux de proie [segnalato supra].



  R. B., Varia. Lo stimolo genitale, «Il Policlinico. Sezione pratica», Roma, Anno XXII, Fasc. 8, 21 febbraio 1915, p. 274.

  Nel Bulletin Médical (11 luglio 1914) il dott. Chep pone il quesito se sia un pervertimento morale la consuetudine di certe nutrici di maneggiare gli organi sessuali dei bambini loro affidati. […].
  Lo stesso Balzac, uno degli ingegni più potenti e più fecondi che l’umanità abbia posseduto, ha fatto uso di questa eccitazione speciale, sia pure con prudenza: ecco ciò che Ed. de Goncourt ha scritto a tale riguardo: «Paolo Lacroix mi conferma la notizia confidenziale che Gavarni mi aveva data sull'economia che Balzac portava nell’amore fisico. Per lo più egli non ne traeva che un’eccitazione discreta, misurata, si limitava ad un giuoco à la petite oie, considerando l’emissione del seme quale una vera perdita di sostanza cerebrale. È così che, in occasione di usa maledetta mattinata, in cui egli aveva dimenticato le sue teorie, giunse presso Latouche gridando: «ho perduto un libro, questa mattina»!

  
  V. B., La Cronaca dei libri. Minimi di cultura, «Corriere della Sera», Milano, Anno 40, Num. 96, 7 Aprile 1915, p. 4.

  L’A., passando in rassegna alcuni testi pubblicati nella collana «Minimi di cultura» dell’editore Quintieri, cita anche il saggio che Giacomo di Belsito dedica a Balzac: Per conoscere Balzac; egli osserva che lo studio in questione è «una buona guida, scritta da Giacomo di Belsito, alla lettura e alla conoscenza dell’opera balzacchiana».

 

 

  A. B.[acciarello], Letterature straniere. Letteratura francese. E. Faguet. — Balzac. Parigi, Hachette, 1913, 16°, pp. 201 (Collezione «Les grands écrivains français»), «Il Conciliatore (La “Cultura” di R. Bonghi)», Torino, Fratelli Bocca – Editori, Anno I, Fascicolo 3°-4°, 12 Gennaio 1915, pp. 462-463.


  Il Faguet à compilato il volumetto della collezione per ripetere con dolce prolissità alcune idee che ci aveva già elargite nel suo XIX siècle e in molti articoli. Come è sua abitudine, non si è valso, almeno visibilmente, di altri contributi critici, pago di aver molto letto il suo eroe, di averne parlato moltissimo e di poterlo quindi trattare come una sua vecchia conoscenza.

  Il primo merito che scopre nello scrittore è la sua esuberanza, cioè un’abbondanza e una facilità per cui egli sente una ben comprensibile simpatia. Sopra tutto in questo senso Balzac gli appare una forza della natura, capace di elevare tanta mole di romanzi e di staccare sulla desolante squallidità di uno stile borghese e di una composizione puerile e senza gusto, figure di consistenza epica. Balzac si scatenò, nella sua larga prosa facile ed enorme, indulgendo ad ogni sorta di basso romanticismo e, già allora, di basso realismo. A Flaubert toccò il compito di mondare e di armonizzare con squisita finezza la visione caotica. Ma una materia animata inesauribile è già nelle figure fantastiche e rigogliosamente vive che circolano e formicolano nell’opera colossale di Balzac.

  Con Zola e Bourget, il Faguet vorrebbe chiudere la scuola del suo romanziere, intravedendo, in A. France e in altri, nuove tendenze meno moraleggianti. A proposito delle quali tendenze fa notare a più riprese quanta originalità e quanta forza d’ingegno fossero necessarie al robusto conservatore che fu Balzac, perché riuscisse a prendere così netta posizione contro la violenta corrente del secolo.

  Tutto questo però enunciato senz’ordine e in capitoli amorfi e senilmente diffusi e dimessi, che rivelano la fibra stanca e ormai anche pigra del celebre critico.



  Raffaello Barbiera, Luigi Capuana e la scuola naturalista italiana, «L’Illustrazione Italiana», Milano, Anno XLII, N. 49, 5 Dicembre 1915, pp. 479-480.


  p. 479. Nessuna meraviglia se, dato quel temperamento atavico, Luigi Capuana si sia sacrato con fede all'arte obbiettiva, a quella scuola così detta del naturalismo che vanta per suoi capi Stendhal, Balzac, Flaubert, Zola. […].

  Il Balzac non operava certo come lo Zola. Quel genio faceva e rifaceva i suoi romanzi e le sue novelle, e correggeva e ricorreggeva le bozze di stampa in modo che parevano arruffate selve druidiche di pentimenti, di cassature, e talvolta, nel correggere, avveniva che il portentoso mago creasse di nuovo e sovrapponesse creazione a creazione: ma Balzac ... era Balzac e non ave­va bisogno di accumulare nel magazzino i ma­teriali del tempio.



  G. A. Borgese, Studi di letterature moderne di G. A. Borgese, Milano, Fratelli Treves, Editori, 1915.


Il ritorno di Oriani, pp. 63-71.

  p. 71. Cfr. 1913.


Paul Claudel, pp. 145-155.

  [Su: L’Otage].

  p. 151. Ne sono nate alcune personificazioni vigorose, come quella di Turelure che ricorda quasi i giganti balzacchiani di Ménage de garçon o della Ténébreuse affaire […].


“Crotcaia” di Dostoievski, pp. 362-370.

  p. 367. Cfr. 1913.


  V.[incenzo] B.[randi] Scognamiglio, Donne di Balzac. Massimilla Doni, «Pluralia. Rivista Letteraria-Artistica-Scientifica-Teatrale», Pisa, Anno VI, N. 6, 15 Luglio 1915, pp. 344-350.


  Questo studio che Vincenzo Brandi Scognamiglio dedica ad alcune delle figure femminili più significative della Comédie humaine non è altro che la riproduzione di un precedente articolo pubblicato, a firma A. d’Aurora, ne La Scena Illustrata del 1° febbraio 1902.

Quand on aime, tout arrive à l’amour.[4]

  Quante ne amò, e come le amò, questo singolarissimo pittore di ambienti e di anime? Nella sua esistenza eccessiva, avvolta in un mistero che neppure il tempo ha rivelato, queste donne non lasciarono l’eco del loro nome; soltanto M.me Hanska fu l’Eletta, la Benamata. Pure, attorno a lei, nell’ombra, ognuna delle altre impresse un solco nella vita di Balzac. Esse furono tante, senza dubbio; e furono, all’occhio avido di lui, la rivelazione dell’anima femminile in ogni suo aspetto. Patrizie austere e facili donnine, parigine squisite e rozze provinciali; donne che amarono e odiarono, che caddero e furono altere del loro peccato; donne che espiarono, o morirono rassegnate all’inutile sacrificio – tutte egli comprese e mirabilmente dipinse. Nel rapido volgere di ogni amore egli colse una gemma: le più alte rifulsero, ma tutte rivissero nell’opera gigantesca ed umana; solitario e misterioso, combattuto dalla miseria e dall’invidia – dal suo nido regale e segreto – egli guardò con occhi di veggente la folla e la vita. Con quale potenza denudò l’abbiezione, e di quale aureola abbellì la virtù! La lunga schiera è innumerevole; sono figure alte e complesse, sono fragili creature lucenti, sono immagini fuggevoli; ma vivono tutte, ed hanno sangue e muscoli, spirito e intelletto. Come tra stelle risplendono – belle del loro così diverso amore – Blanche Henriette de Mortsauf, Eugénie Grandet e Joséphine Claës: e pure nella fusione di tutti i vizii, nella evoluzione delle forze della corruttela latente – con pennello inarrivabile, Balzac trascina, esalta, conquista.

  Quanti quadri graziosi, in Véronique [Le Curé de village]! Un paesaggio umile e comune: non volgare. Sul fondo delle ferramenta e dei serrami, la figura gentile della protagonista si distacca con verità commovente come un’ombra pallida uguale e felice per provare tutte le angoscie cui induce l’acquisto della scienza della vita; la luce dell’intelletto per perdersi là dove è racchiusa la pietosa salvezza. Come un fiore sbocciato nella solitudine, sotto i rami protettori degli antichi alberi vigorosi, che il sole brucia e l’aria aperta uccide.

  Giù, nel fango della via, ridono gli occhi splendidi della Torpille. Carlo Herrera vuole risvegliare in lei, coll’amore, i più nobili sentimenti: la fede, la virtù, l’onestà. Non si può seguirne, senza rabbrividire, i primi passi misteriosi e frivoli, né, senza intenerirsi, lo svolgersi dell’anima, abbellita dalla rinunzia nella stessa violenza della passione. Ella sembra risorta, finalmente! «La fille de joie» è veramente morta, e di lei non rimane che l’involucro grazioso ov’è chiusa l’anima più semplice e più nuova della terra. Ma è così davvero? o volle, Balzac, mostrarci che l’educazione, l’istruzione, il cambiamento assoluto di vita non possono nulla sopra una giovinetta che già s’è affermata in abitudini del tutto diverse? A diciott’anni, quando l’istinto ha prevalso, alla prima occasione prevarrà ancora. Certe consuetudini s’infiltrano nel sangue, nel cervello, nella più intima essenza della natura umana: l’amore o il dolore, o qualsiasi circostanza possono dominare l’inclinazione per qualche tempo, ma, ad un tratto, una voce del passato, un profumo, uno sguardo ripiombano nel nulla l’opera preziosa e difficile: una specie di ebbrezza assale e riprende per sempre la creatura; il sacrificio è perduto. Cioè, no: qualche cosa rimane, ma qualche cosa che rischiara in guisa strana le potenze confuse e approfondisce la conoscenza della psiche umana. La redenta soffrirà di più, se è buona e se è tra i vinti; se depravata e cattiva se ne gioverà per fare il male con arte sottile, senza pietà, se vittoriosa.

  Dilegua, dai saloni dorati del Faubourg St. Germain, la contessa di Beauséant, nobilmente, senza rumore, colla dignità d’una regina, col segreto di un’innamorata. Sorride Delphine, monella, affascinante, buona e semplice in fondo, ma spesso crudele come Anastasia De Restaud per il vecchio padre eroico e devoto; stella della società mondana che vive di sotterfugi, d’intrighi, di menzogne, Louise de Bargeton, la volubile; Agathe Bridau, debole e mirabile di abnegazione nella lotta quotidiana fra la rovina e l’avvenire dei figliuoli; M.lle de Verneuil, del Dernier Chouan, l’amante profondamente umana di Montéran (sic; lege: Montauran). Montéran e la Verneuil si amano: tra le lotte fratricide che dividono la Francia, in mezzo alle grida di morte e di odio – avversarii giganti – di cui l’uno ha sull’altro il prezzo della testa – si curvano l’uno verso l’altro, a ricercarsi, lividi di terrore e di dubbio, pallidi d’amore, a qualunque costo, sino alla morte – decretata da Maria all’dorato in un momento di gelosia pazza – rivendicata – troppo tardi – vestendosi delle sue vesti e cadendo esangue al suo fianco. Fantastiche e rapide si seguono le scene drammatiche e varie, si alternano le gioie e gli schianti della passione fatale, onde due anime ardenti, vincolate a partiti avversi da uno strano destino contrario, si lasciano scivolare sino in fondo all’abisso, disperatamente, fra eroismi e fra infamie senza eguale.

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  V.[incenzo] B.[randi] Scognamiglio, Donne di Balzac. Massimilla Doni, «La Provincia di Pisa», Pisa, Anno LI, Num. 37, 16 Settembre 1915, p. 2; Num. 38, 23 Settembre 1915, p. 2; Num. 40, 7 Settembre 1915, p. 2.


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  È riprodotto l’articolo di Vincenzo Brandi Scognamiglio pubblicato nella rivista «Pluralia» di Pisa il 15 luglio 1915. Cfr. scheda precedente.

  A.[ugusto] Brunacci, Balzac (Onorato), in Dizionario generale di cultura, tenuto a giorno dall'autore. Mitologia-biografia (anche di personaggi viventi) storia-geografia-letteratura-belle arti-bibliografia-varietà-locuzioni latine, straniere e dialettali più in uso nella conversazione-supplemento. Edizione rifusa notevolmente accresciuta e arricchita di 1700 incisioni e 37 cartine in nero e a colori, fuori testo, Torino, Libreria Editrice Internazionale, 1915 [1913], p. 139.

  Balzac (Onorato), di Tours, celebre romanziere francese, autore della Comédie humaine, triplice serie di romanzi con tendenze veristiche (1799 † 1850). Osservatore arguto e descrittore efficace, nei suoi romanzi intese di presentare un quadro completo della società francese. Il suo miglior lavoro è Le roman d’Eugénie Grandet (sic).

  Raffaele Calzini, Venezia grigio-verde, «La Lettura. Rivista mensile del Corriere della Sera», Milano, Anno XV, N. 8, 1° Agosto 1915, pp. 725-730.

  p. 729. I Musei, Le Accademie, le Scuole, le Basiliche, il Fondaco dei Turchi son spoglie vacue, simili a templi sconsacrati, somigliano le nude camere della casa di Balzac sulle cui pareti disadorne l’immaginoso autore scriveva col fusain: «Qui un quadro del Murillo; qui una pala di Raffaello; una tavola di Dürer!».


  Francesco Cazzamini Mussi, Amore o quasi, Milano, Casa Editrice Baldini & Castoldi, 1915.

Consigli al successore giovine, pp. 119-133.

  pp. 125-126. Pensa, pensa, Armando, che quella che noi chiamiamo comunione perfetta non esiste quasi mai e che il dissidio fra senso ed anima è, secondo almeno i filosofi, i psicologi e le femministe antifemministe, quasi sempre insanabile.
  Vorrei citarti Balzac. Ma Balzac è pericoloso. Apro la Fisiologia del matrimonio e leggo: «Il faut toujours un temps de libertinage ou dans un état ou dans l’autre: c’est un mauvais levain qui fermente tôt ou tard». Non te l’ho detto che è pericoloso il Balzac pedagogista e filosofo? Ma ammira, ti prego, il mio disinteresse. Dopo le parole del Nietzsche, del Péladan, della signora Kellen Key, quelle di Balzac sono come la risata sana d’un uomo che guarda la vita con le mani nelle tasche dei pantaloni. «Un temps de libertinage ...» L’ideale è abolito. Che te ne pare? Te la senti d’abolir l’ideale? Te la senti di chiamar «libertinage» il tuo nuovo periodo amoroso?
  Io no. Io, benché scettico, dò retta agli altri, a quelli che si sono divertiti a metter vicino le due parole che sembran tanto lontane fra loro: piacere-dolore ...
  Povero Armando, ti secchi, è vero? Hai ragione: la mia lettera è sconclusionata. Ma tu sai che io ho il vizio di scrivere come parlo. Se ti parlassi in questo momento (e mi sarebbe più facile e più simpatico, ma tu non mi lasceresti dire) parlerei così. (Solo non ti avrei citato quei tre signori e quella signora per non parerti un conferenziere).
  Dunque, che si diceva? Ah, Balzac! Lasciamo andare Balzac: ci ricorderemo di lui quando consiglieremo a una signorina di leggere Il giglio nella valle. Parliamo di me, di te e della signora C. F. (Carla Freschi, se permetti ...)
  Dunque tu sei l’amante di questa signora, la quale è (ti prego di non pensare che Gigi Melli e il tenente Dalvotti possano essere due perle di padrini), la quale è la mia amante.
  Sono molto calmo e ti voglio bene. E preferisco parlarti francamente.

La diagnosi, pp. 297-312.

  pp. 297-298. Raimondo Raimali non aveva mai letto, con l’invidiabile prudenza di chi non vuol lambiccarsi il cervello con tormentosi quesiti, la Fisiologia del matrimonio del Balzac. Alle mille ragioni che alcuni amici gli mettevan sotto gli occhi per spingerlo ad una risoluzione eroica, egli avrebbe potuto anteporre le mille e una che lo persuadessero del contrario. Bisognava prendere moglie.

  Emilio Cecchi, Storia della letteratura inglese nel secolo XIX : Volume primo, Milano, Fratelli Treves, Editori, 1915.

  Quest’opera è stata ripubblicata, riveduta e corretta, nel 1961 dall’editore Sansoni con il titolo di: I grandi romantici inglesi (Firenze, G. C. Sansoni Editore), ed è da quest’ultima edizione che riportiamo le citazioni riguardanti Balzac.


Miss Austen e Walter Scott, pp. 159-182.

  p. 163. Poche o punte figurazioni d’ambienti, di personaggi: gli occhi eran così, la fronte cosà, la statura di tanti pollici, la pelle del tal colore. Posson prestarsi a buoni esercizî? Ma in arte vera ingombrano o lasciano il tempo che trovano. Balzac prendeva a descrivere lo sgabuzzino del portinaio all’ingresso d’un suo gran romanzo, tanto per riscaldarsi, montarsi, come il Taine mostrò benissimo, fissare sur un punto qualunque la sua attenzione perché si metteva a scrivere spesso completamente al buio di quel che avrebbe scritto. Da cosa nasce cosa. E guardate Tolstoi. A malgrado della preoccupazione etica, a malgrado dell’intenzione prevalente, quante volte si svagava come un pittore in campagna che avvita le gambe al cavalletto e piglia l’appunto d’una figurina, d’una piccola veduta. […]
  Miss Austen non è né un Balzac, né un Tolstoi, ma evita queste miserie. Illustra il personaggio dal suo esatto angolo visivo […].
  p. 165. E quando poi osservano che Balzac è stato il primo a metter come molla nel romanzo il denaro, bisogna dire che è vero, egli ha trattato in grande la sete del guadagno, l’arrivismo traverso l’alta finanza, l’industria, il giornale; ma qui [in Northanger Abbey], intanto, senza trovarci fra principi, articolisti ricattatori e tra finanzieri, anzi con gente che giuoca a sbaraglino, babbi che voglion passare la vecchiaia senza seccature, mamme che combattono per collocar le figliuole, ecc., ecc., i quattrini delle doti, dei lasciti, giuocano lo stesso u giuoco serrato.
  p. 178. Del resto, lasciando da parte lo Scott, il romanzo storico durò una giornata in Inghilterra; in Francia poco più della necessaria preparazione del Balzac; in Italia si esaurì tutto intorno al Manzoni. […]
  p. 182. Consapevole di potersi riallacciare allo Scott come pittore di ambienti, neppure il Balzac, per quanto di manica larga, s’illuse sempre sui personaggi. […] Ma se portando il color locale nel romanzo e nella storia, lo Scott riuscì a qualcosa da cui si avvantaggiarono il Michelet e il Thierry […], e forse un po’ lo stesso Carlyle, il Balzac dagli «interni» arrivò alle anime, alle vite: trovò all’intuito ambientale vigorìa di scienza e dal rozzo dato di fatto, storico e vero, si sforzò alla scoperta interiore, giungendo a una visione della realtà nuova, coerente, ciclopica. Basta il confronto d’una pagina del Balzac con una dello Scott, a togliere il coraggio di qualunque più intimo richiamo! Che finezza di stile nel Balzac, sotto la contraria apparenza! Egli, certo, dimanda lettori scaltri ed inquieti, meno in cinque o sei romanzi a effettaccio. Bisogna calarsi all’interno delle sue frasi, esplorarle in ogni senso, percorrerne tutti i sottintesi; allora si vede pulsare nella sua magnifica acerbità il groviglio dal quale doveva nascere la vita moderna.

  G. Colò, S. Pellini, La littérature française à travers les siècles considérée dans ses rapports avec la littérature italienne, et contenant quelques assais (sic) des grands écrivains français, à l’usage des Lycées-Gymnases modernes, des Instituts techniques et militaires, Modène, Librairie Éditrice Internationale G. T. Vincenzi & Nipoti, 1915.

Le XIX.e siècle, pp. 206-211.

  p. 209. Honoré de Balzac marque le passage du romantisme au naturalisme […].

Honoré de Balzac (1799-1850), pp. 288-289.

  Un des romanciers les plus féconds du XIX siècle, romantique en lui-même, mais qui inaugura le réalisme au temps du romantisme, est Honoré de Balzac, né à Tours en 1799. Il publia dans l’espace d’une vingtaine d’années un grand nombre de romans, et de contes, dans lesquels il se montre profond observateur, peintre habile et vigoureux de la société, anatomiste de rare talent du cœur humain. Il voulut faire une espèce d’épopée en romans, et donna à son œuvre le nom de Comédie humaine, qu’il divisa en séries sous les titres de: Scènes de la vie privée; Scènes de la vie de province; Scènes de la vie parisienne; Scènes de la vie politique; Scènes de la vie militaire; Scènes de la vie de cam­pagne; Études philosophiques; Études analytiques sur la vie conjugale (sic).
Balzac abusa de son talent analytique et descriptif, et malheureusement il ne vit guère dans la société que le laid : sa morale est relâchée autant que sa plume est sensuelle, ce qui rend la lecture de ses ouvrages dangereuse pour le cœur et pour l’imagination. Seul le roman Eugène (sic) Grandet, délicieux tableau d’intérieur, fait exception.


  Benedetto Croce, Le leggi come prodotti dell’individuo, in Filosofia della pratica. Economica ed Etica. Seconda edizione riveduta dall’autore, Bari, Gius. Laterza & Figli, 1915, pp. 323-332.

  p. 331. […] così il diritto canonico e il codice militare, come quel droit parisien, che un cero personaggio del Balzac aveva studiato per tre anni nel salottino celeste di una signora e in quello rosso di un’altra, e che, quantunque nessuno ne parli mai, costituisce (diceva il gran romanziere) «une haute jurisprudence sociale, qui bien apprise et bien pratiquée, mène à tout» 1.

  1 Balzac, Le père Goriot (ed. Paris, Calman (sic) Lévy, 1891), p. 85.


  Lucio D’Ambra, L’Ombra della Gloria. Romanzo di Lucio D’Ambra. Appendice N. 2, «La Tribuna», Roma, Anno XXXIII, Num. 18, 18 Gennaio 1915, p. 8.

  Il primo libro su cui misi la mano fu quello che scelsi solo su la fede d’un titolo allettatore, poiché ero troppo ignorante per scegliere prima di aver letto. Era un romanzo, tradotto in italiano e illustrato con dei disegni di una ingenuità infantile: Modeste Mignon di Balzac. Avevo inteso nominare questo scrittore da mia madre quando parlavano di libri e di letture e sapevo che era un autore di storie interessanti, certo più vivaci e meno gravi dei periodi di Cicerone e di Tito Livio [...]. Immaginate ora un libro, un romanzo di Balzac, fra le mani di un giovinetto di dodici anni appena che non ha letto altro finora che testi latini, trattatelli scientifici ed elementari riassunti di storia. Chi non immagina quello che io provai nelle ore febbrili di quella lettura, quello che io sentii d’innanzi all’amore romanzesco e fantasioso di Modeste Mignon per il lontano poeta parigino i cui versi le sono piaciuti e del quale ha veduto il ritratto in una stampa esposta nella vetrina d’un libraio, quello che io esaltai nella mia fantasia adolescente leggendo le glorie e i fasti del poeta Canalis, amante e protetto di un’illustre duchessa, celebre così nei salotti come nelle redazioni dei giornali, nei salotti o nei caffè? Oh, quanto mi appassionai in quelle ore ardenti ed incomparabili per l’amore silenzioso e mascherato di La Brière, il giovane segretario di Canalis, per Modeste Mignon! Oh, quel loro primo incontro nella chiesa dell’Havre, quando La Brière non riconosce Modeste nella folla delle penitenti vestite in nero, mentre questa crede che quel bel giovane – ch’entra nella chiesa e ne fa il giro, vestito col pantalone nero e gli scarpini accuratamente lucidi, col panciotto color zolfo che faceva scorgere una camicia estremamente fine abbottonata con degli opali, con una cravatta nera e una piccola redingote blu adorna d’una piccola rosa bianca all’occhiello, con dei graziosi guanti di capretto e con in mano il cappello e un leggero bastone in un gesto elegante alla Luigi quattordici – sia appunto Canalis, Canalis il grande poeta e il gran signore, il dolce semidio per le belle dame del sobborgo San Germano, Canalis il grande poeta romantico caro al re Carlo X. Se io oggi rileggo Modeste Mignon, quello che maggiormente mi interessa nel romanzo di Balzac è lo studio ch’ei compie in Canalis di un misterioso problema di psicologia: quello dei rapporti fra l’espressione e l’impressione, uno dei più interessanti e significativi problemi della sensibilità intellettuale. Oggi Canalis m’interessa unicamente per il singolare sdoppiamento della sua personalità in quella dell’artista e in quella dell’uomo, ben differenti ed opposte fra loro, in modo che il poeta esprime a meraviglia nei suoi versi appassionati e dolorosi quello che l’uomo non ha mai sentito; e questo mediante un divorzio totale, anzi una assoluta contraddizione fra l’uomo che scrive e l’uomo che agisce, fra il cervello che compone e il cuore che sente: mirabile problema che da Diderot a Balzac, a Goethe e a Bourget ha interessato tanti scrittori e tanti psicologi senza che si sia ancora potuto determinare se esistono negli artisti due sensibilità divise, anzi opposte, una delle quali può vivere senza aver bisogno dell’altra: una sensibilità reale ed una sensibilità immaginativa. Ma allora Canalis mi prese e mi afferrò per la sua aria fatale di grande poeta romantico, ancor più dolce e sentimentale di Lamartine, il grande poeta in cui le donne vedono l’amico che loro manca, il confidente discreto, il loro interprete, un essere privilegiato, che le comprende, che legge fino in fondo ai loro cuori, che può spiegar loro i misteri complicati e sottili, tutti i «crudeli enigmi» delle anime femminili. Mi sedusse in lui l’imagine del grand’uomo, celebre e ricco, giovane e seducente, poeta e gentiluomo, ricevuto alla Corte e festeggiato nei più severi salotti. Ma una pagina sopra tutte mi colpì in Modeste Mignon: quella in cui la singolare giovinetta sogna di render ricco e felice un Tasso, un Milton, un Gian Giacomo Rousseau, un Murat, un Cristoforo Colombo, e compone i balsami e inventa le ricerche, le musiche, i mille mezzi grazie ai quali avrebbe potuto calmare la feroce misantropia di Gian Giacomo e suppone di essere la moglie di lord Byron indovinandone il disdegno della realtà fino a farsi fantastica come la poesia del Manfredi e rimprovera a tutte le donne del secolo XVII la melanconia di Molière. Fu quel giorno e dopo la lettura di quelle pagine che nacque in me il primo desiderio d’essere un poeta o un grande romanziere, capace d’ispirare così ardenti e sovrumane passioni, un poeta come Canalis o un romanziere come Balzac. Da quel giorno cominciai a divorare uno a uno quasi tutti i libri della biblioteca. Dapprima il romanzo di Balzac mi servì da guida e cominciai infatti a leggere i libri e gli autori ch’egli citava nelle sue pagine. Poi un libro ne richiamò un altro e così via di seguito.

  Lucio D’Ambra, Rassegna drammatica. Paul Hervieu – Edoardo Ferravilla, «Nuova Antologia di Lettere, Scienze ed Arti», Roma, Direzione della «Nuova Antologia», Quinta Serie, Volume CLXXX – Della Raccolta CCLXIV, Fascicolo 1051, 1° novembre 1915, pp. 117-129.

  [Su Paul Hervieu].

  p. 118. A questa prima influenza [quella degli scrittori francesi del XVIII secolo] si aggiunse quella di un grande umorista inglese, di quel Lorenzo Sterne così caro al Balzac che lo citava con fervore quasi in ogni libro della Comédie Humaine.

  Gustavo Del Vecchio, Teoria positiva dell’interesse: Cenni di una trattazione sociologica ed applicazioni, in Lineamenti generali della teoria dell’interesse, Roma, Athenaeum, 1915 («Studi di economia, finanza e statistica editi dal “Giornale degli Economisti e Rivista di Statistica”), pp. 56-97.

  p. 60 e nota (1). In quei ceti [i ceti superiori] si accumulano i milioni per soddisfare delle ambizioni, che il moralista non esita a qualificare meschine, e se ne distruggono altri per soddisfare vanità non superiori. I romanzi specialmente francesi sono pieni al contrario di documenti umani (1) di primissimo ordine intorno a questi fatti.

  (1) In prima linea quelli immortali del Balzac e dello Zola e di altri grandi scrittori.

  Giacomo Di Belsito, Per conoscere Balzac, Milano, Dott. Riccardo Quintieri – Editore, 1915 («Minimi di cultura. Collezione Quintieri», N. 4), pp. 45.


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  Edipi, A proposito del “Mosè” (Ricordi e fantasie), «Rivista dei Teatri», Milano, Anno II, N. 11, 20 Maggio 1915, pp. 13-14.

  Sotto l’abile direzione di Pietro Mascagni, il quale — secondo il mio modesto parere — in questo momento, è, non forse il più com­pleto, ma certo il più potente «operista» del mondo, fu rappresentato — or non è molto — al Quirino di Roma, il Mosé, di Giovacchino Rossini.
  Erano molti anni, che non veniva ridato in Italia il meraviglioso «oratorio» del grande pesarese — e mi fa meraviglia, che nessuno abbia pensato a ripetere, o a riassumere quanto per esso scrisse uno dei più profondi e colti ingegni della letteratura mondiale: Balzac!
  Nel suo romanzo Massimilla Doni, la bella fiorentina, moglie del fedifrago, opulente e musicomane duca Cataneo, H. De Balzac scioglie un vero inno alle meraviglie del Mosè — e questo per bocca della duchessa Cataneo, ini­ziata dal marito a comprenderle e a rivelarle. Comincia a far notare la potenza dei tre ac­cordi in do maggiore, coi quali comincia l’opera — descrive l'introduzione, che ha per soggetto la terribile elegia di un popolo colpito dalla mano di Dio: un gemito agghiacciante.
  «Cher Rossini — dice — tu as bien fait de jeter cet os à rouger (sic) aux Tedeschi qui nous refusaient le don de l’harmonie et la Science!» E dimostra la semplicità con la quale l’A. seppe raggiungere i più grandi effetti, in rapporto al sentimento degli attori e all’ambiente.
  Una volta trovata la frase capitale, Rossini l’a promenée de tonalités, en tonalités, en groupant les masses et ses personnages sur ce motif par des modulations et par des cadences d’une admirable souplesse. Sulla guida dello Strunz il Balzac descrive musicalmente tutta l’opera, ri­velandone con ammirabile tecnica le peregrine bellezze; e, come Rossini abbia saputo afferrare l’anima dell’ascoltatore passando dal do minore al sol minore, riprendendo il do, per ritornare alla dominante il sol, riprendendo in fortissimo sulla tonica mi bemolle, e arrivare al fa maggiore e ritornare al do minore, fino — poi — all’esplosione di tutti i dolori, con la frase:

O nume d'Isräel!
Se brami in libertà
Il popol suo fedel,
Di lui, di noi pietà.


  Tutta l’opera è descritta – lo ripeto — minutamente, e per darne un’idea, basterà ch'io ripeta le parole di Balzac, relative allo spuntar del sole nel Mosè — all’inno del sole rossiniano.
  «La luce è una sola e stessa sostanza, ovun­que simile a se medesima, e i cui effetti non sono variati che dagli oggetti che incontra – Ebbene, il mu­sicista prese per base della sua musica un unico motivo, un semplice accordo in do. Il sole appare e versa i suoi raggi sulle cime, poi di là nelle valli — allo stesso modo l’accordo si inizia sulla prima corda dei pri­mi violini con una dolcezza bo­reale, e si spande in tutta l’or­chestra, vi anima, a uno a uno gl’istrumenti — e vi si spiega.
  Come la luce si va colorando dappresso gli oggetti, l’A. ri­sveglia ogni sorgente di armo­nia fino a che tutte splendono nell’insieme. I violini, che non ­si erano peranco intesi, hanno dato il segnale col loro dolce tremolo, vagamente agitato come le prime onde luminose. Questo grazioso e gaio movimento qua­si luminoso che vi accarezza l’a­nima, l’abile musicista l’ha unito con accordi di bassi, e una fan­fara indecisa di corni, contenuti nelle loro note più cupe, allo scopo di rappresentare le ultime ombre fresche, che tengono an­cora in signoria le valli, men­tre i primi fuochi giocano su le cime.
«Puis les instruments à vent s’y son méles (sic) doucement en renforçant l’accord général. Les voix s’y sont unies par des soupirs d’allégresse et d’étonnement. Enfin les cuivres ont résonné brillamment, les trompettes ont éclaté! La lumière, source d’harmonie, a inondé la nature, toutes les richesses musicales se sont alors étalées avec une violence, avec un éclat pareils à ceux des rayons du soleil oriental. Il n’y a pas jusqu’au triangle dont l’ut répété ne vous ait rappelé le chant des oiseaux au matin par ses accent aigu (sic) et ses agaceries lutines».
  Sempre la stessa tonalità — Ecco il segreto del grande maestro: l’unità! Una cosa sola e variata – Una sola frase e mille sentimenti – un solo accordo, e tutte le espressioni della natura al suo risveglio, e tutta la gioia di un popolo.
  Quale critico saprebbe ora dare una così esatta idea di una musica sublime, con uno studio al­trettanto tecnico, e un sentimento così vasto?
  Nell’occasione della solenne resurrezione del Mosè ho creduto non inutile ricordare la «critica» dell’Autore del Mercadet, tanto più ­che dal ... generalissimo Joffre all’infuori, pare che ora nessuno studi più il Balzac!
  Massimilla Doni, fu pubblicata dal Meline, di Bruxelles, nel 1839 [!], con Une fìlle d'Ève, dedicata dal grande Balzac nel febbraio di quell’anno a una illustre dama di Milano, la Contessa Bolognini nata Vimercate; dalla quale l'A. era stato ospite.
  Lo ricordo con sommo piacere, in omaggio all'illustre casa ospitale dell’ospitalissima città.

  Eucrinos, Nostre Corrispondenze. Dalla Sicilia, «La Vita cinematografica. Settimanale internazionale illustrata», Torino, Anno VI, N. 9, 7 Marzo 1915, p. 76.

Catania, 24 febbraio.

  Cinema Olympia. […] Le programmazioni «Pathé» si sono succedute regolarmente con: Il tranello, Supremo sentimento, Marinetta e l’eredità di Orsola, che effettivamente aveva troppa rassomiglianza col lavoro di Balzac, da cui fu tratto.


  Gilotti Micheggi, Il Giuoco dei bussolotti ovvero Tuca cal’ava tuca can l’ho pu. Veduto attraverso la grande cronaca (Romanzo semiserio), «Gagliaudo. Settimanale umoristico», Alessandria, Anno I, N. 7, 7 Febbraio 1915, pp. 2-3.

  p. 2. [Il giovane avvocato] Parte per Parigi. Un viaggio nella patria dove Balzac, Sue, Ponson du Terrail, hanno trovato e creato tante sinistre figure, tanti drammi passionali, era, necessario. Non si è grandi penalisti se non si conosce Voutrin (sic) e il «Maestro».


  Giulietta, Vespe e zanzare. Il solletico, «Il Buon Senso. Organo democratico cristiano quindicinale», Barletta, Anno XIV, Num. 9, 1° Maggio 1915, p. 2.

  Se l’avesse saputo che non erano i soli commercianti (eccezioni a parte) a pensarla così, ma che ci sono an­che persone illustri, se ne sarebbe forse anche gloriato. Se avesse saputo, per esempio, che Balzac diceva: «La im­moralità è tale quando coloro che la compiono sono ancora in pochi: essa è come un privilegio; quando si generalizza, cessa di essere la immoralità, e la voce della coscienza non vale un cavolo», avrebbe potuto prendersela a letterato.

  Dino Mantovani, Pagine d’arte e di vita raccolte a cura di Luigi Piccioni. Con un profilo dettato da Enrico Bettazzi, Torino, S.T.E.N. Società Tipografico-Editrice Nazionale, 1915.


Il retaggio del secolo, pp. 13-25.

  pp. 22 e 24. Cfr. 1900.


  Guido Mazzoni, Paolo Emilio Pavolini, Letterature straniere. Manuale comparativo di esempi con speciale riguardo alle genti ariane per cura di Guido Mazzoni e Paolo Emilio Pavolini, Firenze, G. Barbèra, Editore, 1915.

  Cfr. 1906.

  Achille Neri, Una lettera di Bianca Milesi Mojon. Estratto dalla Rivista Ligure di Scienze, Lettere ed Arti, Genova, Tipografia Carlini fu Gio. Batta, 1915, pp. 3-12.

  La lettera qui riprodotta è indirizzata da Bianca Milesi Mojon (Milano, 1790-Parigi, 1849) alla scrittrice tedesca Amalia Emma Sofia Weiss Schoppe ed è datata: Paris, 17 juillet 1835.
  p. 5. Je vous déclare mon manque total d’admiration pour les deux ecrivains (sic) à la mode, Jules Jannin (sic) et Balzac.

  Alfredo Oriani, La Vergine in Ombre di occaso, Bari, Gius. Laterza & Figli, 1915 («Opere di Alfredo Oriani», VII), pp. 169-178.

  p. 177. Le mezze-vergini di Marcel Prevost (sic) non erano che mezze figure dipinte vivacemente e duramente sopra un ventaglio. La facilità del suo trionfo parigino non basterà quindi a farlo credere un rivelatore della donna cinquant’anni dopo Balzac, il più gran genio dello scorso secolo, il solo uomo davanti al quale l’oscura anima femminile aprisse tutte le proprie fecondità.
  Meglio di ogni altro egli saprebbe oggi dirci il segreto di quelle fanciulle, che aspettano in agguato il marito o ne rianimano la stanchezza sensuale coll’acre sensazione della verginità.


  Arrigo Pozzi, Rassegna bibliografica. II. Carducci, Foscolo, Mistral e Balzac, «Vita e Pensiero. Rassegna italiana di coltura», Milano, Anno I, Fasc. 10, 30 maggio 1915, pp. 608-610.

  p. 610. Per conoscere Balzac Giacomo di Belsito ha scritto un opuscolo, che ha trovato ospitalità cortese e decorosa nei “Minimi di Coltura„ dell’editore Quintieri. Quarantaquattro pagine sono troppo poche per discorrere decentemente, se pur modestamente, di uno scrittore fecondo come l’autore della Comédie Humaine. L’opuscolo è riuscito a mala pena un indice. Il Di Belsito, che ha al suo attivo altri lavori, i quali, senza costituire alcun che di importante nei riguardi della sua attività letteraria, sono sempre una promessa per il futuro, deve evitare le opere che, come questa, hanno troppo il carattere di compilazione. Perché può fare di più; e non sarebbe giusto, nè opportuno dirgli bravo, quando è evidente che nessun sforzo egli ha fatto per poterselo meritare.

  P. Ilario Rinieri, Carteggio di Giuditta Sidoli con Giuseppe Mazzini e con Gino Capponi nell’anno 1835, «Il Risorgimento italiano. Nuova Serie pubblicata dalla Società Storica Subalpina», Torino, Fratelli Bocca, Anno VIII, 1915, pp. 97-161.

  p. 152, nota (1). È riportato il giudizio di Mazzini sull’attore Gustavo Modena contenuto in una lettera a Giuditta Sidoli del 2 marzo 1835: «Gustave est lancé – il m’écrit des lettres, en français, qui ressemblent à des mauvais chapitres de Balzac […]».[5]


 Vittorio Savorini, Ricordi vari dal 1857 al 1879, «Rivista Abruzzese di Scienze, Lettere ed Arti», Teramo, Anno XXX, Fascicolo X, Ottobre 1915, pp. 505-530.

 p. 528. «Al di là». Tanto nell’uno che nell’altro lavoro [Alfredo Oriani] si rivelava un seguace del Balzac, per il quale aveva un vero entusiasmo e lo fece amare anche a me.
     
  Silvio Serafini, La France littéraire contemporaine. Morceaux choisis des plus célèbres auteurs de nos jours précédés d’un essai historique et critique par Luigi Gerboni suivi d’un appendice sur la guerre italo-turque. Livre destiné aux Écoles secondaires et aux personnes cultivées. Orné de 74 portraits, Città di Castello, Casa Tipogr. Editrice S. Lapi; Milano-Roma-Napoli, Società Editrice D. Alighieri, 1915:

  Honoré de Balzac, pp. 336-339;
  Provisions arrachées [da Eugénie Grandet], pp. 339-343;
  La convoitise de l’argent sèche le coeur [idem], ivi;
  La fin d’un avare [idem], pp. 348-350;
  Le glenage [da Les Paysans], pp. 351-352;
  Un habillement étrange [da Le Cousin Pons], pp. 352-356;
  Le grand jeu [idem], pp. 356-359.

  Cfr. 1907.

  Simplicissimus, Del successo, «La Stampa», Torino, Anno XLIX, Num. 122, 4 Maggio 1915, p. 3.

  La giustizia, in arte, non è di questo mondo. Voi sapete come Balzac definiva la gloria: le soleil des morts.[6]


  Spectator, Corriere. […] È morto Jarro, «L’Illustrazione Italiana», Milano, Anno XLII, N. 8, 21 Febbraio 1915, pp. 156-157.

        p. 157. Balzac, mi pare, ha scritto che gli nomini frugali, i bevitori d’acqua, sono capaci di tutto: il caro, pantagruelico Jarro non fu capace che di gioia e di bene! ...


  Gaetano Tempestini, Belletristica italiana, «La Voce», Firenze, Anno VII, Num. 11, 15 Maggio 1915, pp. 699-714.

  p. 704. E giacchè siamo tra i vecchi restiamoci. Giovanni Verga era riuscito, molti anni fa, ad essere riguardato come un grane romanziere e l’unico rivale italiano di Balzac, di Zola e di Maupassant. Non possiamo negargli una certa attitudine alla novella, anche se lunga, ma la sua presente inazione e il suo inesplicabile silenzio non lo rendono meritevole di un posto cospicuo in questo discorso.


  Michele Viterbo, [Sulla morte di] Pietro Palumbo, «Archivio Pugliese del Risorgimento Italiano. Rivista Storica Trimestrale», Bari, Anno II, Fasc. II-III-IV, Aprile a tutto Dicembre 1915, pp. 198-200.

  p. 199. Preferì discorrere spiritualmente coi morti, indagarne il pensiero e descriverne l’opera, anziché acco­munarsi con tanti vivi, vanesii e prepotenti ... Balzac diceva che codesto è un mezzo mirabile per isfuggire ed amare ad un tempo la società umana.

  Annie Vivanti Chartres, L’Invasore. Dramma in tre atti, Milano, Dott. Riccardo Quintieri – Editore, 1915.

  p. 103.

Atto secondo.

  DELIO: E mi ha portato via tutti i miei romanzi francesi per prestarli a quelle donne. Anche il mio Balzac, edizione di lusso.



Adattamenti teatrali.

  Gabba la morte. Riduzione di Valentino Soldani. Compagnia Renzi-Gabrielli. Attori: Severino Renzi, Ferruccio Garavaglia, ecc. Stagione 1915-1916.






[1] Si tratta, presumibilmente, della versione italiana de L’Héritage d’Ursule, film diretto, nel 1915, da Daniel Riche, interpretato da Armand Bour e Sylvie (nel ruolo di Ursule) e prodotto da Pathé frères.

[2] Cfr. L. de Royaumont, Les récits de guerre dans Balzac, «Revue politique et littéraire. Revue Bleue», Paris, 53e année, 2e trimestre 1915, pp. 605-608 ; 633-636.

[3] Citazione tratta da: Le Curé de village.

[4] Citazione tratta da: Le Lys dans la vallée.

[5] Cfr. Raffaele de Cesare, La prima fortuna … cit., Vol. I, p. 164.

[6] Citazione (parziale) tratta da La Recherche de l’Absolu.

Marco Stupazzoni