sabato 17 agosto 2013


1859




Traduzioni.

 

  Onorato Balzac, Eugenia Grandet. Romanzo di Onorato Balzac. Il Capolavoro sconosciuto di Onorato Balzac. Prima versione italiana, Napoli, Stamperia del Fibreno, Trinità Maggiore 26, 1859.[1]

  Due volumi in 16° rispettivamente di 164 e di 162 pagine; illustrato con litografie nell’antiporta. Alla pagina 115 del vol. II, termina Eugenia Grandet; da p. 117 a p. 162, è presente il Capolavoro sconosciuto.


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  Nonostante qualche minima variante formale del tutto irrilevante, questa edizione risulta essere una contraffazione delle versioni di Eugénie Grandet e del Chef-d’oeuvre inconnu pubblicate, a Torino, nel 1853, dalla Società editrice italiana. Coincide, ad esempio, la presenza della medesima svista tipografica riguardante l’anno in cui si svolgono le vicende narrate nel racconto filosofico balzachiano: anche qui, troviamo infatti l’indicazione dell’anno 1712 (sic) in luogo del 1612.

  In questo esemplare napoletano, non è riportata, tuttavia, la dedica “A Maria” presente nell’edizione torinese.


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  O. Balzac, La Marana. Racconto di O. Balzac, in La Rosa rossa di Alessandro Dumas, Milano, Fratelli Ferrario, Santa Margherita, N. 1196 (Tip. Guglielmini), 1859, pp. 93-114.[2]


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  O. Balzac, Storia di Madama Diard, Ibid., pp. 115-146.



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  Un volume in 16° . Si tratta della riproposta della versione alquanto mediocre dei due racconti balzachiani fornita da Luigi Masieri nel 1835 inseriti, con mera funzione riempitiva, alla fine del testo di Dumas.

 

Studî e riferimenti critici.


  “Dare e Avere”. Racconto di Gustavo Freytag, «Rivista di Firenze e Bullettino delle Arti del disegno. Pubblicazione mensile di Scienze, di Lettere ed Arti diretta dal Prof. Atto Vannucci», Firenze, Tipografia di G. Mariani, Anno Terzo, Volume Quinto, 1859, pp. 355-360.

  p. 356. Questi pensieri ci destava in mente la lettura del libro di Gustavo Freytag, intitolato Dare a Avere; libro che non difetta di merito, ma che certamente non può sostenere il paragone delle più reputate opere di Dickens, di Takeray (sic), e né anche di alcuni racconti dello stesso Balzac. 

  Gli uomini serj, «La Ricreazione per tutti. Raccolta di letture piacevoli pubblicata dal Prof. Domenico Ghinassi», Napoli, a spese degli Editori, Seconda edizione con molte aggiunte, Volume Secondo, Parte Prima, 1859, pp. 27-28.

  p. 27. La serietà della sventura vuolsi compiangere: quella del filosofo, dell’uomo di grandi affari esige rispetto. Le altre son tutte caricature: passiamone alcune a rivista. […].
  Leponino a quattro anni parlava latino, francese, e qualche poco italiano; a sei anni fu colto dalla rachitide; a dieci sapeva il greco e il calcolo infinitesimale; a quindici lesse Lamartine e voleva farsi eremita; a sedici Jacopo Ortis, ma fu salvato da un volume di Balzac; poco dopo divorò in due giorni e due notti quattro romanzi e dieci drammi di Victor Hugo; la dose era troppo forte e gli fece venire la febbre; durante il parossismo pianse, rise, pregò, bestemmiò; ora i polsi sono calmati; ma per carità non gli parlate del mondo, né delle umane belve ond’è popolato: egli è giunto a diciotto anni ! è uomo che ha ormai perduta ogni illusione, che ha vuotato fino alla feccia l’amaro calice del dolore; la terra è un deserto per lui, ed egli si asside al banchetto della vita col cappello e il bordone del pellegrino, che stanco anela il termine del suo viaggio. 

  Un saggio della presente letteratura polacca, «La Civiltà Cattolica», Roma, coi tipi della Civiltà Cattolica, Anno Settimo, Vol. II. della Terza Serie, 1859, pp. 177-192.

  pp. 186-187. La vena del romanzo e del racconto non è men vivace e feconda in Polonia che la vena della poesia. Dacchè Michele Czajkowski pubblicò il suo famoso Vernihora, molti illustri ingegni si consecrarono al romanzo e vi riuscirono per modo che giunsero finalmente a vincere la concorrenza straniera; e dove prima nei saloni, e nei gabinetti non vedevasi quasi altro che le opere del Balzac, del (sic) Sand, del Sue, del Dumas e d’altri cotali, ora trovansi invece più sovente i racconti de’ romanzieri polacchj, con non piccolo guadagno del costume e dello spirito patrio nei leggitori, che a quelle fonti straniere e corrotte non potevano attinger altro che corruzione.


  Notizie, «Supplemento al ‘L’Eco di Fiume’», Fiume, Anno III, N. 29, 10 Settembre 1859, p. 143.

 

  Sere sono a Parigi vi fu una piccola veglia d’intimi amici dal signor Lamartine. Entrossi a parlar della gloria e a definirla ciascuno a suo modo. Chi la disse il dolore, chi un nome senza soggetto. — No, no, signori, soggiunse un terzo, io vi dirò con Balzac che cosa è la gloria. Viaggiando in Russia (dicevami il romanziere innanzi alla sua morte) sopravvenne la notte. Iti a chiedere l’ospitalità alla porta d’un castellana, ecco la castellana e le sue dame affrettarsi ad accoglierci. Una di loro abbandona subitamente la sala per andare a pigliar de’ rinfreschi. Fu intanto annunciato il mio nome alla padrona di casa; si appicca il discorso, e la dama poc’anzi uscita, rientrando con in mano la sottocoppa, all’udir d’improvviso queste parole: Or bene, signor di Balzac, voi dunque credete ... fa l’attonita un movimento, lascia cadere la sottocoppa, e ogni cosa va in pezzi. Eccovi, s’io mal non mi appongo, ciò che è la gloria.



  Sopra alcune dottrine fisiche e fisiologiche di P. Lioy, «Gazzetta medica italiana. Provincie Venete», Padova, Anno secondo, N.° 26, 24 Dicembre 1859, pp. 203-205.

 

  p. 204. Spesso il pensiero avventatosi verso sì vertiginose altezze non è che uno spirito infermo, come il povero Baldassare che Balzac dipinse intento alla ricerca dell’assoluto [...].


  A.[bramo] Basevi, La Traviata, in Studio sulle opere di Giuseppe Verdi di A. Basevi, Firenze, Tipografia Tofani, 1859, pp. 225-240.[3]

  pp. 225-227. L’argomento di quest’Opera mi conduce a fare alcune considerazioni circa l’immoralità della presente letteratura.
  In questo secolo, in cui l’industria, e le scienze fisiche e naturali tanto meravigliosamente avanzarono, si videro progredire di pari passo, e quasi di costa, talune false dottrine, le quali mirano a guastare il cuore dell’uomo, e ad alterare la sua coscienza. La Francia, donde, dicesi, parte la luce della verità, tramandò in vece infino a noi le tenebre dell’errore. L’epicureismo pose in quel paese vaste e profonde radici, ed i vari ramj della mala pianta penetrarono in ogni ordine civile, morale e religioso. «L’uomo è nato per godere, dunque godiamo quanto più si può»; ecco in un solo articolo tutto col codice dei nuovi epicurei. Il godimento fu elevato alla dignità di religione col Sansimonismo, e prese forma di scienza col Fourierismo. Finchè queste assurde e malefiche dottrine rimasero nei confini di una risibile religione, e di una folle sapienza, il danno fu poco esteso; ma bentosto, e sono appena 30 anni, queste medesime dottrine si giovarono della seduzione de’ romanzi e de’ teatri per dilatarsi, ed avvelenare il cuore de’ semplici, e degl’ignoranti. Il tema preso a sviluppare sotto mille aspetti dagli autori di romanzi e di drammi si fu questo, che «la passione, ove sia spontanea e sincera, è capace di giustificare ogni errore umano, e di riabilitare i colpevoli». Fourrier (sic) aveva già detto, che le passioni sono una specie di divina rivelazione, e che l’uomo disubbidisce a Dio quando in iscambio di seguitare le sue passioni le combatte. Restringedomi adesso a parlare soltanto, e più brevemente possibile, di quanto appartiene all’amore, mostrerò come a poco a poco fummo condotti all’apoteosi delle traviate. S’incominciò dall’attaccare il legame del matrimonio. Beyle, nel suo libro De l’amour, pone che «la donna appartiene di diritto all’uomo cui ama, e da cui è amata»: Balzac seguitò le pedate del Beyle, nel suo libro Physiologie du mariage, ed in altri libri ancora: Sand nei suoi romanzi di Valentine, Lelia (sic), Indiana, Jacques, ec.: Sue nel Juif errant e altrove: di altri taceremo per brevità. Tenuto il matrimonio come legge spesso tirannica, ne nacque la giustificazione dell’adulterio, che venne considerato siccome «una rivolta della natura contro la civiltà». Tali schifose massime incontrerai nell’Antony di Dumas, nel Pere (sic) Goriot di Balzac, ed in molti libri di Sand ec. Conseguenze finali di suddette dottrine è l’amor libero: ed infatti Sand insegna nel suo Jacques, che «un legame più umano e meno sacro prenderà il posto del matrimonio, e saprà assicurare l’esistenza de’ figli, che nasceranno da un uomo e da una donna, senza incatenare per sempre la libertà dell’uno e dell’altro (sic)». Sicchè il concubinaggio coronerà l’opera del perfezionamento sociale. In Horace, e nella Comtesse de Rudolstadt queste dottrine si trovano anche più chiaramente svolte e predicate: onde nasce che la sola legge del matrimonio è l’amore. Ma di questo amor libero non sol fecesi cosa lecita, ma meritoria: ed in ciò dimora il male maggiore della moderna letteratura. Sand, nella Lucrezia Floriani, dice «colui che ama è più grande, ancorchè egli erri, di colui che va dritto per la sua via solitario e freddo». Già Vittor Hugo, nella sua Marion Delorme, e nell’Angelo, aveva mostrato la cortigiana purificata e nobilitata dall’amore. Balzac, Dumas, Gautier, e molti altri hanno professato ne’ loro scritti queste dispregiabili opinioni; ma chi più di tutti, e con forma più splendida, e con artificio grandissimo, trattò il tema della riabilitazione mediante l’amore, fu Alessandro Dumas figlio, nel romanzo, e nel dramma La dame aux camelias (sic), donde è tolto l’argomento della Traviata. 

  Padre Antonio Bresciani, L’Apostata, in Don Giovanni ossia Il Benefattore occulto aggiuntivi Quattro dialoghi sopra il risorgimento del paganesimo in Italia nel 1849 del Padre Antonio Bresciani della Compagnia di Gesù. Volume Secondo, Napoli, Stabilimento Tipografico del Giglio, s. d. [ma 1859], pp. 37-71.

  pp. 46-47. Costui [Il Direttore del Gabinetto di Lettura] s’immaschera d’un’aria di probità severa, e dove alcun giovane gli chiegga qualche classico italiano alquanto lascivo, gli dice con piglio grave: Giovinotto, non imbolsite il cuore con tali smancerie, leggete cose più serie, affetti più robusti e intanto dà loro il Werter de Ghöete (sic), l’Ortis del Foscolo, la Nuova Eloisa del Rousseau, e a mano a mano il Balzac, il Dumas, il Sue, e il (sic) Sand, i quali non imbrattano la fantasia con descrizioncelle sdolcinate, ma corrompono i divini principii della morale e deificano il vizio. (cfr. 1856).


  L. F. C., Carteggi della Gazzetta Musicale, «Gazzetta Musicale di Milano», Milano, Anno XVII, N. 19, 8 Maggio 1859, p. 153.

  Avete ultimamente dedicato l'appendice di parecchi numeri del vostro giornale a riprodurre vestito di modi italiani uno dei tanti romanzi del Balzac, dal titolo Gambara. Quando vidi che intraprendeste questa publicazione, supposi che vostro scopo si fosse di far conoscere ai lettori della Gazzetta, la magnifica dirò piuttosto illustrazione che critica della musica del Roberto il Diavolo del Meyerbeer che in quel libretto si contiene: ma poi non so dissimularvi che rimasi stranamente désappointé vedendo che praticaste giusto l’opposto di ciò che, vista l’indole della Gazzetta, mi sembrava sarebbe stato da farsi: infatti sopprimeste tutta questa parte, che a senso mio era l’unica interessante pei cultori di musica, per mantenere poi religiosamente quella dove son descritte le immaginarie pazzie di un musicante ammattito, li attentati culinari di un oste da dozzina, e così via discorrendo. […].

  A onore del vero, dunque, dichiarato ben chiaro che il Paolo Gambara di cui si è occupata lungamente la Gazzetta è un essere fantastico, figlio della ferace immaginazione del Balzac, potreste notare che il cognome per altro non è sconosciuto del tutto nella storia della musica, e che lo ha portato anzi onorevolmente un veneto dilettante di musica di qualche vaglia, il cav. Carlo Antonio Gambara.


  Carlo Tito Dalbono, Dalla favola al romanzo. Saggio critico-letterario, in Climene da Pompeja. Racconto di Carlo Tito Dalbono preceduto da un Saggio critico sul Romanzo, Napoli, Stamperia dei Classici Italiani, 1859, pp. 3-76.

  pp. 56-57. Una specie di libro dilettevole e più apprezzabile dei romanzi di avventure diedero i Francesi nell’Eremita della Chaussée d’Antin ed in altre pitture sociali di tal genere, come nel Vagabondo francese di M. Rougemont. Libri di tal natura distolsero alquanto gli amatori delle lettere da quel pabolo di complicate vicende, il cui tipo era sempre lo stesso. Ma tai libri cessarono di aver voga, come le occulte passioni del nostro secolo si palesarono. E a Jouy successero Balzac, Sue e Soulié.
  I dolori, gli affetti, e i disinganni della presente società, le conseguenze di un progresso non sempre utile, la dura necessità di vivere immezzo alle sciagure, suggerirono ad Onorato de Balzac molte scene della vita privata, le quali gli hanno fatto meritare a buon diritto lode di elegante scrittore e filosofo. Sono esse un romanzo forse in quanto all’invenzione, ma diventano una storia nell’applicazione, ed oh quante storie son meno veritiere di quelle di Balzac. Lo si vuole seguace o imitatore di Hoffmann, come Foscolo si vuole imitatore del Werther di Goethe nel suo Ortis. In quanto a noi non siamo di questo avviso. Balzac è un continuatore della scuola francese, starei per dirlo un seguace di Arnaud (come lo dissi di Jouy) se il sentire intimo potesse confondersi col fanatismo, se la filosofia del cuore potesse confondersi con le aberrazioni della mente. Hoffmann, fonda i suoi racconti sul soprannaturale, Balzac sul vero, anzi sul reale, Hoffmann crea, Balzac imita o copia, Hoffmann non è un pittore effettista, Balzac è un fotografo. Hoffmann ha bisogno di esaltarsi, Balzac non ha d’uopo che di riconcentrarsi e contemplare; e se Hoffmann potesse esser Platone, Balzac sarebbe un Diogene, per cercare un uomo felice. Oggidì come di dimentica Gualtiero Scott, si dimentica anche Balzac, ma i romanzi che la moderna Francia esalta valgono assai meno delle Scene della Vita Parigina, e la prostituzione compatita, divenuta il cardine di molti presenti libri, non può per verun modo paragonarsi alla sventura di un’indole calda e di una squisita sensibilità che formavano il cardine della precedente letteratura. La Dama delle Camelie e Fanny ed altri libri di tal genere non potranno mai aspirare alla fama di Papà Goriot ed Eugenia Grandet.


  A. Dumas figlio, Avventure di quattro donne e d’un pappagallo di A. Dumas figlio. Tomo quarto, Trieste, Colombo Coen, Tip.-Editore, 1859.

  p. 59. Se avessi voluto salir sulle scene e cantar al teatro dell’Opera, soggiungeva Tristano che trovavasi ancor troppo vicino a Milano per dire tutta la verità, mi si avrebbe risposto: Rubini, Nourret, Duprez, come mi si aveva risposto Delacroix, Decamps; finalmente quando andava da un redattore o da un editore, mi chiedevano il mio nome, e siccome non mi chiamava nè Hugo, nei Balzac, nè Sand, il mio dramma non veniva rappresentato né edito il mio libro.


  Arnaldo Fusinato, La Donna romantica, in Poesie di Arnaldo Fusinato, Vol. I, Lugano, 1859, pp. 12-21.[4]
  pp. 15-21.

E quei Romanzi le son scuola intanto
A spogliarsi di certi pregiudizi,
Di turpi amori a vagheggiar l’incanto,
Ad innalzar sul candelabro i vizi,
Stillando nel suo povero cervello
Il gran principio che nel brutto è il bello.
Coll’Ugo (sic) e col Soulié celebra anch’ella
Le glorie del veleno e del pugnale,
E col Balzac in man prova la bella,
Che per serbar la fede conjugale,
L’unico mezzo che a due sposi avanza
È di dormire in separata stanza.
Dumas le insegna con qual arte fina
Si può stillar da cento erbe la morte,
Perché se a caso la fedel sposina
Avesse voglia di mutar consorte,
Alla barba del Codice Penale,
Possa ammazzarlo senza farsi male
[…]
Novella Ruth da quel romanzo a questo
Industriamente spigolando va
Un concetto amoroso, un pensier mesto,
Un grido di dolore e di pietà,
E se all’amante suo scrive un biglietto
Vi caccia dentro tutto ciò che ha letto.
Qui una bestemmia della Sand, colà
Una sentenza del Balzac, più giù
In coda a un paradosso del Dumas
Un eloquente gemito del Sue,
Ed un migliaio per lo men d’oh! e d’ahi!!
Che a dire il ver son commoventi assai.
[…]
Ed anche allora che l’età minaccia
Illanguidir di sua beltade il raggio
E la freschezza della vaga faccia,
Non si perde per questo di coraggio.
Né come le altre donne si sgomenta
Se si vede alle spalle gli anni trenta.
Poiché scrisse Balzac, che a questa età
La donna piace più che in gioventù,
Perché trent’anni ha già studiato e sa
Ogni secreta dell’amor virtù,
E si sa ben che se Balzac l’ha scritto
Covien far di cappello e tirar dritto.
Io però, che romantico non sono,
E molti vi saran del gusto mio,
Al signor di Balzac chiedo perdono,
E gli dichiaro francamente ch’io
Trovo che meglio si confà a miei denti
Un bocconcin fra i diciassette e i venti.
[…]
O care ed inesperte giovinette,
Io le scrissi per voi queste sestine,
E spero ben che dopo averle lette
V’avrò convinte che i romanzi, infine,
Di questa Francia sono proprio fatti
Per farvi aprire lo spedal dei matti.
(Aprile 1846)


  Paolo Giacometti, Il Poeta e la Ballerina. Commedia in tre atti, in Teatro scelto. Vol. II, Mantova, coi tipi degli editori Negretti e C., 1859.

  Questa commedia, come è riportato nel frontespizio, «fu scritta a Roma nell’autunno 1841, e rappresentata per la prima volta al teatro Metastasio il 23 novembre dell’anno medesimo dalla Drammatica Compagnia dei signori Giardini, Woller e Belatti».


Atto primo. Scena VII.

pp. 328-329.

  Lionar. [Il signor Lionardo, giornalista] Nelle presenti critiche circostanze del nostro Teatro, io dissi a me stesso: il pubblico ha veduto abbastanza l’uomo quale egli è veramente; ora dunque bisognerebbe scuoterlo con nuove passioni. Il regno del bello è esaurito? ebbene, svolgiamo il deforme, formando così un altro mondo drammatico. Con questa professione di fede, mi posi a leggere Victor-Hugo, Ducange, Dumas, Balzac, quindi impresi a tradurli; ed allora mi avvidi facilmente che a forza di donne sedotte, figli illegittimi, mariti … ecc., ecc., veleni, pugnali, assassinj, strangolamenti, fantasmi, carnefici e beccamorti, si poteva benissimo diventar autore drammatico, ben inteso con delle idee vergini, originali sparse qua e là. Ora, vedete, sto ultimando un dramma in sette atti e quindici quadri, il quale tiene una via di mezzo fra il faceto ed il serio; ma sono ancora indeciso sopra una piccola cosa. Ecco; si tratta di avvelenare una moglie infelice, ma siccome è stata tradita, io non so se mi convenga di avvelenare anche …
  Odoar. [Odoardo Leoni, poeta romano] Il marito?
  Lionar. No, l’amante … ma già prevedo che gli avvelenerò tutti e tre.
  Odoar. Si fa più presto.
  Lionar. Sì, con un po’ d’arsenico si rimedia a molte cose.
  Odoar. Io credo, o signore, che certi drammi orribili e stravaganti non dovrebbero mai essere rappresentati davanti ad un pubblico sano e civile. Ritenete che nel regno delle arti non si ammette che il bello. Io per me vorrei che gli italiani non imitassero alcuno: l’imitazione è opera d’ingegni mediocri. Ogni nazione ha usi, costumi, virtù e vizj suoi proprii; suo deve essere anche il teatro, strumento potentissimo di civiltà. Fondiamo dunque una letteraria drammatica tutta nostra, e sarà almeno un principio di nazionalità.
  Lionar. L’avremo, l’avremo! 

  Giulio Giuliano, Il bastone, «La Ricreazione per tutti. Raccolta di letture piacevoli pubblicata dal Prof. Domenico Ghinassi», Napoli, a spese degli Editori, Seconda edizione con molte aggiunte, Volume Secondo, Parte Prima, 1859, pp. 88-89.

  p. 89. Segno assoluto di comando non è nemmeno estraneo alla storia che ricorda qualche individuo della sua specie, come per esempio il bastone di Federico Secondo e di Orlando; la letteratura di oggi ha reso famosa la canna di Balzac. 

  G. Guerzoni, Rivista letteraria dell’anno 1858, «Almanacco del Pungolo», Milano, Anno II, 1859.

  […] Romanzo Sociale, questo nuovo genere di letteratura, di cui i Francesi furono dapprima preccellenti con Balzac, con Sue e con Giorgio Sand (tre scuole e un sol concetto), e che ora tende a corrompersi anche colà, in virtù di quell’eccessivo amore di realismo, che è il figlio naturale del materialismo, e cerca di trapiantarsi anche in Italia; benché qui tante scuole lo avversino, e più ancora tante forze contrarie lo impediscano di tallire e di espandersi. 

  A.[chille] de Lauzières, Le caricature, «La Ricreazione per tutti. Raccolta di letture piacevoli pubblicata dal Prof. Domenico Ghinassi», Napoli, a spese degli Editori, Seconda edizione con molte aggiunte, Volume Secondo, Parte Prima, 1859, pp. 280-281.

  pp. 280-281. La caricatura per altro è tanto più bella, più acclamata, più bene accolta, e da quegli stessi che ne sono le fortunate vittime quante più sono le celebrità cui prende di mira, come quella che può così interessare più la massa pel suo argomento. […].
  A questo proposito tra le mille e mille, che tuttodì ne va facendo quella fecondissima Parigi in tal genere, ve n’ha una del sig. Benjamin che s’intitola, Gran sentiero della posterità. Il suo merito ed il suo argomento valgono certo il fastidio di leggerne qui un cenno. […].
  E Paolo de Kock, il romanziere popolare, il provveditore delle letture delle cameriere, de’ guardaportoni e de’ cocchieri da nolo; - ed Onorato Balzac tra il gentiluomo ed il provinciale, che han caratterizzato «inventore della donna di 30 anni». 

  P.[aolo] Lioy, Critica. L’Amour, Renversement des propositions de M. Michelet par un libre penseur, 1839, «L’Età presente. Giornale politico-letterario», Venezia, Tipografia del Commercio, Anno II, Num. 16, 23 Aprile 1859, pp. 251-253.

  pp. 252-253. Il libro del sig. Michelet non presume di essere l’Evangelo dell’Amore come ironicamente lo intitola l’Anonimo; esso è fatto per ispirare l’amore e la poesia nella famiglia, è quasi lo sviluppo di quello l’idea che anima la Dalila di Feuillet e la Prosa del Ferrari. Quando riuscirà a disingannare mille illusi che hanno in uggia le gioie famigliari, quando illuminerà tanti ciechi corrotti da pestiferi romanzi, il di cui mentore è Balzac, quando infonderà nel cuore di quei selvaggi in abito nero, di cui parla Montegù, selvaggi che popolano le vie e le strade, un sentimento di compassione verso la loro compagna derelitta, bistrattata, obbliata, o un cocente rimorso che strappi dalle loro ciglia una lagrima, quando in una parte di società viziata avrà con eloquenza insolita vilipeso Isidora e la Dames (sic) aux Camélias, coperto di fango e di obbrobrio l’amante, rialzato gli occhi di Indiana il marito, quando avrà ottenuto ciò, e certamente non è lontano da tali risultati, meriterà il signor Michelet che voi, a cui la sana morale sta tanto a cuore, veniate a chiamarlo animalista, bestialista, autore di un libro infame, uomo che non bazzica se non colle sciagurate dei boulevards, sansimonista, ateo, a cui può star bene in bocca quel motto:

Et je n’ai moi
Par la corbleu
Ni foi, ni loi,
Ni roi, ni dieu!

  G. Mabru, Prefazione. Stato della quistione, origine e scopo di questo libro, in I Magnetizzatori giudicati da loro stessi. Nuova investigazione sul magnetismo animale. Opera dedicata alla classe letteraria, a’ medici, alla magistratura ed al clero del sig. G. Mabru laureato dell’Accademia delle Scienze volgarizzata dal March. Dom. Amalfitani. Episcopia, Napoli, Stabilimento tipografico di F. Vitale, 1859, pp. 5-16.
  pp. 11-13. Non ci si dica dunque che ci battiamo contro de’ molini a vento, poiché risponderemo che non è il solo ciarlatanismo delle pubbliche piazze o quello delle sale che noi qui attacchiamo […], ma ancora è sempre il medesimo errore rifuggitosi sotto l’autorità ingannevole di nomi i più ragguardevoli. […].
  Restiamo come colpiti da terrore e da spavento, siam veramente presi da tristezza e da pietà, quando vediamo simili errori andare a ricoverarsi sotto nomi il cui maggior numero appartiene ad uomini distinti nelle arti, nelle lettere nel foro, nella diplomazia, nell’armata, sotto il nome infine de’ seguenti personaggi:

Signori
[…]
H. di Balzac […]
Edgardo Poè (sic) […]
Constant […]
Giorgio Sand […]
Alfonso Karr […]
Teofilo Gauthier (sic) […]
Vittore Hugo […]


  Bartolomeo Malfatti, Il racconto campagnuolo in Germania, «Il Crepuscolo», Milano, Anno decimo, N.° 1, 15 Gennajo 1859, pp. 6-11.

  p. 8. A ciò s’aggiugne l’inclinazione per gli speciosi problemi psicologici, per i paradossi stillati, per le sottigliezze e per i sofismi, fomentata non poco dalla dialettica hegeliana; inoltre il culto per le teorie letterarie e sociali che a que’ giorni fermentavano in Francia. Ma gli eroi e le eroine di Balzac, di Vittor Hugo e di Giorgio Sand poteano avere un qualche riscontro nelle gangrenose tumefazioni della vita parigina; e gli assiomi sansimonistici e socialisti potean ripetere una qualche ragione d’esistenza dal contrasto e dallo squilibrio tra gli elementi della società francese. Essi erano adunque rivelazioni di vita, più o meno morbosa se volete, ma pure palpitante. La riabilitazione della materia, l’emancipazione della donna, la comunanza dei beni, e quei tanti altri sogni utopisti, febbrili che venian loro compagni, erano esorbitanze inevitabili di un popolo commosso ancora dai fremiti contrari di una rivoluzione fierissima, e di una ristaurazione implacata; di un popolo eminentemente mobile, audace, sperimentale.

 

  Marco Segretario intimo del Piovano, La Tantafèra, «Il Piovano Arlotto. Capricci mensuali d’una brigata di begli umori», con note di Súcchiellino Chierico, Firenze, a spese della Brigata de’ Begliumori e coi tipi Barbèra, Bianchi e C., Anno Secondo, 1859, pp. 182-191.

  p. 190. Finito il trattenimento, ed usciti all’aria serena, poiché fummo in luogo appartato, così egli [Bruno] mi parlò:
  – […] Certo che i profani avrebbero bisogno di una certa educazione musicale per intendere alquanto il Beethoven dal lato meccanico delle sue ardue composizioni; ma non di rado quando si ha un’anima aperta al sentimento del bello, si supplisce col sentire al conoscere, ed interviene ancora che l’affetto riveli, massimamente quando è profondo, varie bellezze effettive che veggonsi sfuggire sovente a coloro che una data arte professano. Uno scrittore che di musica certo s’intende assalissimo, asseriva, riportando un passo del Balzac intorno alla preghiera del Mosè di Giovacchino Rossini, che alcun maestro di musica non avrebbe saputo per avventura dir meglio del romanziere francese.


  Saverio di Montépin, La Mano insanguinata ovvero La Maschera nera di Saverio di Montépin. Volume primo, Trieste, Colombo Coen Tip.-Editore, 1859.

 

IV.

La Viola.

 

  p. 40. Crediamo necessario gettare un velo su quella scena di tortura. Ci sarebbe necessaria la penna di Balzac, quella penna di rame che scolpì le splendide pagine del Figlio maledetto, – per rendere tollerabili certi dettagli dolorosi ad un tempo e ributtanti.


  N., I. (sic) Michelet, “L’Amour”. Troisième edition, Paris, 1859, «L’Età presente. Giornale politico-letterario», Venezia, Tip. Del Commercio, Ann II, N. 12, 26 Marzo 1859, pp. 188-191.

  pp. 188-189. Né i moralisti, né i psicologi seppero offrirci una soluzione del problema dell’amore. I romanzieri non fecero che aggiungere colori artifiziali a quelli della passione; in essi incontrasi l’amore coperto di biocca sentimentale o di procace rossetto, la passione ristampata in edizioni fuor di natura; ora è un Shakspeare (sic) ridotto ad usum Delphini, ora un Manzoni drammatizzato per le folle de’ teatri diurni; i personaggi di Salvator Rosa temperati dalla grazia di Poussin, o le scene di questo caricate dalla cupa fierezza dell’altro. Stendhal fra molte osservazioni acute ha tessuto un centone dove è ben difficile raccapezzare un barlume sintetico, attraverso al prisma che ci pone davanti agli occhi; ed oltrecciò annoia indicibilmente. Senancour ha troppo del riservato, dell’austero, dell’apologista; ad ogni passo accenna di difendere un principio, e la polemica irrita, non accorda. Balzac è riuscito ad un pessimo libro che se non muove indegnazione, eccita riso.


  P., Appendice. Il Maestro Paolo Gambara, «Gazzetta Musicale di Milano», Milano, Anno XVII, N. 15, 10 Aprile 1859, pp. 115-117.

  pp. 116-117. In quest’anno gli artisti furono pieni di precauzioni pei loro istromenti, per cui gli scarsi guadagni non bastavano a sostenere le spese della povera casa di Gambara, la cui moglie ritraeva anch’essa pochi proventi dall’ago. Fu quindi obbligata, la disgraziatissima coppia, a uscire di casa ogni sera per recarsi davanti alle botteghe da caffè di Parigi e cantarvi duetti, che il maestro accompagnava con una cattiva chitarra, inspirandosi prima per mezzo di qualche bicchierino d’acquavita. Si ponevano entrambi, dice de Balzac, davanti il bel mondo seduto, e l’uno del più gran genii di quel tempo, l’Orfeo, sconosciuto della musica moderna, eseguiva frammenti de’ suoi spartiti; codesti pezzi erano sì rimarchevoli che strappavano con frequenza alcuni soldi all'indolenza parigina.


  P., Appendice. Hoffmann. Emigrazione dei suoi scritti, «Gazzetta Musicale di Mlano», Milano, Anno XVII, N. 17, 24 Aprile 1859, pp. 131-133.

  p. 131. Fra i forastieri debbo viva riconoscenza a Diderot, a Chénier, a Balzac, a Schiller, a Byron, e dopo di essi ad Hoffmann […].


  P., Di Onorato Balzac e di Paolo Gambara a proposito dell’ultima corrispondenza di Firenze, «Gazzetta Musicale di Milano», Milano, Anno XVII, N. 20, 15 Maggio 1859, pp. 158-159.

  Paolo Gambara di cui non si è occupata lungamente la Gazzetta Musicale, ma intorno a cui publicò alcune appendici nella parte subalterna e leggera, destinata più presto a divertire che ad istruire il lettore, non è un essere fantastico, figlio della ferace imaginazione di Balzac, nè le pazzie di questo musicante ammattito furono imaginarie; ben intesi, in ogni ipotesi, che non sarebbe grandemente da maravigliare che un matto commettesse delle mattezze.

  Gambara visse in Italia, nella Svizzera, nel Belgio ed a Parigi, dove morì miserabile, ma dove avrebbe potuto campare onestamente la vita, se non l’avessero di continuo raggirato le sue ubbie e le sue visioni. Onorato Balzac lo conobbe, e una dama milanese tuttora vivente fu generosa verso di lui e verso sua moglie di occulte beneficenze, dalle quali non cessò se non quando imperiose circostanze l’obbligarono a lasciare la Francia per ritornare in Italia.

  Il fecondo scrittore francese, nella cui intimità abbiamo vissuto parecchi mesi, di cui possediamo parecchie lettere, e tre pagine autografe sul libro della Physiologie du mariage, senza parlare di un elegante suo bastoncino, che non è precisamente la famosa Canne de M.r de Balzac, ma che teniam nondimeno assai caro, ci ha una sera intrattenuti a lungo di Paolo Gambara, nella casa di una bella e gentile signora, alla quale fece dono, nella medesima circostanza, del manoscritto della sua Domitilla (sic) Doni. A torto o a ragione, egli considerava il povero Gambara come un ingegno musicale distinto ma fuorviato.

  Rapportando la storia, o se più aggrada al corrispondente fiorentino, il romanzo di Gambara, che nell’Umana Commedia non è, in tutti i casi, annunziato nè come una storia vera nè come una storia finta, leggendovi solo:

Gambara

par Balzac,

  ci è sembrato caritatevole consiglio quello di ommettere l’illustrazione della musica di Roberto il Diavolo di Meyerbeer, giacchè dopo quanto si è detto e scritto sopra questo acclamato spartito, ormai rappresentato più volte su tutti i teatri d’Europa, avremmo potuto cader nel ridicolo di voler sussidiare la luce del sole con una candela, che poteva benissimo far lume allorchè de Balzac ne accese il lucignolo, ma non già adesso che vi è passato sopra un buon quarto di secolo, con interminabile codazzo di scritti più o meno critici, più o meno profondi, più o meno veri.

  Ci duole da un canto che non sia proprio il caso di dichiarare ben chiaro quanto fu scritto da Firenze a proposito di Paolo Gambara, ma ci consola dall’altro il sapere che il nome di un secondo Gambara, quello cioè del cavaliere Carl’Antonio, non sia del tutto sconosciuto nella storia della musica, ciò che a noi, nella nostra ignoranza, era perfettamente ignoto.

  Finchè l’istruzione diffusa dai giornali non assuma tutta la gravità della cattedra, bisogna aver tolleranza e permettere che i profani all’arte leggano anch’essi qualche cosa che serva loro di distrazione e di spasso. È a tal fine destinato, nella Gazzetta Musicale, il pian di terra, dove scende e si ferma, non solo il grosso buon senso dell’appendicista, ma quello eziandio di non pochi curiosi, i quali sanno però far di cappello alla giustizia imparziale e alla dottrina rispettabile ed utile del piano superiore.

  Per questi curiosi soltanto non resistiamo alla tentazione di trascrivere poche righe sulla vita di un uomo che ci fu amico, e che ebbe sempre titoli speciali alla nostra stima e alla nostra ammirazione; le abbiam registrate, or sono otto anni, poco dopo l'immatura sua, morte, sul libro stesso che contiene il prezioso suo autografo.

  Onorato di Balzac nacque a Tours nel mese di maggio dell’anno 1799. Era figlio di un antico secretario del Consiglio di Luigi XVIII; passò la sua infanzia nel collegio di Vendôme, e fu condotto a Parigi nel 1815 per ricominciarvi i suoi studi e compiervi il corso del diritto civile.

  Viellerglé, Saint Aubin, lord Rhoone sono i nomi che serviron di passaporto alle prime sue produzioni letterarie, nelle quali nulla v’ha che riveli il futuro Balzac, quegli che ritirato da poi nel Bocage della Vandèa, vi scrisse tanti capolavori, ognuno dei quali potrebbe bastare a rendere illustre un nome.

  Egli è il vero Richardson francese. Nessuno scrittore ha saputo meglio di lui notomizzare il cuore umano, quello della donna in ispecie.

  Due anni prima di morire, de Balzac aveva sposato in Russia una giovane e ricca vedova, d’alto lignaggio, della quale le sue opere gli avevano procacciato la conoscenza.

  Fu detto e stampato, che la sua anima vedesse morire il suo corpo con una tranquilla serenità che somigliava a tutto ciò che fu scritto sulla morte dei giusti. Dopo di aver perdonato agli uomini, chiese egli stesso la sua riconciliazione con Dio, e non venne meno davanti a questo estremo dovere.

  Il suo convoglio funebre fu, secondo le sue disposizioni, di austera semplicità, ma vi assistettero tutte le sommità letterarie, politiche e artistiche della metropoli francese.

  Balzac non ebbe gli onori dell’Academia francese, ma fu compensato di siffatta stranissima esclusione da venti trionfi assai più splendidi, da una grande e amabile celebrità, che (fenomeno raro) non irritava nessuno e piaceva a tutti.

  Egualmente caro, e a quelli che il vedevano ogni giorno e a quelli che non l’avevano mai veduto, egli era assai popolare; e codesta popolarità meritavala, perché aveva sempre presente questo duplice scopo, il quale contiene in sè tutto ciò che v’ha di nobile nell’egoismo e di vero nell’affezione: Esser libero ed esser utile.


  Antonio Piccirilli, Pensieri sull’arte drammatica presso di noi, in Scritti di Antonio Piccirilli, Napoli, 1859, pp. 23-27.
  pp. 24-25. E lo spirito de’ Francesi? – Quel non so che indefinibile che respirasi co’ vapori della Senna, e, secondo, scriveva Balzac «soffoca in cuore il sentimento della poesia, ed inaridisce le sante lagrime dell’estasi» è il principio vitale di ogni parigino; esso elegantemente abbellisce le graziose frasi della vezzosa damina e scintilla gaiamente ne’ discorsi spensierati degli artisti e degli studenti; fluido leggerissimo ed incomunicabile, serpe in ogni vena, anima fino i troppi gravi parlari del dotto, ma soventissimo nasconde il deplorabil vuoto d’un cervello leggiero e tinge bellamente le più insigni balordaggini.
  In tutte queste cause insieme, ma precipuamente in quest’ultima si può scorgere l’origine delle innumerabili farse e vaudevilles che fan bella mostra della fecondità della penna parigina, e segnan forse al punto istesso un’era di decadimento dell’arte teatrale. 


  Luigi Rocca, Manon Lescaut e il Cavaliere Desgrieux. Quadro a olio del Signor Guido Tonin di Torino, in AA.VV. Album della Pubblica Esposizione del 1859. Compilato da Luigi Rocca Direttore Segretario della Società [Società promotrice delle Belle Arti in Torino], Torino, a spese della Società, Dicembre 1859, pp. 53-55.

 

  pp. 53-54. Cessata la voga di Anna Radcliffe e de’ suoi coetanei colle loro tenebrose vicende, non si parla oggimai quasi più di Vittore Hugo, che con ardite innovazioni menava poc’anzi tanto scalpore: e i romanzi stessi di Balzac sono essi pure, benchè a torto in gran parte, quasi del tutto dimenticati ...


  Defendente Sacchi, La capitale e le provincie, «La Ricreazione per tutti. Raccolta di letture piacevoli pubblicata dal Prof. Domenico Ghinassi», Napoli, a spese degli Editori, Seconda edizione con molte aggiunte, Volume Secondo, Parte Prima, 1859, pp. 111-112.

  p. 112. Delle lettere poi non oso quasi parlarne: la luce del progresso per quanto sia rapida, non capita mai in provincia che dopo avere irradiata la capitale, perché i giornali vi giungono sempre almeno ventiquattro ore dopo usciti, e vi par poco 24 ore di ritardo d’un giornale! Egual sorte agita l’urna del fato per quella gente tapina che attendono alle lettere, e che per consolarsi della miseria che ne ritraggono, si chiamano modestamente loro sacerdoti; è solita fortuna che gli uomini si accontentino delle parole. Or bene questo pseudo-sacerdoti di provincia, hanno sempre libri nuovi quando alla capitale sono passati alla polvere degli scaffali: trovano nelle loro biblioteche delle opere grandi, di storia, di scienze, di filosofia, giornali scientifici, ma non un romanzo di Balzac o di Ianin (sic), non il Follett, il Petit Courrier: che importa se conoscono le scoperte di Libri o di Berzelius, se sono al buio di tutte le creazioni del mondo sentimentale? Se que’ mal arrivati scrivono opere, peggio; formano una tragedia, ma non sarà romantica; una commedia, ma non sarà quella del secolo XIX. 

  Alessandro Sauli, Intermezzo, in I Misteri di Milano. Storia contemporanea di Alessandro Sauli, Milano, Libreria Francesco Sanvito Succ. alla Ditta Borroni e Scotti, 1859 («Racconti del Popolo. Letture illustrate raccolte e dirette da Michele Uda», Volume II), pp. 5-28.

  p. 5. Lettore, io ti conosco: tu sei un uomo dabbene e sensato; tu non hai fisime letterarie pel capo, né commettesti, per tua ventura, il peccato mortale d’un romanzo in parti, che aspetta da circa un anno e mezzo la conclusione.
[…]
  pp. 15-16. La letteratura per noi non è uno scopo, ma un mezzo, noi non scriviamo per fare un’opera d’arte, bensì per combattere o propugnare un’idea; la polemica, il libero esame, la discussione, infiltrandosi quasi involontariamente nelle opere nostre, ne rompe l’armonia delle proporzioni, ci contende l’adito al bello ideale assoluto perché non suscettivo d’applicazione, sostituisce al fascino di un’opera d’arte perfetta, l’interesse febbrile dell’attualità che ci preme; noi infine, ci serviamo del giornale, del dramma per far la guerra a un principio come i nostri padri della spada per respingere un’invasione. […].
  – Ma che parlo io di tempi e di segni? … La mi perdoni, caso mai l’avessi ristucco con la mia dotta infarinatura. La colpa non è mia, ma dell’atmosfera in cui vivo. Dieci anni fa se ella fosse venuto a trovarmi, le avrei schiccherato una dissertazione sulla rendita vitalizia o sul diritto di successione, ma ora co’ capi scarichi che mi stanno dattorno … Ah! ah! comincio a credere anch’io con Balzac all’ambiente delle idee … Che vuole? … le aspiro.
 

  C. T., Rassegna bibliografica. “Nuovi studi” di S. P. Zecchini, «Rivista Contemporanea. Filosofia – Storia – Scienze – Letteratura – Poesia – Romanzi – Viaggi – Critica – Archeologia – Belle Arti», Torino, Tipografia Cerutti, Derossi e Dusso, Volume Decimosesto, Anno Settimo, Gennaio, Febbraio, e Marzo 1859, pp. 221-222.

  p. 222. Ora lo scrittore che per una viva imaginazione ci rappresenta il processo della vita, buona o rea, è sicuro di giovare a tempo, come troppo tardi giova l’esperienza. Ma se l’ammaestramento non giovasse a tutti, il diletto non può mancare a chi legge; perché il sig. Zecchini ha qualche cosa del Balzac nell’intreccio delle avventure e nella dipintura dei caratteri. Il suo ser Gerolamo è singolarmente comico.

  C. T., Rassegna bibliografica. “I Miei Tempi”, Memorie di Angelo Brofferio, vol. VII. – Torino, tipografia Biancardi, 1859, «Rivista Contemporanea. Filosofia – Storia – Scienze – Letteratura – Poesia – Romanzi – Viaggi – Critica – Archeologia – Belle Arti», Torino, Tipografia Cerutti, Derossi e Dusso, Volume Decimosesto, Anno Settimo, Gennaio, Febbraio, e Marzo 1859, pp. 224-226.
  p. 226. Così vorremmo citare tutta la descrizione della casa Meina, in via d’Angennes, ove abitò primamente la famiglia Brofferio nel venire a Torino, e la dimora del giovane poeta in una specie di torre sul tetto.
  Il piccolo mondo che si trovava in quella casa, e il più grande, su cui dal tetto gettava gli occhi il poeta, sono descritti a meraviglia, con tutte le loro varietà di caratteri e di bizzarrie; e noi crediamo che il Balzac avrebbe accettate queste fotografie nella sua Commedia umana. 

  F. Ugolini, Rassegna bibliografica. “Memoria del signor Gerolamo Boccardo in risposta al quesito […]. “Sull’antica mascherata trentina detta la Polenta dei Cinsi-Gobj”, Memoria del consigliere comunale Tito de’ Bassetti socio di più accademia – Trento, dalla Tipografia Monauni, 1858, «Archivio Storico Italiano», Firenze, presso G. P. Vieusseux Editore, Nuova Serie, Tomo Nono, Parte 2, 1859, pp. 148-159.

  p. 155. Il nostro secolo, come tutti i precedenti, ha il suo lato buono, e insieme cattivo: da una parte i meravigliosi trovati delle meccaniche, aumentatrici dei comodi della vita, i trionfi delle scienze, l’accresciuta e dilatata civiltà; dall’altro il superbo disprezzo di ogni opera grande e generosa, il totale divorzio dalle virtù antiche, l’ingolfamento ne’ beni e divertimenti materiali, la mancanza di feste nazionale. […] Leggano e s’imprimano in mente i giovani le profonde osservazioni del Boccardo, applicabili anche ai moderni drammaturghi, e imparino ad ammirarne i pregi e fuggirne i difetti. Ma, fatalmente, i difetti sempre più facilmente s’imitano che i pregi. E questo per l’appunto verificassi nella moderna drammatica, specialmente francese, che pose il falso principio l’arte per l’arte, e non l’arte pel bene; ciò che rende immorali e pericolose (benché vi abbondi gran potenza d’ingegno) le opere di Victor Ugo (sic), Balzac, Dumas, Sand, Vigny, Scribe. Ne’ quali se non trovi oscenità di parole e frasi, come nel Goldoni, trovi oscenità di fatti e di principii, velata con oneste parole, onde nasce corruzione più profonda e immedicabile, a cui, specialmente la gioventù, mal resiste. E tutto ciò può anche applicarsi ai drammi chiamati sentimentali, nei quali ordinariamente si cerca coprire con lo splendore della virtù uomini e donne sprofondate (sic) nei vizi, con la perniciosa idea di renderli amabili (pag. 119, 120).


  X., Corrispondenza del Piemonte, «Il Crepuscolo», Milano, Anno decimo, N.° 2, 31 Gennajo 1859, pp. 39-42.

  p. 41. Intanto un giovane ufficiale, il signor Lodovico Ropolo, ha pubblicato un raccontino: L’amore a vent’anni (Torino. Botta, 1859). V’è il brio che viene dalla realtà delle memorie; e credo che per via dei profani, che parlino bene, si rinnoverà da noi questo genere di letteratura; perché si facciano pure dai dotti le contraffazioni del trecento e del cinquecento, come il Balzac contraffece il vecchio francese ne’ suoi Contes drolatiques; ma la materia sia sempre moderna, e si faccia per un raro capriccio; ma nel resto si narri la vita o sentita e osservata, se vogliamo esser letti in Italia e fuori.


  X., Corrispondenza del Piemonte, «Il Crepuscolo», Milano, Anno decimo, N.° 4, 28 Febbrajo 1859, pp. 83-86.

  p. 85. Egli [P. S. Zecchini] torna poi alle quistioni di alta filologia e di diritto, che il Vico trovava sì affini; e talora si piace di scriver versi piacevoli, come nella sua Ricetta letteraria, o di tratteggiare caratteri alla Balzac, come nel suo Libro d’utili insegnamenti, ove è dell’umore del Gozzi, ma più acre, secondo la diversità degli ambienti e degli spiriti.



  [1] Segnalato e analizzato da L. Carcereri, Editoria e critica balzachiana … cit., pp. 513-514. L’opera è presente nelle seguenti Biblioteche italiane: Biblioteca della Fondazione Casa Museo ‘Ribezzi Petrosillo’ di Latiano (BR); Biblioteca Pubblica Diocesana ‘Raffaele Ferrigno’ di Ostuni (BR); Biblioteca Nazionale ‘Vittorio Emanuele III’ di Napoli.
  [2] L’opera è presente nelle seguenti Biblioteche italiane: Biblioteca Comunale Vallesiana di Castelfiorentino; Biblioteca del Gabinetto Scientifico Letterario ‘G. P. Vieusseux’ di Firenze; Biblioteca Civica ‘P. Majno’ di Gallarate; Biblioteca Comunale Antonelliana di Senigallia. La data del 1859 è segnalata da A. Pagliaini, Catalogo generale della Libreria italiana … cit.
  [3] Musicologo, ma laureatosi in medicina (Livorno 1818 - Firenze 1885), Abramo Basevi promosse concorsi di composizione, iniziative concertistiche, edizioni di musiche del passato e rassegne musicologiche. Basevi fu il redattore del giornale musicale “L’Armonia”, fondò i “Beethoven Matinées” (1859) che si trasformarono poi in “Società del quartetto di Firenze” (1864). Fu autore di due opere teatrali, composte in gioventù e di alcuni studî critici, di un’Introduzione ad un nuovo sistema di armonia (1862) e di un Compendio della storia della musica (2 voll., 1865).
  [4] Questo testo presenta alcune varianti rispetto alla prima edizione della vivace satira del Fusinato contro i costumi femminili proprî di certa parte della società sua contemporanea, pubblicata ne «Il Caffè Pedrocchi», Padova, Anno I, n. 34, 23 agosto 1846, pp. 269-271 (cfr. R. de Cesare, La prima fortuna di Balzac … cit., vol. I, pp. 978-980).

Marco Stupazzoni


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