lunedì 13 gennaio 2014


1883



Traduzioni.


  O. di Balzac, Fisiologia del matrimonio o meditazioni di filosofia eclettica sulla felicità e la infelicità coniugale di O. di Balzac, Milano, Edoardo Sonzogno, Editore, 1883 («Biblioteca Universale», NN° 64-65), pp. 268.
  Un volume in 16°.
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  La traduzione si fonda sul testo dell’edizione Furne del 1846 (vol. XVI), a cui si rifanno le successive edizioni Marescq, Houssiaux e Lévy, e ci pare complessivamente fedele e corretta. Alle pp. 3-4, è presente una breve nota editoriale (Balzac), il cui testo sarà trascritto in forma integrale nella sezione degli studî e dei riferimenti critici. Questa versione italiana della Physiologie du mariage ebbe un notevole successo e una rilevante diffusione presso i lettori italiani come testimoniano le oltre quaranta Biblioteche italiane che conservano il volume e la decina di ristampe di questa edizione tra il 1885 e il primo trentennio del Novecento.[1]

  O. de Balzac, Fisiologia del matrimonio ovvero meditazioni di filosofia eclettica sopra la felicità e infelicità coniugale. Riduzione dal francese di G. M. Volume unico, Roma, Edoardo Perino, Editore, 1883 («Biblioteca Perino»), pp. 261.[2]
  Un volume in 16°.

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  A differenza dell’edizione precedente, questa versione della Physiologie du mariage di Balzac risulta essere, come peraltro segnalato nel frontespizio, una riduzione dello studio analitico balzachiano: rilevanti sono, infatti, le soppressioni di intere sequenze testuali operate in modo del tutto arbitrario da questo misterioso compilatore [trattasi forse di Gallo Marcucci?] a partire dall’Introduzione. È il caso, ad esempio, della citazione tratta dal Supplément au Voyage de Bougainville di Diderot posta, come epigrafe, all’inizio della prima parte (e presente nell’edizione Sonzogno); oppure, della serie di Aphorismes posti da Balzac alla fine della Méditation II (Statistique conjugale), o degli sconvolgimenti testuali operati all’interno della Terza parte (De la guerre civile) per quel che riguarda la disposizione stessa delle singole meditazioni. In merito al testo francese di riferimento da cui procede questa traduzione, valgono, anche per questa edizione, le osservazioni precedentemente formulate per l’edizione milanese.


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  O. de Balzac, Le Piccole miserie della vita coniugale. Versione italiana di Giuseppe De’ Rossi. Volume Unico, Roma, Edoardo Perino, Editore, 1883 («Biblioteca Perino»), pp. 274.[3]
  Un volume in 16°.

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  L’opera si struttura in due parti di diciotto capitoli ciascuna, a cui devono aggiungersi la Prefazione, posta all’inizio della Parte prima e il Commentario finale. La traduzione dovrebbe fondarsi sul testo dell’edizione Chlendowski (1846), ma crediamo che il traduttore si sia rifatto a quello pubblicato da A. Houssiaux nel 1855 (Vol. XVIII), vista la presenza delle nove battute finali tra l’Autore e l’Amico inserite dall’editore parigino alla fine del testo e presenti soltanto nell’edizione de Le Diable à Paris del 1846. La sequenza in oggetto è riprodotta alle pp. 920-921 (Vol. XII) nell’edizione dell’opera pubblicata da Gallimard («Bibliothèque de la Pléiade») nel 1981.

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  La versione che, dello studio analitico balzachiano, fornisce il De’ Rossi può ritenersi complessivamente accettabile, anche se, da un punto di vista stilistico-letterario, ci sembra che il compilatore manchi, in più di un luogo della sua traduzione, di semplicità e di chiarezza, sfoggiando l’uso di termini e di espressioni che mal si conformano alla trasparente lucidità del testo francese. Si confrontino, ad esempio, le sequenze testuali della Préface con la corrispondente traslazione italiana:
  Un ami vous parle d’une jeune personne: «Bonne famille, bien élevée, jolie et trois cent mille francs comptant». Vous avez désiré rencontrer cet objet charmant. Généralement, toutes les entrevues fortuites sont préméditées. Et vous parlez à cet objet devenu très timide.
  Un amico vi sta discorrendo di una ragazza: – Di buona famiglia, ben educata, graziosa e trecentomila lire in contanti. Voi lo avete desiderato di imbattersi in una cosina tanto vezzosa … Generalmente parlando, tutti gli incontri fortuiti hanno sempre un certo non so che di premeditazione. E voi vi fate a parlare con questa persona che è diventata tutta timida timida. (p. 5).


Studî e riferimenti critici.


  Balzac, in O. di Balzac, Fisiologia del matrimonio … cit., Milano, Edoardo Sonzogno, Editore, 1883, pp. 3-4.
  La fisiologia, questa scienza degli esseri viventi, fu trasportata nel campo dei costumi e delle passioni umane da Balzac. Nessun sentimento, nessun pregiudizio, nessuna età sfuggì alla sua analisi: egli fece la vivisezione umana.
  Se si volessero esaminare le sue opere, non basterebbe un volume in-folio. Pochi filosofi al pari di lui hanno sì profondamente scrutato il cuore dell’uomo. La donna specialmente, questo essere fragile e misterioso, questo fiore dai mille colori, rinvenne in lui il suo naturalista, il suo poeta.
  Ma quanto gli costarono queste osservazioni che sembrano gettate là con noncuranza, e contengono tante verità che nessuno aveva osato di scrivere prima di lui![4]
***
  Quando si recò a Parigi era bello, pieno di vita e di salute. Senza stancarsi, studiava assiduamente; gli occhi suoi corruscavano di letizia ed un gajo sorriso sempre gl’infiorava le labbra. In casa insegnava per ispasso il latino alle sorelle, o trastullavasi a riordinare i libri che andava acquistando co’ suoi risparmi.
  Cominciò fino da giovane a raccogliere quella preziosa suppellettile di libri che orgogliosamente additava agli amici negli ultimi anni di sua vita «e che egli avrebbe lasciato in dono alla sua città natale, dice il bibliofilo Jacob, se questa città non avesse fatto mostra d’indifferenza, e di disprezzo verso di lui».
***
  I creditori furono il costante tormento della sua vita. Annojato dalle loro domande, Balzac cadeva talvolta in profonda tristezza.
  Quasi ogni sera pranzava da sua sorella Laura, stabilita a Parigi collo sposo e due figliuole.
  – Suvvia, gazzelle mie, (così chiamava le nipoti) disse un dì entrando, datemi un foglio di carta ed una matita … presto!
  Gli fu recato quanto chiedeva. Passò quasi un’ora, non già a scrivere qualche scena di romanzo, ma a schierare cifre e sommarle.
  – Cinquantanovemila franchi! mormorò; sono debitore di 59 mila franchi! non mi resta più che spaccarmi le cervella o gittarmi nella Senna!
  – Ed il romanzo che hai incominciato per me non lo terminerai? gli diceva piangendo sua nipote Sofia.
  – Angelo mio! … infatti, ho torto di perdermi così di coraggio. Lavorerò per te e forse mi sorriderà la fortuna. Bando alle tristi idee! Termino il tuo romanzo, lo vendo per 10 mila franchi; gli editori mi fanno nuove offerte … A meraviglia! Pago in due anni tutti i miei creditori: divento ricco, pari di Francia! benone! Frattanto andiamo a pranzo.
***
  La moltitudine e la confusione delle sue correzioni rendevano così difficile il lavoro dei compositori di stamperia, che negli accordi che essi stipulavano col proprietario dello stabilimento, ponevano per clausola di non essere costretti a fare ogni giorno più di due ore di Balzac.
  – Badate, gli diceva lo stampatore, che sarete alla fine dei conti aggravato da 1800 o 2000 lire di spesa.
  – Che m’importa? rispondeva Balzac; fate pure.
  Le correzioni di alcuni libri sorpassarono di 300 o 400 franchi il prezzo pagatogli dall’editore. Gli era difficile con tale sistema pagare i debiti.
  L’editore Floussiaux (sic; lege: Houssiaux) di Parigi pubblicò una edizione delle sue opera che comprende 90 romanzi, o novelle, formanti 120 volumi circa in-8°. Un paziente suo ammiratore fece il calcolo che tutti i personaggi posti in scena da Balzac toccano la cifra di 5009.


  La Ville D’Avray, «L’Indipendente. Organo per gl’interessi di Trieste, del Goriziano e dell’Istria», Trieste, Anno VII, N. 2023, 8 Gennaio 1883, pp. 2-3.

  p. 3. Questa villa ha una certa fama: occupa una parte di quella che Balzac, aveva fatto costruire per sè e che sognava di rendere sì vaga.


  Versi rari del Manzoni, «L’Illustrazione Popolare», Milano, Volume XX, N. 20, 20 Maggio 1883, pp. 311-314.

 

  p. 314. Tutto ciò prova una volta di più che il Manzoni correggeva e limava più che era possibile i suoi scritti. Così il Giusti, così l’Ariosto. Il Guerrazzi invece stendeva capitoli interi senza la menoma cancellatura colla sua scrittura donnesca bellissima, e conservò quella facilità e quella sua scrittura incantevole sino all’ultima sua lettera che cortesemente scrisse a noi. Fra gli scrittori stranieri, il Balzac era implacabile correttore di sé stesso. Bisogna vedere le bozze de’ suoi romanzi! Una illustre donna ci mostrò una sera quelle d’un libro del Balzac a lei dal grande romanziere francese dedicato. È una selva di correzioni. Poveri tipografi! abbiamo esclamato. Giorgio Sand, invece, la più potente, senza dubbio, di tutte le scrittrici del mondo, scriveva rapidissima e senza pentimenti.


  Bollettino bibliografico. Racconti. “Homo!” Luigi Capuana. – Milano, Brigola, 1883, «Nuova Antologia di Scienze, Lettere ed Arti», Roma, Direzione della Nuova Antologia, Seconda Serie, Volume Quarantesimo Della Raccolta, Volume LXX, Fascicolo XIV, 15 Luglio 1883, pp. 395-396.
  Il Capuana è uno de’ nostri più coscienziosi e ingegnosi scrittori di novelle e bozzetti; e le sue qualità artistiche si manifestano maggiormente in brevi pitture che in una vasta tela da romanzo. È naturalista di tre cotte; ma non è vero che sia (come fu detto) pedissequo seguace di tutte le dottrine dello Zola, alcune delle quali ha anzi sbertate, per esempio l’assurda idea d’un romanzo sperimentale. Piuttosto egli, è, al pari dello Zola stesso, discepolo e continuatore del Balzac, che emula anche nel faticoso studio d’uno stile efficace ed originale, senza retorica.


 Papere e stecche, «L’Arte. Rivista di lettere, di arti, di teatri e di società», Firenze, Anno XI, Num. 13-14, 22 Settembre 1883, p. 98.

 

 Nel Mercadet l’Emanuel fu applauditissimo come attore perfetto, poco lodato come riduttore. Infatti ha mutilato barbaramente il capolavoro drammatico di Onorato Balzac.


  Una statua ad Alessandro Dumas padre, «Gazzetta Letteraria», Torino, Anno VII, N. 45, 10 Novembre 1883, p. 358.
  Domenica scorsa, 4 novembre, si inaugurò a Parigi, con grande apparato, il monumento ad Alessandro Dumas padre. […]. Non disconosciamo punto i grandi meriti di invenzione, la prodigiosa fecondità di Alessandro Dumas padre che ha divertito, interessato, commosso un’intera generazione; ma non possiamo a meno di constatare insieme col nostro egregio collaboratore parigino, Edouard Rod, la stranezza del fatto che la Francia abbia pensato ad elevare una statua ad Alessandro Dumas padre prima che ad Onorato De Balzac.
  Ed a questo riguardo fra tanto pecorume di postume adulazioni, crediamo che non riescirà discaro ai nostri lettori di conoscere il pensiero di un grande artista contemporaneo, Emilio Zola.
  «[…] Si comprenderà così come Parigi sentisse il bisogno imperioso di innalzare una statua ad Alessandro Dumas, mentre non pensò mai, nemmeno un istante, di erigerne una a Balzac.
  Ma la statua ad Alessandro Dumas si spiega ancora per un’altra ragione che, secondo me, è la decisiva. La statua è eretta ad Alessandro Dumas figlio nella persona di suo padre. Supponete Dumas morto senza prole, senza Alessandro Dumas figlio, la coqueluche di Parigi, e Parigi non si ricorderebbe di lui nello stesso modo che non si ricorda di Balzac. […].
  O Parigi, città della luce, come ti chiamò il poeta, città dell’intelligenza e della verità, come ti aduliamo tutti noi, hai tu pensato a codesto? Il giorno in cui ti senti spinta dal bisogno di rendere pubblico omaggio al romanzo, di contrapporre a Molière – il genio del tuo teatro, - a Voltaire – il genio del tuo buon senso e del tuo spirito, - un altro principe della letteratura, il genio stesso del tuo romanzo moderno, quel giorno tu scegli un produttore, certo non privo di meriti, un produttore che ebbe il suo momento di gloria, ma che fu trovato dalla produzione e che la nostra generazione non studia più! […].
  C’è forse bisogno di mettere oggidì a confronto l’autore della Comédie humaine e l’autore dei Trois mousquetaires, per assegnare a ciascuno il suo posto nella nostra letteratura? Non si tratta più di scrittori viventi, a giudicare i quali possiamo essere fuorviati dalle passioni del momento. Tutti ne convengono, Balzac è il padre incontestato del romanzo contemporaneo. H. Taine per trovare un’altra personalità da contrapporgli, ha dovuto risalire sino a Shakspeare (sic). Sì, il nostro Shakspeare francese non è Victor Hugo, le cui figure sono puramente fantastiche, gittate tutte nel medesimo stampo; è Balzac che, al pari del tragico inglese, ha creato un mondo … […].
  Noi non vogliamo dare l’ostracismo ad Alessandro Dumas: chiediamo solo che Balzac abbia la precedenza. È una semplice questione di equità letteraria, Un’accademia può essere ingiusta, una città come Parigi, no.
  Il mio non è che l’invito di uno scrittore, di un figlio riverente di Balzac, che non ha fra le mani nessun mezzo di esecuzione. […].
  Darò cento franchi per la statua di Alessandro Dumas, quando avrò potuto contribuire per mille alla statua di Balzac».
  Così scriveva nel 1880 Emilio Zola(1); ma predicava al vento. La statua di Alessandro Dumas venne inaugurata domenica scorsa. […].
  Emilio Zola aveva ragione: il monumento non venne tanto eretto ad Alessandro Dumas padre quanto ad Alessandro Dumas figlio.
  Balzac può ancora aspettare. Egli non ha scritto che la Comédie humaine.
  (1) Émile Zola, Une campagne (1880-81), Paris, G. Charpentier, éditeur.

  Notizie, «Nuova Antologia. Rivista di Scienze, Lettere ed Arti», Roma, Direzione della Nuova Antologia, Anno VIII, Seconda Serie, Volume Quarantaduesimo della Raccolta, Volume LXXII, Fascicolo XXII, 15 Novembre 1883, pp. 422-424.

  p. 423. A Parigi, si pensa di formare un comitato di scrittori i più illustri per promuovere una sottoscrizione pubblica onde mettere insieme i fondi necessari per elevare un monumento a Balzac, il gran romanziere.


  Cronaca, «Fanfulla della Domenica», Roma, Anno V, Numero 48, 2 dicembre 1883, p. 4.
  Dopo esserselo detto molto sottovoce nell’orecchio, oggi i francesi si risolvono a riconoscere, con pochi contrasti, che del romanzo moderno Onorato di Balzac è il creatore: e a malgrado delle proteste d’una scuola, che è il peggiorato derivativo dell’autore della Commedia Umana, oggi la Francia innalza una statua, per eternare le fattezze olimpiche di quest’uomo, che vivificò la letteratura romanzesca col soffio potente del suo genio. Della inaugurazione solenne rimarrà memoria nelle quattro grandi rappresentazioni al Teatro francese, all’Odéon, al Vaudeville, alla Porta San Martino, con le quattro commedie del meraviglioso scrittore: Marâtre, Mercadet, Quinola, Vautrin: quattro titanici sforzi d’un ingegno, che non era nato per il teatro.
  Alessandro Dumas, figlio, nella prefazione a una delle sue commedie, ha detto che se in un autore solo potessero condensarsi la conoscenza pratica e la sicura meccanica degli effetti teatrali come l’ebbe lo Scribe, e una profonda conoscenza del cuore umano come il Balzac, avremmo il vero scrittore drammatico del secolo. Ora appunto al Balzac cotesta parte estrinseca dell’arte mancò. Uso ad adagiarsi nelle vastissime tele di quei suoi quadri mirabili, mal riusciva a rinchiudere nelle strettoie d’un dramma la copia delle idee e le grandi linee dei caratteri: la natura sua leonina chiedeva gli spazî della foresta, non poteva adattarsi al carcere circoscritto fra le quinte d’un teatro. Rimangono celebri in Francia certe sue sconfitte clamorose alla Commedia francese, dove, del resto, i sorrisi della fortuna gli mancarono spessissimo. Ma nel romanzo è il gigante insuperato finora, e forse anche insuperabile: e la statua è una tarda e meritata giustizia all’uomo, spezzatosi sotto il peso di un’opera ciclopica.

  Pensieri e sentenze, «Gazzettino Contemporaneo. Effemeride mensile di ricordi italiani», Milano, Tip. Commerciale, Anno I, N. 2, 20 Dicembre 1883, p. 109.
  Una donna maritata che possegga una vettura è onesta. (Balzac)[5]
  Le donne stanno all’anima come il clima di Nizza e Napoli al petto. (Balzac).[6]

  Giulio de Angelis, Luna di miele. A mia madre, «Il Pungolo della Domenica. Giornale di amena lettura», Milano, [Anno I], N. 29, 19 Agosto 1883, pp. 3-5.
  p. 3.
«… l’amour, qui faict que les jours
sont des instans, que les mois sont
des jours et les ans des mois ; et s’il
duroyt feroyt gobber l’éternité
comme une fraize veu que tout en
est frescheur et parfum, doulceur
et ioye infinie».
Balzac, Contes drolatiques.[7]


  Apostolo Zero, Gli Amici di Edmondo De Amicis, «Gazzetta Letteraria», Torino, Anno VII, N. 22, 2 Giugno 1883, pp. 169-173.
  p. 169. Certo la fisiologia degli Amici fatta da De Amicis non ha la vivacità piccante della Fisiologia del Matrimonio dataci dal Balzac.

  Cletto Arrighi, Ricordi di giornalismo, «Cronaca Bizantina», Roma, Anno III, Vol. I, Num. 8, 16 Aprile 1883, p. 63

I.
  Quindi – giacchè la Cronaca Bizantina mi ha invitato a mandarle dei ricordi di giornalismo – oggi mi permetterò di raccontare a’ miei lettori un aneddoto bastantemente gustoso, sulla questione dei plagi. […].
  Ho ancora vivissima in mente la impressione di un disinganno di questo genere nei giorni che scrivevo la Scapigliatura – parola che fu trovata perfetta dal povero Camerini per significare in italiano la Bohême francese.
  Una notte, insonne, balzo dal letto, corro al tavolino, butto giù una diecina di pagine. Mi pareva d’aver fatto una trovata sublime! Ero felice!
  Al mattino un amico viene a trovarmi, ed io tutto raggiante gli racconto di aver avuto nella notte una bella e novissima ispirazione.
  Gli leggo le pagine.
  Quello, serio, ascolta, - poi dice:
  - Belle!!! ma …
  - Ma che cosa?
  – Hai tu letta la Peau de chagrin di Balzac?
  – No.
  – Bene, leggila. Troverai precisamente questa scena.
  Se mi avesse dato un cazzotto mi avrebbe fatto meno male.

  Raffaello Barbiera, Arpe meridionali. VI. Pietro Paolo Parzanese, in Mondo sereno. Schizzi letterari e biografici, Cesena, Ettore Gargano, Editore, 1883, pp. 197-205.
  p. 198. Le fantasmagorie dell’Apocalisse (l’Apocalypse est une extase écrite diceva il Balzac[8]) non si serbano quali sono passando dall’originale nella bene ordinata traduzione.

Paolo Giacometti, pp. 239-251.
  p. 241. Il Balzac scriveva alla sorella che voleva farsi dramma vivente: il Giacometti, drammaturgo che cercava di colorire le passioni colle tinte più forti, non aveva bisogno di domandare alla storia soggetti di dramma: pur troppo, divenne un giorno dramma egli stesso.

Due lirici francesi. I. Enrico Murger, pp. 435-446.
  p. 439. Così il Balzac ne’ primi anni di gioventù aveva provato un amore che rassomigliava a quello del Murger per Musette e scriveva all’amata sorella: «Lo scompiglio ha messo sossopra i miei amori, dacchè mi sono accorto ch’ella ama un domestico! Sicuro: è il mio stesso servitore, che si stempera in paroline d’amore con lei! …».

  Anton Giulio Barrili, Val d’Olivi. Racconto di Anton Giulio Barrili, Milano, Fratelli Treves, Editori, 1883.
  Cfr. 1879.

  Vittorio Bersezio, Le prime armi, in AA.VV., Il Primo passo. Note autobiografiche di A. D’Ancona – A. Bartoli – V. Bersezio – G. Carducci – G. Chiarini – G. Costetti – F. Filippi – O. Guerrini – P. Lioy – P. Mantegazza – F. Martini – G. Massari – E. Nencioni – E. Panzacchi – M. Rapisardi – F. de Renzis – G. Rigutini – R. de Zerbi, Roma, Casa Editrice A. Sommaruga e C., 1883, pp. 21-33.
  Cfr. 1882.

  Guido Biagi, Una gita a San Lazzaro (Ricordi di Venezia), «Fanfulla della Domenica», Roma, Anno V, Numero 30, 29 luglio 1883, pp. 1-2.
  Salita una scala ornata di grandi quadri, pitture del secolo passato, entrai nella biblioteca composta d’un vestibolo, che ha da una parte una stanzetta e che mette dall’altra in una sala bislunga, ampia ed ariosa, piena di scaffali di noce, coi vetri, attraverso ai quali, nelle loro dorature eleganti, fan bella mostra di sé le opere più insigni delle letterature occidentali. […].
  Ci vidi […] poi mille e mille altri volumi di storia, di filosofia, di poesia, di critica e d’amena letteratura, non esclusi molti romanzi francesi, di Mme Cottin, di Lesage, di Chateaubriand, di Balzac, di Soulié, del Dumas padre e anche … di Pigault Lebrun! […].
  Passai quindi nella tipografia che ha una diecina di torchi a mano, e dove anche i compositori son veneziani; […] È curioso guardare il catalogo dei libri messi in luce a San Lazzaro, per avere quasi un indizio delle attitudini e delle tendenze della nazione a cui quelle opere son destinate. […] Poi libri di teologia e di devozione, originali e tradotti, […] e per ultimo opere scientifiche, giacchè per le scienze positive gli Armeni hanno meno passione. Invece a loro piacciono molto i romanzi. il Montecristo, l’Ebreo errante, Paolo e Virginia e i Promessi sposi sono arrivati fin laggiù, dove, accanto al Balzac, al Dumas, all’Hugo, alla Sand e al nostro Manzoni, ha trovato buona accoglienza lo stesso Pigault-Lebrun.

  Giovanni Boglietti, Giorgio Sand. A proposito della sua corrispondenza, «Nuova Antologia. Rivista di Scienze, Lettere ed Arti», Roma, Direzione della Nuova Antologia, Anno XVIII, Seconda Serie, Volume Trentesimottavo della Raccolta, Volume LXVIII, Fascicolo VI, 15 Marzo 1883, pp. 209-239.

  p. 233. I suoi personaggi del Compagnon du tour de France hanno tutti le più nobili qualità, l’amore al lavoro, il disinteresse, l’abnegazione. […]. A chi le rimproverava che essa idealizzava troppo, rispondeva: “Depuis quand le roman est-il forcément la peinture de ce qui est, la dure et froide réalité des hommes et des choses contemporaines? Balzac, réaliste, s’il en fut, a fait la comédie humaine ; moi, je fais l’églogue humaine”.

  Felice Cameroni, Appendice del “Sole”. Rassegna bibliografica. Gambetta studiato da Zola e da Alexis, «Il Sole. Giornale commerciale-agricolo-industriale», Milano, Anno XX, N. 10, 13 Gennaio 1883, p. 1.
  Se un amico mi domandasse quali sieno i romanzi ch’egli dovrebbe leggere, per formarvi un criterio preciso di ciascuno fra i giovani novellieri francesi, che meglio rappresentano nelle svariatissime sue manifestazioni l’indirizzo naturalista di Stendhal, Balzac, dei De Goncourt, di H. Monnier, Droz, Zola, Daudet, Vallès, risponderei con questo elenco condensato dei loro lavori più caratteristici.


  Cesare Cantù, Versi rari del Manzoni, «L’Illustrazione Popolare», Milano, Fratelli Treves, Editori, Vol. XX, N. 20, 20 Maggio 1883, pp. 311-314.

 

  p. 314. Fra gli scrittori stranieri, il Balzac era implacabile correttore di se stesso. Bisogna vedere le bozze de’ suoi romanzi! Una illustre donna ci mostrò una sera quelle d’un libro del Balzac a lei dal grande romanziere francese dedicato. È una selva di correzioni. Poveri tipografi! abbiamo esclamato.


  Capitan Dino, I Dumas, «Scaramuccia. Agenzia teatrale», Firenze, Anno XV, Serie 3a, N. 4, 24 Gennaio 1883, p. 1.

 

  Quando rimproveravano a Balzac la minuzia delle sue descrizioni, i troppi particolari dei quali egli si compiaceva parlando di una stanza o di una veste, il grande romanziere rispondeva:

  Sono parti o indizi del carattere di un personaggio: dal vestito di un uomo, dal quartiere ove egli dimora, un osservatore deduce i primi segni della sua indole intellettuale e morale.


  Luigi Capuana, Libri nuovi. Giovanni Verga – “Novelle rusticane”, con disegni di Alfredo Montalti. – Torino, F. Casanova, 1883, «Fanfulla della Domenica», Roma, Anno V, Numero 2, 14 gennaio 1883, p. 5.
  Leggete il Reverendo, la prima delle novelle rusticane. È una figura altamente comica nel vero senso della parola, cioè di quelle che rasentano il tragico, come le concepivano Molière, Shakespeare, Balzac.

  Cesare Antonio de Cara, Errori mitologici del professore Angelo de Gubernatis. Saggio critico di Cesare A. de Cara, Prato, Giachetti, 1883.
  p. 16. Ma la popolarità anche mondiale è argomento certo di merito e di scienza? la fama che va tanto lontano è forse indizio anch’essa del valore scientifico? E non interviene pure cotesto a scrittori di romanzi procaci, a’ Balzac, alle Sand, a’ Dumas, a’ Zola?

  G.[iosuè] Carducci, Dieci anni a dietro, in Confessioni e battaglie. Serie Seconda, Roma, Casa Editrice A. Sommaruga e C., 1883, pp. 35-72.
  p. 46. Cfr. 1880.

Critica e arte [1874], pp. 75-207.
  pp. 198-200. La poesia dunque non muore; l’arte della poesia muore, l’arte della poesia nel suo antico e puro significato di elaborazione estetica, metrica, disinteressata. Di che io non faccio, né potrei senza ridicolo, accusa o rimprovero (tanto più che a suo tempo so di certo che rinascerà): ma dico che la borghesia dominante, educata com’è, con i suoi intendimenti e instituti di vita, non ha più, o perde ogni giorno più, le abitudini, le preparazioni e gli ozi che si richiedono a capire e amare la poesia vera. La borghesia moderna venne a dominare, che non aveva eredità artistica, che non aveva ideale altro che quello del Rousseau: con la rivoluzione francese di fatti incominciarono il sentimentalismo fantastico e declamatorio e la prosa poetica. Prima, la Staël e lo Chateaubriand senza né il dono né l’amore del verso ammaliarono la generazione del Consolato e dell’Impero col romanzo lirico ed epico. Poi, il celebre recitatore tragico, il Talma, andava raccomandando ai poeti: – Non più versi belli. – Nella restaurazione, contro il rinascente fervore della poesia metrica, il Beyle conchiudeva – Non versi del tutto –; ed egli, prima di porsi a scrivere, costumava, o almeno lo diceva e consigliavalo agli altri, di leggere a modello di stile parecchi articoli del Codice civile; il che non lo salvò dallo scrivere falso e affettato. Costui era impotente alla creazione d’arte; e i suoi romanzi lo mostrano, nominatamente Le rouge et le noir, titolo che è la definizione più esatta del modo suo di rappresentare. Ma potente ingegno d’inventore e di osservatore ebbe il Balzac, e non sapea farsi ragione che si trovasse del piacere a fare de’ versi e che Teofilo Gautier ne componesse. – Ma cotesto non è della copia per la stampa – diceva, facendo spallucce, l’epicureo e industriale e ingegnosissimo descrittore e rappresentatore della borghesia, quando vedeva il suo amico empire di piccole e ineguali righe la breve pagina. Egli fu l’autore e il padre di quel realismo in prosa del secondo impero, che oggi trionfa e ha finito di sotterrare la poesia come arte. Questi fecondi e copiosi scrittori, che sanno con lunghi romanzi e con drammi non brevi tener sempre eccitata e tormentata la lussuria estetica di milioni di lettori e reggitrici, potrebbero ragionevolmente dire al Goethe, se egli escisse oggi fuori coll’Ermanno e Dorotea – Ma cotesto non è un libro – . Noi poi, meschini rimatori lirici, tra questa letteratura e in questa società, dobbiamo far la figura di persone, che in un passeggio del giorno di festa affollato di carrozze e cavalcate trascorrenti con tutte le eleganze e li agi del lusso, se ne vadano serie serie per la loro via camminando a galletto zoppo.

Due Manzoniani [1873], pp. 225-310.
  p. 248. Pare incredibile come sian teneri del Trecento alcuni che scrivono con riduzione italiana sbagliata il più bel francese della più brutta maniera di Balzac! Di questo Trecento si ricordano certo averne sentito parlare in que’ bei tempi a scuola, come d’una panacea per tutt’i mali, come della manna degli ebrei nella quale l’uom trovava i sapori che meglio voleva.


 Dario Carraroli, Moralità nell’arte, «Rivista Minima di Scienze, Lettere ed Arti», Milano, A. Brigola & C, Editori, Anno XIII, Fascicolo 10°, 1883, pp. 721-730.

 p. 722. Perché, domandavano Feydeau, Soulié e Balzac, non avremo noi il diritto di raccogliere e di rappresentare tutte le realtà del mondo del quale voi, o idealisti, non volete vedere che il lato bello? Era, come si vede, la nuova scuola del realismo che tendeva a portare nella letteratura l’analisi psicologica e sociale dal punto di vista positivo e che si collegava intimamente col movimento materialista in filosofia.


  Luigi Chiala, Della vita e dei tempi di Camillo Cavour (1810-1852), in Camillo Cavour, Lettere edite ed inedite di Camillo Cavour raccolte ed illustrate da Luigi Chiala. Volume Primo [1821-1857]. Dall’Accademia militare alla Presidenza del Consiglio, Torino Roux e Favale, 1883, pp. XI-CCCLXVI.
  p. XLIV. [1840] – Di quest’anno Camillo Cavour intraprese per proprio conto un nuovo viaggio in Francia (Lettera CCXLII), e si trattenne per circa sei mesi a Parigi.
  “L’élasticité de sa nature (racconta il signor de La Rive) ne fut jamais mise à une plus rude épreuve que lorsque passant de la politique aux affaires, des affaires aux sciences sociales, des sciences sociales à l’industrie, homme à la fois de salon et de club, il mena de haute main la vie du monde, et ce grand train que Balzac en appelle l’envers”.


  Chi è?, Un romanzo fisiologico, «Il Pungolo della Domenica. Giornale di amena lettura», Milano, [Anno I], N. 44, 2 Dicembre 1883, p. 7.
  Ho finito di leggere il primo romanzo italiano che possa dirsi fisiologico. È L’eredità Ferramonti, del signor G. C. Chelli, edito da A. Sommaruga ça va sans dire – con la consueta e talvolta troppo cincischiata eleganza. […].
  I personaggi dell’Eredità Ferramonti, appaion veri, ma di recente mano; Papà Gregorio, Irene, Mario, Pippo, Frulin, Teta, Barbati e Flaviano derivano direttamente dalla Comédie humaine di Balzac e ne recano l’impronta gentilizia; più umani che romani, somigliano ai buzzurri romanizzati dalla località, dall’uso, dai costumi, dalle convivenze.

  Giuseppe Costetti, Appendice. Le serate d’onore, in Confessioni di un autore drammatico di G. Costetti con prefazione di Giosuè Carducci, Bologna, Nicola Zanichelli, 1883, pp. 237-252.
  p. 247. Le serate d’onore più comunemente proficue in Italia sono quelle della prima donna e del brillante. Dalle prime, gli ammiratori della attrice tolgono occasione ad affermarle la loro devozione con doni floreali, dal mazzolino di mughetti alla piramide di camelie; le orificerie essendo passate di moda, dopo che Balzac ha rilevato il ridicolo dei brillanti piccoli e dei gioielli grandi. Stabilita questa prevalenza gentile dei fiori sul vile metallo, la serata di una prima attrice che abbia valore e simpatia, è un bel giorno nella vita dei fiorai d’ambo i sessi.

  Giuseppe Costetti, Bozzetti di teatro, Bologna, Nicola Zanichelli, 1883.
  Cfr. 1881.


  Ottone di Banzole (Alfredo Oriani), Quartetto. Seconda edizione, Milano, Giuseppe Galli – Editore Librajo, 1883.


 

Diapason, pp. 3-50.

 

  pp. 33-34. L’Ettore Fieramosca ed il Marco Visconti contemporanei del Dottor Antonio destarono un entusiasmo, che dura tuttavia in rispetto, malgrado che il primo fosse una degenerazione dei poemi guerrazziani, e il secondo rappresentasse la putrefazione del genere Walter Scott, che Manzoni, con uno sforzo allora incompreso e adesso ancora quasi incomprensibile, aveva alzato quasi sino alla maniera del Balzac.

  Ed oggi, che i violenti attacchi del Carducci alla lirica manzoniana hanno quasi reso di moda il disprezzo del grande poeta e romanziere, che fu naturalista, per usare questa nuova parola, quando solo Balzac lo era senza teorizzarne [...].

 

  p. 35. Forse se non il genio, poiché dei primi fra i primi del mondo, egli [G. Carducci] ha comune nel secolo col Balzac la nobile ed incalcolabile energia della volontà, colla quale coltivando instancabilmente il proprio terreno è arrivato a farne un ricco giardino, sebbene la sua flora originaria non fosse nè troppo varia, nè molto opulenta.

 

  p. 40. Nella stessa Francia i grandi scrittori, da Balzac a George Sand, da Zola a Flaubert cercarono i loro modelli fuori dell’ambiente falso del salone, falsato ancora peggio dal Dumas e dal Feuillet.

 

 

Viola, pp. 93-155.

 

  pp. 127-128. Un uomo solo, il più gran genio del nostro secolo, Balzac, ci ha ritratte con una verità insuperabile ed insultante, impassibile ed immortale. Voi, mio caro Di Banzole, perderete dieci volte la vita prima di apprendere a decomporre la più semplice delle nostre fisonomie, a risolvere la più facile delle nostre contraddizioni. Forse il piccolo è più difficile del grande, forse il microscopio ha più secreti del telescopio. Nemmeno le grandi donne vi riescono: guardate la Stäel, George Sand, Giorgio Elliot, Elisabetta Browning, e paragonatele a Balzac. Le loro analisi femminili sono le più monche e le più false della letteratura moderna; o romanticismo tragico della prima maniera, o romanticismo casalingo della seconda; analisi vera mai. Quante volte Balzac deve aver sorriso dall’alto della sua immensa opera di titano, osservando le grandi scrittrici del nostro secolo salire sulle montagnuole dei giardini per imitarlo, e credere così di riuscirvi. Non si giudica se non ciò, che si è oltrepassato; non si ritrae se non quello che ci è sottoposto: noi donne non possiamo comprenderci, e gli uomini non lo possono del pari, se non alzandosi al disopra del rapporto, che li unisce con noi. Dante, Shakspeare, Goethe, Balzac ... Anche voi altri siete in pochi.

  Ma se i primi tre sorpresero i generi e le specie, il quarto fece ancora meglio, e sorprese le famiglie e gli individui.

 

 

Violocello, pp. 157-261.

 

  p. 247. In pubblico non è così: il nostro giudizio si integra di tutte le sensazioni dei vari temperamenti. Piuttosto domani ti porterò un libro di Balzac; se questo non ti salva, tu sei perduto; aggiunse con un sorriso, che voleva essere scherzoso ed invece era triste.

  La mattina Giorgio ricevette il piccolo volume, e lo rilesse due volte con tremito sempre maggiore di sentimenti e di idee. Avrebbe voluto veder Momo per parlargliene, ma non riuscì a trovarlo [...].


  Enfant Gaté (sic), Corriere di Parigi, «Gazzetta Italiana letteraria-illustrata della domenica», Roma, Anno I, Num. 4, 28 gennaio 1883, p. 31.
  A proposito d’arte, sebbene il telegrafo v’abbia di già informati, non posso non parlarvi di Gustavo Doré. La perdita di un uomo così illustre ha veramente commossa la Parigi artistica. […] la Francia ebbe dalla sua immensa fantasia l’illustrazione al Rabelais, ai racconti di Perrault, alle favole di La Fontaine, ai Contes Drolatiques di Balzac […].


  S.[alvatore] Farina, Giulio Sandeau, «Rivista Minima di Scienze, Lettere ed Arti», Milano, A. Brigola & C, Editori, Anno XIII, Fascicolo 5°, 1883, pp. 383-387.

  pp. 386-387. Viveva il Sandeau col Balzac, una vita di Boheme (sic), come si diceva allora, ma d’una Boheme angustiata e melanconica. Piaceva al Balzac frequentare le sale in cui stu­diava i tipi ed i costumi. Una notte egli disse al Sandeau:

  — Ho bisogno di venti lire, amico mio; devo andare ad una soirée e non ci posso andare colla borsa vuota; mendica per le strade, strangola un editore, fa quel che vuoi, ma procurami venti franchi.

  Era l’inverno. G. Sandeau possedeva un buon mantello, lo mise a pegno e portò all’amico il denaro richiesto.

  Alcuni giorni dopo, Balzac, che non si era accorto di nulla, disse all’amico:

  – Prestami il tuo mantello.

  – Non posso.

  – Lo stimi tanto? Temi che te lo guasti? Quanto sei egoista in queste cose! La gran cosa poi, un mantello! Ebbene, ne farò di meno; mi abbottonerò la giubba, avrò freddo, mi costiperò ...

  Ma vedendo che Sandeau lo guardava affettuosamente senza dir parola, si fece rosso, strinse fra le sue braccia nervose l’amico, ed esclamò colle lagrime agli occhi:

  – Amico mio, perdonami; sono un bruto!


  A. Fiaschi, Gli amici a quattro gambe, «Cronaca Bizantina», Roma, Anno III, vol. IV, 4, 16 febbraio 1883, p. 30.

  Ogni bestia ha il suo istinto spe-
  ciale; - quello del cane, è l’istinto
  nobilissimo della famiglia.
   Balzac.[9]
  […]
  Avete mai visitato un canile?
  È un luogo che, per descriverlo, bisognerebbe essere Balzac o Zola.

  Ambrogio Freida, Émile Zola, in La Francia amica, Roma, Stabilimento tipografico italiano diretto da L. Perelli, 1883, pp. 229-242.
  pp. 236-238. La letteratura ed in particolar modo il romanzo surto e magnificato dall’èra nuova, portava con sé lo spirito della rivoluzione che gli avevano impresso gli avvenimenti del 1789 e i genii del XVIII e XIX secolo. Voltaire, Molière (sic), Diderot, Rousseau, Goëthe, Balzac avevano gettato orme incancellabili; […].
  Il suo maestro, il suo modello è Balzac. Egli ha creato il romanzo naturalista, dice Zola, nel libro Les romanciers naturalistes; lo studio esatto della vita; e di un tratto, per una di quelle arditezze del genio, egli stampa e dà nuova vita nelle sue opere a tutta una società che passa e si schiera davanti a lui. Esso segna il dato caratteristico superbo della moderna evoluzione. Balzac chiuse un passato falso e aprì l’avvenire luminoso del vero.
  Ciò che vi ha di più meraviglioso, nella sua filosofia, si è che ha compiuto la rivoluzione in pieno movimento romantico. Indubitamente V. Ugo (sic) è un genio, il primo poeta lirico contemporaneo, ma la scuola agonizza e muore con lui. La sua poesia non ha che una influenza rettorica sovra i giovani scrittori, mentre Balzac si eleva ogni dì, ed imprimerà il suo particolare genio alla letteratura del XX (sic?) secolo. M. Taine deve rimontare a Shakespeare per trovargli un eguale; tale comparazione è giusta, perché il sommo della poesia inglese soltanto ha ritratto l’umanità tutta e vivente. Sono due creature aventi la stessa potenza, e l’una e l’altra ci hanno trasmesso tesori di arte.
  La gloria di Balzac è nelle sue opere. Egli ha fondato una letteratura. Nella commedia umana ha annullato i re, rovesciando e distruggendo il vecchio mondo, con la massima semplicità!
  Eppure non lascia macerie e crea; crea una fede nuova, la credenza al lavoro, l’affermazione dei principii della rivoluzione, il bisogno della rigenerazione sociale a mazzo dello spirito laico, e l’evoluzione scientifica, la quale tende tuttodì a trasformare l’umanità. Balzac nella sua «Comédie humaine» ha concluso a favore dei popoli contro i re, in pro della scienza avversa la fede.
  Il metodo di Zola, dunque, è il naturalismo, il ritorno alla natura, il movimento scientifico del secolo.

  Giuseppe Giusti, Scritti vari in prosa e in verso per la maggior parte inediti, Firenze, Successori Le Monnier, 1883. [Una chiacchierata ai lettori di Dante].
  Cfr. 1860; 1863; 1866.


  G. Graziosi, Di qua e di là. Balzac e Sandeau, «Giornale delle Donne», Anno XV, N. 9, 5 Maggio 1883, pp. 199-200.

 

  p. 199. Nella vita di Giulio Sandeau vi ha un fatto che inspirò a Balzac un ammirabile episodio, quello di Lucien de Bubanprè (sic), nolo a quanti conoscono i lavori dell’autore delle Deux Maîtresses.

  E molti sono gli annedoti che si potrebbero ricordare. Mi limiterò ad accennare il seguente:

  Balzac, povero, aveva la smania del lusso. Ad onta della sua miseria, egli sentiva il bisogno

bazzicare nei palazzi del sobborgo San Germano.

  – Mio caro disse un giorno a Sandeau – io ho bisogno di venti franchi! un luigi d’oro! Trovamelo perché questa sera debbo andare in società! Capirai che non mi posso recare ad una conversazione con l’epa vuota ... Suvvia, frugati per le tasche, batti a raccolta, strozza un editore, fa quello che meglio credi, ma, pensaci bene, io ho bisogno d’un luigi d’oro!

  Era d’inverno; il povero Sandeau aveva un mantello al quale teneva moltissimo perché lo riparava dal freddo. Ciononostante uscì, e poco dopo rientrò smantellato, e consegnò i venti franchi all’amico.

  Dopo alcun tempo Balzac doveva andare a prendere il thè in casa di una duchessa; si rivolse al Sandeau e gli disse:

  – Prestami il tuo mantello!

  – No davvero! — rispose il Sandeau. Il mantello non te lo presto!

  – Ci tieni dunque a rinchiuderviti dentro ed a fare la figura di Ernani? Hai forse paura che io te lo sciupi? È così prezioso un mantello?... Sia pure! andrò senza tabarro; mi abbottonerò il soprabito per bene, tremerò dal freddo, mi buscherò un raffreddore, mi ...

  E, fermatosi d’un tratto da quel brontolio, vedendo il Sandeau sorridere anzichè rimproverarlo, si fece rosso rosso in volto, abbracciò teneramente l’amico ed esclamò:

  – Ah! mio povero fanciullo! Sono un animale e ti chieggo perdono!


  Angelo de Gubernatis, Valore e spirito degli scritti mitologici. Saggio critico, «La Civiltà Cattolica», Firenze, presso Luigi Manuelli, libraio, Anno Trigesimoquarto, Vol. I della Serie Duodecima, 1883, pp. 21-39.
  p. 27. Ma la popolarità anche mondiale è argomento certo di merito e di scienza? la fama che va tanto lontano è forse indizio anch’essa del valore scientifico? E non interviene pure cotesto a scrittori di romanzi procaci a’ Balzac, a’ Sand, a’ Dumas, a’ Zola?

  Angelo de Gubernatis, Il Romanzo moderno, «Il Pungolo della Domenica. Giornale di amena lettura», Milano, [Anno I ], N. 40, 4 Novembre 1883, pp. 1-2.
  p. 1. I realisti si fermano specialmente a descrivere le sensazioni fisiche, gli idealisti i sentimenti; ma perché spesso i sentimenti stessi possono terminare in sensazioni, ed è molto difficile che, anche tra lo sfogo, delle passioni più brutali non esca qualche scintilla che affermi la presenza di un’anima che si dibatte aspirando, in alcun modo, verso qualche ideale, può accadere facilmente che ne’ romanzi de’ così detti idealisti (una Sand, per esempio, un Feuillet, un Cherbuliez) s’incontrino pagine che lo Zola vorrebbe avere scritte, e che nel romanzo tipico de’ realisti, nell’Assomoir (sic) dello Zola, si trovino alcune pagine d’una bellezza poetica che, non pure un romanziere idealista, ma un poeta epico, dando loro il ritmo, potrebbe appropriarsi.
  Ciò vuol dire che, a dispetto de’ principî esclusivi delle due scuole, la natura inviolabile e sempre poetica indica agli scrittori la via vera, facendo sentire agli uni la necessità di scostarsi meno dalla terra, agli altri quella di abbracciare con lo sguardo più vasto orizzonte. L’accusa che le due scuole si lanciano l’una all’altra d’immoralità è forse fondata; i così detti idealisti rendono quasi amabile, quasi poetico il vizio dando spesso figura d’eroi e d’eroine ai seduttori ed alle mogli adultere, mettendo in una evidenza seducente gli amori irregolari, de’ quali attenuano la colpa con la rappresentazione di una misteriosa corrispondenza, quasi di una predestinazione delle anime al peccato; i così detti realisti snudano per modo il vizio, ed insistono tanto sull’idea della necessità fisica, che tolgono ogni responsabilità alla colpa, e svelano impudicamente ciò che, per un resto di pudore, stava nascosto, alla nostra curiosità più malsana, eccitando maggiormente i sensi, a scapito di qualsiasi sentimento gentile. Ma è solamente la loro rispettiva esagerazione che separa l’una dall’altra due scuole, che potrebbero benissimo unirsi e che in alcuni di que’ romanzi contemporanei francesi de’ citati idealisti si trovano già unite. Il male maggiore lo fanno alcuni scrittori, i quali, per parere più originali, forzano l’espressione di sentimenti pericolosi, o di situazioni troppo volgari. Il primo grande scandalo lo diede poi nel secolo passato il Rousseau, col suo celebre romanzo troppo sentimentale; il maggiore nel campo opposto, lo dà ai dì nostri Emilio Zola, col suo romanzo troppo basso. Onorato Balzac e Paul de Kock gli avevano aperto la via. Ma il romanzo di Balzac, scaldato da un soffio di poesia, come lo prova la stessa Eugenia Grandet di questo grande romanziere, può ancora essere ravvivato; il romanzo scollacciato, anzi laido di Paul de Kock, è almeno, senza pretese; è un romanzo monello, e nulla più: ma il romanzo dello Zola vuole che adoperiamo tutti quel linguaggio, quel gusto, quella filosofia; senza divertirci, esso vuole obbligarci a riflettere; esso ci fa una lezione di anatomia patologica, e ce la commenta; esso ci vuol far sentire tutti gli odori più perfidi, provare tutte le nausee, tutti i disgusti; ma è ancora un romanzo questo? Alcuni critici confondono col romanzo dello Zola, e de’ suoi più recenti discepoli (l’Huysman [sic] tra gli altri), quelli di Balzac, la Madame Bovary di Gustavo Flaubert, il Nabab e Les Rois en exil di Alphonse Daudet, alcuni romanzi di Hector Malot, di Xavier de Montépin, di Victor Tissot, di Edmond Goncourt, di Théophile Gautier, di Alphonse Karr, ne’ quali molte cose sono chiamate col loro vero nome, molte rappresentazioni della vita reale appaiono vivacissime, molti ritratti furono presi sul vivo. Ma, secondo che lo si giudica, si fa troppo onore con tali raffronti, o troppo torto al romanzo dello Zola, ch’è ben altra cosa, ed è, insomma, l’analisi di una serie di situazioni che ne dipendono, fatta con un gergo, per lo più plebesco, da uomo di molto ingegno e di poco gusto.
  [Dalla Storia del Romanzo (IX volume della Storia Universale delle Letteratura), prossima pubblicazione dell’editore Hoepli di Milano].

  Angelo de Gubernatis, Il romanzo moderno, in Storia del romanzo per cura di Angelo de Gubernatis, Milano-Napoli-Pisa, Ulrico Hoepli libraio-editore, 1883 («Storia universale della letteratura», Volume IX), pp. 251-457.
  p. 408. Quella pazienza che il Balzac metteva di solito nell’analisi delle cose esteriori, il Dickens l’adoperò nell’analisi del movimento interno delle cose e delle persone, per fare sprigionare un raggio di sole dalle cose e persone più oscure e più neglette, e dargli l’ispirazione finale d’un inno. […].
  p. 449. Cfr. scheda precedente.

  Angelo de Gubernatis, Teatro francese, in Storia del teatro drammatico per cura di Angelo de Gubernatis, Milano, Ulrico Hoepli Libraio-Editore, 1883 («Storia universale della letteratura»), pp. 493-508.
  pp. 503-504. L’Hugo non era solo; quando incominciò, si trovò subito attorno una pleiade di scrittori che volevano la stesa cosa [“rovesciare ancora altre barricate”]; ma nessuno trovò una nota più vigorosa, nessuno adoperò una tavolozza più ricca di vivi colori che Victor Hugo. Con lui Alessandro Dumas padre pel suo Antony, e pel Kean, Alfred de Vigny, autore del dramma Chatterton, Alfred de Musset, pel suo André del Sarto, fecero illustre il dramma storico; ma questo dovea, nel tempo nostro, cedere il campo alla commedia e al dramma sociale che trovò in Francia il suo terreno più favorevole. Per tacere dunque delle commedie isolate dello stesso Musset e dei suoi proverbi, di Federico Soulié (Closerie des Genêts, Les Étudiants), di Onorato Balzac (La Marâtre, Mercadet le Faiseur), del preteso Théâtre de Clara Gazul di Prospero Mérimée, della Fiammina di Mario Vechard, del Marquis de Villemer di George Sand, del Roman d’un jeune homme pauvre, della Dalila e del Montjoie di Ottavio Feuillet, della Lady Tartuffe e della Joie fait peur di Madame de Girardin, dell’Ami des lois e del Duc Job di Leon Laya, del Caliban di Ernesto Renan, e di altri drammi, che lodati ed applauditi, non bastarono tuttavia a creare un vero teatro nazionale, dobbiamo ora considerare come veri signori della scena drammatica contemporanea francese, Alessandro Dumas figlio, Emilio Augier, Vittoriano Sardou […].

  Angelo de Gubernatis, Rassegna delle letterature straniere. []. “Souvenirs de théâtre, d’art et de critique” par Th. Gautier [] – “Les névroses” par Maurice Rollinat, «Nuova Antologia. Rivista di Scienze, Lettere ed Arti», Roma, Direzione della Nuova Antologia, Anno XVIII, Seconda Serie, Volume Trentesimottavo della Raccolta, Volume LXVIII, Fascicolo V, 1 Marzo 1883, pp. 156-175.

  p. 169. Ma, io lo ripeto, in questo volume [Souvenirs de théâtre, d’art et de critique], più che l’importanza degli argomenti trattati attrae la simpatia pur sempre vivace per lo scrittore, il più elegante, poderoso, erudito e poetico fra gli scapigliati di Francia.
  Anche quando il Gautier si fosse abbandonato al così detto verismo o naturalismo, la veste luminosa con la quale ogni suo concepimento si rivelava gli avrebbe sempre impedito di mostrarsi scamiciato. Dal Gautier e dal Balzac, si passò man mano al Flaubert, al Goncourt, al Daudet; da questi si discese allo Zola, e gli imitatori dello Zola rimasero addirittura nel trivio, dal quale nessuno di certo si rialzerà. […]
  pp. 174-175. Eppure il poeta vorrebbe apparirci come un verista. Grottesco sì, vero no: e interamente grottesco è pure il seguente ritratto di Balzac:


Balzac est parmi nous le grand poète en prose,
Et jamais nul esprit sondeur du groupe humain,
N’a fouillé plus avant la moderne névrose,
Ni gravi dans l’Art par un plus âpre chemin.
Du siècle froid, chercheur, hystérique et morose
Il a scruté le ventre et disséqué la main ;
Et son œuvre est un parc sensitif où la rose
Fait avec l’asphodèle un ténébreux hymen.
Mineur amer, prochant la houille des idées
Il est le grand charmeur des âmes corrodées
Par le chancre du spleen, du doute et du remord ;
Et la société, ridicule et tragique,
Mire ses passions dans ce cristal magique,
Double comme la vie et nu comme la mort.


  Si direbbe una parodia del verismo, se non si sapesse che il signor Rollinat desidera esser preso sul serio come un poeta verista.


  Angelo de Gubernatis, Rassegna delle letterature straniere. Un romanzo del Cherbuliez, «Nuova Antologia di Scienze, Lettere ed Arti», Roma, Direzione della Nuova Antologia, Seconda Serie, Volume Trentesimonono Della Raccolta, Volume LXIX, Fascicolo X, 15 Maggio 1883, pp. 311-336.
  p. 335. Si cura la lingua per entrare nell’Accademia; una volta entrati nell’Accademia, si mette nella lingua una cura anche maggiore; l’impegno cresce, per mantenere la riputazione propria e dell’Accademia, e per divenire alla propria volta, autorevole. Un tale studio minuto della lingua, che egli sembra voler arricchire, palesa l’ultimo romanzo di Victor Cherbuliez, edito dall’Hachette, intitolato: La ferme du Choquard, ov’è una ricchezza singolare di vocaboli ed espressioni, non senza un po’ di studio di ricercatezza. Veramente occorre un certo sforzo d’immaginazione per riuscire ad interessarsi per i villani di questo racconto; ma la vivacità del romanziere è tanta, che, in sua compagnia, anche le cose più insignificanti si avvivano e prendono carattere. Il Balzac aveva già mostrato un tale ingegno; ora si direbbe che il Cherbuliez l’ha perfezionato, raffinandolo; anzi una tale raffinatezza è tanta, che alcuna volta potrebbe anche apparire soverchia.

  Angelo de Gubernatis, Rassegna delle letterature straniere. Jules Sandeau, «Nuova Antologia di Scienze, Lettere ed Arti», Roma, Direzione della Nuova Antologia, Seconda Serie, Volume Quarantunesimo Della Raccolta, Volume LXXI, Fascicolo XIX, 1 Ottobre 1883, pp. 530-550.
  pp. 544-545. È un peccato veramente che uno scrittore così delicato e così puro abbia acquistato fuori di Francia così poca popolarità, e in Francia stessa egli sia meglio compreso morto che vivo. […] Lo comprese nel 1858 l’Accademia Francese quando se lo aggregò; ma il pubblico stesso non comprese troppo il motivo di quella elezione che rivelava un ritorno dell’Accademia al perfetto buon gusto. Ma l’Accademia stessa faceva un gran progresso, perché non avendo ancora nominato accademico alcun romanziere, né il Le Sage, né l’Abbé Prevost, né lo Stendhal, né il Balzac, né il Dumas padre, nominava lui primo. […].
  p. 546. Come il Claretie mostrò di comprender bene il Sandeau, così pregia convenientemente l’autore di quel grazioso e delicato romanzo che è l’Abbé Constantin, Ludovico Halévy, uno de’ candidati anch’esso per l’Accademia Francese. L’Halévy confessa d’aver imparato a leggere, cioè a legger bene, a leggere buoni libri, e a leggerli con profitto, dal Prévost-Paradol, al qual proposito il Claretie osserva: «Il n’y a rien, je crois de plus fâcheux que de mal lire, quand on est jeune, rien de meilleur que de bien lire. Que de dimanches passés par Ludovic Halévy avec Paradol, enfoncés tous deux dans La Bruyère, Saint-Simon, Pascal, Voltaire, Rousseau, Balzac, Musset, George Sand, Mérimée! Voilà ce que lisaient les jeunes gens aux environs de 1848. […]».

  Olindo Guerrini, Divorzio, in Brandelli. Serie Seconda, Roma, Casa Editrice A. Sommaruga e C., 1883, pp. 117-125.
  p. 118. Non c’è bisogno di credere alla umoristica ironia di Onorato Balzac ed agli ameni calcoli coi quali nella fisiologia del matrimonio cerca il numero delle donne oneste in Francia, per accorgersi che dappertutto in questi poveri paesi latini e cattolici farne un processo di dissoluzione gravissimo.

  G. I., Champfleury. Letteratura contemporanea, «La Rassegna Nazionale», Firenze, presso l’Ufizio del Periodico, Vol. XIV, Anno V, Fascicolo 2°, Agosto 1883, pp. 262-269.
  pp. 266-267. E Champfleury da’ suoi lavori realisti, quelli dai quali sperava di più, non ottenne il successo che nella sua dignità di archimandrita della nuova scuola, era in diritto di aspettarsi. Nelle sue «note intime» lo vediamo sgomentato: le public est fatigué des romans d’observation, Madame Bovary sera le dernier roman bourgeois, il faut trouver autre chose. Queste due righe, scritte in un momento di scoraggiamento che gli faceva velo agli occhi, sono la condanna sua e del suo sistema. Non era già il romanzo di osservazione, quello che al pubblico non piaceva, era la maniera colla quale egli lo presentava. Come voler trovare «autre chose» se appunto allora, dopo Balzac, ricominciava il vero romanzo d’osservazione, e ricominciava giusto con Madame Bovary per essere proseguito più tardi dai fratelli De Goncourt, e più tardi ancora da Zola e da Daudet? La gente era stufa d’un’osservazione superficiale e tutta esteriore come quella di Champfleury perché Balzac e Flaubert le avevano insegnato l’analisi o meglio l’anatomia degli uomini fatta sulla carne viva, lo studio profondo delle cose, lasciando le inutilità e venendo al concreto, profittando del grottesco e del comico senza abusarne, combinando l’eccezione colla volgarità della vita umana. Ma Balzac e Flaubert, come ora i loro successori, avevano la tempra forte, adattata al mestiere del chirurgo, per essi che capivano l’arte sotto un altro aspetto, il realismo era la verità fisiologica, mentre per Champfleury era semplicemente il dagherrotipo.
  Dopo questo, con quale fondamento hanno potuto dire taluni critici che Champfleury abbia preso in Balzac il suo modello? Forse perché egli, come Balzac, non cerca l’effetto nei colpi di scena, negli intrecci arruffati, nelle macchine infernali, e ci dà la vita intima d’una classe di persone che non escono dal comune? Ma non è dal soggetto d’un quadro che si può con sicurezza arguire a quale maestro questo pittore si sia ispirato, è dalla maniera con cui è trattato il soggetto; ora, quando la maniera del preteso discepolo differisce sostanzialmente da quella del preteso maestro, quando il procedimento è affatto diverso, e affatto diverso il risultato, l’imitazione non è che apparente agli occhi dei miopi che non vedono più in là della punta del loro naso. Champfleury conosceva troppo se medesimo e le sue forze e il suo temperamento per imporsi un peso come quello che Balzac si era imposto, e prova ne siano le sue stesse parole di disgusto pel romanzo d’osservazione da lui prima tentato, poi rinnegato. Come si disse, non basta riprodurre «les conversations de petits bourgeois» per fare il vero, il vero non è tutto lì, non basta essere chiamato dal volgo «pontefice del realismo» per creare delle opere d’arte nelle quali scorra lo stesso sangue che fermenta nella Cousine Bette, in Eugénie Grandet, nel Père Goriot.

  Il Fanfulla della Domenica, Chiacchiere della domenica, «Fanfulla della Domenica», Roma, Anno V, Numero 51, 23 dicembre 1883, pp. 1-2.
  p. 2. Ma per noi è certo questo (e la deduzione ci vien filata dalle forse troppo lunghe premesse) che nell’ingegno del Carducci, all’infuori di questa scultoria potenza nella descrizione, non riusciamo fin qui a veder nulla che arieggi o alla profondità psicologica d’un Balzac, o alla musicale temperanza del concetto con la forma di Giorgio Sand, i due più grandi, forse i veri soli grandi romanzieri della Francia […].


  Io Fanfulla, Giorno per giorno, «Fanfulla», Roma, Anno XIV, Num. 222, 19 Agosto 1883, pp. 1-2.

 

  p. 2. Molto tempo addietro vi ho narrato che Balzac, non avendo i mezzi per adornare come avrebbe voluto la sua villa delle Jardies, si era limitato a scrivere col carbone, sulle pareti nude, delle indicazioni come queste:

  Qui ci sarà un rivestimento di marmo pario;

  Qui uno stibolato in legno di cedro;

  Qui un soffitto dipinto da Eugenio Delacroix;

  Qui una tappezzeria di Aubusson;

  Qui un caminetto di marmo cipollino;

  Qui delle porte come quelle di Trianon;

  Qui un pavimento a mosaico, da farsi con tutti i legni rari delle isole.

 

***

  Oggi, un Inglese scrive al Figaro che Brummel, il famoso Brummel, il re dei giovani eleganti del suo tempo, ha fatto qualche cosa di simile, sebbene in modo diverso. [...].


 

  Io Fanfulla, Giorno per giorno, «Fanfulla», Roma, Anno XIV, Num. 224, 21 Agosto 1883, pp. 1-2.

 

  p. 2. A proposito di quanto scrissi ieri l’altro su Balzac e Brummel, un assiduo mi fa osservare che molti pazzi sono stati, o si sono creduti, più ricchi di loro.

  Non lo metto in dubbio; però Balzac e Brummel erano due persone savie.

  Il primo è stato uno scrittore di genio; l’altro sarebbe stato un grande diplomatico, se i tempi e le circostanze gli avessero permesso d’impiegare nella diplomazia le qualità preziose di cui lo aveva dotato la natura e che egli sciupò negli intrighi galanti.

  Del resto, oramai è provato che la ricchezza vera non basta sempre a soddisfare i bisogni degli nomini di grande ingegno e di animo elevato, tutti avidissimi di ricchezze ideali.

  Per non citare altri esempi, dirò che Balzac, negli ultimi anni della sua vita, fu ricco, e nondimeno continuò ad inseguire le chimere seducenti, ma intangibili che aveva inseguito essendo povero. [...].


  La Domenica, Nella settimana, «La Domenica Letteraria», Roma, Anno II, Num. 27, 8 Luglio 1883, p. 4.
  Forse che tutta questa letteratura novelliera attesta qualche parte della vita e del pensiero italiano? Forse che tutti questi bozzettisti hanno un intendimento serio ed un proposito gagliardo? Forse insomma, che a qualcheduno giova il loro lavoro?
  Vogliono imitare i francesi? E imitino, ma imitino bene; nei racconti dello Zola, in quelli del Daudet, sino, a non discorrere del Balzac, una concezione forte e pensata c’è sempre.
  Invece da noi non riescono che ad essere freddure, articolucci di giornale di caricatura.
  Il signor Stendardo [Per via] ci ha dato un saggio di questa letteratura.

  La Domenica, Nella settimana. Lettera alla contessa Cecilia***, «La Domenica Letteraria», Roma, Anno II, Num. 52, 30 Dicembre 1883, p. 4.
  Ella, contessa, ha mai pensato a domandarsi dove vadano a finire tutti questi giorni che s’inseguono in una ridda vertiginosa? […].
  Ha scritto Balzac che le jour de l’an n’est pas seulement le premier jour de janvier. Ed è vero, contessa, il capodanno non è solamente il primo giorno del freddo gennaio.
  Il capodanno è una festa dell’anima, è la linea di separazione fra due diverse esistenze. L’una pallida, piena di errori, triste di memorie; l’altra rosea, lieta di speranze, seducente di gioie promesse o intravvedute.


  S. Landi, I Tipografi e i loro clienti, «L’Arte della Stampa», Firenze, Anno XIII, Serie III, N.° 5, Maggio 1883, pp. 34-35.

 

  [...] li autori si credono tutto permesso in fatto di correzioni tipografiche, e il tipografo che non sapesse resistere e far metter senno a siffatti clienti si troverebbe alla fine ridotto alla misera condizione del celebre tipografo-editore Eugène Rendeuil di Parigi che il romanziere Balzac, ad onta della popolarità goduta dalle sue opere, ridusse al fallimento per la strabocchevole quantità di correzioni ch’egli era solito ad eseguire sulle bozze di stampa, cosicchè poteva ritenersi che il libro, prima d’essere definitivamente pubblicato, venisse composto sei o sette volte.


  Paolo Lioy, In omnibus, in Notte. Seconda edizione riveduta dall’autore, Bologna, Nicola Zanichelli, 1883, pp. 61-86.
  pp. 64-65. Parla dell’indice Giusto de’ Conti di Valmontone? Niente! Silenzio completo. Eppure dedicò un volume intero di poesie a una bella mano, la cui fortuna posseditrice rimase ignota ai posteri, come la statua a cui appartenne il piede divino del quale era entusiasta Balzac. Chiamavasi Isabella; questo si sa.

Eros, pp. 170-186.
  p. 177. Il quarto tipo è infatti quello delle divinità di Rubens: le bionde alte e rosee, dalle forme opulenti e giunoniche, le fées concombres di Mirabeau, la Desiderata nella Faute de l’abbé Mouret, la madre di Tristram Sandy, che, nove mesi prima ch’ei nascesse, in un istante poco opportuno, chiedeva al marito: pray, my dear, have you not forgot to wind up the clock; le kermesse che Balzac diceva impastate di gelatina e di fragole, soggiungendo tuttavia il mefistofelico: - ne nous y fions pas – .

Sbadigliando e russando, pp. 357-392.
  pp. 390-391. Oh bestiale degenerazione del dolce mormorìo che si ascolta quando dorme un bambino o una cara fanciulla, o allorchè vegliando al capezzale d’un malato, udendone il calmo respiro, si è felici di accennarsi gli uni agli altri: - riposa tranquillo - .
  Quante povere donnine delicate devono abituarsi a sentire codesta musica infernale! – J’ai le malheur, diceva un’eroina di Balzac, d’être unie à un homme qui ronfle à faire tremule les planchers et les murs. – Eppure l’autore della Physiologie du mariage non ha discusso codesto punto importante nel capitolo ove tratta la grossa questione se alla buona fortuna del matrimonio convenga il talamo tradizionale, o due letti nella medesima camera, o camere addirittura separate!

Veglie d’affanno, pp. 425-457.
  pp. 448-449. Quanti altri divennero matti o mattoidi, vegliando, come Baldassarre di Balzac, su altre carte magiche, nelle quali Hegel, Fichte, Schelling, senza nemmeno essere seguiti da un fedele Sancio Panza che trottando sul ciuco prosaico li ponesse in guardia contro le affascinanti chimere, slanciavansi alla ricerca dell’assoluto perdendosi su cime inaccessibili nelle vertiginose nebulose del pensiero.

Risveglio, pp. 479-505.
  p. 484. I galli hanno un terribile problema da sciogliere, ben più terribile della ricerca dell’assoluto per cui ammattì il protagonista del celebre romanzo di Balzac.

  Luigi Lodi, Un buon romanzo, «La Domenica Letteraria», Roma, Anno II, Num., 9 settembre 1883, pp. 3-4.
  Dal Jach siamo scesi all’Evangeliste, dal Ventre de Paris siamo precipitati al Bonheur des dames, e il Nencioni – lieto, poveretto, per la moralità – ha contato che si vendono meno copie della Nanà che l’anno scorso.
  Benissimo: torniamo a leggere Balzac, Manzoni, Dumas, Dickens e – perché no? – a quando a quando anche Paul de Kock.

  A.[lessandro] Lupinacci, L’Eredità Ferramonti, «Cronaca Bizantina», Roma, Anno III, vol. V, n. 8, 1 ottobre 1883, pp. 58-59.
  p. 58. Dalle prime righe del libro un buffo di sudiceria morale vi sale alle narici; vi nausea. Dalle prime righe il lezzo di quell’angolo di mondo, su cui il Chelli ha voluto portare il suo occhio acuto di critico e la sua coscienza di artista, vi offende.
  E mai, durante tutto lo svolgimento dell’azione, quella nota falsa cui accenna lo Zola, viene a rompere la tonalité harmonique del libro; e sempre, nell’autore, quella cura minuziosa, assidua e intelligente dei particolari, che raccomandava Balzac, il gran padre di quella scuola naturalista cui appartiene il Chelli.


  Ettore Marcucci, Prose moderne ad uso delle scuole per cura di Ettore Marcucci. Lettere. – Storia Sacra. – Storia Patria. – Varietà, Firenze, G. Barbèra, Editore, 1883.

 

  p. 11, nota 2. Francesco Domenico Guerrazzi […] ha corso per tutti i generi e le forme dello scrivere; ora emulando l’altezza lirica o la passione di Byron, ora vincendo le strazianti anatomie psicologiche di Balzac, ora fantasticando come Hoffman (sic), o mordendo come Heine.


  Ernesto Masi, Romanzo sperimentale, «Fanfulla della Domenica», Roma, Anno IV, Numero 23, 10 giugno 1883, p. 1.
  Chi dice romanzo, dice invenzione, favola, lavoro di fantasia, l’opposto insomma del metodo sperimentale. Lo studio dei caratteri umani, l’analisi psicologica sono bensì le parti, che contraddistinguono i veri scrittori comici, i grandi romanzieri, e, per non parlare che del romanzo, son desse appunto quelle a cui si debbono i migliori romanzi, cosiddetti psicologici, degli Inglesi e, fra i Francesi, i romanzi, per esempio, del Balzac. Ma chi ha mai pensato a trattar di fisiologi e sperimentalisti (se non forse per traslato rettorico) il Dickens, lo Thackeray, la Eliott, il Balzac?

  Carlo Monteggia, Rivendicazioni, «Il Pungolo della Domenica. Giornale di amena lettura», Milano, [Anno I], N. 39, 28 Ottobre 1883, p. 2.
  La patience c’est le génie [citazione tratta da Illusions perdues], scrisse Balzac. Ma, o egli commise un plagio, o ripetè, senza saperlo, parole identiche lasciate scritte da Buffon.

  Emilio Motta, Dei personaggi celebri che varcarono il Gottardo nei tempi antichi e moderni. Tentativo storico di Emilio Motta (Continuaz. e fine), «Bollettino storico della Svizzera italiana», Bellinzona, Anno V, N. 12, Dicembre 1883, pp. 268-283.
  pp. 273-274. Due anni dopo [1838] troviamo il romanziere francese Onorato di Balzac tra le nevi del Gottardo nel mese di giugno!! … Aveva abbandonato ai 6 di quel mese Milano. Il farceur così scriveva ai 16 da Parigi alla contessa Hanska:
  «J’ai passé le S.t Gothard avec quinze pieds de neige sur les sentiers par lesquels je l’ai traversé, attendu que la route n’était même pas visible dans la personne des hauts piquets qui l’indiquent, que les ponts jetés sur les torrents ne se voyaient pas plus que les torrents eux-mêmes. J’ai failli périr plusieurs fois malgré onze guides (!!!); j’ai gravi le S.t Gothard à une heure du matin par une lune sublime; j’y ai vu le lever du soleil dans les neiges; il faut avoir vu cela dans sa vie; je l’ai descendu si rapidement, qu’en une demi-heure je suis passé, de vingt-cinq degrés de froid qu’il faisait au sommet, à je ne sais combien de degrés de chaleur dans la vallée de la Reuss; j’ai eu les terreurs du pont du diable, et, vers quatre heures, je traversai le lac des Quatre-Cantons …; je suis revenu par Lucerne et Bâle. J’avais pris par le Tésin et Côme; j’ai cru cette route économique de temps et d’argent, et j’ai, au contraire, dépensé énormément de l’un et de l’autre ; mais j’en ai eu pour mon argent: c’est un superbe voyage; il me reste à le faire en été pour revoir ces belles choses sous un nouvel aspect»1).
  1) V. Correspondance de H. de Balzac, 1819-1850 (Paris, Calmann Lévy, 1876), I, 419.

  Enrico Nencioni, Medaglioni. Julie – Marianne, «Fanfulla della Domenica», Roma, Anno V, Numero 2, 14 gennaio 1883, pp. 1-2.
  p. 1. C’è un proverbio francese che dice: Dis-moi qui t’admire, et je te dirai qui tu es. Ogni gran poeta, ogni gran romanziere ha avuto il suo speciale corteggio di ammiratrici – distinte d’indole, di sentimenti, di gusti, e che sono come il riflesso del carattere del loro idolo. Sarebbe curioso uno studio psicologico sulle dévouées di Chateaubriand, di Byron, di Schiller, di Lamartine, di Balzac, di Sue, di Dumas, di Tennyson, di Musset – fino alle dévouées (non avouées) di Emilio Zola.


  Enrico Nencioni, Fantasia, «Nuova Antologia di Scienze, Lettere ed Arti», Roma, Direzione della Nuova Antologia, Seconda Serie, Volume Quarantesimo Della Raccolta, Volume LXX, Fascicolo XVI, 15 Agosto 1883, pp. 730-743.
  pp. 734-735. Le descrizioni di raffinate coquetteries, di mode capricciose, son troppe. La signorina Serao mi rammenta Balzac quando si diverte a vestire e spogliare cento volte la sua perfida e bella Marneffe. Ma anche Balzac, è tutto dire, finisce col suo guardaroba di cocotte per annoiare il lettore. […].
  Così nel caso nostro quello a cui bisognava aver dato maggiore importanza era il momento psicologico della trasformazione di Andrea. Descriverci invece, con arte singolare e molte volte veramente ammirabile, tutte quelle scene d’amore diurne e notturne, non aggiunge interesse al dramma. […].
  Né vi è in natura un carattere così nettamente delineato, così preciso e assoluto, che parli e agisca sempre con continua coerenza e monotona somiglianza. […]. Anche fra i più famosi personaggi di Dickens e di Balzac ve ne sono alcuni troppo uniformi, troppo eguali a sé stessi, tutti d’un pezzo, che passano allo stato di tipo e di simbolo. Il lettore può indovinar presso a poco che cosa diranno o faranno tutte le volte che entrano in scena.

  Enrico Nencioni, Questioni ardenti, «Fanfulla della Domenica», Roma, Anno V, Numero 33, 19 agosto 1883, pp. 1-2.
  p. 2. Ora a me pare che una letteratura la quale considera la donna come un materiale strumento di voluttà o come une machine à enfantement – la Vita come una pagana idolatria del piacere – e l’Arte come una rappresentazione di forme voluttuose e di voluttà – abbia in sé stessa la propria condanna, e certa cagione di inevitabile e prossima morte.
  Se ciò non accadesse – se la letteratura pornografica trionferà su tutta la linea – scrittori e pubblico saran puniti nel loro stesso peccato. Le donne si vendicheranno della loro ignominia. Le cocottes diventeranno tiranne. Le Marneffe gastigheranno gli Hulot … e la pornografia sarà punita da una capricciosa e dispotica pornocrazia.

  Domenico Oliva, Del romanzo contemporaneo in Italia. A proposito d’un nuovo romanziere(1), «Penombre. Giornale letterario artistico settimanale», Milano, Anno I, N. 5, 11 Febbraio 1883, pp. 1-2.
  (1) Il mio romanzo, di Rocco De Zerbi – Roma, Sommaruga, 1883.
  Non è qui il luogo di studiare come il romanzo da semplice racconto d’avventure si mutasse in una vera e propria opera d’arte. Mi basta constatare che questa rivoluzione non solo non avvenne tra noi, ma che nemmeno per una minima parte si è qui contribuito all’opera, la quale dopo l’impulso poderosissimo di Onorato de Balzac è stata coronata coi libri ormai famosi di Emilio Zola e d’Alfonso Daudet. Avemmo il romanzo sentimentale del Foscolo e non fu cosa originale, avemmo il romanzo storico del Manzoni e del d’Azeglio e fu in gran parte imitazione anch’esso: abbiamo una larva di romanzo sociale e i modelli sono sempre francesi. La nostra letteratura romanzesca vive sotto tutela permanente: non solo non si pensa ad una emancipazione durante la minore età, ma non si ha mai l’intenzione di raggiungere l’età maggiore.
  Questa schiavitù intellettuale ci umilia e ci è letale: i nostri romanzi hanno vita brevissima; per lo più stentata. […].
  Il romanzo francese inonda il nostro mercato: si fa strada nelle appendici dei giornali politici, prorompe nelle biblioteche a buon mercato. È una concorrenza che non si può battere. E sono i peggiori romanzo quelli che si spacciano maggiormente. Non parlatemi dello Zola: è un caso particolare, si è tanto gridato che nell’Assomoir (sic), in Nanà, nel Pot-Bouille v’era dello sconcio, dell’immoralità, che la gente vi s’è tuffata non per ammirare la potente analisi dell’autore dei Rougon-Maquart (sic), ma per libare il nettare proibito. E tanto ha fatto che ha finito col trovare l’oscenità anche là ove non esiste affatto: forza di prevenzione! Vorrei sapere quanti da noi leggono Madame Bovary e la Comédie Humaine: credo che la statistica mi darebbe ampia ragione. […].
  Poniamo l’ipotesi che inoltriate il vostro manoscritto: l’editore non lo legge: qualche commesso della tipografia, vi getterà su un’occhiata fra un sigaro e l’altro, ma l’editore, no. Pure vi voglio fare il caso inverosimile che un paziente mortale, mandandovi al diavolo, sorbisca la noia del vostro scartafaccio. Che succederà? Il vostro lavoro, non è né César Birotteau, né Une page d’amour, l’editore dubita … e quando l’editore dubita è come Claudio allorchè aveva paura: uccide.

  Enrico Panzacchi, Gustavo Dorè, «Fanfulla della Domenica», Roma, Anno V, Numero 5, 4 febbraio 1883, p. 1.
  Io non credo per altro d’ingannarmi prevedendo che il nome di Gustavo Doré rimarrà vivo nella storia dell’arte precipuamente per la sua illustrazione del poema dantesco. Nelle tavole grottesche e bizzarre intercalate con ricchissima fantasia alle opere di Rabelais e ai Contes drôlatiques di Balzac, l’artista dissimula meglio i suoi difetti […].


  D. A. Parodi, Corriere di Parigi. Il monumento a Dumas, «L’Illustrazione Italiana», Milano, Anno X, N. 45, 11 Novembre 1883, p. 316.

 

  Ora, se mi è lecito esprimere il mio pensiero, io credo che, rendendo giustizia all’incontestabile ingegno di Alessandro Dumas, Parigi ha imposto a sè stesso il dovere di onorare ugualmente alcuni ingegni pari, anzi superiori al suo. Nessuno, fra quanti sanno discernere e sentire il bello, negherà cito alla gloria delle lettere francesi hanno ben altramente contribuito nel nostro secolo un Lamartine;

 

Che sovra gli altri com’aquila vola;

 

  un Musset colle sue poesie e le prose melodiose come il canta dell’usignuolo; un Balzac, che rivaleggia con lo stesso Shakespeare nella rara potenza di spirare anima e vita a’ suoi personaggi; un Michelet, che arricchì la sua patria di storie mirabilmente eloquenti e di libri di una così profonda e appassionata originalità.


  Dott. Pertica, La legge del taglione, in Storielle bizantine, Roma, a spese dell’autore, 1883, pp. 3-26.
  p. 26. Oh Balzac! divino fisiologo della commedia umana, quanto fosti vero e profondo, allorchè hai fatto esclamare a quel pari di Francia, rachitico e pieno d’acciacchi, additando il robusto e tarchiato domestico che lo seguiva:
  - Voyez, Messieurs, comme ils nous font? Voyez, Messieurs, comme nous les faisons!

  [Ferdinando] Petruccelli della Gattina, Le Grandi Etère, «Cronaca Bizantina», Anno III, Vol. I, Num. 7, I Aprile 1883, pp. 49-50.
  Madame Simonette non era proprio nel fiore della giovinezza, né nello sbocciare della bellezza. Perciò si arrogava una specie di autorità ed affettava le savoir vivre delle classi aristocratiche. Aveva poi letto molto di Balzac, di Musset, di Soulier (sic), di Karr, di Murger; sopra tutto gustava infinitamente le delicatezze dello spirito di Octave Feuillet – i cui Proverbes sapeva a memoria e ne spippolava delle scene o delle lunghe tirate, a torto ed a traverso. […].
  Era una perla; che importava raschiare la scaglia dell’ostrica che le era servita di letto nelle sue iridate pareti? Solo difetto: inclinava alla pinguetudine! Balzac aveva detto di una sua creazione congenere: che era un pot à plaisir! Cora non era un recipiente di piacere che pel suo amant de coeur – un giovane parrucchiere. Per gli altri era una gouffre a denaro, fredda, cinica, sfrontata. […].
  Poi si trovò in una baignoire, al Gymnase, con un feuilletoniste – che, per avventura, poteva pur essere Fiorentino. […].
  Un amico viene a stringergli la mano. E Fiorentino:
  - Je te présente la dixième olympiade, retour d’Égypte – facendo allusione ai quarant’anni, ben dissimulati, della cocotte.
  – Pas vrai ! – rimbeccò ella – Puis, quoi ! quand ce serait ? Balzac, lui qui a plus d’esprit que vous tous, a proclamé : que, à quarante ans, la femme est dans son apothéose.
  – Le pays de Lalla Roock – sclamò Feliciano David.
  – Non ; j’ai dit retour d’Égypte – replicò Fiorentino.
  – N’importe. J’adopte le pays de ma fée. Bien que Balzac ait célébré la femme que se laisse faire, point celle qui demande à faire – même à quarante ans.
  – Cela revient à la même chose, à peu-près – osservò l’istrutta bas bleuesi la femme renonce à l’initiative.

  [Ferdinando] Petruccelli della Gattina, Foglie volanti. 1849-1871. Episodio I. Jules Claretie, «capitan Fracassa», Roma, Anno IV, N. 161, 13 Giugno 1883, p. 2.
  E questo è uno dei principali cômpiti di Claretie nella letteratura attuale francese: completa. […] Gli manca l’intuito dell’archetipo come l’ebbe Balzac; Balzac è unico come Shakespeare.

  F.[erdinando] Petruccelli della Gattina, Grandi Etère, «Cronaca Bizantina», Roma, Anno III, vol. V, n. 1, 16 giugno 1883, pp. 2-3.
  p. 2. Ma, innanzi tutto, che cosa è un’Etèra?
  Anaxilas nella sua commedia il Monotropes definisce così l’etèra:
  «Una ragazza che chiacchiera senza ritegno alcuno; accorda i suoi favori a coloro che a lei si volgono nei loro bisogni naturali; una buona amica, a causa della sua heterie – o buona amicizia». […] Cangiate questi nomi con quelli delle grisettes di Paul de Kock; delle lorettes di Mürger e di Federico Soulier (sic); dei rats d’opéra e dell’Esther di Balzac, e di Nanà di Zola; di cocottes; di dames du Lac, di Cora Pearl, di Mogador, delle ragazze della Closerie des Lilas, dei Balli Mabil, Prado, Valentino … e voi avrete la figliazione, in linea diretta, dell’etèra greca – passando per quella di Roma, di cui discorrerò più oltre – alle belles du jour, le cocodettes, le suivez-moi jeune homme!

  Nino Pettinati, Sopra un nuovo libro di Giovanni Faldella(1), «Gazzetta Letteraria», Torino, Anno VII, N. 17, 28 Aprile 1883, pp. 132-133.
  (1) Salita a Montecitorio, vol. 2°: I pezzi grossi, Scarpellate di Cimbro, - Torino, Roux e Favale.
  p. 132. Io non so se Cimbro-Giovanni Faldella quando si decise alla Salita di Montecitorio avesse precisamente in animo di fare, come viene ora facendo, un’opera di polso e di mole; o se piuttosto l’idea di quest’opera non gli si è ingrandita successivamente nella mente man mano che andava studiando il suo soggetto. Succede così ben sovente in quest’opere che riecheggono il lungo studio e la maturata osservazione Balzac dall’aver osservata e riprodotta qualche scena della vita contemporanea parigina assurse man mano al concetto della gigantesca sua Commedia umana; modernamente Emilio Zola confessa che l’idea del ciclo Rougon Macquart non gli venne che dopo il trionfo di alcuni dei suoi primi romanzi.

  Caterina Pigorini-Beri, Lettera aperta al mio critico, «Preludio. Rivista di Lettere, Scienze ed Arti», Ancona, Anno VII, N. 21, 16 Novembre 1883, pp. 233-234.
  Si tratta della replica di C. Pigorini-Beri all’autore della recensione, non certo benevola e favorevole, del suo racconto: In provincia, pubblicata nel N. 17 di «Preludio» alle pp. 195-196.
  Per riassumere: l’arte è una cosa troppo alta e nobile perché le parole che additano gli errori e le mende di coloro che la inseguono, sia pure indarno, possono movere dei dispetti e dei risentimenti: però se mi è lecito una leggera osservazione che non vuol passare per una discolpa, Ella ed altri sono in errore quando credono che i tipi dei buoni villici e dei borghesi di Pont-Arcy e subordinatamente dell’in provincia siano immagini riflesse in uno specchio concavo. Dica pure che io non ho saputo fare, che mi manca l’arte completamente, che il mio racconto come l’ho chiamato io, e non romanzo come l’ha chiamato l’editore intanto che io era in viaggio, è una tela sbiadita su cui non ho saputo ricamare neppure un punto in croce, che le darò ragione, ma affermare quello che Vossignoria afferma in mondo che sembra inappellabile, non esser veri quei tipi, è imprudenza, mi scusi, dopo che Balzac ha fatto le sue scenes (sic) de la vie de province.
  Non credo che il romanzo sperimentale abbia inventato nulla dopo Balzac, né che Sardou abbia fatto del semplice effetto dopo che già esistevano la calunnia e il ciarlatanismo di Scribe (sì! anche di Scribe) e il Feudatario del Goldoni!
  Quei tipi sono tutt’altro che scomparsi in quella provincia a cui ho voluto alludere io, non importa se male o bene; ed è una provincia larga di molto e che ho visitato … eccome!

  Caterina Pigorini-Beri, In Calabria. Fra i due mari, «Nuova Antologia di Scienze, Lettere ed Arti», Roma, Direzione della Nuova Antologia, Seconda Serie, Volume Quarantaduesimo della Raccolta, Volume LXXII, Fascicolo XXIII, 1 Dicembre 1883, pp. 493-523.

  p. 517, nota 1.  I sacerdoti albanesi e greci delle popolazioni eredi dirette da quelle venute con Skanderbegh (Giorgio Castriota) di cui abbiamo parlato, possono volendo essere mariti e sacerdoti.
  La cosa poco conosciuta in Italia ha avuto un illustratore vivace e ardito in Nicola Misasi, che vi ha ricamato sopra una novella altamente drammatica. A questa novella, nella descrizione esatta del costume e del rito, non avrebbe punto guastato un maggior riserbo nell’accennare dei particolari di somma delicatezza.
  Il Misasi non ci vorrà male di un giudizio umile e modesto, che non toglie nulla all’ammirazione pel suo bell’ingegno. Egli appartiene a quella scuola, d’altronde potente e dominatrice oggidì, la quale non crede alla potenza educatrice dell’arte.   Sarà perdonabile che altri ci creda, non mancando neppure da questa parte valorosi campioni. E il Balzac che iniziò forse nel mondo la scuola così detta sperimentale nel romanzo, parve rispettasse le opinioni onestamente contrarie alle sue, quando scrisse sopra un famoso libro: «Les femmes (sic) n’entrent pas ici».

  G.[iuseppe] Pipitone Federico, Luigi Capuana. Il critico, «Il Momento letterario-artistico-sociale», Palermo, Anno I, N. 10, 16 settembre 1883, pp. 5-6.

III.
  p. 5. Luigi Capuna tien dunque dalla formula bene intesa dell’arte per l’arte; ciò è indiscutibile. Ma, come temperamento critico, come mente soprattutto analitica, un metodo, oggi sovrano dovea attirarlo: il metodo naturalista che il Balzac fuse nel bronzo immortale della Comédie de la vie humaine (sic); e il metodo naturalista, applicato al romanzo, vuol dire l’osservazione diretta, la scienza sostituita a’ pamphelets (sic) della fantasia sbrigliata, ai tipetti agro-dolci campati tra i cherubi del ciel sereno, al nordico, nebbioso piagnucolio del figlio di Fingal; vuol dire lo studio serio sostituito ai pasticcini crème in feuilleton, da mangiucchiarsi dopo pranzo. […].
  D’allora [da inizio secolo con il romanticismo], colla Comédie del De Balzac, il naturalismo irrompe gagliardo, frutto legittimo e necessario d’una lenta evoluzione.

  G.[iuseppe] Pipitone Federico, Luigi Capuana. Il critico. III. (Continuazione), «Il Momento letterario-artistico-sociale», Palermo, Anno I, N. 11, 16 ottobre 1883, pp. 2-3.

III. (Continuazione).
  p. 3. Ecco: lo Zola si preoccupa troppo – a volte – delle sue convinzioni scientifiche, e se la prende con sé stesso, accusandosi di esser condiscendente a’ pregiudizi romantici; e vorrebbe – se il potesse – rifar quel suo organismo in cui, a sentirlo, le reminiscenze romantiche s’annidano tenaci; il Capuana, al contrario, col suo buon senso siciliano evita le esagerazioni, scansa i dommi, arriva un po’ più in là, arriva, volevo dire, a riconoscere l’esclusività del brutto che spesso predomina ne’ lavori de’ naturalisti, ed antivede coll’occhio suo scrutatore le glorie future del metodo solenne che deve ad Emilio Zola – dopo Onorato De Balzac – la sua meravigliosa solidità.

  G.[iuseppe] Pipitone-Federico, Del monumento ad Alessandro Dumas, «Il Momento letterario-artistico-sociale», Palermo, Anno I, N. 13, 16 novembre 1883, pp. 1-2.

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  A Parigi, il 4 novembre, inaugurarono – tra concorso ingente di popolo e letterati – il monumento ad Alessandro Dumas padre, l’autore dei Trois Mousquetaires, il mago della fantasia, il cui ingegno niuno può mettere in dubbio nemmeno in un’epoca di assidua, affannosa ricerca scientifica, in cui tutto si analizza, tutto s’indaga, tutto si scruta, né si affibbia così di leggieri la giornèa di grand’uomo a chi, deviando dal metodo naturalista, dall’analisi scrupolosa de’ caratteri, si sbizzarrisce scorrazzando, come ubbriaco, pe’ campi delle fate e degli spaccamontagne. […] Comprendiamo noi la fantasia, la rêverie dei fratelli De-Goncourt e di Alfonso Daudet, comprendiamo la fantasia onde Emilio Zola ci dà inarrivabile esempio nella Faute de l’abbé Mouret – capolavoro che non trova paragoni in alcuna letteratura, antica e moderna – perché codesta fantasia germina e rampolla organicamente dalla realtà stessa, dalla realtà vissuta, perché, in somma, essa è sinceramente umana e si concorpora alle cose e a le persone d’onde scaturisce(1) ma la fantasia balzana che caracolla meravigliosamente, cavalcioni a un raggio di sole, tra le nuvole azzurrine, opaline ecc. ecc., tal sorta di fantasia malata, scrofolosa, anemica a’ nostri tempi non possiamo più ammetterla. […]
  Vennero dopo di lui [Dumas padre] Ponson du Terrail, Féval, Montepin, ma furono come i pigmei in cospetto al colosso, come un pigmeo appare il Dumas di fronte ad Onorato Balzac, il genio maggiore del romanzo moderno, il massimo de’ naturalisti, che sovrasta di cento cubiti il capo dell’autore di Montecristo.
***
  […] Come? … S’innalza una statua a Dumas padre – statua che sorge in uno dei migliori punti di Parigi – e a Balzac, a Flaubert niuno ci pensa.
  Strana fatalità della sorte!
  A Balzac e Dumas, morti, toccarono le stesse vicende che aveano contristata l’esistenza dell’uno, allietata l’esistenza dell’altro. La produzione letteraria di Alessandro Dumas era felice, gaja, piena di sorrisi e di attrattive, mentre la produzione di Balzac, si mantenne dolorosa, anche, dopo ch’egli ebbe raggiunta, insieme a un po’ di fama, la piena maturità dell’ingegno.
  L’oro che Dumas guadagnava colla fantasia feconda, e’ pensava a dissipar poi, in brevi giorni, con una fantastica e vertiginosa rapidità; i creditori, al contrario, attendeano al varco ogni quaderno del Balzac, come fameliche lupe che rabbiosamente addentavano la vittima, spossandola.
  Morirono entrambi. Ebbene, ad Alessandro Dumas i parigini innalzano, dieci anni dopo la morte, un monumento magnifico: Balzac, lui, resta confinato tra le ardesie dei tetti d’una meschina via di Parigi. Di Balzac niuno ricorda; ad Alessandro Dumas padre – inaugurandosene il monumento – illustri scrittori elevano inni; a lui concedono con facilità meravigliosa l’eternità dell’opera, lui conclamano artista!
  […] Guardimi il cielo dall’insultare alla memoria del sublime conteur amusant, ma che posso farci? sarà questione di nervi! Forse un rammarico m’assale quando penso che a Dumas padre s’alza una statua e a Flaubert, a Jules De Goncourt, ad Onorato de Balzac – massimo fra tutti – non si pensa. Chè a Balzac – come dissi – è gala se consacrarono una modesta strada di Parigi, mentre di Flaubert non un sol vestigio si incontra nel cerveau du monde […].


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***
  […] Cosa ne pensi io della storia di Francia ammanita dal Dumas i lettori conoscono, ma più credibile testimonianza parrà loro, senza dubio, quella di Onorato de Balzac stesso, che, scrivendone alla contessa Hanska così s’esprimeva;
  «Je comprends, chère comtesse, que vous ayez été choquée des Mousquetaires, vous si instruite, et sachant surtout à fond l’histoire de la France, non seulement au point de vue officiel mais jusqu’aux moindres détails intimes des petits cabinets du roi et du petit couvert de la reine. On est vraiment fâché d’avoir lu cela, rien n’en reste que le dégoût pour soi même d’avoir ainsi gaspillé son temps».
  Quanto al gaspiller, ne convengo, c’è dell’esagerazione. Di questo passo cosa avrebbe pensato il de Balzac dei lettori di quei molto indigeribili pasticci cucinati da Boisgobey, da Stapleaux e Zaccone? Altri vegga.
  Per conto mio non mi ostinerei poi molto a prendermela colla statua di Dumas padre, se i parigini fossero stati un pochino più giusti, o se volessero decidersi ad esserlo adesso col promuovere una sottoscrizione nazionale per un monumento bronzeo al padre del romanzo moderno. Lasciamo andare se il miglior modo di onorare i giganti sia quello d’innalzar loro delle statue; io son d’accordo collo Zola, delle cui idee ho voluto farmi, oggi, l’eco in gran parte almeno, nel sostenere che il più insigne monumento dei forti, sia la solennità dell’opera loro. Balzac è lì intero, granitico, nelle pagine eterne della Comédie de la vie humaine (sic); questo non toglie però che Parigi abbia avuto il torto di posporre l’autore d’Eugénie Grandet all’autore dei Trois-Mesquetaires (sic). Il torto, lo ripeto, è inescusabile; ci si ripari con una pronta ammenda.
***
  Onorato de Balzac fu il primo a portare netto, deciso, dopo tentativi del Diderot e dello Stendhal il senso del reale nel romanzo moderno. Col Balzac s’apre da vero – malgrado le fantasmagorie e le esagerazioni cui anch’egli si abbandona – il romanzo sperimentale. Non più l’epoca moderna – considerata, si capisce, nella gente colta – può contentarsi de’ nimbi dorati, dei periodi storici infranciosati con grazietta elegante, dei cavalieri dalla maschera di ferro, non dei raccontini a voli pindarici; non più le basta la psicologia de’ caratteri datale dallo Stendhal, diseccatore insuperabile, ma la psicologia e la fisiologia devon procedere, armonicamente, di conserva nel romanzo contemporaneo. Questa la gloria del de Balzac che, studiando i temperamenti, mettevali in rapporto col mezzo (le milieu). Questa maniera armonica iniziò il Balzac, pel quale il romanzo mira all’osservazione scrupolosa, all’analisi acuta, alla corrispondenza perfetta dei personaggi colle cose e coll’ambiente. Balzac, perciò, è un colosso, egli è un vero lottatore de’ tempi antichi, dai garetti d’acciaio che, dopo trovata la ruvida massa del nuovo romanzo, s’affatica, immenso nei suoi sforzi, a modellarla nella forma adatta, in quella forma d’onde dipende la durevolezza dell’opera d’arte. E spesso soccombe nella lotta immane, e la scorie invade i suoi libri, permea, rigagnolo torbido, tra la massa stupenda della Comédie … Io l’immagino alle prese con quello strumento ribelle della forma, mentre i creditori gli stanno alle calcagna, alle prese di continuo colla necessità di buttar giù in fretta quaderni su quaderni e l’incontentabilità sublime dell’artista, che faceva rifargli, due o tre volte magari, da cima a fondo sulle bozze di stampa tutti i capitoli licenziati già al tipografo.
***
  Perdoniamogli dunque al fondatore del romanzo naturalista le mende gravissime di forma, in omaggio solennità adamantina d’un monumento «aere perennius». Del resto egli ha trovato nel massimo dei romanzieri contemporanei un avvocato letterario insigne. Né saprei come chiuder meglio questa chiacchierata scucita, se non col trascrivere un brano della prosa geniale del valente scrittore parigino.
  «Balzac a été, comme Stendhal, accusé de mal écrire. Il a pourtant, dans les Contes drolatiques, donné des pages qui sont des bijoux de ciselure; je ne sais rien de plus joliment inventé comme forme, ni de plus finement exécuté. Mais on lui reproche des lourds débuts de ses romans, les descriptions trop massives, surtout le mauvais goût de certaines exagérations dans la peinture de ses personnages. Il est évident qu’il a la patte énorme et qui écrase, par moments. Aussi faut-il le juger dans l’ensemble colossal de son œuvre. On voit alors un lutteur héroïque, qui s’est battu avec tout, même avec le style, et qui est sorti cent fois victorieus (sic) du combat. D’ailleurs, il a beau s’embarquer dans des phrases fâcheuses, son style est toujours à lui. Il le pétrit, le refond, le refait entièrement à chacun de ses romans. Sans cesse il cherche une forme. On le retrouve, avec sa vie de producteur géant, dans les moindres alinéas. Il est là, la forge gronde, et il tape à tour de brase sur sa phrase, jusqu’à ce qu’elle ait son empreinte. Cette empreinte, elle la gardera éternellement. Quelles que soient les bavures, c’est là du grand style».
  Il Maestro ha parlato; qualsiasi comento riuscirebbe una scioperata imbrodolatura.
  (1) Parlando dello Zola, ed in ispecie della Faute de l’abbé Mouret, senza asserire, come ha fatto di recente taluno, ch’egli abbia scarso e stentato il senso umano, ho pur bisogno di notare che per le vene dello Zola scorre ancora il vecchio sangue di romantico: c’è in lui come un’eco dello Chateaubriand e dell’Hugo. […].
  Il romanticismo è più forte della sua volontà, ecco; a lui bisogna saper grado, invece, del rinnovamento profondo prodotto in seno al romanzo moderno, del metodo analitico cui seppe far capo, della spinta gagliarda data al fecondo ma ancor grezzo e incomparato concetto del de Balzac, della logica connessione, infine, della solidità indiscutibile alla quale assurse, sua mercè, l’edificio onde Balzac ebbe gettata la prima pietra, onde Flaubert e i De Goncourt cominciarono la muratura e l’abbellimento.

  P. S. Eudonimo [Luigi Lodi, Edoardo Scarfoglio], L’ultimo libro dello Zola, «La Domenica Letteraria», Roma, Anno II, Num. 45, 11 novembre 1883, pp. 3-4.
  p. 3. Lo Zola non è penetrato di prosa, come il Balzac: in lui anzi gli elementi poetici, fantastici e melodici, prevalgono; e l’anima del romanticismo palpita in lui più schiettamente. Egli ha scarso e stentato il senso umano; ha, più profondo e più largo, il senso della natura; in genere, di tutte le cose esteriori. Così, nei suoi libri, gli uomini non sono il centro della vita; anzi non sono che strumenti passivi dell’ambiente esterno.
  Il concetto della lotta manca, o è inteso in un senso angustissimo, da uomo ad uomo.

  Edouard Rod, Corrispondenza da Parigi, «Fanfulla della Domenica», Roma, Anno V, Numero 8, 25 febbraio 1883, pp. 2-3.
  [Su : Dans le monde di H. Rabusson].
  p. 2. I mobili dell’appartamento sono convenientemente descritti, col metodo dell’enumerazione che ricorda gl’inventari; ma l’analisi psicologica manca affatto, e ci accorgiamo subito d’esser lontanissimi dal vero mondo del Balzac, delle duchesse Le Langeais (sic), de Monfrigueux e della contessa de Béauséant (sic).

  Edouard Rod, Il seggio di Jules Sandeau, «Gazzetta Letteraria», Torino, Anno VII, N. 21, 26 Maggio 1883, pp. 161-162.
  p. 161. L’Accademia, le cui opinioni letterarie non sono guari avanzate, professa ancora pel romanzo un sovrano disprezzo. Mentre apre larghi spalancati i battenti a scrittori di un merito artistico contestabile, come Sardou, perché «fanno del teatro» li chiude spietatamente sul viso ai romanzieri come Balzac.

  Edouard Rod, Augusto Barbier postumo, «Gazzetta Letteraria», Torino, Anno VII, N. 36, 8 Settembre 1883, pp. 281-282.
  p. 282. Augusto Barbier, per esempio, racconta che a Napoli fece una corsa «au risque d’attraper une fluxion de poitrine» per veder passare il calesse di Walter-Scott. «En aurais-je fait autant» si chiede quindi «pour contempler les traits de M. Honoré de Balzac, gloire parisienne, et des plus retentissantes ? Je ne le pense pas et il est probable que ne l’eusse jamais vu qu’en gravure si le hasard ne m’en eût procuré la rencontre».
  Niente di più curioso che la descrizione di questo incontro avvenuto presso un gran signore russo. Augusto Barbier contempla con tanto d’occhi il grande romanziere che, seguendo le sue abitudini d’uomo in continua produzione di idee, parla molto, gesticola meglio ed esprime le sue opinioni in tutta la loro franchezza senza punto curarsi delle leggi del galateo mondano ed elegante. Balzac spiffera paradossi su paradossi sino all’entrata in scena di Léon de Wailly, il quale imprende a difendere la «morale oltraggiata». Léon de Wailly, uomo di mondo, arguto e fine parlatore, più a posto di Balzac in un salotto, non tarda a mettere i burloni dalla sua parte. Alla fine il conte Horace de Viel-Castel si intromette anche lui nella discussione e Balzac ne approfitta per andarsene, esclamando abbastanza forte da essere inteso: «Ma foi, j’en ai assez et je m’en vais: je ne savais pas que je fusse tombé ici dans un guêpier de poëtes». E Augusto Barbier gongola di gioia e conchiude: «Voilà comment j’ai vu et entendu le fameux Honoré de Balzac une fois dans ma vie».
  Nell’aneddoto e nel modo di raccontarlo v’è tutto Barbier.
  Ma, in fondo in fondo, l’atteggiamento di Augusto Barbier di fronte a Balzac è quello dell’intera sua generazione: - non osava non ammirare Balzac, soggiogata dal suo genio dominatore e dal lavoro titanico; ma gioiva di cuore tutte le volte che qualche pigmeo faceva inciampare il gigante in una rete tesa con sottile astuzia. Non è questo d’altronde il massimo diletto della folla? E non vediamo noi ad ogni momento Gulliver incatenato dai Lillipuziani? Ma, tosto o tardi, Gulliver spezza le sue catene, - ed i microscopici tiranni scompaiono. Malgrado la sua avversione per Balzac, Augusto Barbier stesso confessa che la gloria della Commedia umana va sempre allargandosi, mentre altre glorie svaniscono nelle tenebre del tempo … Quanti nomi, celebri un tempo, non lasceranno la menoma traccia nella storia del pensiero umano! Ed Augusto Barbier sarebbe certo fra costoro se non avesse scritto, in un giorno eccezionale, ispirato da un soffio di genio che l’ha poi abbandonato, L’Idole e La Curée!

  Edouard Rod, Corrispondenza da Parigi. Paul Bourget, «Fanfulla della Domenica», Roma, Anno V, Numero 39, 30 settembre 1883, p. 2.
  La generazione presente, quella che viene subito dopo quella degli Zola e dei Daudet, è stata sottoposta a influenze contraddittorie: da un lato l’ultimo bagliore del romanticismo che tramonta, gli splendori del gran nome dell’Hugo, diventato ormai una leggenda vivente, i felici successi, forse più brillanti che solidi, di molte fra le produzioni del 1830, che si rappresentano di nuovo sui nostri teatri; dall’altro il naturalismo del Balzac e dello Zola, più omogeneo ai bisogni del tempo presente, più atto ad attirare il pubblico, seducendolo col suo fare esatto, col suo apparecchio scientifico, col rumore che si mena attorno ad ognuna delle sue nuove produzioni […].

  Edouard Rod, Un libro su Alessandro Dumas Padre, «Gazzetta Letteraria», Torino, Anno VII, N. 42, 20 Ottobre 1883, pp. 331-332.
  Se il più spesso ci dimostriamo ingrati verso i nostri veri grand’uomini, consacriamo invece una specie di culto meticoloso alla memoria di chi ci ha divertito o ci ha fatto ridere. […] Balzac, il più grande scrittore del secolo, forse il più grande che la Francia possa vantare, aspetta ancora una statua. E quando Parigi si è decisa ad accordare l’onore di un monumento su una delle sue piazze principali ad uno degli artisti della prima metà del secolo, ha subito scelto Alessandro Dumas. […].
  Il signor Blaze de Bury, che gli consacra un intero volume, ha scorto subito quale era stato – non dirò la gloria, è una parolona troppo rimbombante – ma il vero successo e la vera vocazione di Alessandro Dumas. La poesia romantica di quelle feconde annate che tennero dietro alla Restaurazione, appartiene a Victor Hugo: il romanzo a Balzac. Resta il teatro: nessuno certo ha prodotto un lavoro shakspeariano (sic), ma Dumas padre vi ha infuso del movimento, dell’azione e della passione.

  Edouard Rod, Il teatro e i romanzieri naturalisti, «Gazzetta Letteraria», Torino, Anno VII, N. 50, 15 Dicembre 1883, pp. 395-396.
  p. 396. Perciò si deve dire che mentre esiste un romanzo moderno anche dopo Stendhal, Balzac e Flaubert, non esiste invece un teatro moderno, anche dopo Thérèse Raquin e les Corbeaux.

  Felice Romani, Proemio che mi par necessario, in Novelle e favole in prosa ed in versi raccolte e pubblicate a cura di sua moglie Emilia Branca, in vendita nelle Librerie di Ermanno Loescher, Torino, Firenze e Roma, 1883, pp. 3-8.
  p. 5. – Quand’io penso, o mio Sacchi, alle molte e molte ricchezze della nostra letteratura, io non so se dobbiamo chiamarci o più ingrati o più stolti di lasciarla sepolta, come facciamo, negli scaffali delle biblioteche, e di stillarci il cervello per fare incetta di derrate straniere. […] nulla pertanto in fatto d’invenzione, di finzione e di fantasia abbiam noi da invidiare alle letterature oltremontane. Eppure, immemori e ciechi, siam persi dalla strana manìa di correr sull’orme di Gualtiero Scotto, di Alessandro Dumas, di Onorato Balzac, di Eugenio Sue, e di tutti, in una parola, i più recenti novellatori d’ogni nazione.
  Questi noi crediamo imitare, e non facciam che copiarli: di modo che nulla serbiamo di nostro, nulla di nazionale, nulla che abbia indole italiana nelle nostre invenzioni, nulla finalmente che tenda allo scopo a cui tender deve qualunque opera d’arte, al miglioramento, cioè, morale e civile degli Italiani. Copiare per copiare, atteniamoci ai nostri. Le copie saran meno deformi.

  Felice Romani, Le Novelle in Italia [«Gazzetta Ufficiale Piemontese», N. 107, 1835], in Critica letteraria. Articoli pubblicati e raccolti a cura di sua moglie Emilia Branca. Volume Primo, Torino, Firenze e Roma, in vendita nelle Librerie di Ermanno Loescher (Torino, Stabilimento Tipografico Vincenzo Bona), 1883, pp. 12-15.
  p. 15. Trista verità; ma buon per noi se è sentita. Non vedete, o lettori, con qual foga si corre dietro alle teutoniche fantasticherie dell’Hoffmann, ai bizzarri mostri del Balzac, alle strane misticherie del Janin, a tutti insomma i capricciosi fantasmi di cotesti oltramontani di moda? Io non so se fra loro si trovino i tipi degli uomini che tolgono a rappresentare in quei racconti sì stravaganti e fuori di natura: so bene che fra noi non si trovano, e so che noi, dipingendoli, facciamo lo stesso che quei pittori, i quali figurano fiori e frutti, piante e animali, che non esistono; grotteschi insomma e chimere. Lasciamo da parte cotesti tipi che ci conducono a turpi copie, e se non possiamo ancora essere originali seguiamo, per minor male, ad essere imitatori de’ nostri antichi.

  Letteratura straniera [«Gazzetta Ufficiale Piemontese», N. 140, 144, 150 – 1840], pp. 399-409.
  p. 400. I Teatri, omai disgustati dalle mostruose produzioni degli ultraromantici, dopo la clamorosa caduta del Balzac e il lepido disinganno di Giorgio Sand1, sono spopolati come i nostri, e come i nostri ridotti ad appigliarsi alle ripetizioni.
  1 Il Balzac nei due o tre tentativi che fece sulla scena non ebbe mai fortuna. Il suo ingegno analitico non era fatto per la sintesi drammatica. La Sand invece riuscì poscia a dare opere drammatiche a cui arrise il più splendido successo, e che vivono oggidì sul teatro francese e anche sul nostro.


  Romeo, Papere e stecche, «L’Arte. Rivista di lettere, di arti, di teatri e di società», Firenze, Anno XI, Num. 13-14, 22 settembre 1883, p. 98.

 

  Nel Mercadet l’Emanuel fu applauditissimo come attore perfetto, poco lodato come riduttore. Infatti ha mutilato barbaramente il capolavoro drammatico di Onorato Balzac.


  G.[iulio] Salvadori, Memento homo!, «Cronaca Bizantina», Roma, Anno III, Vol. V, Num. 3, 16 Luglio 1883, pp. 18-19.
  In questo libro, le novelle popolane e le borghesi si dividono non solo per la materia. Il Capuana, nelle popolane ha voluto riprendere il metodo, oggettivo in tutto, del Verga, prendendo anche lo stile ai suoi personaggi per raccontare i loro casi. Confesso: non mi par metodo buono. […].
  Già per me, anche per norma generale, il premere un poco la mano, a chi voglia riprodurre visibilmente le linee che la vita annega nell’abbondanza dei particolari, è un’assoluta necessità. I soli critici, che discorrono tanto bene appunto perché discorrono in aria, possono cantare ad ogni momento – Riproducete la vita così com’è! – La vita com’è? essi non la riconoscerebbero, i signori critici, quando la vedessero riprodotta, e dall’alto del loro tripode direbbero, al solito, senza prove: Falso! La verità artistica è la bella pèsca fiorita che Balzac faceva vedere al famoso prefetto di polizia, Vidocq. «La pèsca vera» diceva egli, «viene naturalmente sul pèsco selvatico nella selva. Sì: ma quella lì non val nulla, smilza, agra, amara; non si può mangiare. La vera pèsca è questa: questa che ho io, educata per cento anni, ottenuta con un certo taglio a destra o a sinistra, con un trapianta mento in un terreno secco e leggero, con un innesto d’un certo genere. Questa è la pèsca che si mangia, e profuma la bocca e lo stomaco».
  Il Capuana, fattosi critico per essere artista, intende benissimo queste cose; né egli è di quei pronipoti di Balzac che Balzac non sanno neanche dove stia di casa. Egli ci ha dato già, e ci darà sempre migliore, la vera pèsca di Montreuil piena, profumata, fiorita: bozzacchioni non ne ha dati mai.

  Giulio Salvadori, Lettera 19-I [1883], in Lettere I (1878-1906), a cura di Nello Vian, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1976, p. 41.
  Nel diario giovanile, un’annotazione del luglio ’83, senza il giorno, scava nel fondo di questa amarezza [cfr. lettera a Severino Ferrari dell’estate 1883]: «Più cerco dentro di me e più trovo questa irrequietezza che m’amareggia la vita, la sfiducia che ogni tanto mi riassale più terribile, e il lavoro di svisceramento d’ogni cosa che mi rende odiosa e impossibile l’arte, son tutti fenomeni che fan capo al vuoto d’amore che è, ed è stato sempre, dentro di me. Mi manca quella che Balzac chiamava palpitazione dell’anima; quello scambio di sentimenti che fa la vita interiore, come l’aspirazione e la espirazione fanno la vita del corpo».

  Edoardo Scarfoglio, Luigi Capuana, «La Domenica Letteraria», Roma, Anno II, Num. , 17 giugno 1883, pp. 3-4.
  Per esempio, una delle novelle, Companatico, che io senza esitare giudico meravigliosa, è tale da stare gloriosamente anche nel Decamerone o tra le più perfette cose di Balzac, è un rifacimento in prosa italiana d’una storia in poesia siciliana che il Capuana, con una straordinaria imitazione dello stile e dell’andamento popolaresco scrisse, nel 1868, e presentò al Vigo, che, senza punto avvedersi dell’inganno, la stampò nella sua Raccolta amplissima di conti popolari siciliani.

  Edoardo Scarfoglio, Cronaca Bizantina. III. Il «Capitan Fracassa», «La Domenica Letteraria», Roma, Anno II, Num. 36, 9 settembre 1883, pp. 1-3.
  p. 1. Vi andai però da me solo, pochi giorni dopo, quando il Fracassa mi chiamò con due righe nella piccola posta.
  Che volevano da me? […].
  Vassallo, che io salutai con una scappellata rispettosa in atto mezzo timido e selvatico, sedeva a un largo scrittoio ingombro di giornali e di pezzi di carta, con un cattivo sigaro cavour in bocca, e un po’ ripiegato o accovacciato sulla sua persona: con quella faccia grassottella, con quella fronte ingombra di ricciolini, mi pareva a primo aspetto l’illustre Gaudissart di Balzac, il principe dei commessi-viaggiatori; ma, sebbene mi accogliesse con una certa politezza amichevole ed espansiva, non mi empì la testa di chiacchiere, come io mi aspettavo.

  Matilde Serao, Fantasia. Romanzo, Torino, F. Casanova, Libraio-Editore, 1883.
  La protagonista di Fantasia è la ieratica Lucia Altimare, una giovane donna romantica e delicata, che soffre d’un disturbo nevrotico e nutre velleitari progetti mistico-filantropici.
  Lettrice appassionata dell’opera leopardiana, prediletta insieme alla Bibbia, l’austera fanciulla esprime di continuo una visione dolente e malinconica dell’esistenza, in cui campeggiano l’ossessione del peccato e del dolore.
  Lucia è un’idealista, che tende ad interpretare certi valori in termini assoluti, in particolare la carità cristiana verso il prossimo e l’amore, concepito soprattutto come passione dolorosa.
  Lucia consiglia ad Andrea Lieti, che a poco a poco finisce per invaghirsi della sua bellezza fragile e patetica e se ne innamora perdutamente, di leggere Eugénie Grandet di Balzac, un romanzo che il fidanzato di Lucia, Alberto Sanna, mostra invece di conoscere.

Parte terza.
  pp. 197-198.
- […] Vedete, in quel quadro io [Lucia] ci vedo un romanzo. Povere creature [due signorine, figlie di un proprietario di San Leucio, autrici di un dipinto che Lucia ed Andrea stanno guardando], che forse hanno passato le loro serate solitarie d’inverno, relegate in casa, distraendosi con questo antiartistico, provinciale, umile lavoro. E forse ambedue ci si sono affaticate, sospirando su qualche amore incompreso che l’avidità dei parenti impedisce. O forse ci hanno lavorato, pensando di essere vecchia zitelle, una gioventù sfiorita. Povero quadro! Lo comprerei …
  - È fuori vendita. Lo manderanno alla regina forse.
  – Avete letto Eugénie Grandet di Balzac, signor Andrea?
  – No: ho letto due o tre romanzi di Balzac, ma non me ne ricordo il titolo.
  – E tu, Alberto?
  – Io, sì, cara.
  – E come lo trovi?
  – Tu sai che m’intendo poco di letteratura. È bello.
  – È triste, Alberto. Leggetelo, signor Andrea.
  – Lo leggerò, se volete.
  – Anzi, ve lo presterò io. Ci sono delle note al margine. Lo farò venire da Napoli. Mi direte la vostra opinione. […]
  p. 284. – Datemi quel libro, Andrea.
  – Ma che! – esclamò Alberto – vuoi leggere adesso? Si va a pranzo, sai.
  – Veggo solo una pagina.
  – Che pagina? Io odio il tuo Balzac, lungo e triste. Il libro lo sequestro io.
  E fece per prenderlo. Andrea lo tirò a sé, naturalmente, pensando che tutto era perduto. Lucia chiuse gli occhi, come se morisse. Nulla accadde. Alberto non insistette per avere il libro. Dopo tutto, che gliene importava di Eugénie Grandet? Purchè sua moglie non leggesse e chiacchierasse così allegramente come prima!


  Matilde Serao, La Serva (Dal “Fracassa”), «L’Illustrazione Popolare», Milano, Volume XX, N. 31, 5 Agosto 1883, p. 495.

 

  Tale fu, con maggior larghezza di ambizione, con grandezza di ferocia, Fredegonda, la serva di Chilperico, che diventò regina: e Alfredo de Musset, innamorato della Rachel, aveva già scritto quattro atti della Servante du roi, e l’avrebbe finito, se non fosse andato male l’amore. Ma il romanzo della serva di provincia non è ancor scritto. Balzac, nel suo Ménage de garçon, ha fatto quello del vecchio scapolo e della serva giovane che non giunge a farsi sposare, ma spoglia la casa e arricchisce la propria. Poiché è già stato molto detto, molto narrato, molto descritto il potere grandissimo che può avere la serva sul celibe ostinato, sullo scienziato solitario assorbito nello studio, sull’inventore preso da una scoperta, su tutti i malinconici, su tutti i misantropi, su tutti gli egoisti. Costoro le sposano, le loro serve, o se ne fanno padroneggiare. Il Sainte-Beuve, un grande critico e un cattivo carattere, aveva quello che egli stesso definiva, la passione ancillariota.


  Matilde Serao, Salvation Army, «capitan Fracassa», Roma, Anno IV, N. 282, 14 Ottobre 1883, p. 1.
  Questa nuova forma del misticismo moderno ebbe già, lo scorso anno, una interpretazione artistica nel romanzo l’Évangéliste di Alfonso Daudet. […]. Eppure, nessuno dei romanzi moderni, il cui più forte sentimento fosse il misticismo, aveva prodotto quella impressione viva di ripugnanza. Due o tre romanzi di Balzac, fra cui quello incantevole, puro e semplice di cui Ursule Mirouet era il dolce titolo; la Consuelo di Giorgio Sand dal misticismo romantico-musicale; Madame Gervaisais dei fratelli Goncourt; La faute de l’abbé Mirouet e La conquête de Plassans di Emilio Zola; financo quel falso ed elegante romanzo mistico, la Sibilia di Feuillet: nessuno, nessuno di questi libri, malgrado le morbosità bizzarre dei protagonisti, era dispiaciuto al pubblico. Tutti erano stati letti con interesse, alcuni erano ascesi all’onore di opera d’arte. Tutti, salvo questo romanzo l’Évangéliste, che fu molto annunziato, male accolto, poco letto e presto dimenticato.

  Antonio De Serpa Pimentel, Letteratura, in Alessandro Herculano e il suo tempo. Studio critico per Antonio De Serpa Pimentel tradotto da Aurelio Metello. Riveduto ed approvato dall’Autore, Roma, Ermanno Loescher & C.°, 1883, pp. 59-82.
  p. 73. La scuola che solamente in Francia produsse Chateaubriand, Lamartine, Victor Hugo, Alfredo De Vigny, Musset, Beranger, Barbier, Dumas, Sainte Beuve, George Sand, Balzac e Mérimée, senza parlare degli astri di seconda e terza grandezza, nella storia dello spirito umano e dell’arte moderna occupa un posto distinto ed una pagina brillante.

  Teodoro Serrao, Romanzi e romanzieri spagnuoli, «Cronaca Bizantina», Roma, Anno III, Vol. IV, Num. 8, 16 Aprile 1883, pp. 63-64.
  p. 63. Si fa presto a chiamarsi seguace del naturalismo, perché è di moda fra i giovani; ma si fa anche più presto a condannarlo – costa sì poca fatica citare cinque o sei aforismi d’estetica dogmatica, coi quali si può condannare a priori tutto ciò, che con altri cinque o sei si potrebbe difendere.
  Questo movimento è cominciato in Francia con Balzac, Flaubert, Zola, si è poi diffuso ed ha passato i confini; tanto che Benito Perez Galdós e D. Juan Valera – i più vigorosi romanzieri spagnuoli – io credo sieno legittimi discendenti dei tre grandi artisti francesi.

  Luigi Settembrini, Lettera al Fratello Giuseppe Settembrini. Santo Stefano, 20 Agosto 1857, in Epistolario. Con prefazione e note del Prof. Francesco Fiorentino, Napoli, Cav. Antonio Marano, Editore, 1883, pp. 138-142.
  Cfr. 1857.

  Paolo Spada, Baci, «capitan Fracassa», Roma, Anno IV, N. 75, 17 Marzo 1883, p. 1.
  Si possono scrivere le cose più scabrose e anche bene, ma non riuscire su questo tema: come si può essere lirici sino al volo più sublime negli orizzonti poetici, rimanendo terra a terra quando si tratta del bacio.
  Vedete, Balzac, che ha scritto tutto, non ne ha mai parlato. Questo singolare miscuglio di reale e d’ideale, di prosa e di poesia, di vita e di sogno, questa cosa così piena di desiderio, di terrore, di pensiero, di profumo, è l’abisso più pericoloso dove ognuno può precipitare.

  Gustavo Strafforello, La Sapienza del Mondo, ovvero Dizionario universale dei proverbi di tutti i popoli raccolti, tradotti, comparati e commentati da Gustavo Strafforello con l’aggiunta di aneddoti, racconti, fatterelli e di illustrazioni storiche, morali, scientifiche, filologiche, ecc. Volume Primo, Torino, Editore Augusto Federico Negro, 1883.

Corno-Corna, pp. 370-371.
  p. 371. Chi è nato per portar corna, ha un bel fare, ma le avrà.
  Balzac chiama, se non erro, i così fatti les prédestinés.

Danaro, pp. 445-462.
  pp. 461-462. Mentre il gran romanziere Balzac giaceva insonne nel letto, rimuginando qualcheduno de’ suoi racconti deliziosi, un ladro si sguizzò nella sua camera e tirò pian piano il cassetto del suo scrittoio per ghermire il danaro. Balzac, che lo aveva sentito, si mise a ridere smascellatamente, di che il ladro, meravigliato piuttosto che atterrito, gli domandò perché ridesse. – «Rido» riprese tranquillamente il gran romanziere, «nel vedere un minchione quale tu sei esporsi allegramente alla galera per andar cercando di notte danaro in un luogo dove io non ne posso mai trovare di giorno!» Il ladro se la svignò, ridendo anch’egli come Balzac.

Donna, pp. 542-563.
  pp. 562-563. Il tema della donna è così importante a’ dì nostri, che, dopo aver gustati i proverbi intorno ad essa, non sarà discaro al lettore sentir anche il giudizio pro e contro le donne di alcuni insigni scrittori.
  PRO
  […]
  La donna è l’essere più perfetto fra le creature; ella è una creazione transitoria tra l’uomo e l’angelo. (Balzac)[10]

  A.[ndré] Theurier, Michele Verneuil, «Corriere della Sera», Milano, Anno VIII, Num. 178, 30 Giugno-1 Luglio 1883, p. 2.

  Erano state nella giornata a visitare la Chambrerie e la signora ne aveva portato un mazzo di gelsomini che aveva in petto. La corsa al­l’aperto le aveva colorito le guancie, e questo la rendeva più attraente. Una domanda della signorina ruppe finalmente il ghiaccio e permise al professore d’entrare in discorso. Aveva letto la Grenadière e desiderava sapere se la casa descritta da Balzac esisteva realmente a Saint-Cyr. Michele rispose di sì ed indicò pre­cisamente il punto dove era situata la Grenadière in faccia al ponte Bonaparte. La signo­rina lo ringraziò sorridendo.

  — La descrizione di Balzac, continuò Verneuil, è non solo un’opera d’arte ma anche un prodigio d’esattezza.... Ha dipinto magistralmente i paesaggi della Turrena. Lo avrete notato se avete letto Il Curato di Tours, e visitata la piazzetta dietro la cattedrale.

  Conosco il romanzo, disse la signora Cou­dray, ma conosco poco la Turrena. Quando c’era mio marito non si veniva mai a Tours, o non abbiamo veduta ancora la cattedrale.


  A. Theurier, Michele Verneuil, «Corriere della Sera», Milano, Anno VIII, Num. 179, 1-2 Luglio 1883, p. 2.

  Lungo la strada la conversazione fu animata. La vedova era colta, conosceva bene Balzac e ne parlava con un’ammirazione che sua figlia divideva.

  Anche voi signorina avete letto La Comédie humaine? domandò Michele.

— Senza dubbio, rispose la madre. Giovanna legge specialmente i libri che le sono proibiti; è una fanciulla terribile. Ha degli entusiasmi che mi spaventano. Figuratevi che un giorno dopo aver divorato Le Marquis de Villemer, si mise in testa di conoscere l’autore, ed andò sola per Parigi in cerca della casa di Giorgio Sand. […].

  Erano arrivati sul sagrato al crepuscolo. Sbucarono sulla piazza Grégoire-de-Tours, dietro Saint-Gatien. […].

  — È qui che Balzac ha fatto vivere il cu­rato Birotteau, disse Michele accennando una porta tappezzata di vite vergine; l’alloggio è ancora oggi tal quale l’ha descritto nel romanzo.

  — Sì, rispose la signora di Coudray, questo punto ha molto carattere, ma non ci vorrei stare. Amo il rumore ed il sole. Sono del pa­rere del romanziere. Egli dice che questo quar­tiere «non può essere abitato se non da indi­vidui ridotti ad un’assoluta nullità o dotati di una forza d’animo prodigiosa».


  A. Theurier, Michele Verneuil, «Corriere della Sera», Milano, Anno VIII, Num. 181, 3-4 Luglio 1883, p. 2.

  Michele, sentendosi padrone del pub­blico finì il discorso con un’invocazione al ge­nio della Turrena; terminò augurandosi di veder presto alla testa del ponte di Tours la statua del gran romanziere turingio, Balzac, sorgere in faccia a quella di Descartes, e che la Loira rifletteva nelle sue acque l’immagine potente della forza creatrice, accanto all’austera imma­gino della libertà di pensiero.


  A. Theurier, Michele Verneuil, «Corriere della Sera», Milano, Anno VIII, Num. 182, 4-5 Luglio 1883, p. 2.

  — Non temete nulla, rispose Perusson; avete conquistato il cuore della prefettessa, e la prefettura vi sosterrà ... Del resto il vostro elogio di Balzac realista e cattolico è stata un’a­bile manovra; avete messo i salotti dalla vostra parte e le signore saranno dalla vostra.


  Andrea Theuriet, Michele Verneuil. Romanzo di Andrea Theuriet, «L'Euganeo. Giornale politico-quotidiano», Padova, Anno II, N. 355, 28 Dicembre 1883, p. 2.

  Cfr. supra, «Corriere della Sera».

  Erano stata nella giornata a visitare la Chambrerie e la signora ne aveva portato un mazzo di gelsomini che aveva in petto. La corsa all’aperto la aveva colorito le guancie, e questo la rendeva più attraente. Una domanda della signorina ruppe finalmente il giaccio e permise al professore di entrare in discorso. Aveva letto la Grenadiere (sic) e desiderava sapere se la casa descritta da Balzac esisteva realmente a Saint-Cyr. Michele rispose di sì ed indicò precisamente il punto dove era situata la Grenadière in faccia al ponte Bonaparte. La signorina lo ringraziò sorridendo.

  – La descrizione di Balzac, con­tinuò Verneuil, è non solo un’opera d’arte mi anche un prodigio d’esatezza (sic)... Ha dipinto magistralmente i paesaggi della Turrena. Lo avrete notato se avete letto Il curato di Tours, e visitata la piazzetta dietro la cattedrale.

  – Conosco il romanzo, disse la signora Condray, ma conosco poco la Turrena. Quando c’era mio marito non si veniva mai a Tours, e non abbiamo veduta ancora la cattedrale.

  – È un peccato, riprese Michele. Il Chiostro è uno dei punti più belli della città specialmente la mattina e verso il tramonto. […].

  – Lungo la strada la conversazione fu animata. La vedova era colta, conosceva bene Balzac e ne parlava con un’ammirazione che sua figlia divideva.

  — Anche voi signorina avete letto La Comédie humaine domandò Mi­chele.

  – Senza dubbio, rispose la madre. Giovanna legge specialmente i libri che le sono proibiti; è una fanciulla terribile. Ha degli entusiasmi che mi spaventano. Figuratevi che un giorno dopo aver divorato Le Marquis de Villemer, si mise in testa di cono­scere l'autore, e andò sola per Pa­rigi in cerca della casa di Giorgio Sand.

  – Peccato! sospirò la fanciulla; la signora Sand non era in casa. Ma in compenso ho tagliato il cordone del campanello e lo serbo preziosa­mente.

  — Questo da un’idea di mia figlia, rispose la signora ridendo. È una per­sona molto compromettente.

  Erano arrivati sul sagrato al cre­puscolo. Sbucarono sulla piazza Grégoire-de-Tours, dietro Saint Gatieu (sic).

  La piazzetta silenziosa s’arroton­dava all’ombra fra due alte muraglie di giardini ed austere costruzioni dall’aspetto claustrale. Là tutto dor­miva. Non un passeggiero, non un rumore di carrozze. […].

  — È qui che Balzac ha fatto vivere il curato Birotteau, disse Michele accennando una porta tappez­zata di vite vergine; l’alloggio è ancora oggi tal quale l’ha descritto nel romanzo.

  – Sì, rispose la signora di Coudray, questo punto ha molto carattere, ma non ci vorrei stare. Amo il rumore ed il sole. Sono del parere del romanziere. Egli dice che questo quartiere «non può essere abitato se non da individui ridotti ad un’assoluta nullità o dotati di una forza d’animo prodigiosa». […].


  Oreste Tommasini, La Vita e gli scritti di Niccolò Machiavelli nella loro relazione col machiavellismo. Storia ed esame critico di Oreste Tommasini. Volume I, Torino, Ermanno Loescher, 1883.
  p. 5, nota 2. A questo modo una specie di machiavellismo erotico si potrebbe ravvisare nei libri «de arte amandi» di Ovidio; il Balzac (Physiologie du mariage, méditation, XX. § 2) scoperse un «machiavélisme marital».

  Felice Tribolati, F. D. Guerrazzi, «Fanfulla della Domenica», Roma, Anno V, Numero 13, 1° aprile 1883, pp. 2-3.
  p. 2. Dicemmo che il Guerrazzi seppe l’arte di dividere le idee e l’adoprò, riuscendo eminente in ciò che gli talentava. […].
  Mercante: fece bene e cautamente i proprii affari, come il Voltaire e i letterati inglesi ed americani; e non si trovò a stentare fallito come sir Gualtiero Scott e il Balzac, sempre romantici anche nelle speculazioni commerciali.

  Up., Bacco, tabacco … e i letterati, «Corriere della Sera», Milano, Anno VIII, Num. 103, 17-18 Aprile 1883, p. 2.

  Onorato di Balzac aveva cominciato a scri­vere un Trattato su gli stimolanti moderni, dell’abuso dei quali alcuni suoi compagni d’arto provarono a’ suoi tempi ed hanno provato dopo effetti letali. Basterebbe citare il De Musset morto a 35 anni! Un inglese, il signor A. Arthur Reade, con la calma e lo spirito d’os­servazione propri della razza anglo-sassone ha fatto con molto maggior senso pratico quanto il Balzac aveva tentato forse più con lo scopo di scrivere pagine attraenti che non quello di mettere insieme un libro scientificamente impor­tante. Il Reade ha intitolato il suo libro Study and stimulants, ossia Il lavoro e gli stimolanti, occupandosi dell’influenza prodotta dall’uso dei tossici e dei narcotici sul lavoro e sulla vita dell'intelletto.


  Uriel [Ugo Fleres], Palazzo dell’Esposizione. Michetti, «capitan Fracassa», Roma, Anno IV, N. 23, 23 Gennaio 1883, pp. 1-2.
  p. 1. Questi mi paiono gli elementi della vera drammaticità comune al pittore e allo scrittore: in essi il Michetti si trasfonde e scompare come il Balzac, come lo Shakspeare (sic), perché un mio amico ha chiamato shakespeariano il quadro del Voto; ma, per ora dell’insieme della grande scena non parlo.


   [1] Riferimenti dettagliati sulla diffusione della presente edizione nelle Biblioteche italiane sono presenti in M. Stupazzoni, Balzac nelle biblioteche italiane … cit., pp. 654-656.
   [2] Questo volume è presente nelle seguenti Biblioteche italiane: Biblioteca Zelantea di Acireale; Biblioteca Civica di Alassio; Biblioteca Civica ‘Angelo Mai’ di Bergamo; Biblioteca Provinciale ‘Pasquale Albino’ di Campobasso; Biblioteca Comunale ‘Banfi’ di Caravaggio; Biblioteca Comunale Federiciana di Fano; Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze; Biblioteche dell’Associazione Sandro Pertini e della Fondazione di Studi storici ‘Filippo Turati’ di Firenze; Biblioteca Statale di Lucca; Biblioteca Comunale ‘G. Panunzio’ di Molfetta; Biblioteca Comunale ‘Alliaudi’ di Pinerolo, Biblioteca Nazionale ‘Vittorio Emanuele III’ di Roma; Biblioteca Universitaria Alessandrina di Roma; Biblioteca Provinciale di Salerno; Biblioteca Universitaria di Sassari.
   [3] L’opera è presente nelle seguenti Biblioteche italiane: Biblioteca Zelantea di Acireale; Biblioteca Civica ‘A. Mai’ di Bergamo; Biblioteca Civica popolare ‘L. Ricca’ di Codogno; Biblioteca Comunale di Fermo; Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze; Biblioteca dell’Associazione nazionale ‘Sandro Pertini’ e della Fondazione di Studi storici ‘Filippo Turati’ di Firenze; Biblioteca Civica di Monza; Biblioteca Centrale della Regione Siciliana di Palermo, Biblioteca Nazionale ‘Vittorio Emanuele III’ di Roma; Biblioteca Universitaria Alessandrina di Roma; Biblioteca Civica ‘A. G. Barrili’ di Savona; Biblioteca Provinciale ‘M. Delfico’ di Teramo.
  [4] La biografia di Balzac l’abbiamo già pubblicata nel volume n. 13 di questa Biblioteca Universale pubblicandosi il Mercadet. [Nota del Compilatore] (cfr. 1882).
   [5] Aforisma tratto dalla Physiologie du mariage.
   [6] Questa citazione – che il compilatore trascrive in modo piuttosto disinvolto – è stata probabilmente desunta dal volume di Gabriel Ferry, Balzac et ses amies del 1888 (Paris, Calmann Lévy): a p. 247, il Ferry riporta, con qualche variazione, un passo della lettera scritta da Balzac a Caroline Tchirkovitch (la più anziana delle sorelle Rzewuska) nel gennaio 1849, in cui lo scrittore, nell’esaltare le qualità di Madame Hanska, dichiarava: «Quant à moi, je ne comprends pas qu’on ne vive pas près d’elle, car elle est, pour l’âme, ce que le climat de Naples et de Nice est pour les poitrinaires» (cfr. H. de Balzac, Correspondance. Tome V (Mai 1845-Août 1850) et Supplément. Éd. de Roger Pierrot, Paris, Garnier, 1969, p. 472). Scrive, dal canto suo, il Ferry: «[…] il [Balzac] disait à une parente de la comtesse :
  - Je ne comprends pas qu’on ne vive pas près d’elle, car elle est pour l’âme ce que le climat de Naples et de Nice est pour la poitrine».
   [7] Cfr. Berthe la repentie.
   [8] Citazione tratta da Louis Lambert.
   [9] La citazione corretta, estrapolata da Mémoires de deux jeunes mariées e modificata arbitrariamente dal Fiaschi, sarebbe in realtà: «Chaque animal a son instinct, celui de l’homme est l’esprit de famille».
   [10] Citazione tratta dall’epilogo di Eugénie Grandet, 1833.

Marco Stupazzoni