mercoledì 28 maggio 2014


1891




Estratti in lingua francese.

  Honoré de Balzac, [da] Eugénie Grandet, in A.[ngelo] R.[affaello] Levi, Honoré de Balzac (1799-1850), in Les grands prosateurs et poètes de la France depuis les origines de la langue jusqu’à nos jours, avec des notes grammaticales, philologiques, historiques et littéraires à l’usage des Instituts supérieurs et techniques des Ecoles techniques et normales, des Lycées et des Gymnases d’Italie par Mr le Professeur A. R. Levi, Milan, Battezzati Successeur, Editeur, 1891, pp. 195-197.


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Traduzioni.


  Onorato di Balzac, Eugenia Grandet. Scene della vita di Provincia. Romanzo di Onorato di Balzac (Versione dal francese di F.[rancesco] Contaldi), «Rivista Minima. Periodico di Lettere, Scienze ed Arti», Giulianova, Stabilimento Tipografico del Commercio, Anno IV, N. 3, 20 Febbraio 1891, pp. 45-48; N. 4, 5 Marzo 1891, pp. 61-64; N. 6, 15 Aprile 1891, pp. 93-96; N. 7-8, 5 Maggio 1891 (?).[1]
  Modello di questa nuova traduzione di Eugénie Grandet, compilata a cura di Francesco Contaldi (1865-1903), poeta e traduttore, fondatore e direttore della «Rivista Minima» a partire dall’anno 1888, è il testo dell’edizione originale pubblicata da Furne nel 1843 su cui si fondano le successive edizioni del romanzo edite dalla Librairie Nouvelle, da Houssiaux, da M. Lévy e da Calmann-Lévy.
  Nonostante qualche libertà stilistica che il Contaldi si concede nella resa in lingua italiana del testo francese, questa nuova versione del capolavoro balzachiano può ritenersi corretta.

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  Trascriviamo, a questo proposito, la sequenza testuale riguardante la descrizione di Adolphe des Grassins e la relativa traduzione italiana fornita dal Contaldi:
  Un grand jeune homme blond, pâle et frêle, ayant d’assez bonnes façons, timide en apparence, mais qui venait de dépenser à Paris, où il était allé faire son droit, huit ou dix mille francs en sus de sa pension, s’avança vers Eugénie, l’embrassa sur les deux joues, et lui offrit une boîte à ouvrage dont tous les ustensiles étaient en vermeil, véritable marchandise de pacotille, malgré l’écusson sur lequel un E. G. gothique assez bien gravé pouvait faire croire à une façon très soignée.
  Un gran giovane biondo, pallido e delicato, di modi assai distinti, timido in apparenza, ma in realtà reduce allora allora da Parigi, dove col pretesto di studiar legge aveva sciupato otto o diecimila franchi, si fece avanti, baciò la fanciulla sulle due guancie, e le offerse un astuccio da lavoro con tutti gli oggetti in rosso, una vera merce di scarto, benché lo scudo, su cui erano incisi abbastanza bene in gotico un E e un G, potesse dargli un certo aspetto d’eleganza.



Studî e riferimenti critici.


  Attualità. Il nuovo sindaco di Roma, «L’Illustrazione Popolare. Giornale per le famiglie», Milano, Volume XXVIII, N. 6, 8 Febbraio 1891, p. 86.

 

  Don Onorato Caetani è romano del più antico lignaggio; unico figlio maschio di don Michelangelo, duca di Sermoneta, il venerabile patrizio cieco, amato dal Balzac, che gli dedico un libro, e dantista insigne, il cui palazzo, negli anni che precedettero il 1870 era aperto a tutto il fiore degli studiosi.


 Granelli d’oro, «Rivista Illustrata Settimanale. Letteratura, Belle Arti, Scienza e Varietà», Milano, Anno XVI, N. 6, 8 Febbraio 1891, p. 7.

 

 La donna ha questo in comune cogli angioli, che gli esseri che soffrono le appartengono.

Balzac.


  Bollettino bibliografico. B. H. Gausseron, “Comment vivre à deux?” (Paris, à la Librairie illustrée), «Minerva. Rivista internazionale», Roma, La Società Laziale Tip. Editrice, Anno I, Num. 7, vol. II, Luglio 1891, p. 373.
  Non sono romanzi, quantunque il racconto v’abbia gran parte sotto forma di episodi più o meno lunghi, quasi sempre ben scelti e argutamente avvicinati o contrapposti. In sostanza rifanno, in senso ortodosso, la Fisiologia del matrimonio del Balzac.

  Un pensiero al giorno, «L’Unione. Organo del Partito liberale bergamasco», Anno I, N. 14, 20-21 Luglio 1891, p. 3.

 

  Il matrimonio è come la crema: un nonnulla lo fa andare a male.

Balzac.



  Amato che a nullo amato amar perdona, «L’Indipendente», Trieste, Anno XV, N. 5105, 21 Luglio 1891, p. 2.

  Se ancora vivesse Balzac, egli certo rifarebbe le sue immortali pagine contro l’amore che prende e disperde le forze della volontà, che toglie gli uomini al loro destino, che devia le sorti fatali, sovrapponendosi come fatalità più alta ed intangibile.

  Non parliamo poi della cronaca minu­ta, giornaliera, dove il dramma dell’amore, oramai, è diventato la formola esclusiva dell’esistenza: non occupiamoci delle migliaia di romanzi veri, dove più forte di ogni altro fervido desiderio, più forte della vanità, più forte della cupidigia, più forte dell'ambizione, più forte, anche, della morte, l’amore è centro del­le più dolorose e sublimi storie.

 

  Il Teatro e l’arte, «Il Piccolo della sera», Trieste, Anno X, N. 3494, 3 Agosto 1891, p. 2.

  Al Theatre (sic) Libre di Parigi si an­nunzia per la prossima stagione l’andata in scena del Père Goriot, produzione in cinque atti, tratta da Balzac dal signor Adolfo Tabarant.


  Il Teatro e l’arte, «Il Piccolo della sera», Trieste, Anno X, N. 3505, 14 Agosto 1891, p. 2.

  Lo scultore Rodin ha ricevuto ufficialmente l’incarico dalla Società dei let­terati di Parigi, di eseguire la statua di Balzac.


  Album, «La Tribuna illustrata», Roma, Anno II, Num. 34, 30 Agosto 1891, p. 540.
  La speranza è una reminiscenza che ritorna allo spirito.
                                                                                                     Balzac.

  Arti e Lettere, «L’Indipendente», Trieste, Anno XV, N. 5190, 14 Ottobre 1891, pp. 2-3.

  p. 2. I libri per dormire ... Eccoli questi libri leggieri, ma non frivoli; originali, ma non tormentosi, graziosi, spiritosi ma non paradossatici; interessanti, ma non sensazionali — infine, i veri libri per addormentarsi bene, dopo quindici o ven­ti minuti di lettura. […].

  La Physiologie du mariage di de Balzac (Guardarsi, però, dal prenderla molto sul serio: Balzac la scrisse scherzando un poco).


  Il Teatro e l’arte, «Il Piccolo della sera», Trieste, Anno X, N. 3579, 27 Ottobre 1891, p. 2.

  Al Teatro libero di Parigi venne rappresentato Le père Goriot, drama in cinque atti, riduzione del noto romanzo di Balzac. L’esito fu poco felice, avendo il lavoro i soliti difetti dei drami ridotti da romanzi.


  Arti e Lettere, «L’Indipendente», Trieste, Anno XV, N. 5206, 30 Ottobre 1891, p. 3.

  — Le Père Goriot, dramma in cinque atti, tratto dal signor Adolfo Tabaran dal romanzo di Balzac, ha interessato mediocremente il publico del Théâtre Libre di Parigi.

Tuttavia fu vivamente applaudito il sig. Antoine, il quale recitò egregiamen­te la lunga scena di agonia, che termi­na il dramma.


  Il delitto, i libri ed i giornali, «Corriere della Domenica. Lettere – Scienze – Arti», Milano, Anno 2, Numero 50, 13 Dicembre 1891, pp. 598-600.

 

  p. 599, nota (2). Fra i romanzieri che hanno turbata l’immaginazione delle giovani generazioni moderne, come non citare Balzac e Giorgio Sand! Balzac che ha inebriato i giovani di sogni di ricchezze, di piaceri e di potenza; Giorgio Sand? che ha ubbriacato le giovani di sogni di amore, di adulterio. Nei Réfractaires di Giulio Vèlles (sic), che fu implicato negli avvenimenti della Comune, si trova al capitolo avente per titolo Le vittime del Libro, la confessione della influenza funesta che Balzac esercitò su di lui e sui suoi camerati.


  Avv. Arnaldo Bartoli, Separazione e divorzio, in Del Divorzio, Firenze, Adriano Salani, Editore, 1891, pp. 37-41.
  p. 41, nota 1. Il divorzio dunque, legge che riunisce in sé le qualità di giustizia, opportunità ed utilità, è complemento necessario del matrimonio, sia che lo si voglia considerare contratto, sia che lo si voglia considerare un’istituzione sociale, rifuggente da estremi che la rendono intollerabile.(1)
  (1) Balzac lo chiamò immenso contratto, altri istituzione sociale che come tutte le buone istituzioni sociali deve avere un carattere il più possibile conciliativo.


  P.[aolo] B.[ernasconi], La questione doganale tra il Belgio e la Francia, «Corriere della Sera», Milano, Anno XVI, Num. 92, 4-5 Aprile 1891, pp. 1-2.

  p. 1. «L’imperatrice Faustina».

  Un russo il quale, essendo ricco e parente di Balzac, s’interessa a Marco Aurelio e all’impe­ratrice Faustina, meriterebbe di essere man­dato in Siberia. Invece egli ha potuto trovare a Parigi – chi sa a quale prezzo, però – m un teatro sul boulevard, per farvi rappresentare un suo dramma romano, ascoltato dal pubblico dalla critica con molto scetticismo, ma con in­finita benevolenza.

  Stanislao Rzewuski, autore del dramma L’Im­peratrice Faustina, rappresentato sere sono al teatro della Porta S. Martino, è nato a Kiew, nel 1863. Grande, magro, coi capelli neri lunghi e dei sottili mustacchi, egli ha l’aria d’un poeta disilluso. Possiede una ingente sostanza ed è nipote di Onorato Balzac, avendo sua zia sposato l'illustre autore della Commedia Umana.


  Parmenio Bettoli, Guitti (Fogli staccati), «Scena-Sport», Firenze, Anno XXVII, Numero 1, I° Gennaio 1891, p. 4.
  A Palermo, sua patria, Silvio Battistoni, giovinetto, faceva il servitorello di piazza, quando lo vide quel valentuomo di Giuseppe Rizzotto, che apprezzatone il simpatico e intelligente aspetto, se lo prese nel branco, per fargli sostenere la parte di picciutto de sgarro ne’ suoi Mafiosi. […].
  Egli valeva assai più di loro [Tommaso Salvini ed Ernesto Rossi]. Faceva il primattore, perché questo è il ruolo più saliente di ogni altro; ma se gli capitava una bella parte di primattore giovane, come quella di Enrico, nella Legge del cuore, o di brillante, come quella di Chavigny, nel Diplomatico senza sapere, o di caratterista e promiscuo, come quella di Papà Goriot, nella commedia omonima di Balzac (sic), se le appropriava tutte e le interpretava tutte co’ suoi lunghi baffi e il suo enorme pappafico.

  Maria Bobba, La malinconia nell’arte, «Scena-Sport», Firenze, Anno XXVII, Numero 1, I° Gennaio 1891, p. 4.
  La malinconia è la caratteristica dell’arte odierna perché nella vita attuale non c’è più gioia, non c’è più serenità di spirito, non c’è più gaiezza. Pare una contradizione, ma è così: più l’uomo si eleva colla scienza, col lavoro, col benessere e l’agiatezza della vita e più sembra allontanarsi da lui l’ideale della felicità. […].
  Le origini dell’arte malinconica sono abbastanza lontane e la sua sfera d’azione discretamente ampia. Le prime pagine del De Musset nelle «Confessions d’un fils du siècle» (sic) infatti non riflettono solo lo stato suo psicologico e quello della Francia del suo tempo, né i versi disperanti del Leopardi sono da attribuirsi solo alle sventure morali e ai dolori fisici che travagliarono l’infelice poeta, ma si adattano in generale a tutto quanto il mondo civile, dalla rivoluzione francese fino a noi, ed a ciascuna in particolare alle anime che allora visse, pensò e sofferse. Oltre al De Musset, furono pessimisti, in Francia, Balzac, De Vigny e il Flaubert. Fu pessimista lo stesso Victor Hugo: il poeta trionfatore.

  Adolfo Borgognoni, Lorenzo di Pier Francesco de’ Medici, in Studi di letteratura storica, Bologna, Ditta Nicola Zanichelli (Cesare e Giacomo Zanichelli), 1891, pp. 1-110.
  pp. 99-100. Io, per esempio, non sarei lontano dal credere che avessero una gran parte di ragione i contemporanei e familiari di Lorenzo, allorquando lo tenevano per «pazze riccio» e dicevano, discorrendo di lui, «quel pazzo, malinconico filosofo».
  Secondo questo criterio la responsabilità di Lorenzino sarebbe di certo scemata, vuoi pel delitto, vuoi per la gloria; stantechè non mancano, neppur a’ dì nostri, di quelli che ancora hanno in conto di eroe colui che tenne stretto il primo Duca di Firenze, mentre Scorringongolo lo scannava. È ben vero, come acutamente notò il Balzac, che «le crime et la folie ont quelque similitude»1. Pure il vandalismo sulle statue romane, il disegno d’uccidere papa Clemente, senza un perché si sappia, non sembrano cose da uomo che goda di mente sana in corpore sano.
  (1) La dernière incarnation de Vautrin.

  Antonio Caccianiga, Ricordi lontani, «Il Veneto Letterario», Padova, Anno I, N. 18, 6 Dicembre 1891, pp. 1-2.

  p. 2. Si leggevano anche delle traduzioni di Balzac, di Du­mas e di altri romanzieri francesi. E i giovani più colti leggevano in francese Notre Dame de Paris di Vittor Hugo, e attendevano con impazienza il giornale dei Débats per divorare le appendici dei Misteri di Parigi di Sue, che passavano rapidamente di mano in mano.


  Joseph Calce, Dante e Balzac [Sonetto], in Pirofosfato (versi tradotti dal boemo), Napoli, Tipografia De Angelis-Bellisario, 1891, p. 23.

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(Fonte: Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze)



Comedia scrisse Dante, ed Onorato
Balzac, se diva nol potè, chè penna
mortale e umana avea, de’ vivi il fato
ridicol pinse. Al tosco suol, Turenna
da’ grassi paschi è somigliante. Nato
ne’ campi, i flutti della torva Senna
fender potè da forte; e fu domato
il fier Parigi da cotal cotenna.
Dante, macro sottile ipocondriaco,
preferiva a un bel sen pieno di vita
i clorotici vezzi di Beatrice.
Balzac, gallo rubesto afrodisiaco,
fugge con l’Hanska, baronessa ardita,
cha lo fa meno grande, e più felice.

  F.[elice] Cameroni, Appendice. Rassegna bibliografica. Pubblicazioni italiane ed estere, accennate nelle appendici del “Sole” durante l’anno 1890. […] Bibliografia francese, «Il Sole. Giornale quotidiano commerciale-agricolo-industriale», Milano, Anno XXVIII, N. 1, 1° Gennaio 1891, p. 1.
  […] La physiologie de l’amour moderne, di Paul Bourget. Credo d’averla raccomandata efficacemente ai miei lettori, pochi giorni or sono, coll’affermare che sotto certi aspetti è degna di costituire una trilogia, assieme all’Amour dello Stendhal ed alla Physiologie du mariage del Balzac.

  F.[elice] Cameroni, Appendice. Rassegna bibliografica. J. K. Huysmans. – “Là-bas, «Il Sole. Giornale quotidiano, commerciale-agricolo-industriale», Milano, Anno XXVIII, N. 103, 1° Maggio 1891, p. 1.
  Già analizza in diverse circostanze le ragioni per cui alle sane influenze di Balzac e Flaubert, dei Goncourt e dello Zola vanno succedendo in certi temperamenti d’artisti altre suggestioni letterarie.


 Giuseppe Caprin, Tempi andati. Pagine della vita triestina (1830-1848) […], Trieste, Stabilimento Artisico-Tipografico G. Caprin, edit., 1891.

 

La selce della “Favilla”, pp. 63-78.

 

 p. 69. Non c’era nessuno nella Penisola che, secondo quanto aveva scritto van Engelholm nell’Indipendente di Brusselles, fosse celebre per le sue bugie come Onorato Balzac, o che vestisse di velluto, alla turca, e si facesse servire da un negro come Alfonso Karr; nessuno che sognasse, come il mulatto Dumas, di fare un viaggio per scoprire l’Italia, accompagnato da tre pittori, un geologo, un chirurgo ed un architetto; nessuno che pensasse, come madama Dudevant, di andar a scrivere Leone Leoni sui ghiacciai della Svizzera, o che, come il creolo Magnard, mangiasse, scrivesse e dormisse coi guanti.

 

Appendice. Lettere di Antonio Madonizza al conte Prospero Antonini, pp. 435-523.

 

Capodistria, 22 settembre 1838.

 

 pp. 466-467. Ho veduto anche una celebrità francese, la delizia del sesso gentile, quel vago narratore, quell’analizzatore all’ingrosso di tante scoperte fisiologiche, Onorato de Balzac. – Che ti pare? Quale fortuna la mia? Pensa tu come lo squadrassi dalla cima del cappello fino alla punta de’ piedi, come osservassi quella tozza pancierata figura, quell’occhio sfavillante nerissimo, profondo quanto il mare! Il signor de Balzac conta adesso poco meno eli quarant’anni; ha buone ganasce spelate, tranne una gentile lanugine di sotto al naso che fa le veci di mustacchi, è rubicondo, co’ capelli brizzolati cadenti à la renaissance; veste un frac blò chiuso fin sotto la gola, calzoni lunghi, scuri, scarpini e guanti glacés di Grenoble. La fisionomia è piuttosto brutta che no, se non fossero que’ due lucentissimi occhi che fanno dimenticare la poco armonica struttura del suo corpo e le grossolane fattezze del volto. Porta una canna, ma non so se sia quella famosa di cinquecento franchi che porse argomento alla signora Girardin di tesservi sopra un romanzo. – O mirabile potenza di una canna a destare sì altamente la fantasia! La carriera dell’illustre romanziere cominciò dal Cuoio di zigrino, dall’Ultimo Chouan e dalla Fisiologia del matrimonio. Poi dettò romanzi in gran copia, da formare una piccola biblioteca. Guadagnò collo speculatore Delloye somme sterminanti. A malgrado ciò dovette fuggire di Parigi per essere perseguitato (vedi mala creanza) da’ suoi creditori. Venne l’anno scorso a Milano, dove fu accolto fra gli applausi e i battimani come un trionfatore. Ritornò in Francia per accomodare le sue faccende, ma senza che niuno il sognasse, si vide comparire di nuovo nell’Atene lombarda l’accarezzato straniero. Si suol dire che le novità durano tre giorni. Tale accadde di Balzac. Fu salutato come vecchia conoscenza, ma senza uscire da’ gangheri, senza l’entusiasmo di alcuni mesi addietro. Arrivò con un succinto fardelletto a mo’ di que’ viaggiatori tedeschi che col sacco sugli omeri scorrazzano la bella Italia, senza cocchi, senza livree. Riparò in casa del giovane principe di Porcia, ove è provveduto di ogni agio. Il Cazzaniga mi disse che lavorava instancabilmente i giorni interi senza neppure sedersi a mensa, ma rosicchiando solo di tratto in tratto un biscottino e centellando dell’acqua, intorno ad un nuovo romanzo che si intitolerebbe il Curato di campagna. È questo un lavoro che gli dee premere se ha voglia di ribaciare il suolo della sua patria, giacchè da un libraio di Parigi gli è stato dato fin l’ultimo soldo pattuito, e a tutta forza pretende il romanzo. Sulle opere di Onorato Balzac ha scritto un opuscolo Ignazio Cantù, fratello di Cesare, scrittore di molto merito, massime per le sue diligenti ricerche, e per un volume recante scene del medio evo, che sono dai critici molto encomiate.


  Domenico Ciàmpoli, Il romanzo in Russia. Leone Tolstoi, in Studi letterari, Catania, Niccolò Giannotta, Editore, 1891, pp. 329-352.
  p. 336. Terzo carattere è la varietà immensa dei tipi, ritratti con precisione meravigliosa; ma non sono già i vecchi tipi da commedia o da romanzi convenzionali; no, sono quali s’incontrano nella vita di ogni giorno e che pure passano inavvertiti: crediamo che solo Dickens e Balzac possono aver creato qualcosa di simile.

Ivan Turgheniev, pp. 367-400.

  p. 370. E una sintesi chiara e ponderosa che pochi hanno Saputo fare in altri paesi e che mette Turgheniev accanto a Walter Scott e a Balzac.


G. I. Kraszewsky, pp. 401-416.

  p. 414. Che ingenuità briccona poi nei contadini! Solo Balzac può superarlo nell’arte di ritrarli, arte che ti dà la verità vivente, e derivante certo dal processo filosofico-artistico usato dall’autore, onde egli non isola un fatto, una persona, ma ne forma un insieme, che diventa legge generale. Si vede ch’egli ha la sensibilità squisita e l’intelletto nitido.


  Cimone, Una specie di prefazione, «L’O di Giotto. Giornale – Opuscolo Settimanale», Firenze, Anno II, Num. 3, 11 Gennaio 1891, pp. 16-17.

  p. 16. Il romanzo moderno si è buttato alla psicologia, alla neuropatologia, al buddismo, al socialismo, e a una infinità di altre cose, ma mi pare che abbia perduto di vista il suo scopo: quello di divertire.

 È bene, certo, che l’arte si raffini un poco; ma a furia di raffinarsi, l’arte si è perduta.

  Con tutta la psicologia e l’altre scienze e teoriche, le quali hanno invaso il territorio del romanzo, è successo ai romanzieri quello che il Balzac racconta nel Chef d’oeuvre inconnu. Il Maestro Frenhofer, il personaggio del Balzac, l’incarnazione meravigliosa dell'arte tormentata e dei tormenti dell’arte, è un meraviglioso pittore ed espone sublimi teorie, ma il suo capolavoro è una tela nella quale non si vede nulla, nè colore, nè disegno: un ammasso di linee confuse e bizzarre, che a lui sembrano figure vive e palpitanti, c che agli occhi degli altri non svelano nulla.

  Io credo che non tarderà molto una salutare reazione per la quale tutti gli scrittori torneranno a fare dei romanzi che divertano, magari un po’grossolani, nei quali non si riconoscerà forse la mano di un grande artista, ma che torneranno a commuovere, a interessare, a far piangere e a far ridere.

  Per conto mio, in questo sono reazionario, e preferisco un cattivo romanzo d’avventure a uno studio in azione sull’atavismo, o sui fenomeni psichici determinati dall’ambiente.


  Cimone, I Libri. L’Argent, «don Chisciotte della Mancia», Roma, Anno V, N. 105, 17 Aprile 1891, p. 2.
  Non lo dico per la storia del pensiero umano, ma per mostrare la schiettezza delle mie impressioni: io non ho per Emilio Zola l’ammirazione ardente, la quale ha fatto inalzare al maestro del naturalismo un maggior numero di altari in Italia di quel che egli non ne abbia nella sua Francia.
  Nei suoi ultimi romanzi specialmente, certe preoccupazioni di pura forma erano cadute in tale esagerazione, e degenerate in una maniera, così vicina al grottesco della caricatura, da far credere che tutta la riforma artistica predicata dallo Zola, si riducesse a una ricetta la quale toccasse soltanto la questione formale; tanto più che si poteva dubitare dell’esistenza della sostanza in quei romanzi.
  Destava intanto un certo spirito di reazione il vedere esagerati i metodi della Zola come riformatore, mentre chi conosceva l’opera di Onorato De Balzac, doveva riconoscere così pienamente affermata, compiutamente svolta, applicata miracolosamente colla divina e incosciente virtù del genio, la riforma del romanzo moderno nella Commedia umana, da rendere superflua l’opera di nuovi riformatori, da fare anzi poco meno che inutile l’opera dei continuatori della riforma.
  Ma – a parte anche questione di principio – pareva che il metodo sperimentale applicato al romanzo (come se fra l’evoluzione scientifica e l’arte eternamente uguale vi potesse essere mai identità di metodo) avesse finito per sopprimere il romanzo, il quale deve essere prima di tutto un romanzo; e che la voluta, esagerata, soppressione della personalità dell’autore, dopo aver tolta la necessaria impronta del soggettivismo dell’autore dall’opera dello Zola, la allontanasse anche da ogni scopo morale e civile.
  Nell’Argent non è così.

  A.[rturo] Colautti, Per Francos, «L’Indipendente», Trieste, Anno XV, N. 5156, 19 Settembre 1891, p. 1.

  Che diventino i finanzieri da romanzo, i finanzieri di Balzac e di Zola? I Gobseck moscoviti cavano denaro dalla mu­sica ... la musica di Rouget de Lisle: i Saccard iperborei riducono in titoli di rendita le bandiere tricolori.


  Contessa Lara, Intermezzo femminino, «L’Indipendente», Trieste, Anno XV, N. 4966, 2 Marzo 1891, p. 2.

  Ho nominato più sopra un profumo: ora accenno alle mie leggitrici quelli d’ul­tima creazione (stile delle case di pro­fumeria).

  Sono il lilla bianco, il mughetto dei boschi, il giglio della valle — che deri­va il proprio nome dallo stupendo ro­manzo di Onorato Balzac e l’essenza di mimosa.


  Contessa Lara, Echi mondani, «L’Indipendente», Trieste, Anno XV, N. 4980, 16 Marzo 1891, p. 2.

  Fra gli scrittori celebri, ricordo le se­guenti divise: Giorgio Byron erasi creata questa: Love for love (amore per amore), mentre la sua famiglia portava: Crede Byron. Goethe: Persistance en amour; Balzac: Raison m’oblige; Alfonso Karr: Je ne crains que ceux que j’aime ...


  Contessa Lara, In Città. La pagina delle Signore, «L’Indipendente», Trieste, Anno XV, N. 5098, 14 Luglio 1891, pp. 2-3.

  p. 2. Si racconta, a proposito dei guanti, questo aneddoto assai curioso. Una gio­vane dama, la cui carrozza erasi rove­sciata in riva alla Senna, chiamava di­speratamente aiuto. Daclos, autore dei Moeurs, che si bagnava a poca distanza da quel luogo, ode i gridi, e, senza per­der tempo a infilarsi la camicia, accorre, nudo come Dio l’aveva fatto, presso la bella spaventata.

  «Signora — dice egli con la più squi­sita cortesia, tendendole la mano per rialzarsi — perdonatemi se non ho i guanti!».

  Un aforisma di Onorato De Balzac: «La femme est une charmante créature qui rétire (sic) aussi facilement ses gants que son coeur».


  Decio Cortesi, L’Arte … fin de siècle, «Fanfulla della Domenica», Roma, Anno XIII, Num. 23, 7 Gennaio 1891, Supplemento al “Fanfulla” N. 153, pp. 1-2.

  p. 1. I tempi nei quali i romanzi del Balzac venivano tacciati d’immoralità, fin anco dal molle autore della Volupté, sono ben lontani da noi.

  Renato Dalma, Ombre e memorie. Profili di Ninon de Lenclos – Sterne ed Elisa – Madamigella d’Aïssé – Saffo – B. E. Maineri – G. Aurelio Costanzo – Orazio Grandi. Seconda edizione, Torino, Ditta G. B. Paravia e Comp. (Figli di I. Vigliardi) Tipografi-Librai-Editori, 1891.
  p. 39. Ho sotto gli occhi una lettera di Rivarol a Panckoucke, nella quale, il celeberrimo facitore di motti, parmi non creda più che tanto che la signorina d’Aïssé abbia da vero esistito. L’autorità di Rivarol vale, a parer mio, più assai di quella di Sainte-Beuve (madama di Girardin e Balzac lo chiamavano Sainte-Bévue); […].


  Giuseppe Depanis, “L’Argent” di Emilio Zola, «Gazzetta Letteraria», Torino, L. Roux e C., Anno XV, N. 13, 28 marzo 1891, pp. 97-99.

 

  [...] il mondo clericale è studiato in La conquête de Plassans, un capolavoro di larga impronta balzacchiana [...].

  I difetti di uno scrittore sono inseparabili dalle sue qualità, sono il rovescio della medaglia: fatene astrazione e dimezzerete la fisonomia dell’artista. Lo stesso accade per il Balzac, per l’Hugo, per il Verdi, per il Wagner; anzi, più l’artista raggiunge un alto grado di genialità e più i suoi difetti – leggi l’esagerazione delle sue qualità – si accentuano. Ed io non riesco ad immaginarmi vado oltre non oserei augurarmi – un Balzac meno farragginoso, un Hugo meno apocalittico, un Verdi meno violento, un Wagner meno prolisso; mi sembra che il loro genio perderebbe in profondità quel che guadagnerebbe forse in correttezza [...].

  Lo Zola non ha sciolto e non ha preteso di sciogliere il problema del danaro o della moneta in cui in definitiva si concreta la questione sociale: egli ne ha posti i termini, ed è suo merito di avere ne’ suoi romanzi agitato il più gran numero di idee di cui nella letteratura si abbia finora l’esempio. Per questo verso lo Zola è il vero e degno continuatore del Balzac.

 

 

  Giuseppe Depanis, Fra Romanzieri e Novellieri, «Gazzetta Letteraria», Torino, L. Roux e C., Anno XV, N. 30, 25 Luglio 1891, pp. 237-238.

 

  p. 237. [Su: Bernardo Chiara, Don Mario]. Pochi preti veri e reali conta la letteratura romanzesca; quanto al mondo clericale, soli il Balzac qua e là in alcune novelle ed il Fabre nella serie de’ suoi meravigliosi romanzi, sono riusciti a riprodurlo come mondo vivo e vissuto: il Balzac colla sua prodigiosa facoltà intuitiva, ed il Fabre con uno studio assiduo e costante e colla pratica della vita clericale.

 

 

  Giuseppe Depanis, Rinvangando il passato, «Gazzetta Letteraria», Torino, L. Roux e C., Anno XV, N. 32, 8 Agosto 1891, pp. 253-255.

 

Tempi andati (Pagine della vita triestina).

 

  p. 254. Le lettere sono di una certa importanza perché racchiudono notizie e giudizi sui letterati del tempo. Ecco un ritratto del Balzac «celebrità francese, la delizia del sesso gentile, il vago narratore, l’analizzatore all’ingrosso di tante scoperte fisiologiche», schizzato nel settembre del 1838, allorchè il romanziere francese si trovava a Milano: «Il signor De Balzac conta adesso poco meno di quarant’anni; ha buone ganasce spelate, tranne una gentile lanugine di sotto al naso che fa le veci di mustacchi; è rubicondo, co’ capelli brizzolati, cadenti à la renaissance; veste un frac blò, chiuso fin sotto alla gola, calzoni lunghi scuri, scarpini e guanti glacés di Grenoble. La fisionomia è piuttosto brutta che no, se non fossero que’ due lucentissimi occhi che fanno dimenticare la poco armonica struttura del suo corpo

e le grossolane fattezze del volto».


  Doctor Mysticus [Angelo Conti], Paolo Bourget, «La Tribuna Illustrata», Roma, Anno II, Num. 30, 2 Agosto 1891, p. 466.
  Il romanzo naturalista ha voluto principalmente studiare l’amore, il problema più arduo dopo l’altro della morte. E nell’amore ha voluto analizzare, meglio che non si fosse fatto da tutti i venuti prima, il misterioso personaggio che in esso rappresenta la parte più misteriosa e profonda: la donna.
  Il romanzo naturalista, per opera prima del Balzac e poi dello Zola, è andato molto in fondo al problema. […].
  Il Bourget non poteva concludere diversamente. Egli rappresenta infatti sinora la massima incertezza artistica. Partito dalla vera sorgente, da Balzac, egli ha incontrato per via Baudelaire e Stendhal; poi dimenticando il punto di partenza li ha lasciati e si è perduto nelle regioni malsane ove regnano il Daudet e Pierre Loti. […].
  Io per me concludo che l’arte grande non appartiene alla scuola fisiologica o alla scuola psicologica, ma è di tutti i tempi e di una scuola sola, la scuola del vero. Di questa scuola sono discepoli principalmente Dante e Shakespeare fra gli antichi, e fra i moderni Balzac. Per questa ragione le creature di questi artisti sono vive. […].
  In tutta la letteratura francese moderna non era forse accaduto mai, dopo Père Goriot di Balzac, che la morte suscitasse in noi un fremito uguale a quello che veniva dalle ultime pagine del Discepolo.

  Falco, Echi mondani. L’avvenire di Zola, «L’Indipendente», Trieste, Anno XV, N. 5007, 13 Aprile 1891, p. 2.

  Zola convenne che l’opera sua avviò la sua scuola letteraria su di un cattivo sen­tiero. Ma c’è tempo, disse. La nuova for­ma del romanzo ha bisogno di un atleta che la inauguri risolutamente. E questa forma non sarà nè la nebbia del simbo­lismo, nè il psicologismo; ma una conti­nuazione dei principi naturalisti di Balzac e dei fratelli de Goncourt.


  Falco, Echi mondani, «L’Indipendente», Trieste, Anno XV, N. 5042, 19 Maggio 1891, p. 2.

  La vita è un’opera, un mestiere, e bisogna darsi la pena d’impararlo. Quando la donna conosce la vita, mediante la prova dei dolori, allora la sua fibra ac­quista una certa elasticità, ed essa si rende capace di governare le emozioni.

Balzac.


  Falco, Echi mondani, «L’Indipendente», Trieste, Anno XV, N. 5049, 26 Maggio 1891, p. 2.
  La storia dei collezionisti d’avvisi.
  «Che cosa si raccoglie oggi? Si fa collezione di bottoni, di bastoni, di ventagli, di libercoli politici, di carta timbrata … Si va fino a raccogliere avvisi!»
  Scriveva Onorato di Balzac nel 1846, se non erro.
  Allora sembrava qualcosa d’enorme quest’idea di raccogliere avvisi … qualcosa di grottescamente eccentrico. Ed ora … ed ora …


  Falco, Echi mondani. I color de l’anima, «L’Indipendente», Trieste, Anno XV, N. 5084, 30 Giugno 1891, p. 2.

  La teoria del romanziere moderno è tanto facilmente confutabile, che non io vi perderò parole. Tutto ciò che fu sco­perto sinora e riunito sotto il nome di Scienza è là per dargli una trionfale smentita.

  Altro che progresso del naturalismo! Un travestimento filosofico dei sogni di Giulio Verne piuttosto! Una psicologia che da l'affermazione positiva di Balzac torna a la favolosa scarpina di Ceneren­tola!


  Falco, Echi mondani, «L’Indipendente», Trieste, Anno XV, N. 5106, 22 Luglio 1891, p. 2.
  Giovanni Lombard, un romanziere da l’idee vaste, ha chiuso i suoi gironi a Charenton, in età d’appena trentasei anni. […].
  Lombard non è un nome nuovo ne la letteratura moderna. Apparteneva a quella scuola realista rinnovata che, scostandosi da Zola, tornò ai primi maestri, i discendenti di Balzac: Flaubert, i Goncourt.

  Prof. Leopoldo Fasanotti, La Biblioteca domestica (Bozzetto), «L’Illustrazione Popolare. Giornale per le famiglie», Milano, Fratelli Treves, Editori, Volume XXVIII, N. 24, 14 Giugno 1891, pp. 378-379.
  p. 379. Ma che diavolo mi esce or fuori? Nientemeno che l’Alfieri, quella tragica mente, anima disdegnosa di fiero gallofobo odiato dei tiranni e della plebe; manco male, che qui presso lo segue un volumetto delle più ilari commedie di Molière e di Mercadet, e un altro de’ più azzurri drammi del Marenco nostro e del Giacosa; […].

  M. A. Fleming, Un matrimonio stravagante. Romanzo di M. A. Fleming, «Il Piccolo della sera», Trieste, Anno X, N. 3329, 19 Febbraio 1891, p. 1.

  Entrai nella casa del maggiore, in un salotto ben caldo e bene illuminato, dove vidi per la prima volta la donna che doveva fare l'infelicità di tutta la mia vita.

  Era accoccolata come una gattina all'angolo del caminetto; vedendomi entrare ella fissò su me i grandi stupendi occhi neri che mi fecero pensare alla Jeune fille aux yeux d'or di Balzac. Anche questi avevano riflessi alternati vanente neri o gialli a seconda che ella li alzava o li abbassava verso la fiamma vacillante del focolare.


  Fra Tondino, Le due società che si son fatte fondere dall’on. Borghi, «L’O di Giotto. Giornale – Opuscolo Settimanale», Firenze, Anno II, Num. 36, 30 Agosto 1891, pp. 15-19. 

  pp. 18-19. Balzac, che odiava a morte i giornali e i giornalisti, per esempio, fondò una volta la società du Cheval rouge.

***

  La società del Cavallo rosso, detta così dalla trattoria nella quale i soci si riunivano a pranzo, fu costituita dal Balzac fra i giornalisti d’ogni colore e partito, per dirigere questa forza del giornale, che egli chiamava cieca, sorda, ribelle immorale, senza scopo, ma d'altra parte, che egli provava il bisogno di rivolgere allo scopo suo.

  Lo scopo suo era questo:

  — Io voglio - sono parole sue - che quando noi indichiamo fra noi un bibliotecario, sia nominato; un deputato, sia eletto; un professore, nominato; una guardia di città, nominata. Io sfido il governo di nominare un ambasciatore, un agente delle tasse, un usciere, senza badare all'impressione che farà nella stampa il decreto. Ora, che cosa ci vuole perché il governo faccia quello che vogliamo noi? Avere un socio in ogni giornale.

   Ma... - voleva interrompere Léon Gozlan ...

  — Non m’interrompete; quando il governo vedrà sostenuto da tutti i giornali un candidato, dovrà acclamarlo o subirlo.

  La società fu costituita.

  Era un’associazione della stampa più in grande, che non aveva che far nulla colla platonica société des gens de lettres.

  Teofilo Gauthier (sic), Granier de Oataagnao, Léon Gozlan, Alphonse Karr ... tutti i giornalisti più in voga si trovarono riuniti. Ci furono parecchi pranzi, molte discussioni, molti vasti disegni: ma allo stringere del sacco, fuori di Balzac, il quale vi guadagnò una dozzina di articoli favorevoli in giornali che non gli erano stati mai molto amici, pel resto la società du Cheval rouge non conchiuse nulla.

  Arrivato a questo punto, mi avveggo di aver imitato troppo a lungo la società del Cavallo rosso, faccio profondo inchino al lettore, e divento rosso anch'io; ma non come un cavallo. Le mie ambizioni sono molto più modeste.


  Ernesto Gagliardi, Luigi Windthorst, «Corriere della Sera», Milano, Anno XVI, Num. 80, 22-23 Marzo 1891, pp. 1-2.

  p. 2. In un lucido intervallo, poco prima della morte, la figlia, accorsa da Annover, gli domandò perdono delle mancanze che non poteva avere mai commesse contro di lui. In fatto di religione e morale egli doveva essere in famiglia, ciò che era papà Grandet di Balzac in fatto di denari.


  Glicofante, La Cronaca Mondana, «Corriere delle Puglie. Giornale quotidiano», Bari, Anno V, N. 62, 4 Marzo 1891, p. 2.

  Segue: la moda dei profumi.

  Quelli d’ultima novità sono il lilla bianco, il mughetto dei boschi, il giglio della valle — che deriva il proprio nome dallo stupendo romanzo di Onorato Balzac — e l’essenza di mimosa.

 

  Glicofante, La Cronaca Mondana, «Corriere delle Puglie. Giornale quotidiano di Bari», Bari, Anno V, N. 88, 31 Marzo 1891, p. 2. 

  I lettori lo avranno notato, nel giornale di sabato scorso, tra le massime, con cui ha fine questa quotidiana cronaca mondana, ve n’era una che diceva: «La donna maritata è una schiava che bisogna saper mettere sopra un trono, e poi fucilare».

  I lettori, ho detto, lo avranno notato: ma, più che i lettori, io credo lo avran notato le lettrici, che saranno senz’altro rimaste indignate contro il possibile autore di quel paradosso feroce, contro di me, cui era piaciuto riportarlo.

  Le lettrici si calmino: com’è facile pensare, quel teorema di vita sociale, così com’è scritto, non è stato pensato da nessun uomo, da nessun pensatore, dacché nessun uomo, e nessun pensatore ci sarà mai al mondo che sia tanto crudelmente scortese con la più bella parte della umanità, cui è consacrata la vita tutta degli uomini in genere, e, sissignori, dei pensatori in ispecie.

  Quella massima sociale, così come è venuta fuori, appartiene per una parte — quella che riguarda la gloriosa aureola che bisogna dare alla propria schiava adorata — ad Onorato di Balzac: per l’ultima parte ferocemente spiritosa appartiene poi ... ad uno scherzo, di cattivo guato, lo so, per le mie buone lettrici, ma che appunto toglie a me, come spero tolga ad esse, ogni ragione di andare in collera.

  Devono dunque sapere le mie lettrici cortesi come un ufficio di giornale non è solo un ufficio, ma un ritrovo obbligato di tutti coloro che hanno un quarto d’ora od una giornata intera da perdere, ed una sciocchezza da dire.

  Facciamo dunque conto che uno di questi esseri a tempo perso, capitato, come quotidianamente ne capitano tanti, in redazione, abbia avuto tra le mani il manoscritto della mia rubrica, e siasi, per una di quelle aberrazioni dell’intelletto che non si spiegano, piaciuto di completar così barbaramente la massima di Balzac.

  Il correttore naturalmente, il quale non ha, pel mestiere che esercita, l’obbligo di sapere se all’autore della Fisiologia del matrimonio piacesse o meno che il debol sesso venisse fucilato, lasciò correre.

  Io, ripeto, non posso prendermela con lo autore dell’atroce scherno: la mia vendetta sta pertanto in questo malaugurio, che io gli scaglio contro, fedele paladino del sesso gentile, e di Onorato di Balzac, entrambi ugualmente offesi: Che dunque la grande anima del grande filosofo di Francia turbi i sonni, ahimè, pur troppe profondissimi di uomo senza nervi, l’audace burlone.


  A.[ngelo] de Gubernatis, Cerfberr (Anatole), in Dictionnaire international des écrivains du jour, Florence, Louis Niccolai, éditeur-imprimeur, 1891, pp. 568-569.
  p. 569. Balzacolâtre, ajouterons-nous, il réclamait, au lendemain de la représentation des Ressources de Quinola au Vaudeville (1863), l’érection d’une statue à Balzac et il lui élevait lui-même un monument en publiant, en collaboration avec J. Christophe: «Répertoire de la Comédie humaine de H. de Balzac».


  Il Monaco Ravaillac, Settimana parigina. Nos intimes – Mmz’elle Quinquina – Père Goriot, «L’Arte Drammatica», Milano, Anno XX, N. 52, 31 Ottobre 1891, p. 3.

 

  Sabato scorso il Théâtre Libre aprì le sue porte con il Père Goriot, dramma in 5 atti, in prosa tolto dal romano omonimo di Balzac.

 

  Rastignac   MM. Grand

  Goriot   Antoine

  Bianchon  L. Christian

  Vautrin   Arquillière

   […].

  È troppo conosciuto il romanzo perché abbia a parlarvi dell’argomento del lavoro tanto più che questa è una commedia che non va, forse perché la riduzione è infelice, forse perché troppo ardua: cosa è il rinserrare in 5 atti la tela dell’opera di Balzac?



  Imelia, La Donna e l’amore, «Vittoria Colonna. Periodico scientifico, artistico, letterario per le donne italiane», Padova-Napoli, Anno I, N. 22, 1891, pp. 721-723.

  p. 722. Strano e crudele pregiudizio è certo quello che pesa sinistramente sulle vecchie zitelle. Balzac dipinse con molto spirito, certamente, Les Célibataires, ma era verità intera in quelle pagine? Ecco: le fanciulle mondane, educate ad una falsa scuola, religiose così per dire, non avvivate al caldo alito della cristiana fermezza, sì veramente simigliano alle aspre zitellone del Balzac, piene di livore e di sdegno; ma le vecchie fanciulle, cresciute all’ombra del tempio, sono dolci sino alla morte, eroine della carità, tutte abnegazione e sacrificio.


  L. P. Laforêt, Da Parigi, «Il Teatro illustrato e la musica popolare», Milano, Edoardo Sonzogno Editore, Anno XI, N. 131, Novembre 1891, p. 167.
  Il Théâtre Libre ha rappresentato un dramma tratto dal celebre romanzo di Balzac Le père Goriot, romanzo sì pieno di studii umani, di situazioni e tipi profondamente studiati e riprodotti. Ma l’argomento non poteva ridursi in un quadro sì ristretto e la produzione è rimasta oscura, imbarazzata, confusa e senza rilievo drammatico. Inoltre al Théâtre Libre si preferirà sempre una produzione affatto inedita e originale. È anzi l’unico motivo di essere di quel teatro.

  A.[ngelo] R.[affaello] Levi, Honoré de Balzac (1799-1850), in Les grands prosateurs et poètes de la France depuis les origines de la langue jusqu’à nos jours … cit., pp. 194-195.
  [Honoré de Balzac (1799-1850)] né à Tours, est l’un des romanciers les plus féconds et les plus célèbres de notre siècle. Il publia dans l’espace d’une vingtaine d’années un grand nombre de romans et de contes dont la réunion devait, selon lui, présenter un tableau complet de la société française. Il donna le nom de Comédie humaine à cet ensemble de romans et les divisa en séries sous les titres de Scènes de la vie privée, de la vie parisienne et de la vie de province. Les meilleurs ouvrages de Balzac sont la Peau de chagrin, le Père Goriot, le Médecin de campagne, le Lis (sic) dans la vallée, les Parents pauvres, Eugénie Grandet etc. Balzac est un peintre fidèle des mœurs de notre temps, il analyse les passions et les sentiments du cœur avec un rare talent d’observation. Il est, sans doute, le créateur et le chef de la moderne école vériste. Son roman Eugénie Grandet est un délicieux tableau d’intérieur. Nous en donnons quelques pages [cfr. supra].

  Cesare Lombroso, La nevrosi in tre donne di genio (da un articolo di Cesare Lombroso nella Nouvelle Revue del 1° Dicembre), «Minerva. Rivista internazionale», Roma, La Società Laziale Tip. Editrice, Anno I, Num. 12, Vol. II, Dicembre 1891, pp. 521-525.
  p. 521. Una nuova e chiara prova della teoria lombrosiana sulla frequenza della nevrosi nel genio, si ha nel giornale e nelle lettere di Maria Bashkirtseff. Ch’ella fosse veramente donna di genio l’attestano i suoi quadri, improntati tutti a una modernità geniale, e meglio ancora l’ardore e la veemenza con cui si diede all’arte. […].
  La megalomania e la vanità si scorgono in lei dai primi anni: […].
  A vent’anni: «Io leggo Balzac a danno di me stessa, poiché se dessi tutto il mio tempo al lavoro potrei diventare io stessa un altro Balzac nella pittura». – Ella scrive: «Della donna io non ho che la forma esteriore, l’interno è tutt’altra cosa».


  Cesare Lombroso, Due genii nevrotici femminili, «Gazzetta Letteraria», Torino, L. Roux e C., Anno XV, N. 19, 9 maggio 1891, pp. 145-146.

 

  p. 145. Il che conferma quello che dice anche De Goncourt nel Charles Demailly delle donne di genio [...].

  E a venti:

  «Leggo Balzac a detrimento di me stessa, perché il tempo impiegato nel lavoro mi aiuterebbe a diventare un secondo Balzac in pittura».



  Gerolamo Mariani e Achille Tedeschi, Il Passaggio di Venere. Commedia in tre atti, Milano, Fratelli Treves, Editori, 1891 («Teatro Italiano Contemporaneo», Fascicolo 100).

 

Atto Secondo. Scena XI.

 

  p. 52. Cer. [Ceriani] Moglietta mia, mogliettina mia adorata ... Sono stanco di far la corte a ... quel “pozzo di scienza„ come la chiama lui (accennando a Pasquale) Balzac, Zola, Flaubert, Maupassant ... Una biblioteca ...


  Ferdinando Martini, Prefazione nella quale si racconta, con documenti alla mano, come venisse al mondo un giornale e come vivesse i primi suoi giorni, in Di palo in frasca, Modena, E. Sarasino Librajo-Editore, 1891, pp. V-XX.
  p. VIJ. Che orgia fu quella! Si provarono a chiamarla «un rinnovamento». I critici, soccorrendo, istituivano paralleli tra Onorato Balzac e Cesare Tronconi; gli studenti di terza liceale si ricordavano delle tresche ancor note e le narravano in asclepiadei.

La “Faustin” di Edmondo De Goncourt, pp. 221-233.

  pp. 231-232. Voi cercate le sources de Balzac, voi volete sapere e dire où en est le mouvement que l’auteur de la Comédie humaine a déterminé dans la littérature. Ma ha egli solamente messo al mondo il Balzac Madame Marneffe e Vautrin? E Orsola Mirouet, e la Fosseuse e Eugenia Grandet e Renato de Maucombe, e Mademoiselle d’Esgrignon, e il curato Bonnet e Minoret, e Giuseppe Le Bas e Benassis e i due Birotteau? Cito i primi che mi tornano alla memoria. Il Balzac tentò è vero a volte gli abissi d’ogni corruzione ma salì anche in regioni alte fin troppo col Lys dans la vallée: e il capitolo più vasto e più vero della commedia umanaLes parents pauvres – è il capitolo più vario.
  Triste anch’egli, lo so; Shakespeare e Molière furono tristi del pari; non è gaio il mondo, né possono essere allegri gli storiografi della natura e della società; ma i libri loro si depongono mal volentieri e con le lacrime agli occhi, i vostri buttano via schifati e sdegnosi: Gli è che essi vedevano tutto quanto il vero: voi sperimentate; nous expérimentons; son parole dello Zola – cela veut dire que nous devons pendant longtemps encore employer le faux pour arriver au vrai …


 Carlo Merouvel, Le due Maddalene. Romanzo di Carlo Merouvel, «Il Popolo Romano», Roma, Anno XIX, N. 222, 11 Agosto 1891, p. 4.

 

Seconda parte.

Fratello e sorella.

 

 E qui noi dobbiamo due righe di spiegazione.

 Francesco Valencourt, marchese De Blangy, era avaro, ma non alla maniera dell’usurai di cui Gobseck, la geniale creazione del Gran Balzac, è la più tipica incarnazione. Ai nostri giorni, questa specie di avarizia è relegata al secondo piano.


  Angelo Mosso, I metodi del lavoro intellettuale, in La Fatica, Milano, Fratelli Treves, Editori; Quinta edizione riveduta dall’autore, 1891, pp. 305-329.
  p. 329. Balzac Onorato, il celebre romanziere, che ebbe una tale fecondità, da non essere paragonabile che alla maravigliosa vivacità della sua fantasia, produsse tanti libri, che non si crederebbe essergli potuto avanzare il tempo per correggerli tutti. Pure c’è qualche cosa in lui che fa stupire più della sua facilità ed è appunto la faticosa ed improba difficoltà del suo modo di lavorare. Ecco come egli componeva i suoi libri: meditava a lungo il suo argomento, poi ne buttava giù un abbozzo informe in poche pagine. Quest’abbozzo mandava alla stamperia; di là gli rimandavano in larghi fogli le prime bozze di stampa. Egli riempiva queste bozze di aggiunte e di correzioni per tutti i versi, cosicchè tali correzioni parevano un fuoco d’artificio venuto fuori da quel primo suo getto. Si rifacevano le bozze, e già nelle seconde era scomparso tutto il testo delle prime: egli lo rimaneggiava ancora, lo modificava, lo mutava instancabilmente e profondamente. Alcuni romanzi furono tirati sulla dodicesima prova di stampa, altri toccarono la ventesima. I compositori si disperavano quando avevano che fare con un suo manoscritto; gli editori si rifiutavano di sopportare le spese delle sue giunte e correzioni.


  Federico Musso, Teodoro Di Banville, «Gazzetta Letteraria», Torino, L. Roux e C., Anno XV, N. 12, 21 marzo 1891, pp. 92-93.

 

  p. 92. Balzac si divertiva a creare dei romanzi che invece di riflettere esattamente il suo tempo parevano piuttosto preconizzare quello avvenire.


  E.[manuele] Navarro della Miraglia, La toletta d’una parigina, «La Posta di Caprino. Giornale di A. Ghislanzoni», Lecco, Anno II, Num. 21, 15 Maggio 1891, pp. 2-4.
  p. 2. A Parigi, avevo una vicina. La vedevo, ogni mattina, dalla mia finestra, aprire le azzurre tendine della sua, guardare vagamente nella via, e poi rimanere pensosa ed immobile, come una di quelle immagini poetiche dipinte sui vetri di una chiesa antica.
  Non saprei dirvi se la mia vicina fosse bruna o bionda, pallida o rubiconda. Ella non era precisamente giovane: aveva quella età incerta che hanno le eroine dei romanzi di Balzac.

  F. (sic) Navarro della Miraglia, La Toeletta di una Parigina, «Scena Illustrata. Letteratura, Arte, Sport», Firenze, Anno XXVII, Num. 15, I.° Agosto 1891, p. 204.

  Cfr. scheda precedente.


  Enrico Nencioni, I nostri lirici contemporanei, «Nuova Antologia di Scienze, Lettere ed Arti», Roma, Direzione della Nuova Antologia, Terza Serie, Volume Trentacinquesimo della Raccolta, Volume CXIX, Fascicolo XVII, 1 Settembre 1891, pp. 49-60.

  p. 51. L’intuito, la simpatia con la quale l’uomo moderno guarda e contempla i vari aspetti della natura, dal cielo stellato alla margherita dei prati, dall’Atlantico al più umile ruscello dei campi, è l’elemento più universale e caratteristico dell’arte moderna. Ce ne dànno esempio egualmente scrittori d’indole, di fede e di tendenze le più diverse – Rousseau e Cowper (sic), Chateaubriand e Victor Hugo, Goethe e George Sand, Lamartine e Leopardi, Wordsworth e Heine, Balzac e la Browning.


  Virginia Olper Monis, Un volume di Neera [Castigo – Autobiografia], «Il Veneto Letterario», Padova, Anno I, N. 8, 27 Settembre 1891, p. 3.

  Sono scene borghesi della provincia di quarant’anni fa, di cui talune non dis­direbbero in quelle preziose raccolte di studi che sono le Scénes e le Nouvelles Scénes (sic) de la vie de province del primo, per ordine di tempo e per ordine di merito, de’ romanzieri naturalisti, di quello scrittore che si chiamò Onorato Balzac.


  Vittorio Pica, Cronache letterarie. “L’Argent”(1), «Cronaca d’Arte», Milano, Anno I, N. 16, 5 Aprile 1891, pp. 136-137.
  (1) Emile Zola, L’Argent – Bibliothèque Charpentier – Paris, 1891.
  p. 136. Studiare il denaro, questo fattore di tanti drammi umani, questo suscitatore di tante feroci passioni, che una così larga e terribile influenza esercita sull’agitata esistenza moderna; studiare il denaro, di cui Balzac, pel primo, ebbe il geniale intuito di formare uno degli elementi essenziali dei suoi romanzi, comprendendo qual’importanza grandissima esso abbia in quella vita, da lui così prodigiosamente evocata; studiare il denaro in sé e per sé stesso, nel suo presente e nel suo avvenire, nel suo male e nel suo bene, lì dove regna sovrano, nella Borsa, e fare opera artistica, era un’impresa che doveva fortemente tentare l’alta ed ardimentosa mente di Emilio Zola.


  Romolo Prati, La Mamma di Giorgio, «Gazzetta Letteraria», Torino, L. Roux e C., Anno XV, N. 30, 25 Luglio 1891, pp. 234-235.

 

  p. 234. Rimpiangeva la sua Catanzaro, e non dimenticava, nella furia delle apostrofi, di gettare qualche punta di ridicolo contro il signor pretore, in fondo bonaccione, ma uno spostato del settimo sacramento e che non aveva mai conosciuto, nemmeno per udita, il libro del Balzac.


  Saverio Procida, Gli Amori(*), «Fortunio. Cronaca illustrata della settimana», Napoli, Anno IV, Num. 36, 27 Agosto 1891, pp. 1-2.
  (*) Mario Giobbe – Gli Amori, Tip. editrice Bideri – Napoli.
  p. 2. La poesia civile ha oggi chiuso il suo ciclo, ma la Scienza, ma l’Amore, ma l’Umanità attendono nuove voci dalla lirica nuova. Non più, dunque, le miserie moderne – scrutate a fondo dal romanzo sperimentale, col Balzac, con lo Zola, col Tolstoi, col Bourget, col Maupassant e via – non più, per la poesia, queste lotte contro l’invisibile, contro piccoli ed ambigui mostri che divorano il cervello, il cuore, la fantasia; non più il Presente, ma l’Avvenire rida al poeta – ed egli non continui l’opera del romanzo, ma, ergendosi al disopra della propria coscienza, veda con l’occhio profetico nel mondo luminoso che la Scienza e gli ideali umanitari preparano nei secoli. Sarà questa la forte e grande poesia, forse, che il genio apparecchia all’Arte avvenire.

  R. E. Prothero, Teodoro di Banville (Da un saggio di R. E. Prothero, Nineteenth Century), «Minerva. Rivista internazionale», Roma, La Società Laziale Tip. Editrice, Anno I, Num. 7, Vol. II, Luglio 1891, pp. 122-131.
  pp. 124-125. Vide una sola volta Balzac; tuttavia si annoverava fra coloro che ebbero conoscenza intima del romanziere. […] era ospite assiduo, nel Boulevard Montparnasse, al cabaret della mère Cadet, della quale, in grazia di Balzac, non perirà la memoria. […].
  pp. 126-127. I suoi Contes féeriques sono il complemento delle Scènes de la vie parisiennes (sic). Concediamo che fosse naturale a Banville di veder Titania e la sua corte ballare alla luce del gas nelle vie di Parigi; ma, non ostante la somma leggerezza del tocco, il suo tentativo di unire Balzac a Perrault è una degradazione di leggiadre superstizioni. […].
  Dodici anni prima che Banville si facesse innanzi come poeta, la Rivoluzione Romantica raggiunse il suo apogeo. Nel 1830 la gioventù francese rispondeva al suono del corno di Ernani, e seguendo lo scrittore dal panciotto rosso, il Gautier, tutta si raccolse sotto la bandiera di Victor Hugo. L’invasione dei barbari mise in fuga la squallida schiera delle divinità romane. Il movimento romantico abbracciava ogni lato della vita nazionale: ebbe Victor Hugo per poeta; Delacroix per pittore; Dumas, Balzac e Georges (sic) Sand per romanzieri; Barye per scultore; Hector Berlioz per musico; il bibliofilo Jacob per bibliomane, Thierry per istorico; Marie Dorval e Mademoiselle Geordes per attrici; Frédéric Lemaître per attore.

  F.[ederico] de Roberto, L’Illusione. Romanzo. Terza edizione, Milano, Libreria Editrice Galli di C. Chiesa e F. Guindani, 1891.
  pp. 398-399. Ella gli aveva dato a leggere il Giglio nella valle di Balzac, la Principessa di Clèves della signora di Lafayette, sottolineando per lui i passaggi in cui era espressa la passione casta e contenuta; decisa questa volta a salvar l’amor suo dalla caduta fatale, a qualunque costo, a costo di morirne.

  Giuseppe Robiati, «Physiologie de l’amour moderne». Osservazioni, «Battaglia Bizantina», Bologna, Anno VI, N. 2, 1 Marzo 1891.
  In questo sta la grande differenza tra Bourget e Zola che quest’ultimo dal particolare passa al generale – dalla storia di una famiglia alla rappresentazione di una società – l’altro invece astrae dal generale per fermarsi al particolare, Zola direttamente da Balzac, Bourget da Stendhal e da Constant.

  San Giorgio, La proprietà dei nomi, «Il Piccolo della sera», Trieste, Anno X, N. 3416, 17 Maggio 1891, pp. 1-2.

  p. 2. Anche Balzac attingeva alla vita reale i nomi di cui aveva bisogno. Il suo Marcas lo tolse dall’insegna d’un sarto. Ma il sarto non pensò a dar querela al romanziere, benché al suo casato ... si tagliassero sufficientemente i panni ad­dosso.


  Scipio Sighele, La Folla delinquente, Torino, Fratelli Bocca Librai di S. M. il Re d’Italia, 1891 («Biblioteca antropologico-giuridica» – Serie II, Vol. XV).


Conclusioni giuridiche, pp. 68-92.
  pp. 85-86. Pur troppo, le tempre gagliarde che riescono vittoriose d’ogni tentazione che loro si offra, e che sanno evitare tutti i deragliamenti, sono assai rare. Se esistono, come diceva Balzac, degli uomini-quercia e degli uomini-arbusti, sono certamente i secondi che costituiscono la maggioranza. Per i più, la vita non è che un tessuto di transazioni, giacchè non avendo il potere di costringere l’ambiente ad adattarsi a loro, devono per necessità adattarsi essi all’ambiente.


  Scipio Sighele, Il delitto politico, «Archivio giuridico», Pisa, Volume XLVI, 1891, pp. 555-578.

 

  pp. 559-560. Balzac era stato dunque interprete del sentimento comune allorchè aveva scritto: «noi non siamo venuti al mondo per far delle leggi, ma per obbedire a quelle che abbiamo trovate, e per contentarci della sapienza dei nostri padri come della loro terra e del loro sole».

 

  p. 565. Per gli onesti, prima del delitto, c’è la rassegnazione –, questo suicidio quotidiano, come lo chiamava Balzac con una frase scultoria nella sua verità psicologica [...].



  E.[milio] Spagnolo, Da una domenica all’altra. Di palo in frasca, «La Tribuna Illustrata», Roma, Anno II, Num. 20, 24 Maggio 1891, pp. 306-307.
  p. 306. Di Balzac si narra che, ad un amico, il quale, vistolo camminare solo, tutto chiuso in sé, gli aveva chiesto quali tristi pensieri gli dassero (sic) rovello, rispose con un lungo, forte sospiro:
  – Lasciatemi stare; ho ucciso Rubempré.
  Se l’aneddoto sia vero, non lo so e non lo giurerei. Si corre il rischio di scambiar lucciole per lanterne quando ci si trova presenti a un fatto, figurarsi poi quando bisogna affidarsi ad una narrazione che, prima di venire fissata sulla carta, è passata attraverso Dio sa quali ingrandimenti, mutamenti e commenti! Si aggiunga che agli illustri defunti vengono, non di rado, messe in bocca sentenze e parole che mai si sono sognati di pronunciare, nella sicurezza che, tanto e tanto, non può saltar fuori alcuna smentita. Ma vero o no che esso sia, in questo semplice aneddoto si rispecchia la natura speciale dell’ingegno dell’illustre autore della Commedia Umana. Il quale, nel lungo studio dei caratteri e delle passioni, finisca coll’immedesimarsi talmente con i fantasmi della sua fantasia, da piangere e ridere, godere e soffrire con essi; piangere delle loro lagrime, e soffrire del loro dolore.
  Luciano di Rubempré, che Balzac si rimproverava quella sera di aver ucciso, non era in fondo nulla di buono. Non aveva altro dio che l’oro, altra legge che l’interesse, altra religione che il senso, altro culto che il piacere; ma era così bello e forte, ed era soprattutto così umano! Ed averlo dovuto sopprimere con un tratto di penna! …

  E.[milio] Spagnolo, Da una domenica all’altra. Quisquilie accademiche, «La Tribuna Illustrata», Roma, Anno II, Num. 21, 31 Maggio 1891, pp. 322-323.
  p. 322. Certo essa non accolse Molière, perché aveva osato scrivere il Misantropo ed abborrì Balzac. Anch’essa, l’Accademia di Francia, ha il suo portae inferi non praevalebunt.

  Alfredo de Tilla, Ipnosi e delitto. Estratto dalla Gazzetta Diritto e Giurisprudenza Anno VII, numeri 4, 5, 6 e 7, Napoli, Editore Federico Corrado, 1891.

Capo I.
L’ipnosi nella storia, pp. 13-23.
  p. 21. Ciò che mi farebbe sconsigliare una donna dallo sposare uno scienziato: essa rischierebbe di non essere per suo marito che un soggetto di esperienze! [l’A. si riferisce alle sperimentazioni di sonno nervoso]. Forse per questo il Balzac scrisse: «i dotti che rimangono mesi intieri a rodere un osso di animale antidiluviano, a calcolare le leggi della natura, a spiarne i segreti; i greci, i latini, che pranzano con un pensiero di Tacito, cenano con una frase di Tucidide e vivono respirando la polvere delle biblioteche o restando all’agguato di una nota o d’un papiro, sono tutti predestinati! le vaste e profonde occupazioni non lasciano loro un minuto per essere amabili, le loro fronti sono sempre pensose e la loro conversazione è raramente allegra» (25).
  (25) Balzac, Physiologie du mariage. [2]


Capo III.
Principali fenomeni ipnotici, pp. 31-36.

  pp. 34-35. L’ipnotizzato ha una specie di attrazione per colui che l’ha addormentato […] Le contact animal, scrive il Bain, le plaisir de l’embrassement est le commencement et la fin de toutes les émotions tendres. Avrebbe ragione Chanfort (sic) di dire, che l’amore è il contatto di due epidermidi! Avrebbe ragione Onorato di Balzac scrivendo: bouche baisée vault le reste! …. (83).[3]
  (83) Balzac, Les Comtes (sic) Drolatiques.

  Francesco Torraca, Rassegna della letteratura italiana. Nuovi romanzi e racconti, «Nuova Antologia di Scienze, Lettere ed Arti», Roma, Direzione della Nuova Antologia, Terza Serie, Volume Trentacinquesimo Della Raccolta, Volume CXIX, Fascicolo XXIV, 16 Dicembre 1891, pp. 738-753.
  [Su: F. de Roberto, Processi verbali e L’Albero della Scienza; Milano, Galli].
  pp. 751-752. Il De Roberto, cui non manca ingegno e coltura, ha evitato quanto ha potuto la narrazione e la descrizione, perché «l’impersonalità assoluta – dice – non può conseguirsi che nel puro dialogo, e l’ideale della rappresentazione obbiettiva consiste nella scena come si scrive pel teatro». Benchè piaccia anche a me il dialogo drammatico nel romanzo, devo osservare che nel teatro gli scenari e gli attori compiono la scena scritta, le danno apparenza di fatto reale. […]. Del resto, l’impersonalità assoluta è una chimera bella e buona. Quando le sorelle Sommatino aspettavano curiose, non addolorate, le notizie dell’agonia del cognato, era il De Roberto nel loro giardino? O sentì con le sue orecchie donna Antonia, la madre, quando disse freddamente: «Io non ho figlie di nome Rosalia. Mia figlia è morta …» e riprese a recitare il Pater noster? Egli non sentì e non vide niente; nessuno gli ha riferito quelle parole; le ha immaginate con la scorta della conoscenza de’ sentimenti umani, che s’è procurata osservando e studiando, aiutato dall’intuito, al quale gli artisti devono tanto, si chiamino Manzoni o Balzac.

  Felice Tribolati, Sull’epistolario italiano del Voltaire accademico della Crusca, in Saggi critici e biografici, Pisa, Enrico Spoerri Editore, 1891, pp. 81-140.
  p. 127. I francesi che chiamano l’ingegno genio (anche qui si pare la loro vanità, secondo il Balzac romanziere, la qualità più nazionale di Francia) figurano l’uomo che lo possiede un essere angelico o infernale, non lasciandogli nulla di quel di Adamo.

Lord Byron a Pisa, pp. 149-207.

  p. 149. Un romanziere francese, Onorato Balzac, non so più dove, assomigliò i processi alle ceneri di un incendio.

F. D. Guerrazzi, pp. 397-410.

  p. 403. Mercante, fece bene e cautamente i proprii affari, come il Voltaire e i letterati inglesi ed americani; e non si ritrovò a stentare fallito come sir Gualtiero Scott e il Balzac, sempre romantici anche nelle speculazioni commerciali.

  Pasquale Turiello, Qual’e in Italia l’educazione pubblica fuori la scuola, in Saggio sull’educazione nazionale in Italia, Napoli, Luigi Pierro Editore, 1891, pp. 28-34.
  pp. 30-31. I nostri giovanetti del popolo sono lasciati nelle città frequentare le corti d’assise; dove apprendono ad ammirare, scusata retoricamente, la impudenza dei malfattori più celebrati. […]. Le commedie ed i romanzi stranieri più facilmente spacciati non si girano quasi che intorno all’adulterio. Or certo non è l’Italia quel paese dove abbiamo le case di famiglia vote vituperate da Dante. Non è il paese di cui dicea già al Cellini una vecchia francese, che ogni marito la le sue cornetta, impressione confermata audacemente tre secoli dopo dal Balzac nella sua Physiologie du mariage. Ma si direbbe che qui si fa uno sforzo continuo a farci credere che sia di buona moda porre come esempio imitabile alla società nostra quella triste condizione di cose che pare naturale a molta parte della società francese, se v’è ritratta colà continuamente, e quasi normale.

  [Louis Gustave] Vapereau, Balzac (Honoré). Romancier. 1799-1850, in G. E. Fissore, Précis d’histoire de la littérature française depuis son origine jusqu’à nos jours rédigé d’après le nouveau programme ministériel 23 mars 1890 à l’usage des candidats au diplôme de langue française et des élèves des Instituts techniques par G. E. Fissore, Gênes, Imprimerie A. Ciminago, 1891, pp. 125-126.
  Né à Tours le 20 mai 1799, fut un des romanciers les plus féconds et les plus renommés de notre siècle. Dans l’espace de vingt ans il publia un nombre considérable de romans et de contes dont la réunion devait, selon lui, présenter un tableau complet de la société française. Il donna le nom de Comédie humaine à cette sorte d’épopée en prose, et la divisa en trois séries sous le titre de Scènes de la vie privée, de la vie parisienne, et de la vie de province. Ses meilleurs romans sont : Le Dernier Chouan (1829), La phisiologie (sic) du mariage (1830), qui attira vivement l’attention publique et fonda sa réputation. Puis il fit paraître une foule d’autres romans parmi lesquels se trouve Eugénie Grandet qui est considéré son chef-d’œuvre.
  Son autorité dans le monde des lettres était très étendue ; il fut l’un des fondateurs de la Société des gens de lettres.
  Le nom et l’œuvre de Balzac ont pris une large place dans la littérature contemporaine. Peu d’écrivains ont fouillé avec plus de persévérance et de sagacité dans les mœurs de leur pays et de leur temps pour les reproduire dans une image toujours vive et souvent fidèle. L’auteur de la Comédie humaine excelle dans l’analyse des sentiments intimes, et se plaît à démêler tous les mobiles de nos actions pour les ramener d’ordinaire à des passions toutes personnelles ou aux calculs d’un vulgaire égoïsme. Ses romans sont l’école d’une expérience qui dessèche, ses peintures plaisent et attachent par une vérité de détails qui, si minutieuse qu’elle soit, reste incomplète et devient trompeuse par ses lacunes. Beaucoup de parties de son œuvre se ressentent malheureusement de l’extrême précipitation, qui ne lui était pas seulement imposée par des nécessitées (sic) d’argent, mais aussi par l’ambition de répandre sa verve créatrice sur toutes les parties de l’immense sujet qu’il avait embrassé. Aussi quelques-unes de ses compositions sont très lâches. Le goût n’égale pas chez lui la puissance, et la science de la langue, qu’il avait la prétention de posséder, ne pouvait pas trouver son compte dans sa fièvre de conception et production universelle.
  Il mourut à Paris le 19 août 1850, âgé de 50 (sic) ans, le sang enflammé par le travail des nuits et l’abus du café, auquel ses veilles forcées l’obligeaient.
  Scènes de la vie privée, comprenant :
  Mme Firmiani
  Une Fille d’Eve
  La femme de trente ans etc.
  Scènes de la vie de province, comprenant :
  Eugénie Grandet
  L’Illustre Gaudisard (sic)
  La vieille fille
  Un grand homme de province à Paris etc.
  Scènes de la vie Parisienne, comprenant :
  Splendeurs et misères des courtisanes
  Le père Goriot
  Grandeur et décadence de César Birotteau, etc.
  Scènes de la vie politique, comprenant :
  Le Député d’Arcès (sic), etc.
  Scènes de la vie Militaire, comprenant :
  Les Chouans, etc.
  Scènes de la vie de campagne :
  Le Médecin de campagne
  Le Curé de village, etc.
  Études philosophiques :
  La Peau de chagrin, etc.
  Études analytiques :
  Physiologie di mariage, etc.

  F.[ederigo] Verdinois, Come si fa un dramma?, «Scena Illustrata. Letteratura, Arte, Sport», Firenze, Anno XXVII, Num. 20, 15 Ottobre 1891, p. 273.

  E un altro grande, Balzac, non ha forse tirato fuori il più terribile dei suoi drammi dal cuore ... di un vermicellaio? e non ci ricorda il suo Père Goriot nientemeno che un re? …


  X., Echi mondani, «L’Indipendente», Trieste, Anno XV, N. 5013, 19 Aprile 1891, p. 2.

  I pensieri degli altri.

  Questo è di Balzac:

  — La donna maritata è una schiava che bisogna saper collocare sul trono della famiglia.


  Giuseppe Zaccagnini, Per un’accademia nazionale di musica, «Scena-Sport», Firenze, Anno XXVII, Num. 23, I° Dicembre 1891, p. 327.

 

  In Francia è ancora recente la memoria del Balzac che gl’«Immortali» s’ostinarono a non voler de’ loro e a cui il mondo, che non ricorda o che ricorda poco di quest’«Immortali», ha già decretato l’immortalità […].




   [1] I fascicoli di questa rivista abruzzese sono presenti, in forma alquanto lacunosa, nella Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze.
   [2] Cfr. Des prédestinés.
   [3] Citazione tratta dal racconto: Désespérance d’amour.


Marco Stupazzoni