mercoledì 10 febbraio 2021



1999


Il Bicentenario della Nascita.[1]

 

 

 

 

Estratti.

 

 

  Honoré de Balzac et Alii, Tracce d’autore. Luoghi e Itinerari letterari del Lago d’Orta e del Mottarone nelle pagine di narratori e poeti, con testo e foto di Giulio Bedoni, Novara, Edizione Ecomuseo del Lago d’Orta e Mottarone/Italia Nostra, 1999, pp. 64.

 

  Da: Les Employés.

 

 

  Honoré de Balzac, ... e l’autoritratto, «Prealpina», Varese, 3 marzo 1999.

 

  Da: Facino Cane.

 

 

 Periscopio, «Il Sole 24 Ore-Domenica», Milano, N. 64, 7 marzo 1999, p. 25.

 

  Da Honoré de Balzac, Papà Goriot, trad. di Anna D’Elia, Milano, Biblioteca Universale Rizzoli, 1995, pp. 149-150.

 

 

  Honoré de Balzac, Casa di scapolo, «Vita», Roma, Anno 6, N. 27, 9 luglio 1999, p. 23.

 

  Da La Rabouilleuse.

 

 

  Honoré de Balzac, Attenzioni perdute; traduzione dal francese di Mariolina Bertini, «L’Indice dei libri del mese», Torino, Anno XVI, N. 12, Dicembre 1999, p. 21.

 

  Da Petites misères de la vie conjugale.

 

 

 

 

Traduzioni.

 

 

  Honoré de Balzac, Addio. Il figlio maledetto. El Verdugo. Introduzione di Lanfranco Binni. Traduzione di Elina Klersy Imberciadori, Milano, Garzanti editore, (novembre) 1999 («I grandi libri», 289), pp. LXV-179.

 

  Struttura dell’opera:

 

  Lanfranco Binni, Introduzione, pp. VII-LXV;

  Addio, pp. 1-50;

  Il figlio maledetto, pp. 51-161;

  El Verdugo, pp. 163-176.

 

  Cfr. 1983.

 

  Se, per lo scrittore, il pensiero è l’elemento disgregatore della vita, «l’analisi dei meccanismi dell’azione e del pensiero come delle loro conseguenze sul corpo, sullo spirito, e, in generale, sulla vita dell’uomo, è la costante preoccupazione di Balzac non appena egli concepisce il disegno della Comédie humaine». In quest’ottica, scrive Binni, «i tre racconti di questa raccolta sono un perfetto esempio di ciò che intendeva Balzac; ognuno di essi mostra la fatalità delle passioni esclusive, delle emozioni assolute» (p. LVI).

 

 

  Honoré de Balzac, Il cugino Pons. Traduzione di Paola Bellandi, Milano, Edizioni Frassinelli, (marzo) 1999 («I Classici Classici», 67), pp. 374.

 

  Struttura dell’opera:

 

  Il cugino Pons, pp. 3-344;

  Note, pp. 345-359;

  Paola Bellandi, Postfazione, pp. 361-368;

  Bibliografia, pp. 369-370;

  «Il cugino Pons»: le prime pagine in lingua originale, pp. 371-374.

 

  Speculare e antagonista rispetto alla Cousine Bette, Le Cousin Pons potrebbe definirsi come il luogo in cui convergono e si concentrano molti tra i temi più rilevanti della Comédie humaine: su questo aspetto e sulla dinamica dei ritmi narrativi presenti nell’opera si sofferma Paola Bellandi nella sua Postfazione a questa edizione italiana del testo balzachiano.

 

 

  Honoré de Balzac, La cugina Bette. Traduzione di Katia Lysy, Milano, Edizioni Frassinelli, (febbraio) 1999 («I Classici Classici», 66), pp. 526.

 

  Struttura dell’opera:

 

  A Don Michele Angelo Caetani, principe di Teano, pp. 3-5;

  La cugina Bette, pp. 7-497;

  Note, pp. 499-505;

  Katia Lysy, Postfazione, pp. 507-520;

  Bibliografia, pp. 521-522;

  «La cugina Bette»: le prime pagine in lingua originale, pp. 523-526.

 

  Katia Lysy ripercorre i momenti salienti della vita e della produzione narrativa balzachiane e pone in risalto l’esemplare valore di contemporaneità dell’opera: a suo giudizio, infatti, il romanzo «mette in scena un regime corrotto e incapace di trasformarsi, un’aristocrazia imprigionata nel ricordo del suo glorioso passato oppure che aderisce agli schemi del capitalismo e alla logica affaristica, e una borghesia che ha perso la sua carica innovativa» (p. 519).

 

 

  Honoré de Balzac, La cugina Bette. Introduzione di Lanfranco Binni. Traduzione di Lucio Chiavarelli. Edizione integrale, Roma, Biblioteca Economica Newton, (febbraio) 1999 («Classici», 121), pp. 320.

 

  Struttura dell’opera:

 

  Lanfranco Binni, Crimini privati, morti quotidiane, pp. 7-11;

  Stefano Doglio, Nota biobibliografica di, pp. 12-20;

  La cugina Bette, pp. 23-316;

  Indice, pp. 317-320.

 

  Le vicende umane e il contesto storico-culturale che fanno da sfondo alla gestazione del romanzo balzachiano sono ricostruite da Binni nel suo saggio introduttivo: romanzo speculare e in un certo senso prologo del Cousin Pons, La Cousine Bette rappresenta, secondo Binni, «una sorta di viaggio al termine dell’essenzialità, attraverso il logoramento del quotidiano e di tutto ciò che appare in superficie» (p. 10). I personaggi e le atmosfere, nella dinamica manifestazione delle proprie forze e passioni estreme, svelano una realtà sociale quotidiana «a partire da dettagli scavati in tutte le loro implicazioni, [...] quel processo visionario di sprofondamento dal dettaglio al tutto, dal concreto al cosmico, che costituisce la cifra inconfondibile e straordinariamente coinvolgente della poetica balzachiana» (p. 8).

 

 

  Honoré de Balzac, Illusioni perdute. Traduzione di Pierfranco Minsenti, Milano, Edizioni Frassinelli, (gennaio) 1999 («I Classici Classici», 65), pp. 822.

 

  Struttura dell’opera:

 

  Illusioni perdute, pp. 1-709: A Victor Hugo, p. 3; I due poeti, pp. 5-157; Un grand’uomo di provincia a Parigi, pp. 159-498; Le soffrenze di un inventore, pp. 499-709;

  Indice dei capitoli, pp. 711-713;

  Note, pp. 715-780;

  Pierfranco Minsenti, Postfazione, pp. 781-812;

  Nota bibliografica, pp. 813-816;

 «Illusions perdues»: le prime pagine in lingua originale, pp. 817-822.

 

  Questa nuova edizione italiana di Illusions perdues, curata nella traduzione da Pierfranco Minsenti a cui si devono anche la Postfazione e il ricco e documentato apparato di note al testo, si offre all’attenzione dei lettori come un romanzo che, per la sua ampiezza, ma soprattutto per la vastità dei temi affrontati e per la rappresentazione del mondo letterario e giornalistico parigino, «è una delle migliori introduzioni all’intero ciclo balzachiano» (p. 781). Nel contesto complesso e contraddittorio dei meccanismi socio-politici che oppongono i disincanti e gli «autoinganni sentimentali» (p. 783) della vita provinciale agli spettacoli infernali dell’universo parigino, assume una posizione centrale e una portata altamente simbolica l’esperienza dell’illusione che, nell’opera balzachiana, «acquista un valore storico esemplare perché risulta intimamente legata alle nuove realtà sociali ed economiche costituitesi all’inizio del secolo scorso» (p. 788): in questo senso, se Illusions perdues inaugura un nuovo tipo di romanzo di formazione dove «l’eroe non viene iniziato a qualche grande verità e il suo viaggio alla scoperta del mondo costituisce un percorso distruttivo che non insegna nulla» (Ibid.), Balzac, trasformando Lucien in un antieroe privo di qualunque tipo di idealità, fonda il simbolismo etico del romanzo sul conflitto tra «il principio razionale di economia delle forze vitali e il vertiginoso potere d’attrazione del lusso e dello sperpero esistenziale» (p. 797).

 

 

  Honoré de Balzac, Illusioni perdute. Introduzione di Francesco Fiorentino, traduzione e note di Maria Grazia Porcelli, Milano, Biblioteca Universale Rizzoli, (maggio) 1999 («BUR Classici», 1056), pp. 775.

 

  Struttura dell’opera:

 

  Francesco Fiorentino, Introduzione, pp. 5-19;

  Storia del testo, pp. 21-22;

  Indicazioni bibliografiche, pp. 23-24;

  Illusioni perdute, pp. 27-771.

 

  Cfr. 1995.

 

  F. Fiorentino osserva che, in Illusions perdues, definito dallo stesso Balzac in una lettera a Mme Hanska del 2 marzo 1843, «l’oeuvre capitale dans l’oeuvre», è possibile scorgere un concentrato di «quasi tutti gli ingredienti principali della narrativa balzachiana» (p. 5): se l’opera si apre con la descrizione del fallimento di due figure paterne (l’avaro Séchard e il defunto Chardon, rinnegato dal figlio) che ricordano nella loro valenza simbolica Goriot, è soprattutto la seconda parte del romanzo (Un grand’uomo di provincia a Parigi) ad essere riconosciuta come «uno dei momenti più intensi e rappresentativi di tutta l’opera balzachiana» (p. 9). Secondo lo studioso, «l’elementarità psicologica e la condensazione eccessiva della storia» rivelano i tratti di un «grande apologo morale», in cui risalta «la rappresentazione essenziale della lotta tra il bene e il male nell’ambito della società moderna» (p. 11).

 

 

  Honoré de Balzac, Illusioni perdute. Introduzione di Lanfranco Binni. Traduzione di Argia Micchettoni, Milano, Garzanti editore, (giugno) 1999 («I grandi libri», 826), pp. LXIII-653.

 

  Struttura dell’opera:

 

  Lanfranco Binni, Introduzione, pp. VII-LXIII;

  Illusioni perdute, pp. 1-650: I due poeti, pp. 1-140; Un grand’uomo di provincia a Parigi, pp. 141-451; Le sofferenze di un inventore, pp. 453-650.

 

  Cfr. 1966; 1987 e successive ristampe.

 

  Romanzo composito in cui, scrive Lanfranco Binni nella sua Introduzione, si incontrano «l’autobiografia e l’analisi sociologica, la filosofia e l’analisi delle passioni, il realismo e l’immaginazione visionaria» (p. LVI), Illusions perdues occupa un posto centrale nella produzione narrativa di Balzac. Tra le diverse tematiche presenti nell’opera, quella dell’illusione è ritenuta dal curatore una «dominante nella poetica di Balzac», ed è proprio attraverso il punto di vista di un personaggio fragile come Lucien de Rubempré, «testimone del suo tempo senza alcuna volontà di affrontarlo veramente, che Balzac sceglie di narrare uno dei propri itinerari possibili, forse il più amato» (p. LVIII).

 

 

  Honoré de Balzac, Il Libro Mistico. I Proscritti. Louis Lambert. Séraphîta. Balzac con Swedenborg. Con una introduzione di Giacomo B. Contri. Traduzione dal francese e note di Franca Urbani. Revisione della traduzione di Sergio Caredda, Milano, Sic Edizioni, (aprile) 1999, pp. XXII-297.

 

  Struttura dell’opera:

 

  Giacomo B. Contri, Introduzione. Una faccenda molto pratica, pp. VII-XXII;

  Prefazione al «Libro Mistico» (1835-1836), pp. 3-11;

  I Proscritti, pp. 15-40;

  Louis Lambert, pp. 43-130;

  Séraphîta, pp. 133-253;

  Natalino Dazzi, Appendice. Swedenborg: un mancato artigiano del Seicento, pp. 257-269;

  Carlamaria Zanzi, Séraphîta, o del mistico disprezzo di, pp. 271-295;

  Bibliografia, pp. 296-297.

 

  La trilogia delle opere che formano Le Livre mystique è destinata, secondo gli assunti espressi da Balzac nella Préface del 1835, a «offrir l’expression nette de la pensée religieuse», a rendere comprensibili e attraenti i principî del Misticismo e a «peindre l’être parfait dans les conditions exigées par les lois de Swedenborg» attraverso le forme narrative. Questa nuova edizione italiana di alcuni tra i più importanti studi filosofici balzachiani, frutto dell’intraprendenza editoriale di una giovane casa editrice milanese, è curata nella traduzione ed è corredata dal denso saggio introduttivo di Giacomo B. Contri e da un’Appendice critica che comprende gli interventi di Natalino Dazzi e di Carlamaria Zanzi. Soprattutto nel primo e nell’ultimo di questi studi è possibile cogliere il rilievo delle ambizioni eclettico-filosofiche di Balzac, sviluppatesi già a partire dal 1817-1818, da cui lo scrittore procede nel tentativo di individuare una possibilità di spiegazione razionale e insieme mistica del mondo che potesse garantire l’espressione unitaria dei suoi molteplici aspetti fisici e spirituali. Se G. B. Contri inserisce il discorso balzachiano nell’ambito di una «triangolazione Swedenborg-Kant-perversione» (p. VIII), C. Zanzi assume come oggetto di studio pressoché esclusivo il racconto Séraphîta, di cui vengono analizzate la genesi, le tematiche e le tesi espresse alla luce delle dottrine di Swedenborg e di Saint-Martin e, più in generale, del pensiero gnostico-mistico che Balzac interpreta come la suprema sintesi del pensiero cristiano e, da questo punto di vista, come sublime sintesi della unità del cosmo, incarnata poeticamente nell’angelico microcosmo di Séraphîta.

 

 

  Honoré de Balzac, Papà Goriot. Introduzione di Francesco Fiorentino, traduzione e note di Anna D’Elia, Milano, Biblioteca Universale Rizzoli, (maggio) 1999 («BUR Classici», 1008), pp. 339.

 

  Struttura dell’opera:

 

  Francesco Fiorentino, Introduzione, pp. 5-25;

  F. Fiorentino, Storia del testo, pp. 27-28;

  Papà Goriot, pp. 31-337.

 

  Cfr. 1995.

 

  Il curatore fornisce un’analisi della pluralità delle funzioni e dei significati storici, sociali e narrativi incarnati dai personaggi e dagli ambienti descritti nel romanzo: con la pensione Vauquer, ad esempio, l’atmosfera piccolo-borghese urbana «fa trionfalmente il suo ingresso nel romanzo moderno» (p. 6), determinando, per contrasto con il grigiore del suo sfondo e con la ripetitività delle sue abitudini, l’amplificazione del romanzesco della storia che vede, nel percorso formativo di Rastignac, il vero protagonista dell’opera, e nella tragica fine di Goriot, i suoi momenti più alti e significativi. La tragedia paternità incarnata da quest’ultimo rappresenta, secondo Fiorentino, una tragedia della storia, in cui la crisi dell’istituzione paterna si rivela il principio della decadenza morale dell’uomo e della società: accelerando la «circolazione sanguigna dell’immenso corpo sociale», l’assenza dell’autorità paterna costituisce quindi, insieme, «un principio di morte e di vita» (p. 25).

 

 

  Honoré de Balzac, Papà Goriot. Introduzione di Lanfranco Binni. Traduzione di Elina Klersy Imberciadori, Milano, Garzanti editore, (maggio) 1999 («I grandi libri», 90), pp. LXIII-247.

 

  Struttura dell’opera:

 

  Lanfranco Binni, Introduzione, pp. VII-LXIII;

  Papà Goriot, pp. 1-245.

 

  Cfr. 1864; 1990.

 

  Le Père Goriot, romanzo attraverso cui Balzac prese pienamente coscienza del carattere unitario della sua opera, grazie, soprattutto, alla tecnica del ritorno dei personaggi, fornisce senza alcun dubbio una tra le più intense rappresentazioni drammatiche del reale della Comédie humaine. Attratto dal tema della paternità, osserva Binni, lo scrittore «intuisce che il dramma di Goriot, una vicenda di ordinario cannibalismo, può assumere un potente valore emblematico se inserita nel vivo della società contemporanea, in quella Parigi «misteriosa» e infernale, spietata e dominata dal «movimento ascensionale» del denaro, presentata nel prologo della Fille aux yeux d’or» (p. LVI).

 

 

  Honoré de Balzac, Papà Goriot. Traduzione di Giuseppe Pallavicini Caffarelli, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, (agosto) 1999 («Leggere i Classici», 18), pp. XVI-283.

 

  Struttura dell’opera:

 

  Honoré de Balzac, pp. V-XVI;

  Papà Goriot, pp. 1-283.

 

  Cfr. 1994.

 

  La nota introduttiva che precede il testo balzachiano fornisce al lettore un punto di riferimento sufficientemente adeguato e pertinente in merito agli aspetti, tanto biografici quanto, più specificatamente, letterari, della personalità umana ed artistica dello scrittore. Secondo l’A. (presumibilmente lo stesso Pallavicini Caffarelli), i romanzi della Comédie humaine, e quindi anche Le Père Goriot, sono condizionati, fatte pochissime eccezioni, «dalla questione del danaro» quale «elemento fondamentale del successo» (p. VIII), sottovalutando, crediamo a torto, il rilievo assunto, nell’opera di Balzac, dal tema dell’amore che, a suo giudizio, «non occupa un posto importante nella Comédie humaine, perché socialmente ininfluente» (p. IX). Il rapido excursus sulla fortuna critica della produzione narrativa balzachiana e la sommaria Bibliografia essenziale, non aggiornata per quel che riguarda i contributi successivi al 1991, completano le pagine di questo intervento.

 

 

  Honoré de Balzac, Papà Goriot. Traduzione di Giuseppe Pallavicini Caffarelli, Milano-Cuneo, Arnoldo Mondadori Editore-«Famiglia cristiana», Supplemento al n. 34 - 29 agosto 1999 («Gli indimenticabili», 12), pp. 259. Pubblicato su licenza della Arnoldo Mondadori Editore S.p.A.

 

  Struttura dell’opera:

 

  Honoré de Balzac, pp. III-XI;

  Papà Goriot, pp. 1-259.

 

  Per quel che riguarda l’introduzione che precede il romanzo balzachiano, cfr. la scheda precedente.

 

 

  Honoré de Balzac, Una passione nel deserto. Traduzione di Giuseppe Pallavicini, in AA.VV., Passione fatale. Venticinque racconti d’amore dell’Ottocento. A cura di Guido Davico Bonino, Torino, Giulio Einaudi editore, (giugno) 1999 («Einaudi Tascabili. Letteratura», 637), pp. 89-105.

 

  Il racconto di Balzac è preceduto da una breve nota sulla genesi e la “singolarità” dell’opera: tranne alcune varianti tipografiche, il testo della traduzione riproduce quello già pubblicato all’interno della raccolta: La Commedia umana. Racconti e novelle (a cura di Paola Dècina Lombardi, Milano, Mondadori, 1988, vol. II), e redatto sempre da Giuseppe Pallavicini.

 

 

  Honoré de Balzac, Splendori e miserie delle cortigiane. Introduzione di Lanfranco Binni. Traduzione di Anna Premoli e Francesco Niederberger, Milano, Garzanti Editore, (gennaio) 1999 («I grandi libri», 57), pp. LXI-551.

 

  Struttura dell’opera:

 

  Lanfranco Binni, Introduzione, pp. VII-LXI;

  Splendori e miserie delle cortigiane, pp. 1-537: Come amano le cortigiane, pp. 1-151; Quanto costa l’amore ai vecchi, pp. 153-288; Dove portano le strade sbagliate, pp. 289-393; L’ultima incarnazione di Vautrin, pp. 395-537.

  J.-A. Ducourneau, Note, pp. 541-550.

 

  Cfr. 1968 e successive ristampe.

 

  Giunta ormai alla sua ottava edizione, questa recente pubblicazione del romanzo balzachiano è corredata, oltre che dalle preziose note di Ducourneau, dal denso saggio introduttivo di Lanfranco Binni, nel quale l’A. considera Splendeurs et misères des courtisanes come «un nuovo e possente risultato della poetica balzachiana», un’opera dai tempi forti dove «la complessità della macchina narrativa, con il suo incessante moltiplicarsi e intrecciarsi di personaggi e situazioni, permette allo scrittore di impiegare una grande varietà di registri stilistici, in una costante ricerca di intensità e dinamismo. È la ricerca di una scrittura capace di esprimere direttamente le inquietudini e i misteri di un mondo sotterraneo, invisibile eppure percepibile in tutta la sua drammatica energia» (p. LV).

 

 

 

 

Edizioni radiofoniche in lingua italiana.

 

 

  Honoré de Balzac, Il capolavoro sconosciuto, regìa di Caterina Olivetti, “Lampi di primavera. Il pomeriggio di Radiotre. A cura di Daniela Sbarrini. Conduce Giorgio Manacorda”, Roma, Radio Tre, 9 giugno 1999, ore 18.00-18.30, 1^ parte; 10 giugno 1999, ore 18.00-18.30, 2^ parte; 14 giugno 1999, ore 18.00-18.30, 3^ parte; 15 giugno 1999, ore 18.00-18.30, 4^ parte; 16 giugno 1999, ore 18.00-18.30, 5^ parte.

 

 

  Honoré de Balzac, Gambara, regìa di Caterina Olivetti, “Lampi di Primavera. Il pomeriggio di Radiotre. Conduce Giorgio Manacorda”, Roma, Radio Tre, 17 giugno 1999, ore 18.00-18.30, 1^ parte; 21 giugno 1999, ore 18.00-18.30, 2^ parte; 22 giugno 1999, ore 18.00-18.30, 3^ parte; 23 giugno 1999, ore 18.00-18.30, 4^ parte; 24 giugno 1999, ore 18.00-18.30, 5^ parte; “Lampi d’estate”, 28 giugno 1999, ore 18.00-18.30, 6^ parte; 29 giugno 1999, ore 18.00-18.30, 7^ parte; 30 giugno 1999, ore 18.00-18.30, 8^ parte; 1° luglio 1999, ore 18.00-18.30, 9^ parte; 2 luglio 1999, ore 18.00-18.30, 10^ parte.

 

 

  Honoré de Balzac, La locanda rossa, regìa di Caterina Olivetti, “Lampi di Primavera. Il pomeriggio di Radiotre”. A cura di Daniela Sbarrini. Conduce Loredana Lipperini, Roma, Radio Tre, 1° giugno 1999, ore 18.00-18.30, 1^ parte; 2 giugno 1999, ore 18.00-18.30, 2^ parte; 3 giugno 1999, ore 18.00-18.30, 3^ parte; 7 giugno 1999, ore 18.00-18.30, 4^ parte; 8 giugno 1999, ore 18.00-18.30, 5^ parte.

 

 

 

 

Studî e riferimenti critici.

 

 

  Il delizioso lago d’Orta che entusiasmava Balzac, «Il Salvagente», Roma, Anno 8, Numero. 12, 25 marzo-1 aprile 1999, p. 20.

 

  Fervente difesa delle bellezze del lago piemontese con un accenno alle impressioni di viaggio riferite da Balzac.

 

 

  A Roma una mostra su Balzac e l’Italia, «La Stampa», Torino, 29 aprile 1999, p. 22.

 

  Breve nota di agenzia sull’inaugurazione della mostra e delle manifestazioni su “Balzac e l’Italia” al Palazzo delle Esposizioni di Roma (fonte Adnkronos).

 

 

  Mostra e incontri a Roma sui suoi rapporti con l’Italia, «L’Arena», Verona, 4 maggio 1999.

 

  Su “Balzac e l’Italia” al Palazzo delle Esposizioni di Roma.

 

 

  Roma, Tours e Parigi, «Avvenire. Agorà», Milano, 11 maggio 1999.

 

  Sugli omaggi, italiani e francesi, all’autore della Comédie humaine in occasione del bicentenario della nascita.

 

 

  A Roma appuntamenti e una mostra sui rapporti dello scrittore con l’Italia, «L’Eco di Bergamo», Bergamo, 20 maggio 1999.

 

Sintetica quanto consumata presentazione delle manifestazioni romane sul bicentenario balzachiano.

 

 

  Bicentenario. Balzac: l’Italia e Dante, modelli e esperienze, «La Stampa-Tuttolibri», Torino, n. 1162, 3 giugno 1999, p. 3.

 

  Cfr. la scheda precedente.

 

 

  Balzac bulimico: ogni capolavoro lo «costringeva» a grandi abbuffate, «Il Giorno», Milano; «il Resto del Carlino», Bologna; «La Nazione», Firenze, 12 giugno 1999, p. 19; 1 ill.

 

  Si riportano alcune brevi considerazioni riguardanti le cosiddette “rivelazioni sulla malattia alimentare convulsiva” di Balzac esposte nello studio di Gonzague Saint-Bris, Le bel appétit de Monsieur de Balzac.

 

 

  Omaggio a Balzac, «la Repubblica», Roma, 18 giugno 1999, p. 48.

 

  Breve nota su “Balzac e l’Italia” al Palazzo delle Esposizioni di Roma.

 

 

  Balzac: due mostre e un inedito, «Il Messaggero», Roma, 18 giugno 1999, p. 22.

 

  E’ posto all’attenzione del lettore il rilievo insito nel ritrovamento della prima versione inedita della dedica de Les Parents pauvres a Michelangelo Caetani.

 

 

  Un eccelso gastronomo, «il Giornale», Milano, 18 giugno 1999.

 

  Su Le bel appétit de Monsieur de Balzac e la raccolta antologica Le livre du cannabis (Georg éditeur, 1999).

 

 

  Honoré de Balzac: il genio dei perdenti, «Vita», Roma, Anno 6, N. 27, 9 luglio 1999, p. 22.

 

  Breve profilo critico, con alcune indicazioni bibliografiche, di Balzac, scrittore «straordinario nel dar la dimensione eroica anche a personaggi presi da contesti di assoluta modestia».

 

 

  Balzac e le sue donne: telefilm con Depardieu, «L’Unione sarda», Cagliari, 27 agosto 1999.

 

  Nota redazionale sul “Balzac” televisivo, opera realizzata grazie ad una coproduzione tra Tf1 e Mediaset e messa in onda sul canale francese il 13 e il 20 settembre 1999.

 

 

  Depardieu nei panni di Balzac, «Gazzetta del Sud», Bari, 27 agosto 1999.

 

  Ancora a proposito dello sceneggiato televisivo sulla vita di Balzac.

 

 

  Depardieu è Balzac artista e seduttore, «la Repubblica», Roma, 30 agosto 1999, p. 49.

 

  Cfr. le due schede che precedono.

 

 

  Gioie e dolori di Balzac, «Il Piccolo. Giornale di Trieste», Trieste, 7 settembre 1999, p. 24.

 

  Nell’annunciare, sulla falsa riga delle note precedenti gli splendori e le miserie del Balzac televisivo, annunciato sui canali italiani per la fine di gennaio ma non ancora trasmesso, si sottolinea, pur con qualche riserva, il valore di questa trasposizione televisiva della vita di Balzac, con un particolare riferimento al ruolo e all’influenza di alcune figure femminili nella vita dello scrittore (dalla madre a Eve Hanska, da Mme de Berny alla duchesse d’Abrantès).

 

 

  Tutto dedicato a Honoré de Balzac, «l’Unità-Emilia Romagna», Bologna, 7 ottobre 1999, p. II.

 

  Sulla rassegna artistico-letteraria “Balzac e l’Italia” organizzata dalla Maison française e dall’Università di Bologna.

 

 

  Honoré de Balzac parla ... bresciano, «Giornale di Brescia», Brescia, 19 dicembre 1999, p. 11.

 

  «Un grande capolavoro del realismo moderno, in una traduzione straordinaria che restituisce tutta la bellezza del testo originale». Il capolavoro è «Il cugino Pons», di Honoré de Balzac. E «la traduzione straordinaria» - come recita la fascetta di copertina è quella che la bresciana Paola Bellandi ha compiuto per la collana «I Classici classici» (diretta da Aldo Busi) delle edizioni Frassinelli.

  Il volume verrà presentato domani, lunedì, alle 18, nella sala di lettura della Fondazione Luigi Micheletti (in via Cairoli 9). Con la traduttrice interverranno Giuseppe Bernardelli (docente di Letteratura francese all’Università Cattolica), Folco Portinari (saggista, poeta e giornalista) e Maurizio Bernardelli Curuz (co-curatore della pagina dei libri del nostro quotidiano, di cui Paola Bellandi è apprezzata collaboratrice).

  La pubblicazione di questo «aggiornamento» del testo è avvenuta in una stagione – il 1999, appunto – coincidente con il duecentesimo anniversario della nascita di Balzac. Con «La cugina Bette», «Il cugino Pons» è uno dei romanzi gemelli che il grande scrittore francese scrisse tra il 1846 ed il 1847, in un disperato sforzo creativo necessario a chiudere – con la sezione dei «parenti poveri» – la «Commedia umana». È anche un lavoro che sintetizza gran parte dei temi presenti nell’opera complessiva di Balzac, «una sinfonia di rimandi e citazioni».

 

 

  Collins e Trollope, le poesie di Trake, il cugino di Balzac, «La Stampa ttL, tuttolibri tempo libero», Torino, XXIV, N. 1191, 24 dicembre 1999.

 

  Segnalazione della traduzione italiana de Le Cousin Pons edita da Frassinelli.

 

 

  Balzac Honoré de, in Enciclopedia della Letteratura, Milano, Garzanti, 1999 («Le Garzantine»), pp. 73-75.

 

  Pregevole “mise au point” della vita e dell’opera di Balzac, con sintetici, ma essenziali riferimenti alla struttura della Comédie humaine e alla nozione di realismo visionario proprio della sua poetica narrativa, esemplificata dal vigore dei caratteri creati dallo scrittore e dalla straordinaria forza dei suoi personaggi monomaniaci.

 

 

  Balzac Honoré de, in Catalogo dei tascabili 1999, Milano, Editrice Bibliografica, 1999, p. 18.

 

  Utile e pratica rassegna dei titoli di opere balzachiane disponibili sul mercato librario italiano, con qualche omissione e alcune imprecisioni.

 

 

  Daniela de Agostini, Le parole taciute. “La Fausse Maîtresse” e il differimento della dichiarazione, in AA.VV., L’opera del silenzio, a cura di Daniela de Agostini e Pietro Montani, Fasano, Schena editore, 1999 («Peregre», 3), pp. 255-274.

 

  Il carattere di forte ambiguità che permea, in La Fausse Maîtresse, ogni situazione e ogni strato della scrittura balzachiana non manca di suscitare, nel lettore, un senso di sorpresa o di suggestivo smarrimento, allorché egli inizia a calarsi nel misterioso labirinto degli intrecci psicologici e dei motivi storico-ideologici che determinano l’intensa (e quasi eroica) vicenda di Thaddée Paz e di Clémentine du Rouvre.

  In questo studio, D. De Agostini penetra nelle pieghe più nascoste del testo balzachiano, rivelando, di questo intenso dramma del cuore umano, l’evidente complessità formale e l’indiscutibile, quanto straordinaria, modernità: l’ambiguità che, fin dal titolo, contraddistingue l’ambito sociale e romanzesco del racconto di Balzac «racchiude i due poli antitetici della verità e della menzogna, del silenzio e della parola, dell’azione e della dissipazione, del ‘Movimento’ e della sua ‘Resistenza’» (p. 257), riproducendo in tal senso alcuni dei motivi ideologico-letterari fondamentali dell’intera sua opera. Paz, puntualizza bene l’A., «ha vissuto attraverso Adam [Lagisnki] e Clémentine come Balzac attraverso la sua opera, nella quale questi ha per la prima volta, in modo evidente, stabilito un parallelo tra la condizione romanzesca dei personaggi e quella intellettuale del loro creatore», affidando alla parola scritta «il segreto di un ‘silenzio’» che, «nel contesto della ‘voce’, può diventare inutile spreco o, se pur ‘eroica’, concertata menzogna» (p. 274).

 

 

  Paolo Albani, Paolo Della Bella con la collaborazione di Berlinghiero Buonarroti, Forse Queneau. Enciclopedia delle scienze anomale. Introduzione di Paolo Rossi, Bologna, Zanichelli, 1999, pp. 479.

 

  In questa singolare, densa e intelligente Enciclopedia delle scienze anomale, vero e proprio mosaico di curiosità allestito da P. Albani e P. Della Bella per documentare, guardando al progetto realizzato da Raymond Queneau di una Enciclopedia delle scienze inesatte, alcuni aspetti inusitati e sorprendenti che si accompagnano e vivacizzano il metodo della scienza – quella «normale, canonica» (p. 10), compaiono tre voci di interesse e di argomento specificatamente balzachiani. La prima: andatura, teoria dell’ (pp. 32-33) contiene ampi e documentati riferimenti allo scritto che Balzac pubblicò, tra l’agosto e il settembre 1833, sulla rivista «L’Europe littéraire»: nella Théorie de la démarche, l’andatura, la cui teoria è esposta dall’autore attraverso un ricco campionario di assiomi e di aforismi, è intesa come espressione completa dei movimenti del corpo e come fedele prodromo del pensiero e della vita.

  Un altro curioso testo balzachiano: il Traité de la vie élégante suscita l’interesse degli Autori, i quali, alla voce elegantologia (pp. 130-131), offrono, di questo «ironico codice del dandysmo» (p. 130), una equilibrata presentazione con opportune, per quanto sommarie, citazioni degli assunti più significativi.

  La terza voce: fisiologia del matrimonio (pp. 164-165) presenta brevemente alcune delle considerazioni generali enunciate da Balzac nella prima e nella seconda parte della sua celebre Physiologie du mariage del 1829.

  Un ultimo riferimento a Balzac è inoltre presente alla voce parapsicologia (p. 307), dove si afferma che «nella novella Le Réquisitionnaire (1831), Honoré de Balzac auspica la nascita della p.[arapsicologia] come una scienza nuova alla quale fino ad oggi è mancato un uomo di genio».

 

 

  Annalisa Antilli, Influenze letterarie inglesi su Balzac. Tesi di laurea. Relatore: Prof.ssa Franca Zanelli Quarantini, Università degli Studi di Bologna, Facoltà di Lingue e letterature straniere, Anno accademico 1998-1999.

 

 

  Laura Artoni, La “Comédie Humaine”: il grandioso spettacolo della mostruosità, «Materiali di estetica», Milano, Cuem, 1999, pp. 141-153.

 

  Balzac è un grande osservatore, che ha fatto della sua curiosità la prima fonte dell’immensa opera che si è prefisso di scrivere: la Comédie humaine. Ce lo rivela con sincerità nelle divertenti pagine del Trattato dell’andatura, in cui consiglia a chiunque voglia fare interessanti scoperte sulla natura umana di dedicarsi per un intero pomeriggio all’osservazione dei passanti di uno dei boulevard parigini. Si tratta di corpi in movimento, la cui personalità si deduce dalla loro allure. La descrizione che ha tanto spazio nelle pagine balzachiane è il risultato di questa premessa: l’aspetto non inganna, a condizione che l’osservatore sia attento ai dettagli, sia quelli che s’impongono immediatamente per la loro evidenza, sia quelli che a prima vista sono meno notevoli. La descrizione sostituisce e vanifica l’introspezione psicologica, consegnata tradizionalmente alla finzione del pensiero del personaggio. Se nel corpo è possibile leggere l’espressione del sentimento, allora i tratti somatici di un individuo sono direttamente allusivi della sua condizione morale. La fisiologia sostituisce la psicologia; mentre questa si basa solo su supposizioni, la prima è una scienza sperimentale, che si regge sull’armonia tra profondità e superficie del corpo.

  La Comédie nelle intenzioni dell’autore assume la forma di un inventario ragionato di ogni specie sociale della Francia contemporanea, che riunisce organicamente tipi sociali e tipologie di comportamento in una sorta di enciclopedia della società, senza perdere il riferimento al singolo individuo. Il tipo è sempre un individuo che si caratterizza per una specifica prerogativa, una particolarità che allude a un’anomalia interna e che rivela una condizione patologica, condivisa dall’intera società, in cui ognuno presenta una differente sintomatologia. La natura energetica dell’esistenza umana, che oscilla tra i due estremi della continenza e della dispersione, porta alla conclusione che la vita è fatale all’uomo, l’esaurimento della forza vitale può solo essere ritardato, ma non esiste alcun antidoto al suo progressivo diradarsi. Il procedimento di osservazione è analogo a quello compiuto da un medico: l’irregolarità superficiale è rivelatrice di un’anomalia interna che va indagata. La superficie visibile del corpo diventa il luogo di espressione dell’invisibile, ma solo per chi ne sa decodificare i sintomi. L’eziologia morale sottesa alla descrizione dà al personaggio volume, spessore, lo rende tridimensionale. L’anomalia ha un’origine morale, appare come la realizzazione concreta del conflitto in atto tra la materia (il corpo) e l’energia (la volontà) ed è irreversibile. Il decorso della malattia che deforma il corpo può, nel migliore dei casi, essere arrestato, ma non esiste alcuna cura capace di agire direttamente sulle forze psichiche, responsabili dello stato patologico.

  Balzac è assolutamente sicuro del valore scientifico delle sue osservazioni e delinea con precisione l’impianto generale della Comédie come se fosse un trattato, egli non fa semplice letteratura, ma è sociologo, ovvero scienziato della società. Perciò rigetta le polemiche che lo accusano d’immoralità; l’argomento dei suoi accusatori decade di fronte al metodo che egli dichiara nell’Avant-propos del 1842: la società che rifiuta indignata i suoi romanzi è solo scandalizzata dalla propria immagine, riflessa nello specchio fedele della trasposizione narrativa. Non c’è da meravigliarsi dell’entusiasmo con cui Balzac accoglie la teoria fisiognomica, essa possiede uno straordinario potenziale diegetico: la deformità, intesa come la deviazione a un ordine ideale, rivela la peculiarità eccezionale del personaggio, e lo connota stabilmente a differenza di ogni altro. La deformità fisica rende visibile la passione che è concentrazione dell’energia vitale e fa emergere l’individuo dalla massa indistinta, lo rende un esempio notevole da comprendere in quella enciclopedia del genere umano che intende essere la Comédie humaine.

  Il ritratto fisiognomico riassume il passato del personaggio, e simmetricamente ha una funzione predittiva, assicurata dal rigido determinismo delle leggi della sociologia. [...].

  Il brutto, il grottesco, il vizio hanno una fecondità che la letteratura delle immagini ha il merito di recuperare. Il mostro morale di Balzac penetra la società, ne mostra la struttura interna e occulta, ma non può distruggerla. Anzi, egli garantisce il movimento della società senza riuscire a sommuoverla, le molteplici espressioni del vizio sono solo un’apparente contraddizione dell’ordine sociale, la cui struttura portante riposa immutabile al di là di ogni turbamento superficiale. La causa scatenante della mostruosità è la passione che spinge l’uomo a votarsi completamente alla sua soddisfazione e si presenta in forme diverse per ogni caso. Il denaro, il successo, il desiderio erotico, una magnifica collezione di quadri, la realizzazione di un’opera d’arte perfetta, la scomposizione dell’azoto, l’amore paterno sono moventi indifferenti nella sostanza, poiché sono tutti accomunati dalla forza del desiderio. [...].

  Balzac dà rilievo alle figure apparentemente meno uniformabili, quei concentrati di volontà, di passione, che sono gli artisti, le prostitute, i criminali, gli ambiziosi ecc. Questi sono gli elementi dinamici della società, che vive grazie al contrasto che quelli oppongono alle sue leggi immutabili ed eterne. Il sottofondo armonico e logico di una realtà che, in superficie, appare confusa, caotica, incomprensibile, è confermato dal ritorno degli stessi personaggi, prove concrete della trama unica di corrispondenze nascosta sotto la fantasmagorica successione di scene della Comédie. Al ritorno dei personaggi corrisponde il ripetersi delle situazioni, degli ambienti; non è solo un principio economico, ma un vero e proprio avvicinamento all’essenza del personaggio o della situazione. Ogni riproposizione è un nuovo apporto, ad ogni romanzo corrisponde un diverso punto di vista.

  Uno dei personaggi più affascinanti dell’intero ciclo è Vautrin. Il suo aspetto è grottesco e ambiguo. Genera sospetto e timore per la sua muscolatura evidente, per la parrucca nera e le basette tinte che contrastano con la peluria fulva delle sue grandi mani, per le rughe che gli solcano il viso. I suoi modi sono bonari, ma la parrucca è un segnale d’allarme: egli nasconde qualcosa. La sua fisionomia trasmette la sensazione della forza, quasi animalesca, del pensionante di madame Vauquer, il suo volto segnato prematuramente è indizio del suo carattere volitivo. Ma la qualità che è ribadita con più insistenza è un’altra: Vautrin conosce tutto, le navi, il mare, la Francia, l’estero, gli affari, gli uomini, gli avvenimenti, le leggi, gli alberghi e le prigioni e dimostra di sapere tutto anche degli altri pensionanti e, quindi, di tenerli in pugno. Infatti è l’unico che possiede una copia delle chiavi d’ingresso: è misterioso, onnisciente, onnipotente. E quasi divino, il colore rosso dei suoi capelli, che egli cerca di occultare, indica, senza dubbio, la sua natura malvagia, è della stessa famiglia di Giuda e di Lucifero. Lo smascheramento avviene al momento dell’arresto, quando i suoi capelli si illuminano sinistramente come se fossero investiti dalle fiamme dell'inferno, tutti ne riconoscono la vera indole: in un attimo Collin diventa un poema infernale dove si dipingono tutti i sentimenti umani tranne uno, il pentimento. Lo sguardo è quello di un arcangelo caduto che rimane eternamente ostile. Egli è il prototipo di tutta una nazione degenerata, di un popolo logico e selvaggio, docile e brutale, è la contraddizione demonica dell’angelo del male: non solo porta in sé il contrasto, ne è anche cosciente. La sua natura angelica gli ha permesso di conoscere la verità, è una creatura infernale perché ha scelto volontariamente il male. Ha la capacità di vedere oltre le apparenze, sa che la spiegazione di ciò che accade in superficie risiede nel profondo, è un uomo superiore perché conosce la verità, ma il suo comportamento fa pensare all’immobile profondità di una sfinge che sa, vede tutto e non dice nulla. [...].

  Vautrin riassume in sé la potenza ambivalente e ossimorica della realtà, è dotato della facoltà di vedere le forze nascoste che agiscono misteriosamente sotto la superficie della realtà, e cerca di sfruttarle a proprio vantaggio. Nel tentativo di fare di Rastignac una metafora in carne ed ossa, rivela la sua natura di artista che lo assimila all’autore della Comédie.

  L’artista si confronta con una forma sensibile e ne sa estrarre l’essenza, scopre che il fenomeno è latore della verità. È questa convinzione che fa della pittura una tecnica determinante al momento della composizione dei romanzi. Come nota Simmel, nella pittura non ci può essere altro che il visibile, il quadro consiste sempre e soltanto delle forme e dei colori che presenta la superficie della tela, quindi al pittore spetta il compito di raggiungere con questi mezzi il sentimento totale che noi proviamo di fronte a un uomo.

  Il compito del pittore è quello di saper vedere nel visibile l’invisibile legge unificante. L’occhio del pittore scova nella trama incredibilmente complessa e nello stesso tempo frammentaria, che significa a noi, nella prassi quotidiana, l’uomo determinato, l’immagine sensibile puramente ottica. In questo modo egli dimostra che nel visibile è possibile esprimere una vita piena, totale, grazie all’organizzazione di forme e colori in modo tale da generare nello spettatore l’idea della presenza di un’anima in questa corporeità. In ciò che si vede è possibile rintracciare la chiave ermeneutica della realtà, il codice della trama di rimandi che il pittore ha dovuto scomporre e interpretare, prima di riprodurli. L’artista mette in atto una strategia indiziaria, dove il particolare più insignificante può essere traccia, sintomo di qualcosa di più vasto di cui il pensiero ricerca lo schema generale.

  La fisiologia, in Balzac, è la scienza che permette di cogliere il senso degli indizi visibili, stabilendo una diretta corrispondenza tra aspetto fisico e qualità morali. Se Balzac rinuncia a servirsi delle tecniche d’introspezione psicologica dei personaggi, è perché crede nel potere rivelativo del visibile.

  Le metafore pittoriche, di cui Balzac si serve per parlare della sua arte, sono giustificate dal suo atteggiamento verso la realtà, attento a cogliere l’aspetto visivo dei fenomeni, e anche se non è stato, diversamente da Goethe, anche pittore, egli ha sempre dimostrato una particolare predilezione per la pittura.

  Il compito dell’artista-filosofo è mostrare ciò che è indicibile; per esprimere il paradosso dell’unità immobile che è all’origine della varietà mobile degli enti naturali, Balzac fonda paradossalmente la letteratura sull’immagine. Se il punto di partenza di ogni filosofare è l’immagine sensibile delle cose, il genio balzachiano deve saper vedere, inserirsi consapevolmente nel rapporto dinamico tra l’oggetto e la coscienza. [...].

  La prefazione de La peau de chagrin è uno dei più importanti testi teorici che Balzac ci ha lasciato sul suo modo di intendere l’arte. All’origine dell’esperienza artistica egli pone l’immagine sensibile delle cose; questa, nonostante la sua evidenza, nasconde un enigma che un processo di decifrazione, analogo a quello della descrizione fenomenologica, riesce a penetrare. Questo processo, esposto da Balzac appena sopra il passo che abbiamo citato, consiste nell’aver visto l’oggetto, nel ricordarlo e quindi nella scelta delle parole e delle immagini per esprimerlo. L’osservazione nell’artista non è mai disgiunta dalla capacità poetica di esprimere, di elaborare immaginativamente ciò che ha visto. Qui la vista dev’essere intesa come il senso dei cinque di cui è dotato il corpo umano che si impone per la frequenza e la forza delle sensazioni che produce. Bisogna saper vedere, cioè ricondurre il fenomeno ottico alla legge unificante del visibile; vedere è quindi operare sull’evidenza sensibile del singolo fenomeno, vuol dire connettere espressione e significato unificandoli nella dimensione del visibile. L’interpretazione del mondo passa per la formulazione incessante del senso, l’indagine fenomenologica è un “sempre di nuovo”, come è giusto che sia per una descrizione stratificata, che si avvicina all’oggetto per sguardi progressivi. Balzac sfrutta l’unità del visibile, di cui parla Simmel, nei suoi ritratti e ne sviluppa le inesauribili potenzialità euristiche nel procedere narrativo, non perdendo lo sguardo unificante e analogico sul mondo che si esprime nell’idea di un’unica grande opera, che tenta di riunire tutte le direzioni di senso.

  Ecco allora che la deformità, la malattia, il vizio non sono condizioni patogene, ma il risultato dell’osservazione profonda della realtà, la chiave per penetrare il mistero della vita, in un processo di conoscenza illimitato dalla vastità del suo oggetto. Così ci spieghiamo perché la Comédie sia rimasta incompiuta, il suo ambizioso disegno non poteva essere realizzato, se non come tentativo, il cui fascino sì offre sempre a nuovi lettori e spettatori.

 

 

  Maurizio Ascari, [Rec. di] D. Meneghelli, Una forma che include tutto. Henry James e la teoria del romanzo, Bologna, Il Mulino, 1998, «Rivista di Letterature moderne e comparate», Vol. LII nuova serie, Fasc. 3, luglio-settembre 1999, pp. 299-301.

 

 

 Sergio Atzeni, Introduzione generale, in Raccontar fole. A cura di Paola Mazzarelli, Palermo, Sellerio editore, 1999, pp. 9-16.

 

  Delicata ricostruzione della vita sarda tra Settecento e Ottocento avvolta in un’atmosfera a metà strada fra realtà e fiaba, in cui è presente un dettagliato riferimento alla lettera scritta da Balzac a Mme Hanska, datata Cagliari, 17 aprile 1838: se nel testo balzachiano, simile ad un «racconto di avventure esotiche», ad un «viaggio immaginario» (p. 13), per il «fine letterario delle sue menzogne», pare essere velata l’intenzione di «suscitare discussioni attraversate da brividi licenziosi fra dame e gentiluomini della migliore società parigina» (p. 14), esso però introduce, allo stesso tempo, alla dimensione storica di una quotidianità vissuta da uomini reali.

 

 

  Michela Battilani, Il desiderio mimetico in “Pierrette” di H. de Balzac. Tesi di laurea. Relatore: Prof.ssa Maria Bertini; correlatore: Prof.ssa Patrizia Oppici, Università degli Studi di Parma, Facoltà di Lettere e Filosofia, Laurea in Lingue e letterature straniere moderne, Anno accademico 1998-1999.

 

 

  Paola Bellandi, Postfazione, in Honoré de Balzac, Il cugino Pons ... cit., pp. 361-368.

 

  Cfr. supra.

 

 

  Anna Benocci Lenzi, Nell’Ipertesto balzacchiano tracce di un tradimento estremo, «l’Unità», Roma, 19 maggio 1999, p. 20.

 

  Le promettenti considerazioni iniziali sui suggestivi orizzonti aperti dai recenti progetti di riedizione ipertestuale della Comédie humaine in Cd Rom e sugli inizi della carriera romanzesca di Balzac lasciano gradualmente il posto ad una rapida galleria di ritratti delle figure femminili che hanno segnato in vario modo le vicende umane e letterarie dello scrittore.

 

 

  Anna Benocci Lenzi, Scrittori di fronte al tramonto della vita, «l’Unità», Roma, 22 giugno 1999, p. 19.

 

  Il nuovo libro di Giovanni Macchia.

 

  Balzac, cieco e malato non riconosciuto per lo stato pietoso in cui si trovava nemmeno dal robusto dragone alsaziano che a Parigi gli guardava la casa, non avrebbe certo immaginato che Mme Hanska, vedova per la seconda volta, a pochi mesi dalla sua morte avrebbe ripreso a scrivere lettere d’amore.

 

 

  Patrick Berthier, [Rec. di] J. Frølich, Des hommes, des femmes et des choses, langages de l’objet dans le roman de Balzac à Proust, Saint-Denis, Presses Universitaires de Vincennes, 1997, «Rivista di Letterature moderne e comparate», Firenze, Vol. LII nuova serie, Fasc. 3, luglio-settembre 1999, pp. 287-288.

 

 

  Mariolina Bertini, [Rec. di] Collectif, Balzac et le style, Paris, Sedes, 1998, «Belfagor», Firenze, Anno 54, n. 6, novembre 1999, pp. 753-756.

 

 

  Stefania Bertola, Per Radio, «La Stampa-Tuttolibri», Torino, Anno XXIV, 1161, 27 maggio 1999.

 

  Si dà notizia delle tre letture integrali di opere balzachiane trasmesse all’interno dei “Lampi di Primavera” di Radiotre: Il capolavoro sconosciuto, Gambara, La locanda rossa.

 

 

  Lanfranco Binni, Crimini privati, morti quotidiane, in Honoré de Balzac, La cugina Bette ... cit., pp. 7-11.

 

  Cfr. supra.

 

 

  Giovanni Bogliolo, In battaglia per Balzac, «La Stampa-Tuttolibri», Torino, Anno XXIII, N. 1143, 21 gennaio 1999, p. 4.

 

  Romanzo di sola azione militare, proprio come lo avrebbe voluto Balzac per l’opera da lui progettata ma mai realizzata, La battaglia di Patrick Rambaud (trad. Di Egi Volterrani, Bompiani, 1998) si discosta dalla linea parodica e dal gusto del pastiche sviluppati dallo scrittore nei suoi testi precedenti. Riflettendo con attenzione sull’impianto e sui ritmi narrativi del romanzo, Bogliolo mette in luce la mancanza di “figure di primo piano”; ma questo, a suo giudizio, non costituisce un difetto, ma “una scelta, la migliore forse per dare l’impressione, come voleva Balzac, di «leggere attraverso il fumo e, chiuso il libro, avere intuitivamente visto tutto, e ricordare la battaglia come se si fosse stati là».

 

 

  Giovanni Bogliolo, Balzac: non tramonta la Commedia umana, «La Stampa-Tuttolibri», Torino, Anno XXIV, 1163, 10 Giugno 1999, p. 3; 1 ill.

 

  Un affascinante, inesauribile ipertesto.

 

  Al di là e al di sopra delle mode e delle oscillazioni culturali, che hanno riguardato, in misura diversa, i “nouveaux romanciers” e i poeti surrealisti, si arriva a questo primo bicentenario balzachiano con una certezza: «che di Balzac si può e si deve, col mutare della realtà e dell’atteggiamento che verso di essa sente di dover assumere la letteratura, fare diverso, ma che finora nessuno o quasi è riuscito a fare meglio». Moderna nella sua estrema varietà di dinamiche interne e di contraddizioni, l’opera di Balzac «è così vasta e molteplice che non soltanto sfugge ad una comprensione globale, ma consente tutte le possibili letture che si collocano tra i due opposti estremi del realismo e della visionarietà» e che implicano non soltanto un problema di natura critico-interpretativa, ma anche operativa.

 

 

  Francesca Boretti, Rapporti intertestuali nell’opera di H. de Balzac e C. Dickens: “Le père Goriot” e “Martin Chuzzlewit”. Tesi di laurea. Relatore: Prof.ssa Giovanna Silvani; correlatore: Prof.ssa Maria Bertini, Università degli Studi di Parma, Facoltà di Lettere e Filosofia, Laurea in Lingue e letterature straniere moderne, Anno accademico 1998-1999.

 

 

  Gabriella Bosco, Letterature. P. Rambaud, “La battaglia”, Milano, Bompiani, 1998, «L’Indice dei libri del mese», Torino, Anno XVI, N. 4, Aprile 1999, p. 11.

 

  Napoleone imbolsito e con l’eczema, che sale a cavallo solo con l’aiuto di una sedia e si unge il mento mangiando. Henri Beyle ventiseienne e febbricitante per la sifilide, ben prima di diventare Stendhal. Un’idea di Balzac mai realizzata. Con questi elementi, Patrick Rambaud, pasticheur professionista, ha messo insieme un romanzo di argomento bellico centrato su una clamorosa sconfitta dell’Imperatore. 1809, Vienna. La battaglia del titolo è quella di Essling, ingloriosa per Napoleone e particolarmente tragica per le perdite: quarantamila morti tra austriaci e francesi in una trentina di ore. Honoré de Balzac aveva in mente di scrivere un romanzo su Essling: “La mia battaglia è Essling. Essling con tutte le sue conseguenze”, aveva svelato in una lettera a Madame Hanska. Nel 1835, a Vienna per consegnare all’amata il manoscritto di Séraphita, fece sopralluoghi a Essling, a Wagram, nell’isola di Lobau sul Danubio. Poi fu preso da altro, e il progetto finì nel nulla. Patrick Rambaud [...] ha voluto calarsi nella penna di Balzac per fare al posto suo quello che l’autore della Comédie humaine aveva progettato. [...].

 

 

  Gabriella Bosco, Visionario e mistico, «La Stampa-Tuttolibri», Torino, Anno XXIV, 1163, 10 Giugno 1999, p. 3.

 

  Pregevole nota su Séraphîta e sul “côté” mistico-visionario dell’estetica balzachiana: «è il Balzac meno noto e certamente meno letto, quello visionario e mistico. Ma assolutamente non secondario né minore, come a lungo si è voluto dire».

 

 

  Pierre Brunel, Dante e Balzac: dalla Divina Commedia alla Comédie humaine. Traduzione di Paola Ricciulli, in P. Dècina Lombardi, Balzac e l’Italia ... cit., pp. 58-66.

 

  P. Brunel considera i luoghi narrativi, le forme e i caratteri della presenza di Dante nelle opere composte da Balzac prima della celebre dedica al Caetani del 1846. All’idea di un Dante redivivus presente nei Proscrits, si affiancano le immagini e le figure di un nuovo inferno dantesco descritte in un numero considerevole di testi, tra cui risalta La Fille aux yeux d’or. Il contrasto tra Inferno e Paradiso, da cui sembra essere escluso l’equivalente del Purgatorio, si connota di implicazioni estetiche particolarmente interessanti: la nuova Divina Commedia che, nella prefazione al Livre mystique (1835), Balzac dice di aver progettato «non sarebbe La Comédie humaine, ma il Livre mystique prodigiosamente ampliato». A partire da questo momento, «due progetti si disegnano senza confondersi: qualcosa che avrebbe potuto essere la Divine Comédie di Balzac – la realizzazione del Livre mystique; qualcosa che doveva essere, anche incompiuta, la sua Comédie humaine» (p. 65).

 

 

  Eugenio Bucciol, Da Versailles a Villa Galvagna. La vicenda di Richard Lionel Guidoboni Visconti, figlio presunto di Honoré de Balzac, Portogruaro, Nuova Dimensione Ediciclo Editore, 1999, pp. 223.

 

  Sulla base dei documenti rinvenuti negli archivi di numerose città italiane e straniere, di cui avremmo apprezzato la segnalazione precisa delle fonti, Eugenio Bucciol ricostruisce con sagacia la singolare biografia di Richard Lionel Guidoboni-Visconti, l’ultimo dei tre figli dati alla luce da Sarah Lowell, prontamente riconosciuto, alla nascita il 29 maggio 1836, dal marito, il nobile milanese Emilio Guidoboni-Visconti. L’evento, come del resto la vita e la carriera di Richard Lionel, sarebbero del tutto trascurabili, se non fosse per i pettegolezzi e i mormorii del gran mondo di Versailles (tra cui si distinsero le velenose insinuazioni presenti nelle Memorie dell’avvocato Lambinet) sul fatto che egli fosse il figlio diretto di Honoré de Balzac, frutto di una relazione con la ricca e affascinante signora inglese iniziata alcuni anni prima. Le vicende biografiche di Balzac si intrecciarono in modo particolarmente intenso con quelle dei Guidoboni-Visconti negli anni 1836-37, allorché Emilio costituì mandatario generale e speciale lo scrittore per la risoluzione di alcune delicate questioni patrimoniali e di eredità in Italia. Le successive esperienze italiane di Balzac a Torino, a Milano e a Venezia (ospite, tra gli altri, di Francesco Galvagna) costituiscono il tessuto del denso capitolo secondo: Balzac, l’amico di famiglia, pp. 35-115, in cui l’A. ricompone con minuzia il quadro e il percorso esistenziali del romanziere, esplorando nei minimi dettagli il variegato mosaico delle personalità, degli eventi e degli aneddoti che caratterizzarono in vario modo quei soggiorni nella Penisola.

  Richard Lionel compì la sua carriera nella Marina imperiale, fino a conseguire il grado di ufficiale di ordinanza sullo yacht che portava il nome dell’ultimo fratello di Napoleone (Jérôme-Napoléon), e ad essere protagonista di alcune coraggiose imprese in Estremo Oriente o in Messico; si congedò nel 1874 a causa di gravi e progressivi disturbi di salute. Insieme alla moglie, Sophie Davydoff, figlia del celebre generale poeta Denis Wassilievitch, compì, negli ultimi anni della sua vita, e, singolare coincidenza, come Balzac, estenuanti viaggi in Russia che contribuirono in misura determinate ad aggravare le sue condizioni. Morì, forse suicida, il 19 dicembre 1875 e le sue spoglie sono custodite nel cimitero di Oderzo, vicino a Treviso: la mancanza di riscontri testimoniali certi o almeno attendibili sulla sua possibile discendenza da Balzac non ci consente tuttora di dipanare quella fitta nebbia di mistero che ancora avvolge la vita e il destino di questo personaggio. Un personaggio, scrive Bucciol, che avrebbe potuto essere «un protagonista della balzachiana “Commedia umana”» (p. 9) e che lo stesso scrittore sembra (?) ricordare nella dedica di Béatrix proprio a Sarah Lowell: «J’aurais voulu – scrive Balzac – mettre à vos pieds une oeuvre en harmonie avec vos perfections; mais si c’était chose impossible, je savais, comme consolation, répondre à un de vos instincts en vous offrant quelque chose à protéger».

 

 

  Michel Butor, Venezia come Fenice. Traduzione di Paola Dècina Lombardi, in P. Dècina Lombardi, Balzac e l’Italia... cit., pp. 67-74.

 

  Nel sottolineare l’essenzialità delle relazioni di Balzac con l’Italia, Butor pone l’accento su un aspetto particolarmente significativo: l’interesse e il fascino esercitati sullo scrittore dall’Italia come nazione occupata, in questo caso, dagli austro-ungarici. Nell’unica opera ambientata interamente in Italia, Massimilla Doni, l’assunzione del Mosé di Rossini quale simbolo della resistenza e della rinascita veneziana permette di comprendere come, per Balzac, l’opera sia «l’arte per eccellenza dei popoli oppressi» e funzioni «come una macchina in cui la società si ritrova, si esamina, prende coscienza di se stessa e dei suoi problemi attraverso il filtro della musica e del canto» (p. 72). Ma nella novella, è presente anche «il sogno di un altro impero [...], una sorta di nuovo mondo da realizzare rispetto a quello napoleonico o a quello austro-ungarico. Si tratta di un impero marittimo, e di un sogno di Balzac, celato, che presuppone un’altra organizzazione della realtà di cui Venezia potrebbe rappresentare il modello» (p. 73).

 

 

  Mauretta Capuano, Balzac bulimico e fumatore d’hascisc, «L’Unione Sarda», Cagliari, 12 giugno 1999.

 

  Sulle pulsioni gastronomiche dello scrittore riferite sulla base delle informazioni contenute nel saggio di G. Saint-Bris. E’ presente un cenno sulla messa in vendita dei locali che accolsero la tipografia di Balzac da parte del Comune di Parigi.

 

 

  Carlo Carena, Macchia, commiati con stile, «Il Sole 24 Ore-Domenica», Milano, N. 139, 23 maggio 1999, p. 28.

 

  Nel recensire il suggestivo volume di G. Macchia (Scrittori al tramonto), l’A. riferisce del capitolo dedicato agli ultimi tragici momenti della vita dello scrittore accanto a Mme Hanska.

 

 

  Carlo Carlino, Quando Balzac scoprì l’Italia, «Gazzetta del Sud», Messina, 4 agosto 1999.

 

  Rivisitazione dell’accoglienza critico-mondana riservata a Balzac all’indomani del suo arrivo a Milano il 19 febbraio 1837 (e non il 10, come si legge): riferendosi puntualmente agli articoli che personalità illustri della società culturale del tempo (Antonio Piazza e, più tardi, Cesare Cantù) dedicarono al romanziere, l’A. sottolinea come quei viaggi contribuirono a sgomberare il campo da quella miriade di abusati stereotipi sulla civiltà italiana che così tanto spazio avevano ingiustamente goduto nelle opere scritte dal romanziere prima del 1836.

 

 

  Carlo Carlino, L’imperatore parlava e lo scrittore annotava, «Gazzetta del Sud», Messina, 22 settembre 1999.

 

  «Depuis 7 ans environ – scrive Balzac in una lettera a Mme Hanska del 10 ottobre 1838 – toutes les fois que je lisais où il était question de Napoléon et que je trouvais une pensée frappante et neuve dite par lui, je la mettais aussitôt sur un livre de cuisine qui ne quittait pas mon bureau, et qui était sur ce petit livre que vous connaissez, qui vous appartiendra, hélas peut-être bientôt! et où je mets mes sujets et mes idées premières»: si tratta del libretto intitolato Maximes et Pensées de Napoléon, recentemente ristampato in Francia, di cui Carlino offre una puntuale citazione analizzando la portata del mito napoleonico nella cultura storico-letteraria moderna e contemporanea.

 

 

  Chiara Carlone, Il tema della guerra in Balzac. Tesi di laurea. Relatore: Prof.ssa Franca Zanelli Quarantini, Università degli Studi di Bologna, Facoltà di Lingue e letterature straniere, Anno accademico 1998-1999.

 

 

  Raffaele de Cesare, [Rec. di] R. Pierrot, Eve de Balzac, Paris, Stock, 1999, «Aevum», Milano, Anno LXXIII, 3, settembre-dicembre 1999, pp. 948-950.

 

 

  Mauro Chiabrando (a cura di), Honoré de Balzac. Le traduzioni italiane della Commedia Umana. 1832-1999, a cura di Mauro Chiabrando, presentazione di Giuliano Vigini, Verona, NovaCharta editrice, s.d. [1999] («Le Plaquettes di Charta», 1), pp. 32, ill.

 

  Preceduto da una breve nota introduttiva di Giuliano Vigini (Balzac e l’Italia, p. 5), questo denso inventario delle traduzioni italiane dei romanzi della Comédie humaine pubblicate tra il 1832 e il 1999, segue di qualche mese la rassegna bibliografica stilata, sul medesimo argomento, da P. Dècina Lombardi nell’ampio capitolo finale del volume: Balzac e l’Italia. Sul piano dell’impostazione metodologica adottata da Chiabrando per la compilazione e l’organizzazione del materiale presentato, il repertorio in oggetto non va oltre la semplice elencazione dei titoli corrispondenti alle singole opere di Balzac, i quali sono ordinati cronologicamente secondo «il progetto originale [crediamo si tratti del Prospectus del 1845] della Comédie humaine» (p. 8). In riferimento a quest’ultimo rilievo, non comprendiamo le ragioni che hanno spinto l’A. ad includere, negli Studi analitici, romanzi come Un homme d’affaires, Le Cousin Pons, La Cousine Bette o Gaudissart II, che, al contrario, costituiscono alcuni tra i tasselli più importanti delle Scènes de la vie parisienne; in secondo luogo, ci sentiamo di esprimere qualche riserva in merito alla completezza della trascrizione tipografica delle singole schede, dove, oltre alla presenza di alcune inesattezze e imprecisioni, manca, ad esempio, ogni riferimento al numero delle pagine.

  Tra i romanzi che hanno goduto, sia nell’Ottocento che nel Novecento, di una costante e viva attenzione da parte della cultura editoriale italiana, figurano ai primi posti Eugénie Grandet, Le Père Goriot e Le Colonel Chabert; al contrario, testi pure importanti quali Un début dans la vie, Pierre Grassou, Le Contrat de mariage, Z. Marcas e, soprattutto, Albert Savarus (l’unico testo di cui non si conosce alcuna traduzione), per non citare che alcuni esempi, non hanno riscosso l’interesse che avrebbero meritato.

  In conclusione, riteniamo che lo sforzo prodotto dall’A. sia certamente da elogiare e ci auguriamo allo stesso tempo che questa “plaquette” possa rappresentare un utile punto di partenza e uno stimolo per gli studiosi intenzionati a proseguire la ricerca in questa delicata e “insidiosa” direzione, e guidati dalla consapevolezza del fatto che soltanto attraverso una faticosa quanto indispensabile verifica diretta sugli esemplari potranno essere garantiti al loro lavoro quei caratteri di completezza, di rigore e di irreprensibilità che operazioni di tal genere comportano.

 

 

  Mauro Chiabrando, Le alterne fortune di Balzac in Italia. Traduzioni italiane della Commedia Umana, «Charta», Anno 8, n. 43, novembre-dicembre 1999, pp. 45-49; ill.

 

  Di chiara matrice divulgativa, questo breve saggio di Chiabrando traccia a grandi linee la storia e l’evoluzione delle traduzioni italiane di opere balzachiane dal 1832 al 1999, soffermandosi in modo particolare sulle alterne fortune della produzione narrativa dello scrittore francese nell’ambito del panorama editoriale e critico italiano del Novecento. Troppo sommaria e, non di rado, costellata di imprecisioni, ci pare infatti la prima parte dello studio dedicata alla genesi e agli sviluppi del mito letterario balzachiano nel nostro Paese: il vistoso errore nella datazione storica del soggiorno di Balzac a Milano (febbraio 1827 [sic], p. 45) non costituisce l’unica svista dell’A., che, rifacendosi in maniera forse troppo sicura al testo del Gigli e al saggio, pur importante, del Russo, pare misconoscere o ignorare i contributi di Raffaele de Cesare sulla fortuna italiana di Balzac nella prima metà dell’Ottocento, o il saggio di Luciano Carcereri per il periodo compreso tra il 1851 e il 1875. Più equilibrata e pertinente ci pare invece la sezione in cui si affronta la questione inerente ai diversi tentativi editoriali orientati alla raccolta completa dei romanzi della Comédie humaine in traduzione italiana: marginalmente toccata dalle pubblicazioni dell’editore milanese Treves, questa avventura, tutt’altro che conclusa, ha visto come protagonisti, tra gli anni Trenta e Sessanta del secolo scorso, editori importanti quali De Carlo, Corbaccio e Casini e sta continuando fino ai giorni nostri con la coraggiosa iniziativa editoriale curata da Mariolina Bongiovanni Bertini per i “Meridiani” di Mondadori.

 

 

  Rita Cirio, Noi, gli Aristogatti inventati da Balzac, «L’Espresso», Roma, Anno XLIV, N. 43, 28 ottobre 1999, pp. 151-152.

 

  Ad oltre vent’anni di distanza dallo spettacolo Peines de coeur d’une chatte anglaise, operetta ispirata all’omonimo testo balzachiano, Alfredo Arias mette in scena un’altra commedia animaliera tratta, questa volta, da Peines de coeur d’une chatte française di P. J. Stahl (J. Hetzel). Melodramma dai variegati contorni psicologici inquadrati da una scenografia che intende emulare le incisioni di Grandville e impreziositi dalle nuove maschere di Erhard Stiefel ispirate al teatro Nô giapponese, l’opera ha debuttato a Palermo il 28 ottobre 1999.

 

 

  Pietro Citati, Balzac. Il romanzo del mondo/Parigi oceano di uomini, «la Repubblica», Roma, 22 giugno 1999, pp. 41-43; ill.

 

  Come disse Sainte-Beuve non fu mai uno di quegli iscrittoli superiori alla propria creazione. Honoré fu preda e vittima della sua arte. In un certo senso fu generato anima e corpo dalla “Comédie humaine” abitò in lei come un inquilino devoto.

  È la città dei vivi la città dei misteri. La gente cammina col volto coperto da maschere i portoni non si aprono i vicoli conducono non si sa bene dove. Verso di lei si muovono i giovani della provincia francese. La sognano follemente ed è il più bel tema dell’immensa “Comédie humaine”.

 

  Illuminante squarcio sul mondo poetico della Comédie humaine che Citati percorre con fine maestria e ammirata partecipazione in questo suo denso e acutissimo intervento. Balzac, scrive l’A., «fu preda e vittima della propria creazione. In un certo senso, fu generato anima e corpo, dalla Comédie humaine. Fu risucchiato dentro di lei: si inebriò di lei; e abitò in lei come l’ultimo e il più devoto degli inquilini – in quegli spazi di là dalla vita dove poteva soggiornare grazie a una specie di ipnosi sonnambolica». L’universo degli ambienti e dei personaggi esaltati da una specie di «eroica mitomania» che, secondo l’A., costituisce la «prima delle sue doti di creatore» formano negli spazi dell’opera balzachiana un tessuto di metamorfosi e di spostamenti, di straordinari «processi di dilatazione» e di concentrazione che rende palpabile in ogni pagina l’assoluta, sostanziale e ambigua bilateralità della creazione artistica. In questo senso, soltanto Parigi poteva accogliere e nutrire l’intensità di questo «caos di frammenti attraversato dal bagliore e dal presentimento dell’Uno»; quella Parigi, dove si consumano le esistenze, i desideri e i destini dei grandi eroi del mosaico balzachiano: Rastignac, Lucien de Rubempré e, soprattutto, Vautrin, «la più sublime apparizione della Comédie humaine”, “l’immagine simbolica del grande romanziere moderno, che ancora oggi [...] torna a visitarci»[2].

 

 

  Pietro Citati, Lo spettatore fra le nuvole, «la Repubblica», Roma, 30 dicembre 1999.

 

  Su: Marco Lodoli, Fuori dal cinema, 1999.

 

  Se dovessi dare l’idea di Lodoli spettatore, potrei ricordare un modello: Lucien de Rubempré nelle Illusioni perdute di Balzac; quando cominciò a scrivere sui “piccoli giornali” nella Parigi della restaurazione, e inventò una specie di genere letterario – frivolo, capriccioso e brillante. Come Rubempré, Lodoli detesta l’attività del “critico”: gli sembra tediosissima; degna di insopportabili parrucconi.

 

 

  Giacomo B. Contri, Una faccenda molto pratica, in Honoré de Balzac, Il Libro Mistico ... cit., pp. VII-XXII.

 

  Cfr. supra.

 

 

  Rosita Copioli, La cattedrale di monsieur Balzac, «Avvenire. Agorà», Milano, 11 maggio 1999.

 

  La potenza visiva che conferisce unità dinamica al mosaico narrativo de La Comédie humaine e la forza allucinatoria che scandisce i ritmi delle narrazioni conferendo loro «un sapore dolce e amaro irresistibile» costituiscono la forza e la modernità dell’estetica romanzesca di Balzac, di cui l’A. fornisce una convincente analisi critica attraverso l’esame equilibrato e attento di opere esemplari quali La Peau de chagrin e Le Père Goriot.

 

 

  Alessandra Corsini, La mariée et la mal mariée nella «Comédie humaine». Tesi di laurea. Relatore: prof. Alan Freer, Università degli Studi di Pisa, Facoltà di Lingue e letterature straniere, 1999, pp. 173.

 

 

  Elzbieta Cywiak, Sulle orme di Balzac, francese d’Italia, «La Voce repubblicana», Roma, 15-16 Giugno 1999, p. 3.

 

  Una mostra a Roma per celebrare l’autore della “Commedia Umana”.

 

  Dettagliato resoconto delle manifestazioni e di alcuni interventi critici prodotti in occasione delle celebrazioni su “Balzac e l’Italia”: il radicale mutamento di prospettiva sull’Italia e sugli Italiani determinatosi dopo i viaggi compiuti dal romanziere nella penisola tra il 1836 e il 1846 contribuì a svelargli «una realtà ben più complessa rispetto all’evocazione dell’Italia contenuta nei suoi primi lavori», ed è significativo il fatto che, nella Comédie humaine, «dei 2500 personaggi che si incontrano, su 250 stranieri, oltre 100 siano italiani, mentre su 93 tra romanzi e racconti, quelli decisamente italianizzanti sono 12, senza dire delle abbondanti citazioni alla letteratura e all’arte italiane».

 

 

  Antonio Debenedetti, Balzac tra capolavori e misteri, «Corriere della Sera», Milano, 18 maggio 1999, p. 35.

 

  Alcune rapide considerazioni sul ruolo della stampa in alcune opere balzachiane alla luce di due traduzioni italiane (Illusioni perdute; La cugina Bette, Frassinelli) e del saggio di E. R. Curtius (Balzac, Bompiani, 1998).

 

 

  Antonio Debenedetti, In mostra lettere inedite. Balzac in Italia. Amori e veleni, «Corriere della Sera», Milano, 18 giugno 1999, p. 35; 1 ill.

 

  L’accoglienza che il mondo culturale lombardo riservò a Balzac nel periodo di tempo successivo al suo arrivo a Milano il «10 (sic) febbraio 1837» fu pervasa da un’aura di entusiastica curiosità e di sincera ammirazione generalmente condivise almeno fino al momento dell’incontro, assai poco edificante, con Alessandro Manzoni. Notizie e confessioni su quella singolare esperienza milanese e, più in generale, sui rapporti non sempre facili tra lo scrittore francese e gli ambienti intellettuali dell’Italia sua contemporanea sono riferite e ricomposte da Debenedetti sulla base delle testimonianze desunte dagli interventi di pubblicisti importanti, quali Piazza e Cantù, o presenti nella corrispondenza di Caroline Marbouty, compagna di viaggio nel primo soggiorno balzachiano in Italia, a Torino, nel 1836. Nell’articolo, dove avrebbe meritato, a nostro avviso, un’attenzione maggiore la disamina dei giudizi che la critica italiana della prima metà dell’Ottocento ha espresso sulla produzione narrativa dello scrittore, oltre ai soliti consumati riferimenti ai tratti, quasi caricaturali, del suo aspetto fisico o all’eccentricità del suo abbigliamento, trovano spazio le note di elogio nei confronti della mostra e del volume Balzac e l’Italia e, nell’ultima parte, le considerazioni sul rapporto tra Balzac e la madre alla luce delle testimoniane presenti nella corrispondenza, una corrispondenza che, osserva giustamente l’A., «aspetta ancora di venire conosciuta in Italia».

 

 

  Paola Dècina Lombardi, Balzac e l’Italia. Testi di Michel Butor, Pierre Brunel, Giovanni Macchia, Marisa Volpi, Roma, Donzelli editore, 1999 («Saggi Donzelli. Arti e lettere»), pp. 100, 8 tavv.

 

  Struttura dell’opera:

 

  [Interventi di Gianni Borgna, M. Ida Gaeta, Boris Biancheri, pp. III, IV, V;

  Paola Dècina Lombardi, Presentazione, pp. VII-VIII;

  Dedica a Michelangelo Caetani, pp. IX-XII;

  Balzac, mezzo secolo di passione (1799-1850), pp. 1-46, ill.;

  Paola Dècina Lombardi, Balzac e l’Italia. Appunti preliminari, pp. 47-52;

  Giovanni Macchia, Balzac e il romanzo moderno, pp. 53-57;

  Dante e Balzac: dalla Divina Commedia alla Comédie humaine, pp. 58-66;

  Michel Butor, Venezia come Fenice, pp. 67-74;

  Marisa Volpi, Balzac e l’arte, pp. 75-80;

  Paola Dècina Lombardi, Traduzioni di Balzac in Italia, pp. 81-100.

 

  L’occasione offerta dal bicentenario della nascita di Balzac ha rappresentato un momento di particolare fervore celebrativo, soprattutto in Francia, per la personalità umana e letteraria dello scrittore. Anche la cultura italiana ha voluto rendere omaggio all’opera balzachiana attraverso una serie di importanti manifestazioni organizzate con cura e passione da P. Dècina Lombardi e M. I. Gaeta a Roma, dal 3 maggio al 28 giugno 1999: conferenze, dibattiti, la proiezione dell’Eugenia Grandet di Mario Soldati, un concerto rossiniano e le due mostre: Mosaico italiano, che ha proposto all’attenzione dei visitatori circa trecentocinquanta materiali tra manoscritti, edizioni originali della Comédie humaine, traduzioni italiane, studi e documenti sullo scrittore, con particolare riferimento ai suoi viaggi in Italia e alla fortuna della sua produzione letteraria nel nostro paese, e Omaggio a Balzac, un mosaico di otto dipinti di artisti italiani su Balzac e la sua opera (Enrico Baj, Piero Dorazio, Dario Passi, Ruggero Savinio, Nora Kersh, Isabella Ducrot, Giovanna Picciau e Giosetta Foroni).

  Questa pubblicazione può considerarsi la sintesi di questa ricca e feconda messe di apporti critici e di suggestioni artistiche volti a celebrare e a ricostruire le esperienze, le affinità e le alterne fortune che legarono Balzac e la sua opera all’Italia. Tra i documenti più rari presentati alla mostra, merita di essere segnalato con particolare compiacimento il ritrovamento della prima versione manoscritta e autografa della dedica di Les Parents pauvres a Michelangelo Caetani: rispetto alla versione pubblicata da Balzac con l’indicazione agosto-settembre 1846 nell’edizione in volume del romanzo, essa presenta alcune varianti di un certo interesse, come, ad esempio, la citazione del testo Les deux musiciens a cui lo scrittore stava lavorando nell’agosto 1846, il quale sarà successivamente compreso nel Cousin Pons.

 

 

  Paola Dècina Lombardi, Balzac, mezzo secolo di passione (1799-1850), in Balzac e l’Italia ... cit., pp. 1-46.

 

  P. Dècina Lombardi ricostruisce i momenti fondamentali della vita e della carriera letteraria balzachiane, riportando, in traduzione italiana, ampi estratti dalla Correspodance con la sorella Laure e con Madame Hanska: soffermandosi con particolare attenzione sul periodo che, tra il 1836 e il 1846, ha visto protagonista Balzac nelle maggiori città della nostra penisola, l’A. fornisce altresì dettagli importanti sulla sua accoglienza negli ambienti culturali italiani e sui giudizi, non sempre obiettivi e coretti, relativi alla persona e all’opera del romanziere desunti dalla stampa periodica contemporanea.

 

 

  Paola Dècina Lombardi, Balzac e l’Italia. Appunti preliminari, in Balzac e l’Italia ... cit., pp. 47-52.

 

  L’A. esamina l’evoluzione dell’immagine dell’Italia e degli Italiani nelle opere balzachiane posteriori al 1836 rispetto a quelle pubblicate anteriormente (dai Contes drolatiques a La Vendetta, Sarrasine e Les Marana). Degne di nota sono le suggestioni esercitate su Balzac dalle figure di Dante, Raffaello e Rossini, tre esempi del genio artistico italiano che troveranno nei romanzi della Comédie humaine i luoghi di una loro fervente e diffusa celebrazione.

 

 

  Paola Dècina Lombardi, Traduzioni di Balzac in Italia, in Balzac e l’Italia... cit., pp. 81-100.

 

  In questo saggio bibliografico, sono riportate le traduzioni italiane da Balzac pubblicate in volume tra il 1832 e il 1999. Riteniamo che lo sforzo prodotto dall’A. sia senza alcun dubbio da elogiare: le difficoltà insite in ricerche di tal genere appaiono molto spesso insormontabili e piene di insidie. Per queste ragioni, si richiede, per il buon esito dell’impresa, quel rigore necessario a garantire non soltanto l’esaustività delle informazioni prodotte, ma anche la loro corretta e documentata trascrizione. Le opere e gli studi di riferimento citati come fonti in nota (l’utile ma, in molti casi, maldestra bibliografia del Gigli, i Cataloghi di libreria o i diversi Listini editoriali) non sempre si segnalano per la puntualità, la completezza e l’esattezza dei dati riportati, obbligando molto spesso il compilatore ad una estenuante quando indispensabile operazione di controllo e di correzione attraverso un esame diretto degli esemplari.

 

 

  Paola Dècina Lombardi, In Italia: scoperte, gaffes, passioni, «La Stampa-Tuttolibri», Torino, Anno XXIV, 1163, 10 Giugno 1999, p. 3.

 

  Conoscere direttamente l’Italia, cambiò radicalmente la prospettiva e le opinioni di Balzac nei confronti della civiltà italiana: l’A. ricostruisce i momenti fondamentali dei primi viaggi dello scrittore nel nostro Paese, tra il 1836 e il 1838, con particolare attenzione agli episodi che hanno caratterizzato i soggiorni a Milano e a Venezia. Da notare, nella parte centrale e finale dell’articolo, alcune gravi e incomprensibili sviste cronologiche riguardanti, da un lato, l’incontro tra il romanziere francese e Alessandro Manzoni, avvenuto non il 20 marzo (sic), ma il 1° marzo 1837, dall’altro, l’esperienza romana di Balzac con Mme Hanska nel 1846: «L’anno dopo – si legge – nella primavera del 1838 il miraggio di sfruttare le scorie di piombo abbondante in una miniera sarda, di cui ha sentito parlare da un genovese, lo spinge alla «spedizione».

  Passeranno sette anni prima di ritrovarlo, per tre giorni, a Napoli, dove sistema madame Hanska per l’inverno. Si ricongiungeranno a Roma nell’aprile 1838 (sic)».

 

 

  Andrea Del Lungo, Les poissons de Bosch, ou le détail «enflé»: une lecture balzacienne, in Collectif, Le détail. Textes réunis et présentés par Liliane Louvel, Poitiers, La Licorne, 1999 («Hors série-Colloques», 7), pp. 85-102.

 

  La nozione di dettaglio in pittura e in letteratura pone non poche difficoltà di definizione e di interpretazione, in considerazione del fatto che esso, da elemento apparentemente secondario di una più ampia composizione, può assumere a livello percettivo e cognitivo lo statuto simbolico di una “totalità” aperta e in divenire. Nonostante la specifica diversità insita nella forma artistica e nel contesto dell’opera, il modello del dettaglio descrittivo balzachiano è ritenuto da Del Lungo legittimamente confrontabile con quello proprio del celebre trittico di Bosch: La Tentation de Saint-Antoine, in virtù del simbolismo evidente che lo caratterizza «par sa fonction, esthétique et idéologique à la fois, de concentration, par son pouvoir de résumer un univers, voire de le reproduire en petit» (p. 90).

  Il dettaglio, sia esso descrittivo o iconico, tende, in entrambi i casi, ad uscire prepotentemente al di fuori della sua dimensione frammentaria per espandersi ed entrare in un sistema «entièrement composé par des détails, et pour cela “totalitaire”» (p. 86). Non sorprende dunque il fatto che esso assuma in Balzac un’importanza fondamentale nell’economia del suo mosaico letterario e negli spazi del suo immaginario finzionale: è nella seconda parte dello studio che l’A., ricercando ne La Maison du chat-qui-pelote il «détail du détail» (la “mousseline”) che determina il sorgere di «un espace thématique propre au milieu du système des “miroirs concentriques”» (p. 95), traccia la parabola di un elemento descrittivo che, «au début, semble pouvoir résister au réseau sémantique du texte, mais qui, ensuite, s’enfle de signification, tout en s’affirmant en tant qu’image centrale dans le système interprétatif» (p. 101) e all’interno delle dinamiche strutturali e simboliche del testo.

 

 

  Rodolfo Di Giammarco, Il bestiario di Arias è vaudeville, «la Repubblica», Roma, 7 novembre 1999, p. 41.

 

  L’ironico melodramma cui s’affida Arias trae qui spunto non da Balzac come 22 anni fa, bensì dal suo editore Hetzel che ideò ulteriori trame zoomorfiche.

 

 

  Mariella Di Maio, L’Italie romanesque de Balzac, «Quaderni del Dipartimento di Istituzioni politiche e Scienze sociali», Roma, Università degli Studi Roma Tre, n° 1, 1999, pp. 1-22.

 

  Questo studio è stato presentato in occasione del ciclo di conferenze su: “Balzac européen” il 24 febbraio 1999 all’Université de Paris-Sorbonne IV.

  La formazione dell’italianismo di Balzac tra il 1820 e il 1836, di cui l’ampiezza e i multiformi caratteri sono stati oggetto di un fondamentale saggio di R. de Cesare, trova in questo studio di M. Di Maio la sua ulteriore e diligente puntualizzazione storico-letteraria. Inquadrate entro i limiti cronologici che, dal 1820, si estendono sino agli anni immediatamente posteriori ai suoi viaggi in Italia, la genesi e l’evoluzione della “orientation italienne” in Balzac si vedono inscritte all’interno di una variegata serie di canali informativi, di mediatori culturali, da cui lo scrittore ha tratto e tesorizzato i dati, le immagini e i clichés della sua cultura italianistica. Se, nei Romans de jeunesse (come, ad esempio, in Falthurne), è evidente l’influenza del romanzo nero, a partire dal 1830, il mito italiano assume, in alcuni testi della Comédie humaine – da Sarrasine a Albert Savarus – i caratteri di un vero e proprio spazio di frontiera tra il reale e l’immaginario, grazie agli apporti forniti dall’opera hoffmaniana e, soprattutto, dalla funzione catalizzatrice svolta dagli scritti di Stendhal. Se altri autori francesi, come Latouche, Nodier, George Sand, hanno potuto orientare gli interessi di Balzac per la civiltà del nostro Paese, sarà proprio grazie a Stendhal, scrive l’A., che, «l’Italie, comme entité tout à fait ‘différente’, tout à fait ‘autre’, commence à être englobée dans la pensée politique et sociale du romancier» (p. 11). In questo senso, i soggiorni, peraltro tardivi, di Balzac in alcune città della Penisola risponderanno ad esigenze eminentemente artistiche e permetteranno allo scrittore di acquisire una conoscenza diretta e autentica della civiltà italiana, nei suoi aspetti culturali, mondani, artistici e politici, i cui riflessi si riveleranno particolarmente intensi e fecondi in opere importanti, come Massimilla Doni e, soprattutto, il denso articolo sulla Chartreuse de Parme, vera sintesi del mito italiano in Balzac, dove, unendo al mito di Machiavelli il tema dell’esilio, egli «nous montre enfin son explication de l’ ‘âme de l’Italie’» (p. 22).

 

 

  Luca Doninelli, E Balzac incontrò Dante, «il Giornale», Milano, 18 giugno 1999, p. 28; 1 ill.

 

  Scoperta una lettera inedita del romanziere francese.

 

  Le considerazioni presenti in questo interessante intervento di Doninelli non riguardano, come annunciato nel titolo, i rapporti di Balzac con la civiltà italiana e, in particolare, le influenze della Commedia dantesca sulla Comédie humaine. Solamente nella prima parte dell’articolo, l’A. si sofferma infatti sull’importante ritrovamento riguardante l’autografo inedito della dedica a Michelangelo Caetani dei Parents pauvres (1846), nei cui confronti Balzac esprime viva riconoscenza per avergli fatto «comprendre la merveilleuse charpente d’idées sur laquelle le plus grand poète italien a construit son poème, le seul que les modernes puissent opposer à celui d’Homère».

  Alla presentazione di questo prezioso documento, consegnato per la prima volta all’attenzione del pubblico italiano in occasione della mostra curata da P. Dècina Lombardi (“Mosaico italiano”), segue una pungente e giusta requisitoria contro la scarsa attenzione dell’editoria italiana nei confronti dell’opera balzachiana, che resta, per la maggior parte e ad eccezione dei pochi “inflazionati” capolavori, avvolta da una cupa atmosfera di colpevole silenzio, determinato, secondo l’A., dal fatto che «il romanzo non è un genere italiano, e cozza contro il gusto umanista, misurato, della nostra cultura elitaria fin dalla notte dei tempi».

  Di un certo interesse, ci pare, parallelamente, la lunga e puntuale disamina sull’essenza e sulla portata culturale e filosofica, oltre che letteraria, della narrativa balzachiana: se il romanzo ha goduto il privilegio nella letteratura tra Otto e Novecento di alimentare e sostenere un’esigenza di assoluto, per Balzac esso rappresenta la forma attraverso cui si genera e si esplicita l’idea stessa di mondo creato: è l’immagine di un universo nuovo, dove la circolarità del tempo, dello spazio e dei personaggi fanno, della Comédie humaine, il «punto del non-ritorno» del romanzo medesimo visto nella sua accezione di sistema letterario in divenire che, primo fra tutti, Baudelaire (e non Proust, come scrive l’A.) percepì come profondamente segnato dalle sublimi forme e dai colori del sogno e della visione.

 

 

  Un eccelso gastronomo, Ibid.

 

 

  Luca Doninelli, La guerra di Philippe reduce senza destino, «Vita», Roma, Anno 6, N.27, 9 luglio 1999, p. 22.

 

  Con questo articolo di Doninelli, si inaugura una serie di racconti dedicati al tema della guerra e alle sue follie. Analizzando il personaggio del colonnello Bridau, descritto ne La Rabouilleuse, l’A. rileva che Balzac ci presenta «il ritratto perfetto dell’uomo definito da un progetto di potere, e che una volta fallito questo progetto non ha più nulla”: “Brideau (sic) è un uomo senza destino. Le sue azioni e i suoi pensieri, quali che siano, non hanno più alcun peso e lui, a poco a poco, si abitua a questo disumanizzandosi».

 

 

  Giorgio Fanti, Il fine nobile del cavaliere errante Daumier e l’amore per Don Chisciotte, «l’Unità», Roma, 8 novembre 1999.

 

  Come Balzac che l’ha scritta, le incisioni di Daumier raccontano con un ineguagliato sarcasmo la «Commedia umana» dell’Ottocento, l’assestamento borghese dopo la rivoluzione dell’89, le speranze popolari e le disillusioni del ’48 [...].

 

 

  Giuseppe Ferrandino, Honoré de Balzac scrittore e megalomane, «la Repubblica», Roma, 20 maggio 1999, p. 40; 1 ill.

 

  A duecento anni dalla nascita proviamo a immaginare come avrebbe parlato di sé.

 

  «Io ho vissuto il mio tempo con il cuore del conquistatore»: in questi termini potrebbe riassumersi la forza e l’intensità con cui Balzac maturò nel corso dei suoi anni di formazione la sua coscienza di uomo e di scrittore, dipinta finemente in questo articolo da G. Ferrandino attraverso una sorta di “mise en abyme” negli strati più profondi della sensibilità del romanziere. Si tratta infatti di una sorta di testamento spirituale che l’A. immagina essere stato scritto ai posteri da Balzac nell’ultimo anno della sua intensa esistenza, un «affresco della [...] coscienza», appunto, attraverso cui vengono rivissuti con estrema lucidità le tormentate relazioni con la madre negli anni della fanciullezza al Collège de Vendôme e il momento della svolta esistenziale a Parigi, immerso tra le braccia di una città che sarà per lui quasi una seconda madre adottiva: «Parigi si stendeva dinanzi ai miei piedi come la dama che nei lunghi anni di prigionia al collegio avevo lentamente, faticosamente, pezzo dopo pezzo, piede dopo naso, cuore dopo anima, messa insieme. E se mai avessi avuto qualche dubbio sull’innaturale, sovrumano fuoco che mi divorava i visceri, in quel momento esso apparve per ciò che era: il buco aperto nella coscienza che da sempre dall’uomo superiore distingue il genio».

 

 

  Letizia Ferrari, Le strutture del desiderio nel romanzo di H. de Balzac “La Fille aux yeux d’or”. Tesi di laurea. Relatore: Prof.ssa Maria Bertini; correlatore: Prof.ssa Patrizia Oppici, Università degli Studi di Parma, Facoltà di Lettere e Filosofia, Laurea in Lingue e letterature straniere moderne, Anno accademico 1998-1999.

 

 

  Rosario Ferré, La casa della laguna. Romanzo, Roma, Fazi Editore, 1999.

 

  p. 107. C’era un pianoforte Pleyel verticale e una ricca biblioteca, con i romanzi di Balzac e di George Sand in belle edizioni dalla copertina di cuoio.

 

 

  Ernesto Ferrero, L’Antagonista: «spalla» con Omero, la pazzia per Flaubert, oggi è Hannibal, «La Stampa-Tuttolibri», Torino, Anno XXIV, 1164, 17 giugno 1999.

 

  Nel cammino millenario che, da Omero giunge sino al Silenzio degli innocenti di Harris, i tratti ed i ruoli dell’Antagonista assumono, nella letteratura dell’Ottocento, una connotazione specifica: essa, infatti, secondo l’A., «racconta uno scontro di appetiti (amore, possesso, ambizione) così semplici che lo stesso Balzac sognava di fare con la sua commedia quello che Buffon aveva fatto classificando le specie animali».

 

 

  Silvia Fiori, Il giovane in Balzac: famiglia, amore e denaro. Tesi di laurea. Relatore: Prof.ssa Tiziana Goruppi; correlatore: prof. Alan Freer, Università degli Studi di Pisa, Facoltà di Lingue e letterature straniere, 1999, pp. 173.

 

 

  Cecilia Fontanesi, “Modeste Mignon”: lettura di un romanzo di Honoré de Balzac. Tesi di laurea. Relatore: Prof.ssa Maria Bertini; correlatore: Prof.ssa Patrizia Oppici, Università degli Studi di Parma, Facoltà di Lettere e Filosofia, Laurea in Lingue e letterature straniere moderne, Anno accademico 1998-1999.

 

 

  Francesco Licinio Galati (a cura di), Honoré de Balzac. Papà Goriot, «Famiglia cristiana», Milano, Anno LXIX, N. 33, 22 agosto 1999, p. 83.

 

  Annunciando l’uscita, con il n. 34 di «Famiglia cristiana», di Papà Goriot, l’A. riflette brevemente sulla complessità dell’universo dei personaggi e delle vicende narrate nel romanzo: un mondo, di cui lo scrittore «vuole denunciare il male sconfinato e di cui, vittima egli stesso, traccia un affresco impietoso nell’intento di affrancarsi, mediante la creazione artistica, dalle catene che lo tengono prigioniero». L’analisi dei drammi consumati dai protagonisti dell’opera e il trafiletto di destra in cui sono raccolti alcuni giudizi critici sul romanziere (Dostoevskij, Macchia, Guaraldo, Dècina Lombardi) completano questa pagina balzachiana.

 

 

  Fabio Gambaro, Un romanzo scritto “alla Balzac”, «la Repubblica», Roma, 20 aprile 1999, p. 44.

 

  Recensione favorevole del romanzo La battaglia di Rambaud, ispirato, come già segnalato in precedenza, ad un’idea che ossessionò Balzac almeno fino alla compilazione del Catalogue del 1845, in cui l’opera in questione è vista ancora come parte integrante della Comédie humaine.

 

 

  Fabio Gambaro, Giro del mondo. Parigi, «L’Espresso», Roma, Anno XLIV, N. 32, 22 luglio 1999.

 

  Sintetica ma efficace analisi dello studio che Cl. Bremond e Th. Pavel dedicano a Roland Barthes lettore di Sarrasine (De Barthes à Balzac, Paris, A. Michel, 1999) e ai suoi infruttuosi tentativi di «ricondurre a una teoria normativa la ricchezza dell’opera balzachiana».

 

 

  Nico Garrone, A Chabert manca il Maestro, «la Repubblica», Roma, 27 febbraio 1999.

 

  “Et voilà ... fate il vostro gioco”, recitava all’inizio dando le carte un poco affidabile croupier. Uscito dai Sentieri d’Ascolto, si replica alla Comunità “Il colonnello Chabert” che il gruppo Dinamo T. ha tratto da Balzac. Tutti passati attraverso laboratori e spettacoli di Vasil’ev, gli attori dell’ensemble praticano il metodo del Maestro, basato su scomposizione del testo e improvvisazioni. Nel caso di Chabert, figlio adottivo di Napoleone dato per morto che si rifà vivo con la moglie ma viene respinto, l’azzardo si gioca su due tavoli: la ricerca di verità del personaggio e dell’attore. Ma non sempre i poli s’incontrano. Si avverte la mancanza dell’occhio esterno del Maestro, o, comunque, di un regista. Giovanni Guardiano (Chabert) esaspera una smorfia di sorridente fissità, legnoso l’Avvocato di Daniele Nuccetelli, troppo atteggiato Maurizio Lucà (Delbecq), di convincente ambiguità la “vedova Chabert” Sandrine Laroche.

 

 

  Théophile Gautier, Il ritratto, «Prealpina», Varese, 3 Marzo 1999, p. 26.

 

  È riportato un breve passo tratto da La Vita di Balzac.

 

 

  Gigi Giacobbe, Torna la gattina innamorata, «Centonove», Messina, 5 novembre 1999, p. 32.

 

  Ventidue anni di distanza il regista argentino Alfredo Arias torna in Sicilia. La prima volta fu per presentare al Teatro greco di Taormina Peines de coeur d’une chatte anglaise, liberamente ricavato da un racconto di Honoré de Balzac; adesso per rappresentare al Politeama di Palermo, all’interno del Festival del Novecento, Peines de coeur d’une chatte française, scritto da tale Hertzel (sic) con lo pseudonimo di P.J. Stahl, editore dell’edizione balzacchiana e rivisitato dallo stesso Arias assieme a René de Ceccatty. [...].

  Nel ricordo di dii scrive, risultava più intrigante la trama del racconto di Balzac. incentrata su una gatta di nome Beauty che andata sposa ad un vecchio lord, forse affascinata dal bel mondo, ne rimaneva delusa per aver scoperto che il marito era impotente. Segue rincontro con Brisquet, un gatto randagio e sognatore, chiaramente cederà alle sue profferte amorose e si trasformerà in una sorta di proto-femminista tutta dedita alla liberazione femminile. Entra in gioco il nipote del lord e un po’ per difendere il suo onore e un po’ per essere stato respinto da quella gattina, ucciderà Brisquet facendo poi passare quella morte come suicido.

  La storia si chiude con Beauty tutta impegnata a scrivere le sue memorie incentrate sul riscatto delle donne perché scelgano infine la libertà.

  Nel lavoro di Stahl si racconta invece d’una gatta francese chiamata Minette, che dopo aver litigato con la sorella. abbandona la madre e la sua casa in cerca di migliore fortuna. Incontrerà il gallone-poeta Brisquet (ancora lui), se ne innamorerà e verrà ripagata con l’infedeltà. Infatti Brisquet la tradisce con una gatta cinese, una ballerina di passaggio a Parigi e s’invaghisce al punto d’uccidere il direttore del teatro dove la cinesina si esibisce. Qui il racconto si fa stiracchiato. Brisquet per sfuggire alla polizia va a trovare nientemeno che lo stesso Balzac, reso qui evidente dall’ombra della sua sagoma, pregandolo di scrivergli una storia che finisca con la sua morte. Ed ecco appunto Peines de coeur pour una chatte anglaise e con un finale dolce e mieloso con il ritorno a casa di Minette, un po’ arrabbiata, un po’ pentita, ma tutto sommato saggiamente felice accanto al suo coniglio Victor che le vuole bene.

  La novità della regia di Arias è stata quella di presentare “la commedia umana" di Balzac con le maschere del mondo animale, la prima volta ricavandole dai disegni caricaturali di Grandville, qui trovando in Erhard Stiefel il riproduttore fedele di quelle creature antropomorfe, con gli stessi sentimenti dell’uomo. [...].

 

 

  Grazia Giordani, Balzac, una fortuna sempre crescente, «L’Arena», Verona, 4 Maggio 1999, p. 7; 1 ill.

 

  L’articolo si presenta equilibrato e non privo di interessanti considerazioni critiche sul rilievo storico-letterario di alcuni capolavori della Comédie humaine, collocati, dall’A., nel contesto più ampio dell’ideologia e della poetica narrativa dello scrittore. Apprezzabile inoltre è il tentativo di messa a punto riguardante la ricezione critica di Balzac con un accenno, sommario ma pur sempre opportuno, agli apporti della cultura italiana. Ci sentiamo tuttavia di esprimere qualche riserva in riferimento al punto in cui Giordani sottolinea, forse con eccessiva sicurezza, l’irreperibilità di talune opere balzachiane in Italia (è citata, ad esempio, La Physiologie du mariage) e di contestare l’inesattezza riguardante il soggiorno del romanziere a Torino, compiuto, secondo l’A., in compagnia della duchessa d’Abrantès.

 

  Mostra e incontri a Roma sui suoi rapporti con l’Italia, Ibid.

 

 

  Enrico Groppali, Fiabe di Francia, «Specchio della Stampa», Torino, Numero 183, 24 luglio 1999, pp. 70-83; ill.

 

  Chambord, si legge, «inalbera con orgoglio il salon fiammeggiante di rossi e di ori scelto dal Re Sole per «le sue galanterie notturne» come scrisse Balzac a madame Hanska» (p. 74).

 

 

  Simonetta Guidi, L’aspetto melodrammatico nell’opera di Balzac. Tesi di Laurea. Relatore: Prof.ssa Alessandra Pecchioli Temperani, Firenze, Università degli Studi, Facoltà di Scienze della formazione, Corso di Laurea in Lingue e letterature straniere, Anno accademico 1998-1999.

 

 

  Agnese Guzzoni, Londra e Parigi, due città, due mondi: Dickens e Balzac. Tesi di laurea. Relatore: Prof.ssa Maria Teresa Bindella, Verona, Università degli Studi, Facoltà di Lingue e letterature straniere, Anno accademico 1998-1999.

 

 

  T.[ullio] K.[ezich], Se un regista vuole insegnare l’arte del racconto a Balzac, «Corriere della Sera», Milano, 24 Luglio 1999, p. 32.

 

  Severa recensione del recente adattamento cinematografico de La cousine Bette balzachiana: lontana da quel rispetto e da quella devozione che in altri tempi presiedevano ad operazioni di tal genere (è il caso, preso a modello dall’A., dell’ “Eugenia Grandet” di Mario Soldati), l’opera risulta essere, «come proposta di rilettura di un classico [...], imbarazzante, al punto di suggerire la fatica di McAnuff come testo di riferimento in un corso universitario che intenda fare il punto sui rapporti (più spesso cattivi che buoni) del cinema con la grande letteratura».

 

 

  F. L., La cugina Bette, «Film TV», Milano, 27 luglio 1999.

 

  Il peccato originale del film “La Cugina Bette” “sta nel non aver assecondato il particolare realismo balzachiano, trasformandolo in un’insipida macchietta”. Unica eccezione, l’interpretazione dell’attore Bob Hoskins nei panni del sindaco di Parigi.

 

 

  Idolina. Landolfi, Il Napoleone perso da Balzac, «l’Unità-Libri», Roma, 15 marzo 1999, p. 5.

 

  «L’Autore si propone di farci godere di un libro che il signor Balzac si è dimenticato di scrivere», informa Volterrani nella sua «Nota del traduttore»: questa la finzione su cui si basa l’ultimo romanzo di Rambaud, giornalista e scrittore dalla forte vena satirica, specializzato in parodie di scritture illustri, come quella della Duras, ad esempio. Ed effettivamente Balzac aveva intenzione di occuparsi di questa meno nota battaglia napoleonica, svoltasi a Essling, alla periferia di Vienna, nel maggio del 1809, quando l’imperatore fu attaccato dagli austriaci mentre cercava di attraversare il Danubio per accerchiarli. Romanzo storico con tutti i crismi, questo di Rambaud (gli è valso il premio Goncourt), sulla scia di papà Balzac, che lo aveva annunciato a M.me Hanska come un quadro straordinariamente vivo del campo di battaglia.

 

 

  Stefano Lanuzza, Raffinati e dandies, in Vita da Dandy. Gli antisnob nella società, nella storia, nella letteratura, Viterbo, Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri, 1999 («Fiabesca», 55), pp. 42-44.

 

  In questo breve capitolo della più ampia ricerca condotta da Lanuzza sulle categorie e sulle forme del dandismo in due secoli di storia letteraria e sociale, è presente un rapido riferimento al raffiné Balzac e ai personaggi della sua opera che, secondo l’A., restano «perfetti modelli dell’ottocentesco dandismo metropolitano» (p. 43).

 

 

  Mario Lavagetto, Prigionieri di un ipnotico narratore, «Il Sole 24 Ore. Domenica», Milano, N. 98, 11 aprile 1999, p. 29.

 

  Duecento anni fa nasceva Balzac, autore della «Comédie Humaine», una «cattedrale incompiuta» che nella lettura di Michel Butor appare come luogo di enigmatici collegamenti da scoprire con cautela.

 

  Esiste ancora oggi un lettore – si chiede Lavagetto proprio in conclusione di questo suo intervento – capace di disporre del tempo necessario e degli spazi di solitudine e di silenzio tanto ampi «quanto quelli che sono necessari alla lettura e alla rivisitazione» di quelle immense cattedrali incompiute da cui si erge splendidamente La Comédie humaine? Il problema non è certo di facili e di prevedibili soluzioni, anche perché Balzac, proprio nei confronti della sua opera, non poneva a se stesso alcun limite, neppure quello dell’incompiutezza. La nuova rilettura che, dei testi balzachiani, ha prodotto Michel Butor nelle sue Improvisations sur Balzac (Paris, Albin Michel, 1998) rappresenta, secondo l’A., lo strumento ermeneutico e metodologico esemplare per penetrare nei molteplici ed enigmatici meccanismi di quel sistema architettonico, estetico ed ideologico che è la Comédie balzachiana. Il mondo edificato da Balzac, «nel cui interno è possibile riconoscere una «quantità di regioni diverse che rimandano le une alle altre, che rispondono le une alle altre, che sono le une per le altre dei linguaggi decifrabili» e che fanno della realtà nel suo insieme «un testo tessuto di linguaggi», pone esplicitamente al lettore il problema di «cooperare con questa gigantesca macchina narrativa fornendole l’energia indispensabile al suo funzionamento». E chi intende misurarsi con l’opera di Balzac possiede, come Butor, il privilegio di penetrare nelle realtà e negli spazi anche più nascosti dell’opera senza dover rispettare l’ordine imposto dallo scrittore: di coniugare, in altri termini, il grande piacere del flâneur con gli obblighi e il rigore del lettore di sistema.

 

 

  Valentina Leovino, Cravatta-mania. L’hanno voluta tutti, dal militare al dandy, «Uomini & storie», Segrate, Anno II, N. 3, Gennaio 1999, pp. 20-25.

 

  L’A. esamina la presenza e l’evoluzione dei valori assunti da questo «vezzo quasi esclusivamente maschile» (p. 25) negli ultimi tre secoli: tra i letterati che hanno celebrato a vario titolo il prestigio della cravatta, figura anche Balzac, di cui viene riportato, a p. 24, un passo tratto dalla Physiologie de la Toilette del 1830.

 

 

  Emmanuel Le Roy Ladurie, In quel diluvio di parole scorre la storia. Traduzione di Marie-Emmanuelle Lauwers, «Il Giorno», Milano; «il Resto del Carlino», Bologna; «La Nazione», Firenze, 16 aprile 1999.

 

  In che misura Balzac fu il portavoce dei mutamenti del proprio tempo, di un’epoca fondata ancora sulla rigida gerarchia degli ordini sociali ereditata da un antico regime ancora così vivo e storicamente determinante? Balzac, osserva l’A., «sarebbe forse a suo agio solo nel prosperoso rinascimento del suo paese della Loira del XVI secolo»: «pittore geniale di uno stupido XIX secolo», egli «nutriva verso la sua epoca ciò che la pedanteria contemporanea chiamerà volentieri una «love-hate relationship». Cioè odio-amore».

 

 

  Alessandra Levantesi, La Shue tra gli intrighi di Balzac, «La Stampa»», Torino, 18 luglio 1999.

 

  Severa stroncatura della versione cinematografica de La Cousine Bette, un film, secondo l’A., «troppo elitario per una vasta platea; e al tempo stesso non abbastanza rigoroso da soddisfare gli spettatori sofisticati».

 

 

 György Lukács, Saggio di una tipologia della forma del romanzo, in Teoria del romanzo, a cura di Giuseppe Raciti, Milano, SE, 1999 («Saggi e documenti del Novecento», 79), pp. 87-146.

 

  Nel capitolo primo di questa densa sezione consacrata all’analisi delle tipologie, e delle deformazioni, storiche ed estetiche relative alle diverse forme del romanzo, è presente, alle pagine 100-102, una disamina dei significati propri del sistema narrativo balzachiano che merita di essere riportata integralmente:

  «Balzac seguì una via completamente diversa per giungere all’immanenza tipica dell’epica. Quanto si è indicato qui come carattere soggettivo e psicologico del demonismo è per lui un puro e semplice punto d’approdo: è il principio sotteso a tutte le azioni essenziali dell’uomo che si obiettivizzano in gesta epiche. L’inadeguatezza del suo rapporto al mondo oggettivo ha raggiunto la massima intensità, ma questa intensificazione sperimenta un contraccolpo puramente immanente: il mondo esterno è un mondo completamente umanizzato, un mondo popolato essenzialmente di uomini, i quali – sia pure con tendenze e contenuti affatto diversi – presentano un’analoga struttura spirituale. Questa caratteristica inadeguatezza del demonismo, questo operare a vuoto delle anime sotto il peso del destino, viene dunque a formare l’essenza della realtà; ne deriva quel viluppo oscuro e singolare, che mescola e confonde le anime solitarie ai loro destini e che rappresenta il tratto caratteristico di questi romanzi. Questa omogeneità paradossale della materia, frutto dell’estrema eterogeneità dei suoi elementi, è ciò che assicura la salvezza dell’immanenza del senso. Il pericolo di una cattiva, astratta infinità viene revocato mediante la densa concentrazione di avvenimenti messa in atto dalla forma della novella, la quale attinge con ciò un autentico valore epico.

  Si riscontra questa vittoria definitiva della forma in ogni singolo racconto, ma non nell’insieme della Comédie humaine. Vero è che il presupposto è sotto i nostri occhi: la grandiosa unità di una materia onnicomprensiva. Inoltre, il continuo apparire e scomparire delle figure nel caos infinito di questi racconti non solo ha il potere di mettere in atto tale unità, ma rinviene altresì una modalità di apparenza perfettamente commisurata all’intima essenza di questa materia: la modalità dell’irrazionalità caotica, ovvero demoniaca; e il sostanziale adempimento di questa unità è quello stesso dell’autentica, grande epica: la totalità di un mondo. Ma in ultima analisi questa unità non è semplicemente figlia della forma: ciò che realmente rende il tutto un tutto è solo l’immediato conformarsi agli stati d’animo di un comune fondamento vitale: la coscienza che questa immediatezza vissuta viene a coincidere con l’essenza della vita odierna. E tuttavia solo il singolo elemento è figurabile epicamente, mentre il tutto è frutto di mera combinazione. Quella cattiva infinità, che era stata superata in ogni singola parte, si volge contro il tutto concepito come figurazione epica unitaria: la sua totalità riposa su princìpi che trascendono la forma epica, poggia su impressioni e conoscenze, non sull’azione e sull’eroe, sicché essa non può pretendere alla perfezione e alla intrinseca compiutezza. Considerata dal punto di vista del tutto, nessuna parte mostra un’effettiva, organica necessità di esistere; così, se una di esse venisse a mancare, il tutto non ne risentirebbe affatto; nuove parti potrebbero affluire innumerevoli, ma non vi sarebbe alcuna interna compiutezza a respingerle come superflue. Questa totalità è il presentimento di una coesione vitale che si avverte come un grande sfondo lirico posto dietro ogni singolo racconto; ma tale sfondo non è stato acquisito, come nei grandi romanzi, a prezzo di controversie impegnative e problematiche, giacché la sua natura – che trascende liricamente l’elemento epico – è ingenua e aproblematica; e ciò che rivela l’insufficienza di questo sfondo rispetto alla totalità del romanzo, lo renderà ancor meno idoneo a plasmare il suo mondo sul modello di un’epopea».

 

 

  Katia Lysy, Postfazione, in Honoré de Balzac, La cugina Bette ... cit., pp. 507-520.

 

  Cfr. supra.

 

 

  Giovanni Macchia, Balzac, o un personaggio per morire, in Scrittori al tramonto. Saggi e frammenti autobiografici, Milano, Adelphi edizioni, 1999, pp. 31-36.

 

  I destini di Balzac e di Mme Hanska paiono essere attraversati e determinati, nello spazio di pochi anni, dall’intrecciarsi di singolari e dolorosi drammi epistolari: gli orrori e le miserie degli ultimi momenti della vita dello scrittore e lo spietato ritratto di Eve Hanska dipinto da Macchia alla luce della sua corrispondenza amorosa con Champfleury costituiscono soltanto alcune delle suggestive scene che, con emozione e trasporto, avvolgono il lettore in un’atmosfera di rara e profonda intensità critica ed espressiva.

 

  Cfr. 1990.

 

 

  Giovanni Macchia, Balzac e il romanzo moderno, in P. Dècina Lombardi, Balzac e l’Italia ... cit., pp. 53-57.

 

  Con il titolo Balzac e il romanzo moderno, vengono pubblicati alcuni stralci dell’ampio studio che G. Macchia dedicò alla poetica del romanzo balzachiano nel 1967 («Strumenti critici», n. 2). Il fascino dell’opera di Balzac risiede, secondo il critico, nella sua immutata modernità: «addentrarci, sostare, sperderci nel gran labirinto della Commedia Umana non è esercizio che ancor oggi possa deludere o condurre ad operazioni sbagliate» (p. 57). Il rifiuto del romanzo-capolavoro “manzoniano” e il ritorno dei personaggi sono, a suo giudizio, i principi fondamentali della concezione del romanzo in Balzac che, nel ciclo della Comédie humaine, dove ogni frammento narrativo è parte di un tutto in perenne movimento, determinano l’affermarsi di una letteratura «dell’estensione e della profondità» (p. 54).

 

 

  Giovanni Marchi, «Pittore» della vita quotidiana nella Francia dell’Ottocento, «L’Osservatore romano», Città del Vaticano-Roma, 28 Agosto 1999, p. 3; 1 ill.

 

  Romantico, «per il dono insuperabile di far rivivere i personaggi e gli ambienti»; realista, «per la pittura minuziosa della realtà»; visionario del reale, «per il mistero in cui ha saputo immergere tanti avvenimenti», Balzac è ormai riconosciuto come uno tra i grandi maestri della letteratura moderna. G. Marchi traccia, in questo articolo, un quadro organico e pertinente della personalità artistica dello scrittore, soffermandosi particolarmente su alcuni dei principî-cardine della sua poetica letteraria: la teoria della “spécialité”, la ricomposizione, secondo precise esigenze estetico-programmatiche, degli assunti e dei metodi delle scienze naturali e delle dottrine mistiche, la tecnica del ritorno dei personaggi fondano e sostengono insieme un vero e proprio sistema narrativo teso a valorizzare la peculiarità e la dinamicità dei singoli frammenti (siano essi i testi finzionali o l’universo dei personaggi) secondo i criteri di una logica progettuale che tutto abbraccia ma che nulla sacrifica. Opportuni ci paiono i riferimenti dell’A. ai diversi aspetti dell’opera di Balzac considerati e, in taluni casi, valorizzati dalla critica moderna, mentre ci spiace dover sottolineare l’errore, non certo trascurabile, relativo alla data di morte dello scrittore che, a quanto si legge, sarebbe avvenuta il 18 agosto 1849 (sic).

 

 

  Giovanni Mariotti, Balzac e Pasternack, amori per posta, «Corriere della Sera», Milano, 24 gennaio 1999.

 

  Breve nota sugli affascinanti orizzonti aperti, per la scrittura confidenziale, dallo scambio epistolare via e-mail, con un riferimento letterario a Balzac e alla sua corrispondenza con Mme Hanska.

 

 

  Giampaolo Martelli, E la battaglia di Essling diventa un romanzo, «il Giornale», Milano, 20 gennaio 1999, p. 30.

 

  Equilibrata recensione del romanzo di Rambaud, la cui fonte si ritrova nel progetto balzachiano legato alla rappresentazione dei «meravigliosi orrori» della battaglia di Essling, ma da cui Rambaud si discosta sensibilmente per aver inserito nell’economia della sua opera la figura del giovane Henry Beyle, vicecommissario di guerra a Vienna.

 

 

  Sergio Marzorati, Un’eterna commedia firmata Balzac, «La Provincia», Como, 1 settembre 1999, p. 31; ill.

 

  Duecento anni fa nasceva lo straordinario e spietato indagatore della società francese di metà Ottocento.

 

  In questo intervento, Marzorati riflette sulle forme dell’universo narrativo balzachiano, la cui complessità tematica, ideologica e filosofica determina e rinnova la sua straordinaria modernità. Profondo conoscitore della sua epoca, Balzac fu allo stesso tempo maestro nel gettare luce sulle più oscure e recondite pieghe della psicologia umana e seppe trasferire nei personaggi e negli ambienti della sua opera «una carica d’arte e di umanità da avvincere il lettore più esigente».

  Nella parte finale dell’articolo, sono presenti alcune considerazioni sui viaggi compiuti dal romanziere in Italia con particolare riferimento all’esperienza milanese del 1837: a proposito dell’incontro con Manzoni, non fu, come leggiamo, Chiarina Maffei a presentare Balzac allo scrittore italiano, bensì il comune amico Felice Carron de Saint-Thomas.

 

 

  Fernando Mazzocca, Daumier faceva sul serio, «Il Sole 24 ore-Domenica», Milano, N. 345, 19 Dicembre 1999, p. 39.

 

  L’A. riferisce dell’importante antologia di pitture, sculture, litografie e disegni prodotti da Honoré Daumier ed esposti alle Galeries Nationale du Grand Palais di Parigi: testimoni e osservatori profondi dei mutamenti del proprio tempo, Balzac e Daumier, le cui vicende biografie si intrecciarono all’epoca de «La Caricature», «ebbero la stessa genialità di lasciarci opere immortali, l’uno in pagine pubblicate giorno per giorno nelle appendici dei giornali, l’altro in immagini composte velocemente, con la rapidità consentita dalla tecnica litografica, all’incalzare degli eventi che dovevano essere rappresentati e interpretati».

 

 

  Guido Mazzoni, L’origine del romanzo, «Moderna», Pisa-Roma, Anno I, N. 1, 1999, pp. 27-65.

 

 

  Cesare Medail, «Engels sbagliava, Balzac non c’entra con Marx», «Corriere della Sera», Milano, 9 aprile 1999, p. 35; 1 ill.

 

  Balzac primo scrittore marxista? È questa la tesi, formulata da Engels e ribadita da Lukács, che Alain Krivine, leader della Lega comunista rivoluzionaria francese, contesta e respinge in un articolo pubblicato nell’inserto letterario de «Le Figaro»: gli assunti più suggestivi delle tesi sostenute da Krivine sono ripresi e per larga parte opportunamente riportati in traduzione italiana da Medail in questo suo breve ma efficace intervento.

 

 

  Giuseppe Merlino, Il gigante Balzac e le donne della sua vita, «Il Mattino», Napoli, 4 agosto 1999, p. 11; 1 ill.

 

  “Due secoli fa nasceva «il Napoleone delle lettere». La sua biografia è un intreccio travolgente di amori delusi di affari falliti e di capolavori riusciti. Specialista del mondo muliebre, lo raccontò partendo dal debutto delle fanciulle in società, al matrimonio, all’adulterio, alla decrepita vecchiezza”.

 

  L’A. fornisce un contributo critico sulle forme, sui significati e sul rilievo dell’elemento femminile nella produzione narrativa balzachiana: se la vita di Balzac, osserva Merlino, «è un continuo sommovimento erotico, galante e amoroso», e se «l’oggetto che Balzac studia e romanza per tutta la vita è il «mondo» - nel duplice senso di realtà storica e profana e in quella di scena mondana, bel mondo o gran mondo, - allora le donne, vere registe e legislatrici del mondo, sono un elemento essenziale della Comédie Humaine». A partire dalla Physiologie du mariage del 1829 – la «grande tela di fondo di molti romanzi «femminili» di Balzac», e attraverso testi fondamentali, quali, ad esempio, La Femme de trente ans, Mémoires de deux jeunes mariées e Une Fille d’Eve, emerge un elemento particolarmente significativo della poetica narrativa dell’autore: il fatto, cioè, che «la storia delle donne, in Balzac, è legata a fil doppio con la storia politica ed economica». Da questo punto di vista, è attraverso il modello della femme comme il faut, così abilmente dipinto in Autre étude de femme, che l’artificiosità del connubio tra gli elementi borghesi e gli antichi modi aristocratici trova la sua emblematica denuncia, in quanto simbolo di una «civiltà della copia, della replica e dell’imitazione», tipica della civiltà borghese.

 

 

  Pierfrancesco Minsenti, Postfazione, in Honoré de Balzac, Illusioni perdute ... cit., pp. 781-812.

 

  Cfr. supra.

 

 

  Antonio Moresco, Il vulcano. Scritti critici e visionari, Torino, Bollati Boringhieri, 1999 («Variantine»), pp. 153.

 

  In una delle Pagine di diario che formano la seconda parte di questo colorito volumetto di esercizi critici, merita di essere segnalata una riflessione su Balzac che trascriviamo integralmente: «Tutta l’estate in balia di Balzac. Letti e riletti diversi suoi libri, in un ritorno di fiamma per questo scrittore grande tra i grandi che ciclicamente mi prende con sempre più forza e commozione ed entusiasmo.

  Rileggendo Splendori e miserie delle cortigiane mi appariva sempre più evidente il debito, la filiazione diretta che lega molti altri scrittori a questo scrittore che, nonostante tutto, non è amato e considerato quanto meriterebbe» (pp. 67-68). Ad esempio: Hugo, Flaubert, Dostoevskij, Proust, Simenon.

 

 

  Franco Moretti, La prosa del mondo, in Il romanzo di formazione, Torino, Giulio Einaudi editore, 1999 («Biblioteca Einaudi», 52), pp. 142-200.

 

  Ne La prosa del mondo, capitolo centrale dello studio che F. Moretti dedica alle forme e ai significati del romanzo di formazione inteso come «“forma simbolica” della modernità» (p. 5) – di cui il presente volume costituisce la nuova e accresciuta edizione del testo pubblicato da Garzanti nel 1986, l’attenzione del critico si concentra quasi esclusivamente su Illusions perdues, il romanzo della vita di Balzac, non a caso definito dallo stesso autore, in una lettera a Mme Hanska del 2 marzo 1843, «l’oeuvre capitale dans l’oeuvre».

  In una società, quella parigina, dove si determinano e si amplificano forze e valori che hanno come unico fondamento la profonda instabilità (e la perenne mobilità) delle relazioni che li sostengono, l’eroe balzachiano trova davanti a sé spazi e orizzonti illimitati per «diventare “qualsiasi cosa”» (p. 144), per costruire se stesso ed affermare il proprio successo attraverso la fulminea realizzazione delle proprie (presunte) qualità e dei propri desideri. Da questo punto di vista, la chiave dell’improvvisa e fugace fortuna di Lucien de Rubempré risiede tutta nella duttilità delle forme attraverso cui egli riesce ad amalgamarsi perfettamente con la realtà sociale che lo circonda: effimera quanto un articolo di moda, la parabola esistenziale di Lucien, emblematica figura di desiderio e simbolo del secolo, «scoperto, lanciato sul mercato, trionfante, logoro, gettato via», gli impedirà di «costituirsi come entità permanente», condannandolo a non esistere come persona, a «non poter mai essere “se stesso”» (p. 147). La metafora della moda - così avulsa e distante dalla natura, dalla visione delle cose e dal loro punto di vista sulla storia, su cui si fonda il discorso narrativo, di un Vautrin o di un Gobseck – intorno a cui ruotano le immagini e le concezioni balzachiane del nuovo ordine socio-economico apre, per Illusions perdues e per l’intera Comédie humaine, una nuova, suggestiva prospettiva storico-ideologica a breve periodo, in cui si trovano riuniti e condensati i «tratti tumultuosi – la narratività – del primo capitalismo»: grazie alla griglia della moda, che rende concretamente visibile e rappresentabile la dinamica dei nuovi rapporti, Balzac, puntualizza l’A., «può concepire una totalità sociologica in sé completa» (p. 160), dove non è l’eroe, ma il mondo a produrre e a determinare i meccanismi stessi della narrazione. In altri termini, se «il romanzo di Lucien non esisterebbe a prescindere dal reticolo entro cui si muove» (p. 175), sono proprio le medesime grandi forze sociali del mondo balzachiano a produrre la trama, e «ciò che appare in primo piano non è altro che la risultante, spesso inconsapevole, del loro movimento» (p. 174). Balzac ha dunque il merito di mostrarci come la straordinaria eterogeneità del reale possa essere subordinata alle forme, aperte e dinamiche, della narrazione, visto che, nella Comédie humaine, «la volontà classificatoria – istituire dei paradigmi – ha ceduto il passo al fascino che emana da una catena ininterrotta e indistricabile di sintagmi» (p. 175).

 

  Cfr. 1986.

 

 

  Ulderico Munzi, Balzac a Tours. Dipingere? E’ come scrivere, «Corriere della Sera», Milano, 7 giugno 1999, p. 29.

 

  Breve nota sui rapporti di Balzac con la pittura alla luce dell’importante mostra (“Balzac et la peinture”) allestita al Musée des Beaux-Arts di Tours dal maggio all’agosto 1999.

 

 

  Francesca Nerozzi, La figura di Vautrin nell’opera di Balzac. Tesi di laurea. Relatore: Prof.ssa Franca Zanelli Quarantini, Università degli Studi di Bologna, Facoltà di Lingue e letterature straniere. Data di assegnazione: 1999.

 

 

  Susanna Nirenstein, Napoleone bestseller, «la Repubblica», Roma, 27 gennaio 1999, p. 37.

 

  Questa lunga intervista a Max Gallo si chiude con questa battuta: “Balzac popola i suoi romanzi di excombattenti di Napoleone che ricordano quei momenti”. «Balzac – replica Gallo –, Hugo, Stendhal, Chateaubriand. Goethe, Tolstoj, Manzoni ... Quasi nessuno ha potuto fare a meno di scrivere di lui».

 

 

  Jean d’Ormesson, Balzac, l’infaticabile poeta del reale. Traduzione di Marie-Emmanuelle Lauwers, «Il Giorno», Milano; «il Resto del Carlino», Bologna; «La Nazione», Firenze, 16 aprile 1999, p. 21; 2 ill.

 

  Grande lavoratore, osservatore prodigioso, ma soprattutto maestro dell’immaginazione: «Se parlava di un pranzo, lo mangiava raccontando».

 

  L’A. riflette sulla portata storico-culturale dell’opera di Balzac. Se il romanzo balzachiano è definito, in modo assai poco originale, come “un’opera di dimensioni imponenti, che ha richiesto molto impegno”, sostenuta da quell’idea meravigliosa che è il ritorno dei personaggi, agli occhi di D’Ormesson Balzac incarna a pieno titolo la figura del poeta: «è il poeta del mondo reale. E’ un creatore che sogna la propria creazione prima di buttarsi nel reale».

  Da segnalare, nel resoconto di alcuni tra gli episodi emblematici della imprudente vena affaristica del romanziere, la clamorosa svista nella collocazione geografica di quelle miniere d’argento, oggetto del fallimentare progetto speculativo del 1838, in Sicilia (sic).

 

 

  Paola Paissa, [Rec. di] A. Del Lungo, Gli inizi difficili. Per una poetica dell’«incipit» romanzesco, Padova, Unipress, 1997, «Rivista di Letterature moderne e comparate», Firenze, Vol. LII nuova serie, Fasc. 4, ottobre-dicembre 1999, pp. 399-402.

 

 

  Ada Parisi Valdes, Patrick Rambaud: «La battaglia di Essling». L’arbitro di una lotta tra due secoli in armi, «Gazzetta del Sud», Messina, 13 aprile 1999.

 

  Ne La battaglia di P. Rambaud, di cui il presente articolo costituisce la favorevole recensione, l’autore, «sostituendosi a Balzac, ricerca [...] le atmosfere del romanzo ottocentesco illuminandole con i contrasti e le tensioni del linguaggio moderno», e portando compimento quel progetto che «l’acuto e prolifico scrittore» non riuscirà mai a realizzare.

 

 

  Pier Paolo Pasolini, [Alcuni classici], in Saggi sulla letteratura e sull’arte. Tomo secondo, a cura di Walter Siti e Silvia De Laude con un saggio di Cesare Segre. Cronologia a cura di Nico Naldini, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1999 («I Meridiani»), pp. 1944-1950.

 

  Il primo luogo di pubblicazione di questo penetrante intervento fu sulle pagine del periodico «Tempo» nel 1973: Pasolini riconosce e sottolinea la modernità di Eugénie Grandet, «non solo nel senso che dà a questa parola la critica marxista (Lukács), cioè nel senso che lo sguardo gettato sulla società da Balzac ne coglie gli aspetti politici e sociali più veri e rivoluzionari (all’interno della borghesia capitalistica), ma anche nel senso che esso si presenta come una «liberazione» dalle regole istituite da un ipotetico Madame Bovary precedente. E si tratta di una liberazione esaltante, poema di sproporzioni, di errori, di invenzioni impreviste e ispirate. Benché anche Balzac veda già i suoi personaggi provinciali quasi «in costume», non c’è una scena in Eugénie Grandet che sia manipolata, eseguita; ogni scena è poetica, ha l’arbitrarietà della vita che tende a fissarsi in qualche ricordo o in qualche sogno» (pp. 1946-47).

 

 

  Margherita Paturzo, Un ‘chef-d’oeuvre inconnu’ della «Comédie humaine»: «La Muse du département», «Studi Urbinati B Scienze umane e sociali», Urbino, Anno LXIX, 1999, pp. 361-385.

 

  [...]. Questo romanzo [...] è per un quarto composto da materiale narrativo già utilizzato da Balzac negli anni precedenti. Tale operazione di ‘riciclaggio letterario’ comprende i vari racconti narrati dagli ospiti di madame de La Baudraye durante i suoi ricevimenti serali, la mistificazione letteraria che si rivela essere Olympia ou les vengeances romaines, e persino il discorso sulla vita provinciale tenuto da Dinah alla presenza dei suoi invitati parigini. Per questo motivo, La Muse può essere definita l’opera letteraria par excellence dell’autore della Comédie humaine: essa è, infatti, ricca di mises en abîme, ovvero di racconti inseriti nell’ambito della narrazione principale, ma anche di espliciti rimandi intertestuali, che rinviano a romanzi come l’Adolphe di Benjamin Constant, nonché di alcune poesie, composte da Dinah e, in seguito, dal suo amante Lousteau. [...].

  La Muse appare, così, un’opera unica nella Comédie humaine anche in virtù della notevole stratificazione testuale da essa presentata, e che rende questa singolare scena balzachiana un originale esempio di «romanzo impregnato di letteratura».

  Eppure, il discorso prettamente littéraire della Muse si muta ben presto in un’argomentazione metaletteraria, se si considera tout court l’essenza del romanzo del 1843. È, infatti, opportuno ricordare il ruolo assoluto e totalitario che la letteratura assunse nella vita dell’autore della Comédie humaine, sempre rinchiuso nel suo studio «en supprimant la vie, et pour vivre autrement». Ebbene, la scelta esistenziale balzachiana arriva a confondere vita e letteratura, realtà e finzione: così, nella Muse, ogni singolo événement è scandito da accadimenti letterari e artistici, che ‘nutrono’ o influenzano paradossalmente gli eventi reali. Non è, infatti, un caso fortuito che Dinah colmi (seppur temporaneamente) la banalità della sua vita provinciale con la scrittura, oppure che Lousteau cerchi la popolarità attraverso le lettere. Allo stesso modo, le storie di adulterio narrate ad Anzy precorrono e, per qualche aspetto, originano la relazione extraconiugale tra la Musa di Sancerre e il giornalista, che si svilupperà all’insegna della letteratura (Dinah sostituirà addirittura Lousteau nelle sue pubblicazioni parigine) e terminerà quando i due protagonisti si scopriranno dolorosamente imprigionati nei ruoli degli sfortunati protagonisti dell’Adolphe di Constant.

  La Muse contiene, come si è già accennato, una serie di racconti en abîme che conferiscono a questo romanzo una leggibilità multipla, e che lo rendono, perciò, incredibilmente attuale. In realtà, è la stessa protagonista dell’opera a possedere tale caratteristica legata alla molteplicità: Dinah de La Baudraye è, infatti, un personaggio eclettico dall’atteggiamento volitivo e determinato, che non mancherà di scandalizzare i lettori del 1843 a causa del suo ritorno impunito a Sancerre in seguito all’adulterio consumato con l’amante parigino Étienne Lousteau.

  La modernità e il fascino della Muse risiedono, invero, anche nel fatto che questo romanzo sia suscettibile di interpretazioni differenti, dal momento che la conclusione presenta un originale open end: se, da una parte, la protagonista torna, difatti, alla sua primitiva dimora confermando la simbolica vittoria dell’«insetto La Baudraye», è pur vero che, dall’altra, Dinah diviene contessa e ritrova tutto il suo splendore dopo la lunga ed estenuante avventura parigina che l’aveva trasformata fin nel suo aspetto esteriore [...].

  Se è dunque vero che, da una parte, Balzac riprende nella Muse alcuni temi già trattati in altre scene della Comédie humaine, è anche vero che, dall’altra, il romanziere francese rinnova completamente questo filone narrativo a lui sì caro creando una donna ‘superiore’ a tutti gli effetti. Dinah Piédefer de La Baudraye si conferma, infatti, un’autentica femme supérieure per la sua singolare capacità di sperimentare l’amore ‘concentrandolo’ in un solo amante (all’opposto di altre eroine balzachiane alla costante ricerca di nuovi amori), ma rinunciandovi coraggiosamente nel momento in cui ella ne scopre l’effettiva grettezza. Dinah si dimostra, inoltre, capace di assumere ruoli che la rendono unica, tra cui quello di femme-auteur e di Musa incontrastata. Ella riesce, per giunta, a ottenere dall’impotente marito un’immensa ricchezza, nonché un prestigioso titolo nobiliare (quello di contessa) e, paradossalmente, l’indiscutibile consenso sociale nonostante gravi su di lei l’infamante ricordo della sua relazione adulterina, vissuta nella più assoluta libertà a Parigi. Infine, Dinah consolida la propria immagine di femme supérieure poiché acquisisce una consapevolezza nuova, che la condurrà probabilmente alla ricerca di altre relazioni extraconiugali senza, tuttavia, incorrere nuovamente nel pericolo di essere messa fuori legge agli occhi della società. Le ragioni di tale innegabile superiorità vanno ricercate nell’attitudine puramente ‘metamorfica’ di Dinah, che permette a quest’eroina balzachiana di trasformarsi in maniera incessante modificando i diversi ruoli assunti successivamente nel tempo. Ella non interpreta, quindi, in nessun caso ruoli diversi nello stesso momento, ma ciò le conferisce la possibilità di exploiter ogni ruolo in modo assoluto. Balzac crea, così, l’ennesimo escamotage per rappresentare nella figura della protagonista della Muse una dicotomia essenziale e ricorrente nella Comédie humaine: quella che oppone il frammento alla totalità, l’unità alla molteplicità, la precarietà alla stabilità.

  Dinah rappresenta dunque una ‘novità letteraria’, dal momento che sopravvive alla grave infrazione sociale commessa mostrando la sua virilità, a lungo soffocata dal ‘genio cattivo’ di Lousteau. Un’essenza mascolina prorompe, così, nelle pagine conclusive della Muse, quando la paternità viene definitivamente cancellata attraverso le parole di Milaud de Nevers, il quale si indirizza ironicamente al trionfante cugino Polydore de La Baudraye a spasso coi ‘suoi’ figli dicendogli: «Ah! Voilà nos enfants».

  Dinah de La Baudraye è, perciò, una femme-homme, una creatura che assomiglia per certi aspetti a un essere androgino (dunque completo) e metamorfico. La morale della Muse, esente da qualunque forma dì retorica, sembra pertanto, sfociare in un latente quanto suggestivo messaggio filosofico di Balzac, che salva finalmente la sua creatura dimostrandone l’evidente incorruttibilità [...].

 

 

  Pierluigi Pellini, Generi, ideologie, dettagli. Sul “Capolavoro sconosciuto” di Balzac, Lecce, Piero Manni, 1999 («Studi», 4), pp. 126.

 

  Tra i capolavori della Comédie humaine, Le Chef-d’oeuvre inconnu appartiene senza alcun dubbio a quell’insieme di opere più celebrate e studiate dalla critica passata e recente. Nonostante le differenti impostazioni metodologiche e i molteplici tagli interpretativi, l’attenzione di coloro che, in tempi diversi, si sono occupati di questo racconto filosofico si è focalizzata essenzialmente sulle concezioni estetiche e sulle considerazioni tecnico-teoriche di Frenhofer, privilegiando in tal senso, non la polifonia narrativa dell’opera, ma la logica astratta di teorizzazioni metafisiche sull’arte e sulla creazione artistica. L’atteggiamento di lettura adottato da Pellini nella sua analisi del récit procede, al contrario, da una consapevole e dichiarata preferenza per il racconto in quanto opera anzitutto letteraria e da un’esigenza metodologica che implichi l’assunzione di una pluralità di prospettive critiche, col proposito di illuminare quegli aspetti più specificatamente socio-letterari fino ad oggi misconosciuti o addirittura taciuti. Pellini intende proporre una «lettura ‘sociale’ degli Studi filosofici» (p. 7) balzachiani e cogliere, dietro il dramma di Frenhofer, le contraddizioni dell’ideologia romantica sul ruolo dell’artista, viste in rapporto alle scelte estetiche di Balzac e alle trasformazioni politico-economiche prodottesi nella Francia borghese degli anni Trenta. L’analisi delle strutture narrative – particolarmente efficace ci è parso il capitolo quinto dedicato al tema del dettaglio perturbante – e delle varianti presenti nelle diverse edizioni dell’opera inducono l’A. a riconsiderare il processo di ridefinizione di genere della novella da racconto fantastico a rappresentazione realistica, entro cui si inserisce il problema della formazione dell’artista e quello, di non secondaria importanza, delle contraddizioni drammaticamente insolubili tra la figura dell’artista – o dell’individuo – e la società borghese. Da questo punto di vista, il fallimento di Frenhofer, oltre ad essere «un prodotto storico-estetico (indecisione tra classicismo e romanticismo), antropologico-letterario (infrazione dei canoni del romanzo di formazione) e ideologico (incertezze sulla funzione sociale dell’artista in epoca borghese), [...] è una necessità logica» che, «in un’ottica metaletteraria, rinvia a uno scacco della rappresentazione, a un’impossibilità della scrittura realistica di dare voce al sublime e all’assoluto» (p. 72). Nato dall’incrocio di impulsi letterari, teorici, sociali e ideologici contrastanti, Le Chef-d’oeuvre inconnu traduce in forma narrativa la complessità di queste problematiche fondamentali, trovando nella sua poliedrica struttura finzionale la logica della propria dinamica coerenza.

 

 

  Paolo Petroni, Lo zoo letterario di Balzac, «L’Eco di Bergamo», Bergamo, 20 maggio 1999, p. 35; 2 ill.

 

  Duecento anni fa nasceva il bizzarro Honoré.

 

  «La macchina narrativa di Balzac – scrive l’A. – porta in sé tutta la lotta per la vita e la scrittura di quest’uomo e ci restituisce un mondo” in cui “ancora sono le nostre radici, le radici dei nostri ruoli e della nostra fiducia nel futuro».

 

  A Roma appuntamenti e una mostra sui rapporti dello scrittore con l’Italia, Ibid.

 

 

  Lucia Piccioni, Molte lingue per narrare, «il Manifesto», Roma, 16 febbraio 1999.

 

  In questa intervista a Michel Butor, sono presenti alcuni riferimenti alle sue recenti Improvisations sur Balzac.

 

 

  Susi Pietri, Balzac. 1799-1850. L’archeologia del tempo, «L’Indice dei libri del mese», Torino, Anno XVI, N. 12, Dicembre 1999, p. 52.

 

  Siamo grati a S. Pietri per aver fornito, in questo suo intervento, una attenta e rigorosa ricomposizione dei molteplici frammenti che formano il suggestivo mosaico dei saperi, dei linguaggi e degli stili così efficacemente elaborati, nell’anno del Bicentenario, da buona parte di quella critica balzachiana attenta alla pluralità dei codici e dei discorsi presenti nella «galassia aperta e mobilissima di una Comédie ritrovata», questo “corto circuito vertiginoso tra la grande opera e il dettaglio di un suo racconto, tra la durata narrativa del tutto e l’apparizione istantanea di un frammento, o tra gli echi improvvisi che possono accendersi da un capo all’altro dell’insieme”.

 

 

  Antonella Piperno, Balzac, «la Repubblica», Roma, 30 aprile 1999.

 

  Tra i duemilacinquecento personaggi della “Comédie humaine”, su duecento stranieri oltre cento sono italiani, mentre tra dodici, tra i novantatré romanzi e racconti di Honoré de Balzac, sono particolarmente italianeggianti. Da questi semplici dati, dalla profonda amicizia di Balzac con Gioacchino Rossini e dai riferimenti al modello dantesco nella costruzione della “Comédie humaine”, nasce “Balzac e l’Italia”, una serie di manifestazioni culturali organizzate dal Comune e dall’Associazione biblioteca europea e curate da Paola Dècina Lombardi e da Maria Ida Gaeta in occasione del bicentenario della nascita dello scrittore francese. Il rapporto privilegiato di Balzac con l’Italia verrà sviscerato da lunedì prossimo al 30 giugno, con una serie di conferenze, tavole rotonde, proiezioni di film e mostre che si snoderanno fra il Palazzo delle Esposizioni, l’Accademia di Villa Medici, il centro culturale francese Saint Louis e l’ambasciata francese. E si parerà anche – soprattutto nella mostra “Mosaico italiano” che si apre il 18 giugno a Palazzo delle Esposizioni, con 350 documenti fra manoscritti, edizioni originali dei diciassette volumi della Comédie, saggi e articoli del Balzac-giornalista – delle “vacanze romane” dello scrittore. Balzac, che in Italia fece quattro viaggi tra il 1836 e il 1846 (fra Torino, Milano, Venezia, Genova, Firenze, Napoli, la Sardegna e il Lazio), si fermò a Roma tra il 25 marzo e il 22 aprile del ʼ46: rimase molto colpito dalle chiese ma anche dall’abbondanza di mendicanti, visitò la Galleria Borghese, vide le cerimonie della Settimana santa a San Pietro, venne ricevuto da Gregorio XVI e trovò anche il tempo di girare per rigattieri e antiquari, dove acquistò qualche quadro, fra cui un Domenichino. Ed essendo anche parecchio gaudente (erano celebri le sue preziose canne da passeggio tempestate di pietre preziose) a Roma il giornalista-scrittore, che aveva cominciato la sua carriera collaborando a riviste come “La mode” e “La silhouette”, fece anche vita mondana, introdotto nei circoli che contano dal principe Michelangelo Caetani (nella mostra compaiono alcuni suoi biglietti inediti). L’omaggio romano a Balzac prenderà il via lunedì al Palazzo delle Esposizioni con la conferenza inaugurale “Improvvisazioni su Balzac” tenuta da Michel Butor, fra gli studiosi più autorevoli dello scrittore francese. L’11 maggio sarà la volta di una tavola rotonda su “Balzac oggi”, protagonisti scrittori, attori ed editori (da Elena Gianini Belotti a Marco Lodoli passando per Carmine Donzelli) mentre il 20 maggio gli appassionati di Balzac si sposteranno al cinema, per la proiezione di "Eugenia Grandet" il film del ʼ46 per cui il regista Mario Soldati si ispirò proprio a uno dei romanzi più famosi dello scrittore. A “Mosaico italiano”, sempre a Palazzo delle Esposizioni, si affiancherà quindi una seconda mostra, “Omaggio a Balzac”, con quadri e disegni di otto artisti, rigorosamente dedicati allo scrittore, che dopo la tappa romana voleranno a Parigi, per una mostra che si terrà ad ottobre alla “Maison de Balzac”.

 

 

  Anna Piussi, Les menottes d’or du patronage napoléonien: le frontespice de la description de l’Egypte: hommage à Dutertre, Balzac et Cécile, in AA.VV., L’expédition d’Egyte, une entreprise des Lumières, 1798-1801, 1999, pp. 307-325.

 

 

  Beniamino Placido, Napoleone val bene un romanzo, «la Repubblica», Roma, 10 gennaio 1999, p. 36.

 

  Sarà Napoleone il protagonista letterario dell’anno nuovo? In questo colorito mosaico di disquisizioni critiche e di sottili quanto gratuite polemiche, trova spazio anche un utile consiglio di lettura riguardante Il medico di campagna di Balzac.

 

 

  Beniamino Placido, Ci sentiamo un po’ tutti Napoleone, «la Repubblica», Roma, 15 agosto 1999, p. 36.

 

  Nel presentare il romanzo di Javier Tomeo, Napoléon VII, l’A. osserva, a proposito de La cugina Betta, «che non c’è una sola pagina (o quasi) che sia priva di un qualche nostalgico riferimento ‘napoleonico’».

 

 

  Giuseppe Pontiggia, La domanda, gusto alieno che ti dà vita, «Il Sole 24 Ore-Domenica», Milano, N. 153, 6 giugno 1999, p. 31.

 

  Tra le righe di questo “Album di maggio”, troviamo un riferimento alla probabile fonte letteraria balzachiana – Séraphîta – del capolavoro di Paul Gauguin: Da dove veniamo? chi siamo? Dove andiamo? del 1897.

 

 

  Laura Putti, Il ciclone Depardieu, «la Repubblica», Roma, 13 aprile 1999, p. 47.

 

  In questo lungo articolo sull’intensa attività cinematografica dell’attore francese, troviamo un riferimento allo sceneggiato televisivo “Balzac”, di cui Depardieu è protagonista assoluto nei panni del romanziere francese. Grossolano e imperdonabile è l’errore commesso nei confronti di Mme de Berny, ritenuta dall’A. la moglie di Balzac (sic).

 

 

  Laura Putti, Gérard Depardieu e la Commedia umana, «la Repubblica», Roma, 15 settembre 1999, p. 47.

 

  Ampia e, in questo caso, corretta rivisitazione delle vicende narrate nella prima puntata dello sceneggiato televisivo su Balzac: dall’apparizione della madre al Collège de Vendôme e al capezzale del figlio morente, ai legami con Mme de Berny fino all’incontro con Eve Hanska. Diventare Balzac, scrive l’A., «immergendosi in un personaggio così complesso, bulimico, immenso, è stata per Depardieu una delle sfide più grandi. E una delle grandi vittorie».

 

 

  Giovanni Raboni, Balzac, gli splendori nascosti del brutto cugino Pons, «Corriere della Sera», Milano, 30 aprile 1999, p. 33.

 

  L’edizione italiana del Cousin Pons pubblicata da Frassinelli fornisce a Raboni l’occasione per una puntuale riflessione sul capolavoro balzachiano: l’ossessiva minuziosità dei dettagli e gli «eccessi di “chimericità”» nel descrivere i tesori di Pons si esaltano, secondo l’A., l’una con gli altri, producendo «quell’effetto di potente disarmonia cui la critica più avveduta [...] ha applicato da qualche decennio la fortunata etichetta di “realismo visionario”».

 

 

  Franco Rella, Balzac e Flaubert. La letteratura nascosta nel «senso della realtà», «l’Unità-Libri», Roma, 12 luglio 1999, p. 2.

 

  Mentre leggevo il bellissimo saggio di Berlin «Il senso della realtà» (Adelphi) mi si presentava alla mente continuamente lo scrittore immane che ha dato figura e senso alla realtà del moderno: Balzac, che si è proposto come il segretario della sua epoca, con un’opera, «la commedia umana» nata da prima come «un sogno», come «un progetto impossibile» che abbraccia la storia, la critica della società, l’analisi dei suoi mali e la discussione dei suoi princìpi». Baudelaire coglie nel realismo di Balzac un’«oltranza», un approssimarsi alle cose fino al loro limite estremo, fino al loro «sfondamento», fino a sfiorare l’assoluto invisibile che sta dietro il loro opaco profilo, e questo non solo nei «romanzi filosofici», ma anche nell’estremo del male di Vautrin, nell’estremismo visionario di quasi tutti gli uomini e le donne che popolano la «commedia umana». Ugualmente Flaubert in una lettera a Louise Colet del 27.12.1852 scrive di essere «pieno di spavento». Nel «Medico di campagna» trova una scena identica «alla mia Bovary»: «Gli stessi dettagli, gli stessi effetti, la stessa intenzione (...) è la mia anima. La ritrovo ovunque, tutto me la rispecchia». Tale è «l’effetto di realtà» dell’opera di Balzac, che sembra impossibile guardare o pensare il reale, se non attraverso gli occhi e il pensiero di Balzac. Ma il «senso della realtà» che scopriamo in Balzac è così potente, così incomprensibilmente potente, perché il suo sguardo è andato oltre le cose che abitano il reale, sconvolgendo, mentre creava il romanzo moderno, le regole stesse della narrazione. Flaubert intuisce anche questo e nel romanzo che chiude un’epoca e che apre a tutta la narrativa del ʼ900, «Bouvard e Pécuchet» affida ai suoi due personaggi questa intuizione. «L’opera di Balzac li meravigliò come se fosse al tempo stesso una Babilonia e grani di polvere posti sotto il microscopio. Dalle cose più banali emergevano aspetti sconosciuti. Non avevano mai sospettato che la vita moderna fosse tanto profonda (...). “Io lo trovo un visionario”, finì per dire Pécuchet. “Crede alle scienze occulte, alla monarchia, alla nobiltà; è abbagliato dai furfanti, maneggia i milioni come fossero centesimi, e i suoi borghesi non sono borghesi, ma colossi (...) Ha fatto un romanzo sulla chimica, un altro sulla banca, un altro sulle macchine da stampa (...) Ne avremo su tutti i mestieri, e su tutte le province, poi su tutte le città e sui piani di tutte le case, e su ogni individuo, e questa non sarà più letteratura ...». «Non sarà più letteratura». Penso a Cézanne, che aveva preso «Il capolavoro sconosciuto» di Balzac come il modello della sua indagine sulla consistenza delle cose. Penso a Proust, al suo amore per Balzac, e al suo romanzo che non è più, a detta di Proust, letteratura ma «una sorta di romanzo». Penso a Kafka e a Musile dietro di loro, vedo il profilo di Balzac, il «suo senso della realtà» che conteneva miracolosamente anche il possibile come una delle sue dimensioni più autentiche. Penso alla macchina immensa che egli ha messo in moto, alla miriade di personaggi che ha accumulato con una furia incontenibile, al paesaggio che ha costruito. Mi rendo conto che è ancora il nostro personaggio. Balzac non è un classico, nel senso abituale del termine: un’opera che si legge o rilegge per la profondità di quanto in essa si è espresso e quindi depositato nella nostra cultura. Balzac è questo, ma è anche un territorio che non è stato ancora interamente esplorato.

 

 

  Simona Restori, Traduzione e commento di due testi di H. de Balzac dalle “Scènes de la vie privée et publique des animaux”. Tesi di laurea. Relatore: Prof.ssa Maria Bertini; correlatore: Prof.ssa Patrizia Oppici, Università degli Studi di Parma, Facoltà di Lettere e Filosofia, Laurea in Lingue e letterature straniere moderne, Anno accademico 1998-1999.

 

 

  Jacqueline Risset, Nessi tra la «Commedia umana» e quella «divina». Honorino profeta all’Inferno, «l’Unità», Roma, 19 maggio 1999, p. 20; 1 ill.

 

  Celebrando la nuova modernità di Balzac, «legata alla sua dimensione di scrittore realista ma anche al suo versante visionario e cosmico», l’A. evidenzia in questo articolo la portata delle allusioni dantesche nella Comédie humaine, con un riferimento particolare al racconto filosofico Les Proscrits, in cui Dante è, nelle vesti di un misterioso viaggiatore giunto a Parigi per seguire i corsi dei famosi filosofi della Sorbonne, il protagonista assoluto. Per Balzac, osserva Risset, «solo Swedenborg è più grande di Dante, perché egli è un «mistico senza chiesa». Rappresentare Dante a Parigi per incontrare Sigieri l’averroista, significa quindi proiettarne l’immagine verso quella «mistica libera» che egli considera la più alta di tutte». Di particolare interesse, è la parte finale dell’intervento dove l’A. si sofferma su un momento particolarmente affascinante e sorprendente del racconto: l’incontro tra Dante e Margherita Porete («due poeti sperimentatori dell’estremo»), l’autrice di un libro molto vicino alle idee di Echkart e del Dante stilnovista, messa al rogo, a Parigi, nel 1310.

  Segnaliamo inoltre la scheda di presentazione sulle manifestazioni, in Francia e in Italia, legate alla celebrazione del bicentenario balzachiano e l’errore presente nella didascalia posta a fianco del ritratto di Clara Maffei, dove si afferma che ella “infiammò la passione dello scrittore nel suo primo viaggio in Italia nel 1836”, mentre fu soltanto l’anno successivo, che lo scrittore ebbe occasione di frequentarla, a Milano, nelle stanze del suo celebre salotto.

 

 

  Cinzia Romani, Balzac. Il lungo viaggio attraverso l’Italia, «il Giornale», Milano, 7 maggio 1999, p. 32; 1 ill.

 

  L’annuncio della Mostra di Roma e il racconto dei viaggi italiani dello scrittore costituiscono gli elementi portanti di questa rassegna sui rapporti tra Balzac e il nostro Paese. Si segnalano però alcune imprecisioni nel breve trafiletto biografico sul romanziere: l’originario nome della famiglia Balzac trascritto in Balasa (sic) e quello della madre riportato Sallembier (sic).

 

 

  La vita, Ibid.

 

 

  B.[runo] R.[ossi], Recensioni. Paola Dècina Lombardi, “Balzac e l’Italia”, Roma, Donzelli, 1999, pp. 100, L. 28.000, «Libri e riviste d’Italia», Roma, Anno LI, 595-598, settembre-dicembre 1999, pp. 368-369.

 

  Balzac ebbe con l’Italia un rapporto privilegiato. Naturalmente la conoscenza della cultura italiana era già stata assimilata con venerazione prima del suo viaggio. Ma questa conoscenza conteneva anche aspetti superficiali e di maniera. L’Italia per Balzac era l’Italia di Dante, Boccaccio, Petrarca, Ariosto, Tasso, Machiavelli, ma era anche l’Italia dei banditi e delle cortigiane, degli intrighi, delle menzogne e degli inganni. Insomma l’Italia delle novelle di Boccaccio e di Bandello. E poi anche l’Italia vista attraverso gli occhi di Stendhal, lo Stendhal di Roma, Napoli, Firenze e de L’Italia nel 1818. Ma la sua predilezione per Dante, Raffaello e Rossini è per lui autentica fonte di ispirazione e punto di riferimento costante. Su tutti però è Dante a esercitare un fascino ineguagliabile. Balzac concepì di scrivere una grande commedia umana nella forma dell’epica moderna ereditata dal romanzo: un gigantesco affresco composto da tanti romanzi che svolgono tutte le varie situazioni sociali e psicologiche del mondo moderno. Dunque romanzi non di intrattenimento e di evasione, ma che impongono una linea di interpretazione storica, sociale e infine filosofica. «La lettura della Divina Commedia ha lasciato i suoi segni scrive la curatrice del volume nella sua relazione — e ha rafforzato la decisione di essere uno scrittore-filosofo e non un contier». «Autre est ma destinée» scrive Balzac nel dicembre 1832 ad Amédée Pichot, direttore della «Revue de Paris».

  C’è inoltre Raffaello, che rappresenta l’energia solare del genio italiano, che è l’artista per antonomasia: a lui Balzac farà riferimento in molte sue opere, non soltanto per le citazioni, ma anche per descrivere un paesaggio, o anche per l’ideazione di un personaggio. E in Rossini vede lo stesso genio di Raffaello tradotto in musica.

  Per lo scrittore di Tours la musica è del resto fondamentale nel rapporto che l’uomo intesse con la realtà; essa stimola il pensiero a inserirsi tutto nell’assimilazione cosmica della natura. Il volume raccoglie quindi le conferenze, le tavole rotonde, il film, le mostre e il concerto che sono stati allestiti a Roma dal 3 maggio al 28 giugno 1999 sul tema, appunto, di Balzac e l’Italia. Ma queste manifestazioni fanno parte di un progetto più vasto e ambizioso: quello di ricostruire i rapporti tra i grandi autori, le grandi personalità della cultura, e l’Italia, con un riferimento più accentuato alla città di Roma. [...].

 

 

  Corrado Rosso, [Rec. di] P. Oppici, «La gloire des sots»: il problema dell’altruismo nell’opera di Balzac, Moncalieri, C.I.R.V.I., 1996, «Romanische Forschungen», 111, 1, 1999, pp. 134-135.

 

 

  Emmauèle Rüegger, Per Marcia Haydée e Malakhov, Balzac a Stoccarda, «Balletto Oggi. La rivista internazionale della danza», Milano, n° 119, novembre 1999, pp. 20-21.

 

  Severa recensione di Elle e(s)t moi (coreografia di Jean-Christophe Blavier), balletto ispirato ai temi e ai personaggi de Le Lys dans la vallée di Balzac, che ha segnato l’inizio, tutt’altro che esaltante, della stagione del Balletto di Stoccarda.

 

 

  Marisa Rusconi, Le miniere di Balzac, «L’Espresso», Roma, Anno XLIV, N. 23, 10 giugno 1999, p. 105.

 

  Viene sommariamente presentata la raccolta di studi: Balzac e l’Italia.

 

 

  Davide Sacchetti, Analisi dei “Mémoires de Sanson » di Honoré de Balzac. Tesi di laurea. Relatore: Prof.ssa Maria Bertini; correlatore: Prof.ssa Patrizia Oppici, Università degli Studi di Parma, Facoltà di Lettere e Filosofia, Laurea in Lingue e letterature straniere moderne, Anno accademico 1998-1999.

 

 

  Michèle Sajous, Maggio di Francia libertà e genio vedi alla lettera «B», «Gazzetta del Mezzogiorno», Bari, 15 maggio 1999.

 

  1799: nasce Balzac muore Beaumarchais.

  Una casuale vicinanza di date come spunto per rileggere un’epoca fatta di creatività e di teatro, non meno che di politica. L’avvento del «grande romanzo della società».

 

  Il 16 (sic?) maggio del 1799 nasce Balzac e il 17 maggio muore Beaumarchais. Nasce il romanzo ma non muore il teatro. Una casuale vicinanza di date tutto sommato abbastanza interessante per tentare di affrontare assieme, ma non di confrontare due grandi figure «rivoluzionarie». D’altronde la dichiarazione di Balzac secondo la quale «Il Terrore, Napoleone, Luigi XIV, Tiberio, i poteri più violenti così come le istituzioni più forti scompaiono di fronte allo scrittore che si fa portavoce del suo secolo», avrebbe potuto farla benissimo Beaumarchais, anche lui «portavoce del suo secolo». [...].

  Passiamo a Balzac. Anche se qui se ne celebra la nascita, citiamo l’omaggio pronunciato da Victor Hugo sulla tomba dello scrittore: «Tutti i suoi libri non formano che un solo libro, libro vivo, luminoso, è contemporaneamente osservazione e immaginazione». Victor Hugo rispondeva in anticipo alla vana querelle futura su Balzac visionario o osservatore. D’altra parte, nel grande affresco della Comédie humaine, appaiono, scompaiono, riappaiono circa 2000 personaggi, tutti dotati, come ebbe a dire Baudelaire, anche lui come Victor Hugo affascinato dallo scrittore, «dello stesso ardore vitale» del loro creatore, «il più eroico, e il più poetico di tutti i personaggi da lui creati».

  Il progetto della Comédie Humaine sarebbe nato, secondo Balzac, sin dal 1820. a partire dalla lettura di Walter Scott e di Buffon. Partito dal reale – «gli scrittori non inventano mai niente» diceva Balzac – il romanziere accede al «vero» dell’arte (che non è quello della natura) con una distanza. una tipizzazione (e Balzac, teneva molto ai «tipi», ai sistemi, all’estetica del «riassunto») ed una globale drammatizzazione.

  Balzac crea un universo in cui tutto diventa segno da decifrare nel suo significato drammatico (anche nel senso teatrale del termine): il lettore deve saper «leggere» per cogliere in un ritratto, o nella descrizione di un oggetto o di un ambiente, un modo di vita, e dal modo di vita l’uomo, il suo carattere e il suo destino.

  Ogni romanzo non è «che un capitolo del grande romanzo della società», scrive nella Prefazione delle Illusioni perdute, non per giustificare il disordine della pubblicazione dei suoi vari titoli, imputabile tra l’altro a ragioni finanziarie o editoriali, ma per offrire al lettore una pluralità di itinerari, in cui la classificazione, benché fondamentale al progetto, diventa secondaria rispetto alla completezza di ogni opera. Ogni romanzo è, da solo e come l’opera intera, uno Studio di costumi, uno Studio filosofico, uno Studio analitico. Non c’è quindi da meravigliarsi se Balzac scrive: «Ho fatto meglio dello storico, sono più libero» (Balzac, Prefazione ad Una figlia di Eva).

  Ed è anche questa libertà, quella della creazione, talvolta in mancanza di quella politica, che lo accomuna a Beaumarchais.

 

 

  Stefano Salis, Di, «L’Unione Sarda», Sassari, 13 giugno 1999.

 

  Entusiastica recensione del volume di S. Atzeni con ampi riferimenti iniziali alla lettera di Balzac alla Hanska dell’aprile 1838.

 

 

  Wilma Sarchi, L’arte champenoise. Una scultura lignea della regione dello Champagne. E un omaggio a Balzac nel bicentenario della nascita, «Antiquariato», Milano, Numero 219, Luglio 1999, pp. 14-15.

 

  Nella sua corrispondenza parigina, l’A. dà notizia della mostra “L’Artiste selon Balzac” allestita alla Maison de Balzac fino al settembre 1999, con un utile suggerimento editoriale: il Guide Balzac di Ph. Bruneau.

 

 

  Aggeo Savioli, E la gattina di Arias va all’operetta, «l’Unità», Roma, 6 novembre 1999, p. 19.

 

  All’origine, allora, era una curiosa novella di Balzac, che anche adesso serve come punto di riferimento d’una vicenda liberamente derivata da altra fonte, pur ottocentesca. Lo stesso Balzac appare a un certo punto, come una grande ombra al di là del velario di fondo, per dare una mano agli sviluppi della storia, sospesa fra il romanzo d’appendice e il melodramma. Qui assistiamo, infatti, alle traversie di Minette (il nome corrisponde all’italiano Micetta o Micina), gattina di umili origini, coinvolta in un ambiente aristocratico-mondano, delusa dal suo primo amore, posta a rischio di morte per la malvagità di una padrona (una Cagna, s’intende) che peraltro defungerà al suo posto. Ma ci sarà pure un lieto fine, con tanto di matrimonio tra Minette e un Coniglio, sulla base di una dubbia affinità fra le due specie.

 

 

  Giuseppe Scaraffia, Balzac e Manzoni, disamore a prima vista, «Il Messaggero», Roma, 5 maggio 1999, p. 19; 1 ill.

 

  Vengono ricostruiti e ricomposti i momenti fondamentali e gli aneddoti più significativi dei diversi soggiorni italiani di Balzac tra il 1836 e il 1846: il primo viaggio a Torino nell’agosto 1836, la visita, a Milano, ad Alessandro Manzoni nel 1837, l’esperienza sarda del 1838 e quella romana del 1846. A proposito della prima di queste tappe attraverso le città della nostra Penisola, non ci risulta, come scrive l’A., che Balzac avesse mai soggiornato, con Mme Hanska, all’Hôtel de l’Europe di Torino prima di quella data: fu, infatti, soltanto Eve Hanska ad essere ospitata nello stesso albergo, insieme alla sua famiglia, nel 1834.

 

 

  Giuseppe Scaraffia, Letteratura, la linea della zoofilia, «Corriere della Sera», Milano, 28 luglio 1999, p. 25; 1 ill.

 

  A proposito del recente film di Lavinia Currier: “Passion in the desert”, tratto dall’omonimo racconto di Balzac. L’opera in questione fornisce a Scaraffia l’occasione non soltanto per riflettere sul testo balzachiano, ma per recuperare e porre all’attenzione del lettore alcuni suggestivi esempi di filiazione tra letteratura e zoofilia nella cultura moderna.

 

 

  Giuseppe Scaraffia, Una vita esagerata, «Amica», Milano, N. 37, 8 settembre 1999, pp. 120-123.

 

  Piacevole e documentata ricostruzione della geografia sentimentale di Balzac: Scaraffia ci guida con equilibrio all’interno della variegata e colorita galleria dei ritratti di figure femminili che hanno attraversato, come protagoniste o come personaggi di contorno, la scena (e le quinte) dell’esistenza, dell’intimità e della carriera letteraria dello scrittore.

 

 

  Tiziano Scarpa, Che gran figo Honoré de Balzac, «Alias. Supplemento culturale de “Il Manifesto”», Roma, Anno 2, N. 13, 27 marzo 1999, p. 20.

 

  Brillante, anche se in qualche punto discutibile (a cominciare dal titolo), riflessione su Illusions perdues (il testo di riferimento è l’edizione italiana pubblicata da Frassinelli), alla luce dell’importante rilettura che, del testo balzachiano, fornisce F. Moretti nel suo Il romanzo di formazione.

 

 

  Daniela Schenardi, La poetica del romanzo nelle prefazioni di Honoré de Balzac. Tutore: Prof.ssa Anna Maria Scaiola, Università degli studi di Roma La Sapienza, Facoltà di lettere e filosofia, Dottorato di ricerca in Francesistica, XIII ciclo, Anno accademico 1998/1999, pp. 142.

 

 

  Daniela Schenardi, Schede – Letteratura. Honoré de Balzac, “Illusioni perdute” (Milano, Frassinelli, 1999), «L’Indice dei libri del mese», Torino, Anno XVI, N. 10, Ottobre 1999, p. 39.

 

  Ad Angoulême, nella stamperia che nel 1793 Séchard rileva a un prezzo irrisorio grazie alla connivenza di un repubblicano, c’è un problema da risolvere: il proprietario è analfabeta. Sono gli stessi eventi storici che gli hanno consentito di avere la stamperia a porvi rimedio. A stampare i decreti che sanciscono la pena di morte per i cittadini che nascondono i nobili è infatti un conte che, pur di non abbandonare le proprie terre, lavora come proto alle dipendenze di Séchard nascondendosi in attesa di tempi migliori. Un prete lo sostituisce dopo il 1795 fino a quando la religione cattolica non viene ristabilita da Napoleone. “Più tardi il conte e il vescovo si sarebbero incontrati sullo stesso banco della Camera dei pari”, commenta lapidario il narratore. Qualche anno dopo nella stessa stamperia lavorano due giovani amici, David, il figlio di Séchard, e Lucien, poeta ricco solo del proprio talento. Legati da un profondo affetto, i due sono specialmente accomunati dall’insoddisfazione per una realtà che non risponde ai loro desideri. David vi si rassegna, confortato almeno dalla realizzazione del suo sogno d’amore e dalla speranza in un’invenzione che li renderà ricchi. Lucien si trova invece catapultato a Parigi dove conosce, grazie a una condotta spregiudicata nel mondo del mondo del giornalismo, un successo rapido e folgorante e, per la stessa ragione, un’altrettanto rapida e inesorabile rovina. Ma “lo splendido contrasto” tra la vita di David in provincia e quella di Lucien nella capitale, su cui Balzac dice di costruire il romanzo, risulta smentito dai fatti. Esso viene infatti negato da una morale secondo cui ciò che conta è solamente il non coltivare illusioni che possano precludere una visione disincantata della realtà. Per il fatto di non saper vedere correttamente, vale a dire per la loro incapacità di percepire la complessità del reale e di valutare gli effetti delle loro scelte alla luce dei meccanismi sociali e politici, i protagonisti dovranno assistere al massacro delle loro illusioni. Faranno in questo modo i conti con una realtà che premia chi sa affrontarla nella sua durezza senza rifugiarsi nel conforto delle illusioni. Proprio come hanno saputo fare i proti che nella stamperia di Séchard si sono pazientemente avvicendati pagando alla storia un pedaggio necessario alla loro riabilitazione o come tutti coloro che, senza scandalizzarsi, accettano il loro ruolo in ima società che in nulla diverge da un teatro: la realtà sta infatti dietro le quinte, mentre il palco è fatto per raccogliere gli applausi che spettano a chi ha saputo recitare bene o comunque meglio degli altri. Illusioni perdute, in questa bella traduzione di Minsenti corredata da note accurate e da una postfazione ben informata, si offre dunque al lettore come romanzo fondamentale del percorso balzachiano, sia per gli importanti temi trattati sia per la maestosa rappresentazione della società francese, proposti con tutto il vigore di un’arte narrativa e di uno stile nel pieno della loro maturità.

 

 

  Brunella Schisa, Anche un genio può soffrire, «Il Venerdì di Repubblica», Roma, n. 583, 21 maggio 1999, p. 35.

 

  Se «il mondo dell’arte e della letteratura è pieno di geni meteoropatici [...], anche lo scrittore francese Honoré de Balzac doveva essere vittima della sindrome, che descrisse in modo acutissimo nel romanzo Il medico di campagna».

 

 

  Claudio Secci (a cura di), Letteratura: Honoré de Balzac, «Campus web», Milano, n. 7-8, Luglio-Agosto 1999, p. 36; 1 ill.

 

  Utile repertorio essenziale dei principali siti internazionali presenti in internet dedicati a Balzac e alla sua opera: tra essi, spicca il sito ufficiale del bicentenario curato (curiosamente) dal Dipartimento francese dell’Università di Liverpool, e alcuni interessanti luoghi di ricerca on-line che forniscono, in ipertesto, i testi elettronici in lingua originale dei romanzi della Comédie humaine.

 

 

  Cesare Segre, Barthes nel gioco delle contraddizioni, «Corriere della Sera», Milano, 24 giugno 1999, p. 35.

 

  Sul metodo critico di Roland Barthes con un riferimento particolare a S/Z e alla luce di un recente studio di Cl. Bremond e Th. Pavel: De Barthes a Balzac (Paris, Albin Michel, 1998). Gli autori, osserva Segre, «avvertono in partenza che Barthes, affrontando Sarrazine (sic), non ha messo prima a punto una metodologia, ma, ripudiato ogni sistema, è andato alla ventura, affrontando via via le parti del racconto di Balzac secondo gli stimoli della propria inventiva». È possibile consultare il testo di questo intervento anche nelle pagine del Sito Web Italiano per la Filosofia curato dall’Università di Bari, digitando: www.lgxserver.uniba.it/lei/rassegna/990624.htm.

 

 

  Giovanni Serafini, Balzac seduttore dell’anima, «Gazzetta del Sud», Messina, 15 settembre 1999.

 

  L’A. rievoca, con opportuni riferimenti bibliografici, gli amori e le conquiste femminili di Balzac, soffermandosi in modo più dettagliato sul tormentato capitolo della storia tra lo scrittore e Mme Hanska.

 

 

  Giovanni Serafini, La posta del cuore di Honoré de Balzac, «Il Giorno», Milano; «il Resto del Carlino», Bologna; «La Nazione», Firenze, 15 settembre 1999, p. 19; ill.

 

  Si tratta del medesimo articolo pubblicato lo stesso giorno nelle pagine della «Gazzetta del Sud», con l’aggiunta di un breve trafiletto sulle passioni gastronomiche dello scrittore, oggetto dello studio di Gonzague Saint-Bris.

 

 

  Miro Silvera, Il mondo di Balzac, «Diario della settimana», Roma, Anno IV, n. 4, 27 gennaio 1999, pp. 56-59; ill.

 

  Un’anima grande, un fisico gigantesco, un’opera fluviale dalla prosa corpulenta e sanguigna. Stanno per partire le operazioni del bicentenario della nascita, con uno sceneggiato dove Gerard Depardieu impersonerà l’Ercole delle lettere.

 

  I soliti abusati luoghi comuni sulle passioni e sulle abitudini gastronomiche di Balzac, sulle sue maniacali curiosità per il bric-à-brac e sulle tormentate vicende amorose con Mme Hanska costituiscono il tessuto di questo intervento, tutt’altro che esaltante, di Silvera sullo scrittore.

 

 

  C.[esare] S.[ughi], Viaggi in Italia. Il caso di un grande narratore. Com’era triste Venezia per lo squattrinato Balzac, «il Resto del Carlino-Edizione Emilia-Romagna. Cultura & Spettacoli», Bologna, 5 ottobre 1999, p. 19.

 

  Il duplice omaggio bolognese al bicentenario dello scrittore costituisce l’occasione per tracciare un rapido quadro dell’esperienza balzachiana nella nostra Penisola: «c’è poco lirismo – afferma l’A. – e molto peso di problemi pratici nei soggiorni italiani di Honoré de Balzac, così lontani dalle eloquenti frequentazioni di Stendhal al di qua delle Alpi, o dagli entusiasmi settecenteschi del Gran Tour».

 

 

  L. T., Altri film. Cugina malvagia, «L’Espresso», Roma, Anno XLIV, N. 33, 29 luglio 1999.

 

  È la breve presentazione del film “La cugina Bette” di Des McAnuff.

 

 

  Maurizia Tazartes, I gusti di Monsieur Honoré, «Arte in. Bimestrale di critica e d’informazione delle arti visive», Venezia, Anno XII, numero 62, Agosto-Settembre 1999, pp. 105-107.

 

  Ci sono artisti e scrittori che si occupano di arte. Tra questi ultimi, Honoré de Balzac (Tours 1799-Parigi 1850), cui la città natale dedica, nel bicentenario della nascita, una singolare mostra, “Balzac e la pittura” (Tours, Musée des beaux-arts, sino al 5 settembre). Una cinquantina di opere tra dipinti, incisioni, stampe, disegni con l’aggiunta di lettere, manoscritti e libri, ripercorrono quella che fu una vera e propria passione per Balzac. Giornalista, scrittore, tipografo ed editore, sognava di essere anche peintre con la fierezza che caratterizzerà a fine ottocento autoritratti ufficiali di pittori come quello di Rousseau il Doganiere. “Io anche son pittore” è il suo intimo motto, ripreso da Correggio che forse l’aveva detto di fronte alla Santa Cecilia di Raffaello, e riferito a se stesso nei “Due amici” della “Commedia umana”. Nell’impossibilità di esserlo veramente, Balzac intride tutta la sua opera letteraria di arte, soprattutto di pittura. Non solo, ma la colleziona anche, secondo un gusto che allora fu ridicolizzato e criticato, certamente eclettico, ma abbastanza illuminato se si giudicano le fortune postume di artisti apprezzati dal romanziere.

  Affascinato dalla pittura neoclassica, già venata di romanticismo, Balzac crea artisti come Pierre Narcisse Guérin o Anne-Louis Girodet, vissuti una cinquantina d’anni prima. A volte descrive dipinti reali attribuendoli a qualche pittore immaginario come Joseph Bridau nella “Casa da scapolo” del 1841-1842. Nella “Commedia umana”, l’opera omnia che nella stesura definitiva del 1842 riunisce Studi di costume, Scene della vita politica, Scene della vita militare, Scene della vita di campagna, Studi filosofici, con lo scopo di descrivere costumi e drammi della società contemporanea, Balzac introduce come protagonisti molti pittori, alcuni inventati come Bridau, Schinner, Léon de Lora o Sommervieux, altri reali come Antoine-Jean Gros, allievo di David, o lo scultore Antoine Denis Chaudet, diventato nella “Casa da scapolo” maestro del fittizio Bridau. Questi personaggi, studiati nei loro caratteri e contraddizioni, rappresentano il “genio antiborghese” nella società parigina del tempo, quegli intellettuali velleitari che arrivano dalla provincia in cerca di un’utopica gloria a Parigi, dove fanno la fame in misere mansarde. Proprio com’era successo al giovane Balzac che, nato in una famiglia di Tours, avviato agli studi di giurisprudenza, rinnegati per la vocazione letteraria, era finito in una soffitta a scrivere le prime opere: la tragedia in versi “Cromwell” e il romanzo filosofico “Sténie”. Due insuccessi che lo avevano spinto a tentare il giornalismo e collaborazioni modeste, che gli permettessero di sbarcare il lunario. Otto anni di stenti, dal 1821 al 1829, in cui lo scrittore tenta diverse strade, comprese quelle dell’editoria e della tipografia, sino al primo successo nel 1829 con il romanzo storico “Gli Sciuani” sulla ribellione della Vandea.

  Nella sua vita bohémienne Balzac non dimentica di frequentare i Salon parigini, le esposizioni al Louvre di pittura, scultura, incisione, destinate agli artisti viventi, soprattutto ai giovani, che avrebbero così potuto farsi conoscere. È in quei Salon allora frequentatissimi, che lanciano artisti come Ingres, Delacroix, Géricault, che lo scrittore scova i suoi artisti, contemporanei e antichi (questi ultimi attraverso incisioni), ambienta le scene, inventa quadri e autori. Nei Salon incontra anche critici d’arte come Delécluse, Théophile Thoré, Gustave Planche, che collabora con lui nella rivista “L’Artiste”. Così diventa critico lui stesso, non tanto di pittura, quanto di quella pionieristica letteratura artistica, caricaturale e politica, fatta di stampe su libri, album e giornali illustrati come “La Caricature”, “La Mode” e “L’ Artiste”. Un sistema per “pagarsi i debiti” come diceva con un po’ di cattiveria Baudelaire, ma anche un mezzo per scoprire personaggi e situazioni da infilare nei romanzi.

I rapporti di Balzac con la pittura sono anche quelli del collezionista di opere d’arte, di cui riempie la casa dell’amata polacca Eveline Hanska, la “straniera”, che sposerà prima di morire. Una collezione eclettica, di capolavori dubbi, che comprende quadri, oggetti, mobili, che vogliono gareggiare per lusso e stravaganza con quelli della lontana dimora polacca di Eveline: dipinti di maestri con-temporanei e antichi, dagli olandesi del seicento agli italiani del cinquecento, veneziani, bolognesi, rococò francesi, di tutti i generi dal religioso al mitologico, dal ritratto alla natura morta, spesso di incerta autenticità. Un “bric-à-brac” come lo definiva lui stesso, reso celebre dalle critiche contemporanee di Champfleury, Hugo, Gautier, Sainte-Beuve, che ironizzava sulle opere “provenienti da venti paesi e di venti epoche”. Ma che a Balzac erano utili, non solo per i suoi sogni d’amateur, ma anche per ricreare, nei suoi romanzi, figure di collezionisti come “Il cugino Pons”.

 

 

  Con Balzac in giro per mostre e librerie, Ibid., p. 107.

 

  Anche l’Italia rende omaggio a Balzac nei duecento anni dalla nascita, con alcune pubblicazioni e un paio di mostre. È uscito, per i tipi di Donzelli, il volume “Balzac e l’Italia” a cura di Paola Dècina Lombardi, che contiene un piccolo, ma curioso, inedito ritrovato tra le carte dell’Archivio Caetani: una dedica all’amico, principe Michelangelo Caetani, che lo scrittore ringrazia per “avergli fatto conoscere meglio di chiunque altro la grandezza di Dante Alighieri”. Interessante, considerato che anche Balzac scrive una grande “Commedia umana”, l’unica dopo quella del grande predecessore. Frassinelli traduce invece le “Illusioni perdute”, “Il cugino Pons” e “La cugina Bette”. Al Palazzo delle esposizioni di Roma sono aperte due mostre: una, intitolata “Mosaico italiano" documenta presenza e fortuna di Balzac in Italia, l’altra “Omaggio a Balzac” presenta opere di artisti contemporanei, tra cui Piero Dorazio, Enrico Baj, Giosetta Fioroni, ispirate al romanziere (cataloghi Donzelli). Il legame postumo dei pittori con Balzac è ribadito nella mostra di Tours in cui una sezione riguarda appunto i rapporti del Chef-d’oevre inconnu con gli artisti del novecento: in quell’opera di Balzac c’è una delle prime descrizioni dell’atelier di un pittore, tema che verrà ripreso da molti maestri del nostro secolo, a cominciare da Picasso.

  A svelare invece gli aspetti più segreti e intimi di Balzac, dal piacere della tavola a quello di uno spinello dopo i pasti, sono due libri appena usciti in Francia: “Le bel appetir de monsieur de Balzac” di Gonzague Saint-Bris e “Le livre de cannabis” di Tigrane Hadengue, Hugo Verlomme e Michka.

 

 

  Brunella Torresin, La Commedia italiana di Honoré de Balzac, «la Repubblica. Bologna», 8 ottobre 1999, p. XII, 1 ill.

 

  Si annunciano le celebrazioni del Balzac italiano alla Maison française di Bologna, seconda tappa della ricca serie di manifestazioni che, partita da Roma, è culminata nella grande Exposition parigina alla Maison de Balzac.

 

 

  Marco Vallora, Balzac agli occhi dei francesi, «La Stampa», Torino, 1 settembre 1999, p. 21; 1 ill.

 

  Ossessionato dai debiti, scriveva a «credito».

 

  In questo intervento, come nell’articolo seguente, l’A. ripercorre gli itinerari proposti all’interno della splendida cornice delle due mostre che Parigi (“L’Artiste selon Balzac”) e Tours (“Balzac et la peinture”) hanno consacrato allo scrittore in occasione del bicentenario della nascita. Se nella variegata galleria degli artisti, immaginari e reali, che attraversano gli spazi della Comédie humaine «non c’è quasi posto per gli scrittori», è proprio attraverso la rappresentazione di quelle figure che Balzac rivive e rivela le tensioni del suo processo creativo, paragonabile all’atelier di uno scultore e segnato, come i modelli della sua opera, dai tormenti di una genialità che riflette, per molti aspetti, la passione e il martirio di Cristo.

 

 

  M.[arco] Vall.[ora], Nella sua casa. Bulimico arredatore, inseguiva il bello ma si circondava di chincaglieria, Ibid.

 

  Sono descritti i rapporti di Balzac con l’arte e, in particolare, la pittura, il suo gusto del bric-à-brac e la ridondanza degli arredi della casa di rue Fortunée in riferimento alla citata mostra allestita al Musée des Beaux-Arts di Tours. La Comédie humaine, nota l’A., è certo «piena di riferimenti a pittori e scultori, ma in modo un po’ liquidatorio, come dire: evasivo. È la realtà, insomma, che gli importa, nonostante quella sua verniciatura un po’ posticcia del Bello ideale. Perché in fondo la sua rimane un’estetica neoclassica».

 

 

  Alessandra Violi, “The hybrid book”. Swinburne, Balzac e il corpo di Passione, in AA.VV., Anglistica e …: metodi e percorsi comparatistici nelle lingue, culture e letterature di origine europea, Trieste, Eut, 1999, pp. 201-214.

 

  Lesbian Brandon, opera dello scrittore Swinburne, è un chiaro esempio di contaminazione culturale ma soprattutto di scrittura del meccanismo di ibridazione dell’identità. Il romanzo non solo coinvolge i generi precedentemente frequentati dall’autore in un esercizio di scrittura poligrafica, ma attraverso la figura degli occhi della “Fille aux yeux d’or” di Balzac, decentra ulteriormente la prospettiva del corpus canonico inglese frantumandola in una pluralità di punti di vista. Questo modello polifonico viene riproposto come forma della Passione, ossia come luogo in cui si incrociano le diverse tracce della soggettività.

 

 

  Marisa Volpi, Balzac e l’arte, in P. Dècina Lombardi, Balzac e l’Italia ... cit., pp. 75-80.

 

  L’A. sottolinea il «grande intuito di Balzac sul tema dell’arte come filosofia dell’assoluto» (p. 80), attraverso la disamina di alcuni noti testi della Comédie humaine, tra cui Le Chef-d’oeuvre inconnu.

 

 

  William Butler Yeats, Yeats: più cristiano di Dostoevskij, «Avvenire. Agorà», Milano, 11 maggio 1999.

 

  Penetrante rilettura dell’opera balzachiana dal punto di vista socio-religioso: «Balzac – si legge – è la sola mente moderna che abbia fatto una sintesi comparabile a quella di Dante; il suo intento completo era esporre la dottrina della Chiesa com’era rivelata nelle istituzioni della Cristianità. [...] Abbiamo bisogno degli scrittori cristiani le cui radici sono nella natura umana. [...] Appartengo alla generazione che torna solo a Balzac. [...] Balzac ci lascia, a libro concluso, in mezzo alla folla che riempie i palchi e le gallerie dell’Opéra: [...] là, nel teatro affollato ci sono i lettori di Balzac e il suo tema, visti con i suoi occhi che sono diventati filosofia senza cessare di essere storia».

 

 

  Carlamaria Zanzi, Séraphîta, o del mistico disprezzo, in Honoré de Balzac, Il Libro Mistico ... cit., pp. 271-295.

 

  Cfr. supra.

 

 

  Lina Zecchi, Letteratura francese: angeli in fuga dal millennio, «L’Informazione bibliografica», Bologna, Anno XXV, N. 4, Ottobre-Dicembre 1999, pp. 534-542.

 

  Interessante rassegna critica sulle recenti pubblicazioni letterarie francesi proposte all’attenzione del pubblico dall’editoria italiana: per quel che riguarda Balzac, si rende conto della trilogia di romanzi pubblicati da Frassinelli e degli scritti raccolti come Libro mistico dalle Edizioni Sic. Da questo ricco campionario di figure e di caratteri a tinte forti si desume che, per Balzac, «la passione, come l’energia mentale, è una forza incontrollata e misteriosa: i suoi strali sono letali [...], consuma inevitabilmente l’essere che invade» (p. 535).

 

 

  Laura Zoccoli, L’uomo che sognava da sveglio fra splendori e miserie. Honoré de Balzac. Lo scrittore visionario, «Prealpina», Varese, 3 Marzo 1999, p. 26; ill.

 

  L’A. ricompone con equilibrio alcuni degli episodi significativi che segnarono la formazione umana e letteraria dello scrittore, anche alla luce delle suggestioni offerte dal celebre saggio di Gautier su Balzac – di cui viene qui pubblicato un breve estratto (cfr. supra) e da alcuni testi della Comédie humaine: Louis Lambert, Sarrasine, e Facino Cane. [3]

 

 

 

 

Iconografia.

 

 

  Carla Benedetti, Il corpo dell’autore. Balzac, ritratto-dagherrotipo, in L’ombra lunga dell’autore. Indagine su una figura cancellata, Milano, Feltrinelli Editore, 1999, p. 134.

 

 

 

 

Conferenze, Corsi e Seminari Universitari. [4]

 

 

  Giangaetano Bartolomei, L’opera d’arte come documento storico-culturale, Università degli Studi di Pisa – Sociologia della conoscenza, Anno accademico 1998-1999.

 

  Dalla Bibliografia: Balzac, Papà Goriot, Eugénie Grandet, La cugina Betta.

 

 

  Valerio Bruni, L’eros come scintilla del processo creativo, Università degli Studi di Udine, Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di laurea in Lingue e letterature straniere – Lingua e letteratura inglese, Anno accademico 1999-2000.

 

  Dalla Bibliografia: Balzac, Il capolavoro sconosciuto.

 

 

  Giovanna Caltagirone, Unità e scissione nella rappresentazione del corpo: la convenzione letteraria realistica e quella fantastica, Università degli Studi di Cagliari, Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di laurea in Scienze dell’educazione – Letterature comparate, Anno accademico 1998-1999.

 

  Dalla Bibliografia: Balzac, L’elisir di lunga vita.

 

 

  Alberto Castoldi, La modernità nella cultura dell’Ottocento, Università degli Studi di Bergamo, Facoltà di Lingue e letterature straniere - Lingua e letteratura francese II, Anno accademico 1998-1999.

 

  Dalla Bibliografia: Balzac, Théorie de la démarche, ed. ETS, 1998.

 

 

  Alba Ceccarelli Pellegrino, La moda nella letteratura francese, Università degli Studi di Siena - Sede di Arezzo, Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di laurea in Lingue e letterature straniere – Lingua e letteratura francese, Anno accademico 1998-1999.

 

  Dalla Bibliografia: Balzac, Trattato della vita elegante.

 

 

  Giorgio Cerruti di Castiglione, La descrizione: problemi di tecnica narrativa e poetica otto e novecentesca, Università degli Studi di Torino, Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di laurea in Lingue e letterature straniere – Lingua e letteratura francese I, Anno accademico 1998-1999.

 

  Dalla Bibliografia: Balzac, Le Père Goriot.

 

 

  Lucia Corrain, L’ehphrasis: descrivere e narrare l’arte, Università degli Studi di Bologna, Dipartimento delle Arti Visive – Letteratura artistica, Anno accademico 1999-2000.

 

  Dalla Bibliografia: Balzac, Il capolavoro sconosciuto, Firenze, Passigli, 1998.

 

 

  M. Daniela de Agostini, Per una poetica della forma breve: il racconto e la novella nel XIX secolo, Università di Urbino, Facoltà di Lingue e letterature straniere – Lingua e letteratura francese, Anno accademico 1998-1999.

 

  Dalla Bibliografia: Balzac, Le chef-d’oeuvre inconnu et autres nouvelles.

 

 

  Antonio Del Guercio, Storia della critica d’arte. 40 ore di videolezioni trasmesse in televisione, RaiSat Nettuno, Anno accademico 1999-2000.

 

  Tra gli argomenti trattati nell’ottava lezione, figura un riferimento a Balzac nell’ambito del tema riguardante l’assunzione della tematica artistica moderna da parte della letteratura.



  Andrea Del Lungo, La mise en place de l’incipit balzacien: construction et déconstruction, in Collectif, Balzac, l’éternelle genèse, Université de Paris VIII-Saint-Denis-École Normale Supérieure , 15-17 aprile 1999.

 

  La genesi dell’opera letteraria, in Balzac, sembra rivelarsi come uno spazio e un momento inaugurali che si fondano su un movimento quasi indefinito di pause e di interruzioni della scrittura narrativa. La rigorosa e convincente analisi del multiforme sistema di esitazioni presenti nella redazione degli incipit di alcuni romanzi della Comédie humaine, condotta da Del Lungo attraverso lo sguardo dell’attento e “indiscreto” voyeur, a livello dei manoscritti, si snoda su due livelli paralleli di indagine seguendo un percorso che, oltre alle “ébauches”, vale a dire quelle “oeuvres abandonnées” di cui non esiste in alcuni casi che il solo titolo, coinvolge a pieno titolo i “faux départs”, ossia le versioni anteriori degli inizi di un testo.

  La questione aperta dalle riflessioni dell’A. riguarda pertanto specificatamente i procedimenti, le tecniche e le strategie dell’«entrée dans l’écriture», di una scrittura «à processus et à programme», che, in Balzac, «cherche sa forme et son parcours, par les échecs et les interruptions ou par un perpetuel ressassement qui vise à une réouverture du texte», come nel caso di La Recherche de l’Absolu, e ad una «stabilisation de la voix narrative».

 

 

  Andrea Del Lungo, Infrachissables fenêtres. Inversion, perversion, interdiction, in Collectif, Envers balzaciens, Journées d’étude des jeunes chercheurs balzaciens, Bordeaux, 26-27 novembre 1999.

 

  Per il suo valore connotativo e per il suo ruolo di spazio liminare, l’immagine della finestra riveste in Balzac una funzione specifica nel duplice movimento di passaggio tra il “dedans” e il “dehors” e di «lieu par excellence du contact amoureux, de l’éclosion du désir, de la construction du fantasme».

  Da questo punto di vista, la rappresentazione della “femme à la fenêtre”, così diffusamente presente nell’immaginario letterario balzachiano, induce Del Lungo a riconsiderare i valori simbolici (e ideologici) delle “fenêtres” in alcuni testi della Comédie humaine, mostrando le forme e le funzioni della loro perversa opacità che in molte occasioni «revèlent plutôt de l’ordre de la dissimulation, de l’obstacle, voire de la séparation». Le penetranti considerazioni formulate dall’A. in merito al carattere fortemente trasgressivo assunto da questo topos letterario in tre testi: La Maison du chat-qui-pelote, Une double famille, La Peau de chagrin, consentono di svelare la suggestiva rete di rapporti che legano tra loro le opere esaminate. Nell’eccitare la curiosità e il “voyeurisme” dello spettatore, la finestra apre verso l’interno uno spazio minaccioso in cui lo slancio e le tensioni della passione si esauriscono progressivamente nella negazione di ogni possibile contatto con l’oggetto del desiderio, con la creatura femminile che, trasformatosi in opera d’arte, può soltanto riflettersi nello specchio rovesciato di una fatale perversione e dare accesso al solo “envers” della realtà che si rivela come la terribile rappresentazione di uno spazio intangibile.

 

 

  Elena Del Panta, Forme del romanzo nell’Ottocento: Chateaubriand, Constant, Balzac, Stendhal, Università degli Studi di Firenze, Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di laurea in Lingue e letterature straniere – Lingua e letteratura francese, Anno accademico 1998-1999.

 

 

  Elena Del Panta, Balzac e il “récit” melodrammatico, Università degli Studi di Firenze, Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di laurea in Lingue e letterature straniere – Lingua e letteratura francese, Anno accademico 1999-2000.

 

 

  Francesco Fiorentino, Il privato, la provincia, Parigi nella “Comédie humaine”, Università degli Studi di Bari, Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di laurea in Lingue e letterature straniere – Lingua e letteratura francese (a-k), Anno Accademico 1998-1999.

 

  Dalla Bibliografia: Balzac, Gobseck, La Maison du chat-qui-pelote, Le Bal de Sceaux, Le Père Goriot, Eugénie Grandet, La Muse du Département, La Duchesse de Langeais.

 

  Seminario: Il moderno fallimento di un artista. Lettura di “Illusions perdues”.

 

 

  Francesco Fiorentino, Anatomia della passione romantica, Università degli Studi di Bari, Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di laurea in Lingue e letterature straniere – Lingua e letteratura francese (a-k), Anno accademico 1999-2000.

 

  Dalla Bibliografia: Balzac, Studi su Beyle.

 

 

  Francesco Fiorentino, in «Balzac a deux cent ans». Colloque international, Fès (Maroc), 10-12 novembre 1999.

 

 

  Franca Franchi, L’immaginario androgino fra Ottocento e Novecento, Bergamo, Istituto Universitario, Facoltà di Lingue e letterature straniere – Letteratura francese moderna e contemporanea, Anno accademico 1999-2000.

 

  Dalla Bibliografia: Balzac, Sarrasine, 1830.

 

 

  Valeria Gianolio, La seduzione e le sue strategie in alcuni romanzi francesi dell’Ottocento, Università degli Studi di Torino, Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di laurea in Lingue e letterature straniere – Lingua e letteratura francese II, Anno accademico 1998-1999.

 

  Dalla Bibliografia: Balzac, La Fille aux yeux d’or, Sarrasine.

 

 

  Hélène Giaufret Colombani, L’argot dans le roman du XIXe siècle. Balzac, Hugo, Sue, Università degli Studi di Genova, Facoltà di Lingue e letterature straniere – Storia della lingua francese, Anno Accademico 1999-2000.

 

  Dalla Bibliografia: Balzac, Splendeurs et misères des courtisanes.

 

 

  Tiziana Goruppi, Maschile e femminile nell’immaginario dell’Ottocento, Università degli Studi di Pisa, Facoltà di Lingue e letterature straniere – Storia della cultura francese, Anno accademico 1999-2000.

 

  Dalla Bibliografia: Balzac, Mémoires de deux jeunes mariées, Le contrat de mariage, Petites misères de la vie conjugale, Sarrasine, Séraphîta.

 

 

  Carmelina Imbroscio, La letteratura fantastica tra Sette e Ottocento, Università degli studi di Bologna, Facoltà di Lingue e letterature straniere – Lingua e letteratura francese, Anno accademico 1999-2000.

 

  Dalla Bibliografia: Balzac, La peau de chagrin.

 

 

  Mario Lavagetto, La macchina del racconto: per una lettura dei saperi narrativi, Università degli Studi di Bologna, Dipartimento di Italianistica – Teoria della letteratura, Anno accademico 1998-1999.

 

  Dalla Bibliografia: Balzac, L’auberge rouge, Sarrasine, Le chef-d’oeuvre inconnu, Adieu, Un prince de la bohème, Une passion dans le désert, La fille aux yeux d’or.

 

 

  Mario Lavagetto, “Bugia/Finzione/Dissimulazione/Verità”, Università degli Studi di Bologna, Dipartimento di Italianistica – Teoria della letteratura, Anno accademico 1999-2000.

 

  Dalla Bibliografia: Balzac, Sarrasine.

 

 

  Giuseppe Leonelli, Personaggio e organizzazione narrativa, Università degli Studi di Chieti, Facoltà di Lettere e Filosofia – Teoria della letteratura, Anno accademico 1999-2000.

 

 

  Maria Giulia Longhi, L’arte del racconto nell’Ottocento francese, Università Statale di Milano, Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di laurea in Lingue e letterature straniere – Lingua e letteratura francese, Anno accademico 1999-2000.

 

  Dalla Bibliografia: Balzac, Le Colonel Chabert.

 

 

  Ida Merello, Balzac nella tradizione narrativa dell’Ottocento, Genova, Università degli Studi, Facoltà di Lingue e Letterature Straniere – Lingua e letteratura francese B, Anno accademico 1999-2000.

 

 

  Patrizia Oppici, Balzac e il romanzo d’appendice, Università degli Studi di Parma, Facoltà di Lettere e Filosofia, Istituto di lingue e letterature romanze – Letteratura francese contemporanea, Anno accademico 1998-1999.

 

  Dalla Bibliografia: Balzac, La Vieille Fille, La Cousine Bette, L’Envers de l’Histoire Contemporaine.

 

 

  Pierluigi Pellini, Il quadro perturbante. Balzac e un tema del fantastico, a cura del Dott. Pierluigi Pellini dell’Università di Pisa. Seminario, Udine, Università degli Studi, Dipartimento di Lingue e letterature straniere, Palazzo Antonini, 11 maggio 1999, ore 16.00, aula 5.

 

  Su Le Chef-d’oeuvre inconnu.

 

 

  Giorgio de Piaggi, Introduzione al genere poliziesco dei secoli XIX-XX, Genova, Università degli Studi, Facoltà di Lingue e Letterature Straniere – Lingua e letteratura francese, Anno accademico 1999-2000.



  Susi Pietri, La genèse et son double dans “Le Chef-d’oeuvre inconnu”, in Collectif, Balzac, l’éternelle genèse ... cit.

 

  Le Chef-d’oeuvre inconnu di Balzac pone indiscutibilmente all’attenzione del lettore, forse più di qualsiasi altro testo della Comédie humaine, un sistema di importanti interrogativi e di attualissime problematiche riguardanti l’intelligibilità dell’opera d’arte (sia essa letteraria o pittorica) vista in rapporto alla sua genesi. Il suggestivo gioco di scambi e di corrispondenze a volte incontrollabili rilevabile tra la genesi dell’opera balzachiana e l’immagine che in essa riflette lo sviluppo diegetico del tema pittorico costituisce il tema portante di questo intervento di S. Pietri.

  Pubblicato originariamente nel 1831 ne «L’Artiste», Le Chef-d’oeuvre inconnu ha conosciuto diverse versioni sino al 1847, senza che però nessuna di esse consenta di cogliere in presa diretta “le travail de l’écriture”. Se «à chaque étape de ce parcours génétique discontinu, scandé par les vides réitérés, un récit autonome, marqué par sa finition, en accédant à l’imprimé sanctionne un accomplissement démenti par le récit suivant», la storia dei due capolavori – il racconto di Balzac e l’illeggibile quadro di Frenhofer, nei quali risalta nella sua assoluta modernità lo spostamento della «genèse scripturale vers la genèse picturale» – si identifica «à ce mouvement réciproque du non finito dans son contraire». In questo senso, «l’impératif de représenter la forme en mutation de Catherine par le processus narratif engage une relation problématique, turbulente, soit avec le tableau qui s’inscrit progressivement, soit avec le récit qui le décrit par ses métamorphoses scripturales».

 

 

  Susi Pietri, Le don de l’envers. “Une passion dans le désert” de Balzac et “Un artiste de la faim” de Kafka, in Collectif, Envers balzaciens ... cit.

 

  La figura dell’«envers» rappresenta un motivo ricorrente della Comédie humaine e un principio formale che si impone a tutti i livelli del testo balzachiano: Une passion dans le désert di Balzac e Un artiste de la faim di Kafka raccontano, da questo punto di vista, due esperienze liminari, ai confini di una animalità vista, appunto, come rovescio dell’umanità. È proprio nell’animalità che la scrittura interroga e definisce ciò che per definizione risulta essere imponderabile e inesprimibile: «le don incandescent de la vie animale – osserva l’A. – comme envers de l’humain [...] contamine les hommes crûment animalisés, le provençal balzacien épris d’amour fou pour Mignonne, le jeûneur kafkaïen devenant bête dans sa cage parmi les bêtes des écuries. En même temps, ces dédoublements sauvages d’un don contagieux se redoublent par le don réfléchi, labyrinthique de la parole». Entrambi i racconti affrontano dunque la riflessione del duplice (e incompatibile) dono dell’arte e della vita: in questo senso, «l’écriture sur le ‘double don’ se déplie par cette volonté d’une coappartenance intenable dans la distance toujours renaissante, elle est la forme de cette volonté scindée, à la limite du paradoxe».

 

 

  Valeria Ramacciotti, Protagoniste del romanzo ottocentesco francese davanti alla morte: presagi e fine, Università degli Studi di Torino, Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di laurea in Lingue e letterature straniere – Lingua e letteratura francese III-IV, Anno accademico 1998-1999.

 

  Dalla Bibliografia: Balzac, Le Lys dans la vallée.

 

 

  Valeria Ramacciotti, Il tema della morte dell’eroina in alcuni romanzi francesi dell’Ottocento, Università degli Studi di Torino, Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di laurea in Lingue e letterature straniere – Lingua e letteratura francese III-IV, Anno accademico 1999-2000.

 

  Dalla Bibliografia: Balzac, Le Lys dans la vallée.

 

 

  Liliana Rampello, Il cuore del romanzo. Teorie della letteratura e poetiche, Università degli Studi di Bologna, Facoltà di Lingue e letterature straniere – Estetica, Anno accademico 1998-1999.

 

  Dalla Bibliografia: H. James, Tre saggi su Balzac.

 

 

  Domenico Tanteri, Un aspetto “perturbante”: il doppio in letteratura, Università degli Studi di Catania, Facoltà di Lettere e Filosofia – Letterature comparate, Anno accademico 1998-1999.

 

  Dalla Bibliografia: Balzac, Séraphîta.

 

 

  Maria Gioia Tavoni, Dai gabinetti di lettura alle mediateche: due secoli di spazi pubblici del libro e della lettura, Università degli Studi di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di laurea in Lettere – Biblioteconomia e Bibliografia, Anno accademico 1999-2000.

 

  Dalla Bibliografia: Balzac, Le illusioni perdute.

 

 

  M. G. Turudda, Città da romanzo: Parigi, Roma, Lisbona, Praga, New-York, Buenos Aires, Londra: dalla realtà al mito, Università degli Studi di Cagliari, Corso di laurea in Scienze dell’educazione – Letterature comparate, Anno accademico 1998-1999.

 

  Dalla Bibliografia: Balzac, La commedia umana, Milano, Mondadori, 1994.

 

 

  M. G. Turudda, Giovani e metropoli, Università degli Studi di Cagliari, Corso di laurea in Scienze dell’educazione – Letterature comparate, Anno accademico 1999-2000.

 

  Dalla Bibliografia: Balzac, Papà Goriot.

 

 

  Silvana Turzio, Modi di guardare dell’Ottocento. Seminario, Università Statale di Milano, Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di laurea in Lingue e letterature straniere – Lingua e letteratura francese, Anno accademico 1999-2000.

 

  Dalla Bibliografia: Balzac, Le Père Goriot.

 

 

  Sandro Volpe, Dal romanzo allo schermo: adattamento o variazione?, Università degli Studi di Palermo, Facoltà di Lettere e Filosofia – Teoria della letteratura, Anno accademico 1998-1999.

 

  Dalla Bibliografia: Jacques Rivette, La belle noiseuse, 1991 (da Balzac, Le chef-d’oeuvre inconnu).

 

 

  Franca Zanelli Quarantini, “Coppie d’amici”: solidarietà e complicità maschili nel romanzo ottocentesco francese, Università degli Studi di Bologna, Facoltà di Lingue e letterature straniere – Lingua e letteratura francese II, Anno accademico 1998-1999.

 

  Dalla Bibliografia: Balzac, Splendeurs et misères des courtisanes, Le Cousin Pons.

 

 

 

 

Adattamenti cinematografici.

 

 

  Addio, mediometraggio per il cinema, da “Adieu” di Balzac, regìa di R. Giudici, con Sabina Villa, prod. di C. Salvatores Film, Milano, 1999.

 

 

 

 

Eventi.

 

 

  Balzac e l’Italia. Conferenze, Film, Concerto, Mostre, Roma, Palazzo delle Esposizioni – Accademia di Villa Medici – Centre Saint Louise – Ambasciata di Francia, 3 maggio-30 giugno 1999.

 

Lunedì 3 maggio, ore 18,00:

Improvvisazioni su Balzac. Conferenza inaugurale di Michel Butor;

Martedì 11 maggio, ore 17,30:

Balzac, oggi, La parola a scrittori, critici, editori. Tavola rotonda. Elena Gianini Belotti, Antonio Debenedetti, Carmine Donzelli, Marco Lodoli, Paolo Mauri, Nico Orengo, Elisabetta Rasy. Bruno Racine.

Giovedì 20 maggio, ore 17,00:

Eugenia Grandet. Proiezione del film di Mario Soldati (1946). Commentato da Mario Verdone.

Lunedì 7 giugno, ore 17,00:

L’Italia in Balzac. Modelli, Stereotipi, Esperienze. Conferenza di Pierre Brunel su Dante e Balzac. Introduce il tema Paola Dècina Lombardi. Intervengono: Guido Davico Bonino, Echi italiani in «Sarrasine»; Marisa Volpi, «Il Capolavoro sconosciuto», qualche appunto; Sandro Cappelletto, Balzac e Rossini, dal Mosé al disincanto.

Venerdì 18 giugno, ore 18,00:

Balzac in Italia. Inaugurazione delle Mostre. «Mosaico Italiano», «Omaggio a Balzac». Otto artisti e la Commedia Umana. Enrico Baj, Ubuzac; Piero Dorazio, Il Capolavoro sconosciuto; Giosetta Foroni, La peau de chagrin, Fantasie; Nora Kersh, Human Comedy. Shadow and Lights; Dario Passi, Sabbia Sable Sand; Giovanna Picciau, Balzac; Ruggero Savinio, Ritratto di Balzac e Scene da Sarrasine.

 

 

  Balzac e l’Italia, Bologna, Maison Française, 7 ottobre-3 novembre 1999.

 

Giovedì 7 ottobre, ore 17,30:

“Balzac e l’Italia”. Tavola rotonda. Carminella Biondi, Paola Dècina Lombardi, Alain Mussuard, Antonio Debenedetti;

ore 19:

“Balzac in Italia”. Inaugurazione delle Mostre. A cura di Paola Dècina Lombardi. “Mosaico Italiano”. “Omaggio a Balzac”. Sette pittori contemporanei e la “Comédie humaine”. Enrico Baj, Piero Dorazio, Isabella Ducrot, La ricerca dell’assoluto, Giosetta Fioroni, Nora Kersh, Ruggero Savinio, Giuseppe Spina, Balzac.

Giovedì 21 ottobre, ore 18:

“Eugénie Grandet”. Proiezione del film (1993) di J.D. Verhaeghe presentato da M.C. Elékès.

 

 

  Presentazione del volume: Honoré de Balzac,Il cugino Pons” (traduzione di Paola Bellandi, Milano, Frassinelli), Brescia, Sala di lettura della Fondazione Luigi Micheletti, 20 dicembre 1999, ore 18.00.

 

  Sono intervenuti: Paola Bellandi, Giuseppe Bernardelli, Folco Portinari e Maurizio Bernardelli Cruz.

 

 

 

 

Eventi cinematografici.

 

 

  Balzac. Una vita di Passioni. Regia: Josée Dayan. Interpreti: Gérard Depardieu, Jeanne Moreau, Fanny Ardant, Virna Lisi, Katja Riemann, Claude Rich, Gert Voss, Sergio Rubini, François Marthouret, Marianne Denicourt. Produzione: Francia, Italia (Mediaset), Germania, 1999.



[1] La quasi totalità dei riferimenti contenuti in questa rassegna sono tratti dalla nostra monografia: Echi italiani del Bicentenario balzachiano, Moncalieri, C.I.R.V.I., (febbraio) 2001 («Quaderni del C.R.I.E.R. Supplemento al n. 4»), pp. 145.

[2] Questo saggio di P. Citati è ora compreso, con il titolo di Le incarnazioni di Vautrin, ne Il Male assoluto. Nel cuore del romanzo dell’ottocento, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 2000 («Letteratura contemporanea»), pp. 110-125.

 

[3] Per quanto concerne i riferimenti critici presenti nelle piattaforme multimediali, segnaliamo: Cesare Balbo, Il bicentenario della nascita di Balzac (1799-1850), www.soldionline.it”; Luigi de Bellis, Honoré de Balzac, www.members.xoom.it/_XOOM/outlook/Person/balzac.htm, 1999; Giuseppe Milito, Un libro al mese ... “La Cugina Bette” di Honoré de Balzac (1799-1850), www.lanostravalle.it/numero15/pagina_21.htm; Cesare Segre, Un saggio critica il semiologo Barthes nel gioco delle contraddizioni. Parlando di Balzac a sorpresa negò il suo metodo strutturalista, www. lgxserver.uniba.it/lei/rassegna/990624.htm. Francesco Varanini, Honoré de Balzac, ovvero: Come narrare le organizzazioni, «Bloom!», www.bloom.it/vara13.htm, pp. 5. Fabia Zanasi, Una commedia umana per aspirare al cielo, www.criad.unibo.it/galarico/ZANASI/lett_it/balzac.htm.

 

[4] Cfr. anche 1998.



Marco Stupazzoni

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