sabato 13 febbraio 2016


1871



Traduzioni.


  De Balzac, Fasti e Miserie delle corteggiane. Prima traduzione italiana di Giuseppe Lubrano, Napoli, Felice Perrucchetti – Libraio, Chiaia, 110 (St. Tip. della Sirena) [1871 ca.].[1]


 

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  Quattro volumi in 24° rispettivamente di 112, 112, 112 e 110 pagine. Le parti che formano la struttura di questi quattro tomi sono così suddivise: Prologo. Il patto fatale (Vol. I, pp. 7-65); Parte Prima. Ester Felice (vol. I, pp. 67-112; Vol. II, pp. 3-112; Vol. III, pp. 3-112; Vol. IV, pp. 3-85). Da p. 87 a p. 110 del Vol. IV è presente il racconto: Isha o la schiava africana. Novella di Boitard.

 

 

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  La prima parte del Vol. I (Prologo. Il patto fatale) contiene una traduzione-riduzione alquanto mutilata in molte sue ampie sequenze testuali di Illusions perdues: da p. 3 a p. 33, è presente la trasposizione di Les deux poètes; da p. 33 a p. 45, quella corrispondente a Un grand homme de province à Paris, mentre da p. 45 a p. 65, si trova la versione di Les souffrances de l’inventeur. La ‘traduzione’ è condotta sul testo dell’edizione Furne (o su quello di qualche edizione posteriore: Marescq et Cie, 1851-1853; Librairie Nouvelle, 1857; M. Lévy, 1866): notevolmente libero, incompleto e sovente sbrigativo, questo riassunto-adattamento del capolavoro balzachiano è condensato in molte sue parti essenziali, svuotato di molte scene, semplificato con tagli arbitrarî e ricuciture operate con approssimazione e assai discutibile eleganza di stile. Il Prologo termina con la descrizione della scena in cui Lucien incontra l’abate Carlos Herrera (cioè Vautrin) e sottoscrive con l’ex-forzato quel diabolico patto fatale che segnerà l’intera sua esistenza fino alla morte. Giuseppe Lubrano conclude in questo modo la sua versione del romanzo (p. 65):

  - Che! mi darete dodici mila franchi?
  Il prete mise mano in sacca, ne cacciò un sacchetto di cuoio diviso in tre compartimenti, conosciuto da’ viaggiatori, e prese cento portoghese immergendovi tre volte la sua larga mano, che cacciava piena di oro.
  – Padre mio, io son vostro, disse Luciano vinto da quel’oro (sic), e guardandolo avidamente.
  A questa parola, che formava un patto fatale per Luciano, il prete lo guardò sott’occhio, ed un sorriso di trionfo spuntò sulle sue labbra. Il sorriso del demone sicuro della sua preda!
  Erano arrivati a Parigi.

  I medesimi difetti riscontrati nella ‘traduzione’ di Illusions perdues, sono presenti nella versione-riduzione in lingua italiana fornita da Giuseppe Lubrano per quel che riguarda Splendeurs et misères des courtisanes.

 

  Sotto il titolo di: Parte Prima. Ester Felice, il traduttore ci propone una trasposizione alquanto ridotta e concentrata delle prime tre parti che compongono il romanzo di Balzac. Da un confronto tra la versione italiana ed il corpus delle varianti testuali proprie del testo originale, sembra che il Lubrano abbia condotto questo suo lavoro di traslazione-rifacimento sia sul testo dell’edizione de Potter (in 3 volumi) del 1844 sia su quello dell’edizione Furne (o di qualche edizione posteriore), dove la prima parte del romanzo è appunto intitolata: Esther heureuse, del 1844-1846. Questa versione napoletana di Splendeurs et misères des courtisanes è indipendente dalla traduzione fiorentina del romanzo pubblicata da «L’Arte. Giornale letterario, artistico, teatrale» tra l’aprile 1857 e l’agosto 1858.


 

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  L’opera è suddivisa dal Lubrano in 30 capitoli, sul modello dell’edizione de Potter, i quali, tuttavia, sono strutturati ed organizzati dal traduttore in maniera del tutto personale ed arbitraria. Da p. 68 a p. 112 del Vol. I e da p. 3 a p. 84 del Vol. II, è presente la versione di Esther heureuse; da p. 84 (cap. XV. Il patto) a p. 112 del Vol. II e da p. 3 a p. 100 del Vol. III, quella di: Combien l’amour revient aux vieillards, mentre la ‘traduzione’ della terza parte del romanzo: Où mènent les mauvais chemins, si ritrova da p. 101 (cap. XXX. Il processo) a p. 112 del Vol. III e da p. 3 a p. 83 del Vol. IV. Resta completamente esclusa dall’opera in questione la traduzione della quarta ed ultima parte del romanzo: La Dernière incarnation de Vautrin che il Lubrano riassume grossolanamente in due paginette intitolate: Riepilogo (pp. 84-85), il cui testo trascriviamo qui integralmente come testimonianza esemplare, ma tutt’altro che onorevole, del “modus operandi” del traduttore napoletano nei confronti del testo balzachiano:


  RIEPILOGO

  Ed ora che siamo al termine di questa triste ma vera istoria, non vogliamo lasciare il lettore senza prima avergli fatto conoscere la fine dei principali personaggi di questo dramma.
  Morto Luciano di Rubempré, e salvata in certo modo la sua memoria dall’infamia, cessò ogni ragione per salvare Giacomo Collin. Fu istruito quindi un processo, raccogliendo tutte le pruove contro di lui, finchè fu tradotto innanzi alla corte di assisie, e condannato all’ultimo supplizio, che per clemenza sovrana fu tramutato ai lavori forzati a vita.
  La contessa di Serizy visse la sua vita in una continua malinconia, senza che le cure del marito né le premure dei suoi amici avessero potuto farle obbliare ciò che ella chiamava «il suo primo amore».
  La duchessa di Maufrigneuse si consolò della perdita di Luciano, dedicandosi a coltivare la conoscenza di altri giovani eleganti.
  I tre complici di Giacomo Collin, Paccard, Europa ed Asia furono condannati i primi due a dieci anni di lavori forzati, essendo stati arrestati in una ignobile locanda di Parigi, dove furono rinvenuti anche i settecento cinquantamila franchi rubati in casa di Ester, e la terza a sei mesi di carcere, ed un anno di sorveglianza.
  Il barone di Nucingen riebbe i suoi settecento cinquantamila franchi; ma rifiutò il legato di Luciano di Rubempré. Egli invecchiò di dieci anni, e Delfina sua moglie, compiangendolo, gli diceva ipocritamente che un marito deve fedeltà alla moglie, avendolo giurato. Rastignac seguitò ad essere il servitore devoto di Delfina di Nucingen.
  Corentin, dopo aver adempito alla sua missione in Ispagna, cioè dilucidare la passata vita di Giacomo Collin, ritornò in Francia, dove passò il resto dei suoi giorni a servire la Polizia, giurando di mai più immischiarsi in affari privati.
  La povera figlia di Peyrade finì la sua vita all’ospizio dei pazzi.
  Finalmente la Val-Noble, con le cinquantamila lire ricevute da Ester, si ritirò in Normandia, dove sposò un vecchio signore, il quale la credè sempre la più pura delle donne.

  Balzac, Papà Goriot. Storia parigina pubblicata da Balzac, Milano, E. Savallo Editrice (Stab. G. Civelli), 1871 («Biblioteca amena tascabile. Romanzi-Novelle-Racconti e Viaggi», voll. XXII, XXIII, XXIV della [22°, 23°, 24° Collezione].[2]

 

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  Tre volumi in 24° di 192 pagine ciascuno. Il testo di Papà Goriot, suddiviso in sei capitoli, termina a p. 105 del vol. III; da p. 109 a p. 168, troviamo La Marana. Novella dello stesso autore e Storia di Madama Diard a cui segue il racconto La Balla della Signora de Flesselles (pp. 169-191).


 

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  Siamo di fronte alla riproduzione delle mediocri traduzioni di Luigi Masieri, edite, a Milano, dall’editore Pirrotta nel 1835.

 

  Balzac, I Pericoli del mal costume di Balzac, in Giovanni d’Austria di Francesco Mastriani, Napoli, Felice Perrucchetti libraio-editore, [1871?], Vol. IV, pp. 28-100.[3]

 

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  Volume in 24°. Si tratta della riproduzione del testo già pubblicato nelle Scene della vita privata (Napoli, Tramater, 1834) che, a loro volta, sono una contraffazione dell’edizione livornese del 1832.

 

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  Balzac, Il Signor Thiers, «L’Indipendente. Giornale politico letterario quotidiano fondato da Alessandro Dumas», Napoli, Anno XII, N. 238, 6 Settembre; N. 239, 7 Settembre; N. 240, 9 Settembre 1871, pp. 1-2.


l'indipendente 1871

  La traduzione di questo ritratto sulla figura di Adophe Thiers composto da Balzac e tratto dalle Lettres Russes (Mars) pubblicate nella Revue Parisienne del 25 juillet 1840 è preceduta da una breve nota di Francesco Petruccelli della Gattina, a cui si deve molto verosimilmente la traduzione dell’articolo, che trascriviamo integralmente:

Nola, 29 agosto.

  Ho trovato nella mia biblioteca in Italia un volume divenuto introvabile in libreria: i primi numeri della Revue Parisienne che fondò Balzac nel 1840 e che scrisse solo. Quivi è un ritratto del signor Thiers, all’apogeo allora della sua carriera. Questo pezzo di prosa dell’immenso Balzac e una perla sotto tutti i rapporti, e non mai riprodotto di poi, che io mi sappia. Sono lieto di farlo conoscere agli Italiani; aggiungendo, per debito di coscienza, il ricordo che il signor di Balzac era cattolico e legittimista, non per sentimento, ma per una specie di fantasia aristocratica di questo piramidale palombaro del cuore umano.

  Che il Visconti-Venosta lo mediti attentamente.

Petruccelli della Gattina.

  p. 2, N. 239. «Il potere di questa donna è immenso. In parecchie occasioni, madama Dosne ha fatto recedere il sig. Thiers da una decisione. Og­gi, quando dopo il suo pranzo, egli riceve un ambasciatore e si addormenta, ella resta a tre passi, lo sorveglia e risponde per lui».

  Il seguito dell’articolo, anzi il seguito degli articoli di Balzac, è troppo lungo per un diario. Rac­conta fatti che, sono oramai storici, e sono regi­strati dalla storia, da Louis Blanc nella sua stupenda Storia di dieci anni, da Capefigue nel suo centone a soldo del governo, da Haussonville e da altri. Con rincrescimento sono dunque costretto a saltar molti periodi e restringere.

  «… Alla casa Thiers si facevano del­le grasse risa sulle toilette, cappelli, vesti, ornamenti che si vedevano alla corte». […].

  «Essa cominciò di un modo terribile: si an­nunciò alla corte, al paese, all’Europa, una coalizione».

  E qui Balzac entra in dettagli curiosi sulla stampa, che tratta con disprezzo, che è amministrata da uo­mini mediocrissimi, che è venale, e cui la corte non aveva l’abilità di comprare. Gli Orléans non avevano che due giornali: l’Univers ed il Débats — dei quali Balzac fa una curiosa monografia esatta ancora og­gidì. Poi continua:

  «Comprendete voi che in un paese ove dieci giornali riuniti fanno la guerra, ove trenta scrittori dell’ultima nullità fulminano un sistema a colpi di penna, abbia ad essere un uomo, afflitto da cinquecento mila franchi di debiti, che prenda la mano sopra: una Cor­te ricca di venticinque milioni di rendita e che ha certo delle economie? Ebbene, la cosa è arrivata proprio così. Il signor Thiers ha assoldati sotto i suoi ordini nove gior­nali — poco curandosi dei giornali legit­timisti e del National, che è ad un tempo contro le Tuileries e contro di lui».


  p. 2 del N. 240. L’articolo termina al seguente punto:

  «Questo pensiero fu compreso. La Corte si disse a volta sua: Ridimandiamo le ceneri. M’hanno rifiutato cinquecento mila franchi per maritare il duca di Nemours; sarà curio­so veder dare un milione per collocare delle ossa! Ma essi pensava ripescare la bara, e si credettero vittoriosi quando si poterono met­tere le ceneri di Napoleone sotto la guardia di un principe della casa Orléans. Ciascuno aveva il suo rubber; la partita decisiva si giuocherà più tardi».

Balzac.

  Segue una breve nota nella quale è specificato che:

  Balzac racconta poi la spedizione di Boulogne, di Luigi Napoleone, il processo, gli affari di Orien­te, gli inganni del sig. Thiers, l’umiliazione che inflissero alla Francia le quattro potenze, l'umilia­zione che inflisse a Thiers il sig. Guizot, i profitti fatti alla Borsa dal Parti Voleur — il partito ladro – in mezzo al quale figura il suocero di Thiers, il signor Dosne, che guadagnò parecchi milioni, dopo di che Thiers divenne ricco, ed infine la sua caduta dal ministero». 


 

Studî e riferimenti critici.



  Cronaca cittadina e notizie varie, «Giornale di Padova. Politico-Quotidiano», Padova, Anno VI,N. 41, 10 febbraio 1871, p. 3.

  Al sesso gentile, che tanto fece per aiutare il caritatevole intendimento, ri­peteremo con uno scrittore francese, col Balzac «la femme a cela de commun avec l’ange, que les êtres souffrants lui appartiennent». [Citazione tratta da Eugénie Grandet].


  Comitato di Padova per soccorso ai soldati francesi prigionieri in Germania, «Bollettino della Società di Solferino e S. Martino», Venezia, N. 10, 7 Marzo 1871, p. 4.

  Cfr. scheda precedente.


  L’armadio in ferro del fabbro-meccanico Crespi Pietro e degli oggetti di pesca dell’Ing. Appiani, «L’Emporio Pittoresco. Illustrazione universale. Giornale settimanale», Milano, Edoardo Sonzogno Editore, Anno VIII, N. 368, Dal 17 al 23 Settembre 1871, p. 149.

  Non crediamo che sia il mondo un animale che abbia fornito, come il pesce, un numero sì grande di proverbi dedicata (sic) all’immensa categoria dei gonzi: l’amo, l’esca e le reti c’entrano sempre per qualche cosa quando si tratta di un povero diavolo che si lascia trarre in inganno; e noi uomini superbi d’appartenere al sesso forte, quante volte facciamo la figura dell’umile pesce davanti alla donna od all’oro, che sono gli ami universali ai quali cerchiamo sempre, a seconda che siamo più o meno giovani, d’abboccare. Cader nelle reti, morder l’amo, lasciarsi sedurre dall’esca ecc. sono proverbi sulla bocca di tutti e parrebbe che il pesce fosse un animaluccio tanto stupido che basti gettar l’amo perché vi corra ad infilzarsi; e Balzac nelle sue Fisiologie non dubitava d’asserire che questa stupidità si comunica perfino al pescatore che nei tratti del viso allungato dalla sua immobilità veniva ad assomigliare anche fisicamente al pesce; ma chiedetelo a tutti gli esperti, e vi diranno che questo svelto abitatore dell’acqua, che in tutte le direzioni guizza rapido e volubile, può dare molti punti all’animale grazioso e benigno che gli fa la posta.


  Gli uomini della Comune, «L’Illustrazione Popolare», Milano, Vol. IV, N. 45, 12 Ottobre 1871, p. 359.

 

XIV.

 

  Alcuni anni fa erano di moda a Parigi le «conferenze». Un dì il pubblico elegante che frequentava la sala di conferenze, nel boulevard des Capucines venne informato che un giovane giornalista che da qualche tempo faceva molto parlare di sè, Giulio Vallès, vi parlerebbe di Balzac e delle sue opere.

  La sera della conferenza, la più scelta società parigina era nella sala del boulevard des Capucines. Giulio Vallès salì sulla cattedra, bevve un bicchier d’acqua, guardò fiso durante qualche minato le persone raccolte per ascoltarlo, poi cominciò a parlare.

  Il silenzio fu profondo dapprima; ma dopo pochi minuti un sordo mormorio di sdegno e di riprovazione percorse l’uditorio. Vallès, che non aveva preparato il suo discorso, lo improvvisava. Accumulava paradossi stranissimi; prodigava bizzarre antitesi. Invece di parlar di Balzac, parlava di Gesù Cristo e di Dio: «Dieu ne nous gêne pas!» esclamava con voce aspra, sorda, cupa.



  A spizzico, «Nuovo Giornale Illustrato Universale», Roma, Anno IV, Num. 49, 3 dicembre 1871, p. 479.

  La riconoscenza per calcolo è la migliore e la più solida delle riconoscenze.

Balzac.


  Elena Albana, Corrispondenze. VI. Da Boston. - “Les femmes fortes” di Sardou, «La Rivista Europea», Firenze, Tipografia Editrice dell’Associazione, Anno II, Volume II, Fascicolo I, Marzo 1871, pp. 160-165.

  p. 160. Il Sardou, come al solito, aggiusta pel teatro una tesi che il romanzo gli ha fornito. Voi vi ricordate, senza dubbio, ch’egli tolse ad imprestito, i Nos bons villageois da un lavoro originale del gran romanziere Balzac, e le Pommes du voisin da uno de’ romanzi dello spiritoso Carlo Bernard.


  Anton Giulio Barrili, I Rossi e i Neri. Romanzo di Anton Giulio Barrili. Volume I, Milano, Fratelli Treves, Editori, 1871.


  p. 224 (sesta edizione, 1906) Uno scrittore (né sappiamo più quale, e se non vi sa d’autentico, mettete che siam noi a dirittura) ha detto che le donne sogliono amare nella lor vita in due modi; giovani, inesperte, come l’uom vuole; donne fatte, avvedute, come loro talenta; donde avviene che nel primo caso infastidiscono, nel secondo uccidono. Debolezza e crudeltà! Speriamo nel futuro: auguriamo ai nostri nipoti una nuova e miglior forma logica dell’amore. Le donne saranno più libere e per conseguenza più umane; gli uomini, spogli finalmente de’ loro torti concetti, vedranno in esse le eguali, le compagne, le amiche, le consolatrici della vita; non si spartiranno più, come era, in due classi, di carnefici e di vittime. Lovelace e Werther saranno spariti; rimarrà in vece loro un uomo nuovo, amante ed amato, confidente e felice. Nato dalla libertà, l’amore si nutrirà di stima; la venerazione tornando al suo vecchio significato, farà solenne ciò che ora è brutale o colpevole, doloroso o ridicolo. Questa poesia dei sensi, come l’ha definito il Balzac, diventerà il senso più eletto della poesia che informa l’umanità tutta quanta, e che ha nella donna la sua incarnazione più efficace e più splendida.


  Giovanni Battista Bozzo Bagnera, Sulla perpetua proprietà letteraria ed artistica. Studio di Giovan Battista Bozzo Bagnera, Palermo, Tipografia Cesare Volpes, 1871.


  pp. 18-19. Quanti esempi mostrano che uomini indifferenti, o meglio artisti, la di cui scintilla era stata coperta dalla cenere sociale, pel bisogno di sostentare la propria famiglia hanno creato dei capolavori? Tutti i giovani sono artisti, tutti poeti: entrati nel gran mondo, i loro cuori sono viziati e corrotti, e uno strato come di bronzo si forma nei loro petti; strato che li rende incapaci di qualunque nobile sentimento, che non si rompe che per lasciarne sprigionare l’anima: l’artista si fa forse viziare le facoltà materiali, ma il suo cuore, la sua mente e la sua anima resteranno sempre puri, sempre grandi. Quanti capolavori non dobbiamo alle lagrime ed alla sventura! Lo storico, lo scienziato, il filosofo, l’artista, il poeta, invece di essere egoisti e pensare soltanto alle loro famiglie, lavorano pel bene dell’intera umanità: muoiono, e che cosa resta ai loro figli, alle loro mogli? … Nulla! … È questa giustizia? … - No, lo ripeto ancora, lo scrittore e l’artista, chiedendo un compenso pei suoi lavori, non si abbassa, ma conserva tutta intiera la sua dignità. Egli è uomo e deve soddisfare a tutti i suoi bisogni; egli ha moglie, ha figli, ha parenti a dover sostentare. – Chateaubriand vendè le sue opere 500000 franchi; Walter-Scott, per la ristampa delle sue, ebbe 20000 lire sterline; Sue, Dumas, Victor Hugo, Balzac, Lamartine fecero delle grosse fortune; e non per questo la società ha avvilito la loro dignità, ma anzi ha gioito nel dare un compenso ad uomini così eminenti; mentre non fa che piangere per Omero che cantava pei trivii onde mendicare un tozzo di pane, per Tasso che visse miserissimo e infelice, per Rousseau che doveva copiar musica onde avere di che vivere, per Camoens buttato in un ospedale, per Chatterton costretto a suicidarsi, e per molti altri che vissero e morirono miserabili. Bisogna pur considerare che in qualunque epoca, e sotto qualsiasi governo, la voce dello scienziato, del letterato e dell’artista è sempre influentissima, e quindi giustizia vuole che sia mantenuto in un’ottima posizione economica.


  A.[chille] G.[iovanni] Cagna, Un bel sogno. Romanzo, Milano, presso Carlo Barbini editore, 1871.


XIII.

  p. 126. Non sapremo invero ove trovare altra colpa se non quella di un eccessivo amore per l’unica figlia, amore che trascendeva alquanto in debolezza; ma mio Dio, noi siamo più che persuasi, per quanto questa debolezza possa sembrare imputabile, che tutti i sistemi d’educazione per damigelle, hanno il loro lato difettoso. – L’eccessivo rigore ha pure gravissimi inconvenienti, e può portare a serie conseguenze.
  Balzac nella sua Fisiologia del matrimonio condanna il rigore esercitato dai genitori sulle figlie allontanandole da ogni contatto colla società, e preferirebbe che questa repressione si applicasse più alla sposa che non alla ragazza. – Il mondo è certo una gran scuola; chi non lo frequenta da giovane, e non apprende a conoscerlo, non saprà mai premunirsi contro le sue insidiose apparenze; e nel punto in cui abbisogna di una pratica esperienza, trovasi debole ed incerto a sostenere le lotte della vita.


  C.[arlo] Collodi, Un’antipatia, «Almanacco del Fanfulla Pel 1871», Firenze, Tipografia Eredi Botta, Anno I, 1871, pp. 145-174.


  pp. 159-160. Una mattina di domenica la Margherita e sua madre andarono alla Filarmonica.
  C’era un’accademia musicale – una di quelle accademie descritte da Balzac con tanto brio – le quali, per il solito, riescono lunghe, noiose e moltissimo applaudite.


  Giovanni Danelli, “Il Destino”. Racconto di F. D. Guerrazzi (1869), in Studi letterari di Giovanni Danelli, Livorno, Tipografia di Francesco Vigo, 1871, pp. 100-121.


  p. 121. Svolgiamo dunque le pagine in cui i nostri grandi vergarono le eterne sentenze; e fra gli scrittori dei nostri giorni abbiam caro colui che [Guerrazzi] in tempi di servitù ci educava a liberi sensi, e illustrava le glorie e le sventure d’Italia, e correva per tutti i generi dello scrivere, ora emulando l’altezza lirica di Byron, ora vincendo le strazianti anatomie psicologiche di Balzac, ora fantasticando come Hoffmann e mordendo come Heine.


  Giuseppe Ferrari, L’Incendio di Parigi, «Nuova Antologia di Scienze, Lettere ed Arti», Firenze, Direzione della Nuova Antologia, Volume Decimosettimo, Fascicolo Settimo, Luglio 1871, pp. 536-560.


  pp. 555-556. Questa specie di vacuum fatto dal Comune nella serie delle forme francesi si conferma dolorosamente leggendo gli scritti dei reazionari, non meno vuoti e colpevoli di soverchia innocenza. I signori Professori della Sorbona non hanno cessato di professare, l’Accademia di tenere le sue sedute, gli scrittori di scrivere, i giornalisti di parlare, ma sono tutti moralmente sconfitti come i 700,000 prigionieri fatti dall’esercito tedesco. Non hanno preveduto né il Comune, né l’incendio, né l’apparizione della Società internazionale, né lo strascico de’ suoi numerosi amici di ogni ceto. Si credono invasi dai demagoghi esteri, inveiscono contro la ferocia degli anarchismi indigeni e in presenza di spaventevoli fatti essi di scuola storica, tutti ripetitori del giustissimo principio che nessun fatto si produce senza causa e senza conseguenze, non fanno che strabiliare sulla nequizia dei pochissimi scellerati che hanno sconvolta la nazione. Non si accorgono che sono alle prese coi Miserabili di Victor Hugo, colla Lelia di Georges (sic) Sand, cogli Spacconi di Balzac, colla Donna libera d’Enfantin, cogli chenapans.


  A.[ntonio] Ghislanzoni, Appendice. Ancora dei “Promessi Sposi”, «La Lombardia», Milano, Anno XIII, 3 Giugno 1871, pp. 1-2.


  p. 1. Ed ora (sottoscritta la pace) mi permetta il Torelli che io proceda innanzi nella discussione, e gli dichiari che io persisto nel mio concetto di ritenere il Manzoni realista. Forse io non m’inganno nell’attribuire a questa parola un significato assai diverso dal comune – ma se realista è il poeta, il romanziere, il pittore che ritraggono il vero nella sua più schietta evidenza, ne’ suoi contorni più positivi e precisi, io non veggo perché debbasi chiamare idealista l’autore di un romanzo, dove il paesaggio, la figura, il sentimento, la passione, la parola, non rappresentano che una fotografia fedelissima della realtà. […] Si può esser casti e gentili nel vero, si può ben esser veri nel bello. Se i contadini di Balzac sono laidi e ributtanti, mentre quelli del Manzoni appariscono geniali e simpatici, non per questo si ha da dire che il secondo fu meno realista del primo. Sì l’uno che l’altro per avventura ritrassero il vero – solamente in ciò differiscono, che mentre l’uno si compiacque nel riprodurre i tipi peggiori, presentando di questi tipi il lato grottesco e deforme, l’altro invece trascelse le figure più omogenee, pose in luce i profili più aggraziati, e fu vero nel bello e nell’onesto come certi altri lo sono nel laido e nel turpe.


  Giuseppe Guerzoni, Memorie d’un disertore. Storia d’una famiglia di patriotti narrata da Giuseppe Guerzoni. Volume I, Milano, E. Treves, Editore, 1871.


  p. 82. Il salotto da pranzo che era anche la sala di ricevimento, era simile al salotto di papà Grandet, senza essere però nudo e grottesco come quello.


  Tommaso Locatelli, L’Appendice della Gazzetta di Venezia. Prose scelte di Tommaso Locatelli. Volume VII, Venezia, Tipografia del Commercio, 1871.


Una festa sontuosa (*), pp. 9-16.
(*) Gazzetta del I febbraio 1840.[4]

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Delle stanghe, loro usi e qualità (*)
(*) Gazzetta del 26 febbraio 1840.

   p. 17. Per questo rispetto la stanga è sorella carnale o legnosa del bastone, e potrebbe in certi casi tenere maravigliosamente il luogo della eloquenza; a’ suoi argomenti non si resiste. Una persona di molto ingegno, conosciuta da tutta Venezia così pe’ suoi dotti lavori, come, non altrimenti che il Balzac, per l’enorme sua canna, vi scrisse sul pomo la Ragione.

Una sessione letteraria a Parigi (*), pp. 45-49
(*) Gazzetta del 25 giugno 1840.[5]

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Il Vautrin del sig. di Balzac. Argomento (*), pp. 175-181.
(*) Gazzetta del 26 marzo 1840 (Miscellanea).[6]

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  Giuseppe Mach, Tesoro del Sacerdote ovvero Repertorio delle principali cose che deve e praticare il Sacerdote per santificare se stesso e santificare gli altri notabilmente aumentato in ossequio dei Seminari che hanno adottato quest’opera per testo di liturgia e teologia pastorale pel P. Giuseppe Mach Miss. della Comp. Di Gesù. Tradotto dallo spagnolo sulla 5a edizione dal Sac. D. Luigi Negri Diocesano di Como Can. onorario della Perinsigne Basilica Palatina di S. Marco in Roma. Volume I, Torino, Cav. Pietro di G. Marietti Tipografo Pontificio, 1871.

 

Libri proibiti secondo le regole dell'Indice.

 

  p. 83. Ed essendo sommamente pericolose e talvolta empie molte produzioni di Béranger, P. de Koch (sic), Victor Ugo (sic), Lamartine, Llorente, Giorgio Sand, F. Soulié, Balzac, Walter Scott, Visconte di Arlincourt, Lamennais, Pierre Lerroux (sic), C. Didier, ecc.; qualunque collezione, biblioteca o stampa letteraria fatta sotto la direzione di A. F. dei Rios, di Ayguals de Izco, di Salvà ed altri, che avessero prestato opera alle loro pubblicazioni o tradotto simili opere, si deve mirare come pregiudizievole, o per lo meno molto sospettosa.




  Ferd.[inando] Malvica, I Papi ed il Papato pel Bar. Ferd. Malvica della Società Reale di Scienze politiche e morali ecc. ecc. Volume II, Firenze, Tipografia di Giov. Polizzi. E C.°, 1871.

Capitolo XVII.

  p. 126. Il Re, dice Balzac, ai tempi della feudalità pura, non era che inter primus pares, secondo la bella espressione di un monarca di Polonia: i conti di Champagne, i conti di Blois, quelli d’Anjou, i semplici baroni di Normandia, i duchi di Bretagna menavano un treno da sovrani, e davano Re ai più forti regni. I Plantagenet d’Anjou, i Lusignani di Poitou, i Roberti di Normandia alimentavano per la loro audacia le stirpi reali, e qualche volta, come del Glaicquin, da semplici cavalieri ricusavano la porpora, preferendo la spada di contestabile (1).

  (1) Étud. ph. sur Cathé. de Méd.

[…]

Capitolo XXV.

  pp. 318-319. Il Re, la Regina madre ed il principe Enrico erano saliti in una stanza alta del Louvre, onde mirare o meglio prender notizia dei movimenti che succedevano, e l’effetto che produceva l’ordinata tragedia.
  Ma quando ogni cosa si consumò, e la romana Chiesa potè con sicurezza spiegare il vessillo della sanguinosa vittoria cominciò la fazione che sostenevala le sue private vendette. Cinquanta gentiluomini, tutti francesi, baroni marchesi e conti, furono ad un tempo immolati al furore del Duca di Ghisa, di Caterina e del Cardinale di Lorena […]. Quegli sventurati martiri della rabbia cattolica, morirono tutti con un coraggio, una dignità, una forza ed una grandezza d’animo che fu reputata maravigliosa. E quando erasi al termine dell’empio dramma, e rimaneva il solo barone di Castelnau-Cholosse, il quale presentavasi al patibolo (poiché ad uno per volta, per far più lungo e divertito l’infame spettacolo, vennero scannati) il Re voleva fargli grazia, ed il popolo, che instupidito assisteva, veggendo l’inclinazione del Monarca alla clemenza, quasi scosso dal suo impietrito letargo, gridava a più riprese: grâce, grâce; ed il Re al pietoso movimento del popolo, pronunziò le parole: allons! allons! grâce à ce pauvre Castelnau qui a sauvé le duc d’Orléans, ma il Cardinale, dice qui Balzac, se méprit avec intention sur le mot allons. Il fit un signe à l’exécuteur, en sorte que la tête de Castelnau tomba quand le roi lui faisait grâce.


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  E qui si notino per suggello della presente iniquità le parole della cattolica Caterina, la quale, caduta la testa dell’ultima vittima, si volse all’empio porporato di Gregorio XIII, dicendogli: celui-là, cardinal, est sur votre compte (1).

  (1) Étud. sur Cathér. de Médic.


  Paolo Mantegazza, La costanza nel lavoro, in Le glorie e le gioje del lavoro di Paolo Mantegazza. Seconda Edizione, riveduta dell’autore, Milano, V. Maisner e Compagnia Editori, 1871, pp. 147-182.

  p. 147.
  Il n’existe pas de grands talents sans une grande volonté. Les deux forces jumelles sont nécessaires à la constitution de l’immense édifice d’une gloire.[7]
                                                                                                       Balzac.
  La volonté peut et doit être un sujet d’orgueil bien plus que le talent. Si le talent a son germe dans une prédisposition cultivée, le vouloir est une conquête faite à tout moment sur les instincts, sur les goûts domptés, refoulés, sur les fantaisies et les entraves vaincues, sur les difficultés de tout genre héroïquement surmontées.[8]
                                                                                                                           Balzac.
[…]

  Tout pouvoir humain est un composé de patience et de temps. Les gens puissants veulent et veillent.[9]                                                                                                       Balzac.


  Paolo Mantegazza, Quadri della natura umana. Feste ed ebbrezze di Paolo Mantegazza. Volume I, Milano, presso Giuseppe Bernardoni, Tipografo e la Libreria Brigola, 1871.


Parte Seconda.


  p. 194, nota 1. Anche Balzac, quel profondissimo conoscitore del cuore umano s’accostò alle mie idee, chiamando l’ebbrezza un naufragio; ma maligno com’era, aggiunse subito che l’amor proprio era il solo sentimento che galleggiava: «Dans le naufrage de l’ivresse on peut observer que l’amour propre est le seul sentiment qui surnage». [citazione tratta da Modeste Mignon].



  P.[ietro] De-Nardi, Biografia di Adolfo Thiers Presidente della Repubblica Francese per P. De-Nardi, Milano, Emilio Croci, Editore, 1871.

  I giudizî di Balzac su Adolphe Thiers, qui riportati dal De-Nardi, sono tratti dalla Lettres russes pubblicate nella Revue Parisienne del 27 juillet 1840.

  p. 9. Thiers, nelle sue variazioni politiche, lo vedremo democratico entusiasta e rivoluzionario, figlio devoto della borghesia, rappresentante dell’aristocrazia, della Banca e del giornalismo, bonapartista costituzionale, a vicenda tribuno del popolo ed uomo di Corte, finalmente repubblicano moderato e settatore fedele dell’egoistica politica di Enrico IV, Richelieu, Mazzarino ed altri; sempre incerto e volubile, Thiers si presenta al biografo quale il più completo tipo del vero francese. La persona di lui, scrivea Balzac fin dal 1840, si presta a tutte le parti.

  p. 49. Nota (1). Thiers si è manifestato sotto la Ristaurazione per una Storia della Rivoluzione, che è meno una storia che un lungo pamphlet. Qualunque storia in cui lo scrittore non contempli le questioni sotto i loro aspetti, non è che l’apologia di un fatto. Il fatto è, in questa storia, la rivoluzione vista dal lato popolare. Thiers fu sì severo pel re Carlo X, che questa storia lo collocò bene nell’opposizione liberale.
Balzac, Revue Parisienne.

  53-54. Ascoltare Thiers è comprendere; tanto il suo pensiero è sempre in piena luce.
  Diamo il giudizio di Balzac:
  «Esordendo alla tribuna, Thiers si atteggiò rivoluzionariamente, cominciò da vero uomo del mezzodì, con l’eloquenza dantonesca; ma egli vide prontamente che quelle grandi frasi, quei grandi movimenti non si attagliavano alla sua voce sottile, rauca, rotta, né alla sua piccola statura. Consigliato senza dubbio dal principe di Talleyrand, egli surrogò il suo primo dire oratorio col tuono della conversazione, ma con una parola abbondante, netta, chiaretta, e che sembra altrettanto più calda quando tocca il patetico e vi mischia quelle lagrime gutturali che non sono giammai piante. Sotto questo rapporto, egli è un grazioso commediante, ma ha trovato il suo maestro».


  Napoleone Perelli, Diadestè. Scherzo comico in un atto, in La redenzione di Adele. Dramma storico in due atti dell’avvocato Napoleone Perelli, Milano, presso l’Editore Carlo Barbini, 1871, pp. 51-71.

  L’aneddoto orientale presente nel Post-scriptum alla conclusione della Physiologie du mariage costituisce la fonte da cui tra origine questo ‘scherzo comico’ in un atto e dieci scene composto, con tutta probabilità, dallo stesso Napoleone Perelli di cui viene pubblicato, in questo volumetto, il dramma in due atti: La redenzione di Adele.
  Questo adattamento teatrale del testo balzachiano – che l’autore della Physiologie du mariage riprende quasi interamente da un frammento dell’Almanach des prosateurs – ha come personaggi tre Interlocutori: Said, giovane arabo; Fatima, sua moglie e Antifemmina, filosofo europeo, esperto in magnetismo, ed autore di un Compendium magnarum iniquitatum foeminarum hominibus, in cui sono raccolti «tutti i più brutti tiri giuocati dalle donne agli uomini, ad infamia e scorno di quelle, a salvaguardia ed insegnamento di questi» (p. 62).
  Già nel 1838, Savino Savini aveva pubblicato un primo adattamento scenico del post-scriptum balzachiano intitolato: Il Diadesté. Capriccio comico, in Studi drammatici, Bologna, per i tipi di Gio. Bertolotti, 1838, pp. 131-148. (Cfr. R. de Cesare, La prima fortuna di Balzac … cit., Vol. I, pp. 537-538).


  Phileleutheros, Corrispondenze. V. Da Atene. Il brigantaggio in Grecia. Riscontri, «La Rivista Europea», Firenze, Tipografia Editrice dell’Associazione, Anno II, Volume II, Fascicolo I, Marzo 1871, pp. 156-160.


  p. 159. Il brigantaggio urbano non è l’ultima forma dell’istituzione creata dagli uomini di preda, la belva selvaggia del D. Vogt, imperocchè dovrà subire una terza trasformazione, la quale è già compiuta nei paesi dell’Occidente, che godono una completa sicurezza. […] Balzac e i romanzieri cattolici si divertono a rappresentare i successori del Tartufo parigino e due rivali in Inghilterra del grande romanziere francese, del quale però non hanno la potenza, Dickens e Thackeray, si dettero a rappresentare i Tartufi di moralità e d’onestà, simili a master Surface, che prosperano in ispecie nei paesi protestanti, dove la religione è meglio un sistema di morale popolare che una teoria dogmatica e una liturgia complicata.


  Emilio Praga, L’Esposizione di Belle Arti. Lettere e Divagazioni. Frine, «Il Pungolo», Milano, Anno XIII, 16 settembre 1871, p. 2.


  Terza lettura del Praga, interamente dedicata alla statua di Barzaghi, Frine.

  Perché rifare ciò che è stato già fatto? – È questo un altro rimprovero che si fa al Barzaghi. Per lo cielo! e che cosa non è stato fatto e rifatto? Plauto aveva messo in iscena Eulione, l’avaro povero; Molière riprende lo stesso soggetto e fa Arpagone, l’avaro ricco. Una sola situazione, quella del padre maltrattato dai suoi figli ingrati, ha suggerito l’Edipo a Colone di Sofocle, il Re Lear di Shakespeare, ed il Père Goriot di Balzac. In qual lavoro drammatico, in qual romanzo non trovi un giovane ed una giovane che vogliono sposarsi? Sotto quante figure non è riapparsa questa coppia stessa, da Shakespeare a Dikens (sic), da Boccaccio a Giorgio Sand! Tutti i grandi tipi possono essere rinnovati, ed è il marchio, l’obbligo ereditario, l’unica gloria dei veri ingegni di inventare fuori dai confini della convenzione e della tradizione.


  Amedeo Roux, Cronaca letteraria di Francia. “Fernande”, drame en prose de M. Victorien Sardou, «La Rivista Europea», Firenze, Tipografia Editrice dell’Associazione, Anno II, Volume II, Fascicolo I, Marzo 1871, pp. 142-153.


  p. 150. La sua Fernande, per esempio, è una vasta pittura del genere demimonde, un fugace componimento il cui soggetto è rubato al Diderot, nel mentre che molte scene sembrano tolte dalla Comédie humaine del Balzac.


  Antonio Tagliabue, Il Suicidio ossia Il Suicidio considerato nelle sue cause e ne’ suoi effetti in rapporto alla Filosofia morale, alla Storia, alla Giurisprudenza, alla Educazione ed alla Beneficenza, con proposte opportune ai bisogni della Società moderna in generale & specialmente dell’Italia. Studio del Pr. Antonio Tagliabue, Milano, Presso Emilio Croci, Editore, 1871.

 

  pp. 288-289. Ecco i begli insegnamenti che ci danno tanti e tanti romanzi che, quasi da impura officina, ci vengono ogni giorno dalla Senna; ecco a che scuola di morale si viene ammaestrando la nostra gioventù, che pur vuol essere la speranza della patria. Che altro ci insegnano i Balzac, i Sue, i Dumas, i Kock, le Duvenant, per tacere di altri il cui nome è un insulto al pudore? Eppure, se vuolsi lor credere, non mirano essi che a togliere gli abusi, a riformare i costumi, a prosperare gli Stati; essi hanno la nobil missione di far felice il genere umano. Ma vedete strano modo di procacciare la felicità! Mettere sossopra tutto il mondo, inimicare l’una classe coll’altra, dire al padrone obbedisci, e al servo comanda, dire al vecchio impara, e al giovane insegna; e per sempre più conciliare il vicendevole affetto, predicare a tutti che il mondo è un ospitale di pazzi, un bosco di malandrini; e dopo aver dipinta la società coi più neri colori, dopo avermi mostrato che il vizio è la regola, la virtù l’eccezione, che la colpa trionfa, la virtù si martoria nella sua impotenza , conchiudere poi con ineffabile ingenuità: - eccoti , o uomo, la società che tu devi amare. E sapete come si difendono costoro quando vengono accusati di inspirare l’odio degli uomini, il disprezzo delle leggi, l’obblio della morale? La discolpa è forse peggiore della colpa.

  Altro non fanno, dicono essi, che dipingere il mondo tal qual è; sarebbero ben lieti di presentarci l’uomo sotto migliore aspetto, ma nol potrebbero fare senza tradire la verità. Santo zelo invero, che non può, esercitarsi altrimenti che insegnandomi ad odiare il mio simile, togliendomi la pace del cuore, la stima di me stesso e degli altri! Ma quand’anche questo zelo sia causa di sì funeste conseguenze, noi vorremmo concedere loro ampio e generoso perdono se avesse alcun fondamento di ragione. Ma no, la Dio mercè: per corrotto che si voglia il mondo, non corrisponde al ribasso che ne fanno costoro; ella è solenne ingiustizia quel raccoglier in una città, in un popolo tutte le immondezze, le turpitudini, le infamie; farne, per così dire, il catalogo colla pazienza dell’antiquario e poi dire: ecco il mondo!

  Dite piuttosto: ecco la feccia del mondo, ecco l’aberrazione, il disordine, che la Provvidenza permette, perché meglio appaia la bellezza della virtù, che procede nelle vie segnate da Dio all’uomo.



  Giovanni Timbs, Scienza e Manifattura. La pelle di Zigrino, in Cose utili e poco note. Libro pei giovani e pei vecchi di Giovanni Timbs. Seconda Serie, Seconda edizione, Milano, E. Treves, Editore, 1871 (“Biblioteca Utile”, 46), p. 139.


  Cfr. 1869.

  Giuseppe Torelli (Ciro D’Arco), Storia naturale della buffoneria. XI. Medici ed avvocati [10], in Scritti vari di Giuseppe Torelli (Ciro D’Arco) raccolti e ordinati per cura di Cesare Paoli, Milano, Libreria di Educazione e d’Istruzione dell’editore Paolo Carrara, 1871, pp. 110-123.


  p. 119. Quand’anche non ammazzasse mai nessuno, il Medico buffone si riconoscerebbe da certi dati infallibili, come il parlar sempre coll’io, le citazioni latine, e l’aver sempre in bocca la seconda, la terza, la quarta edizione dell’Opera sua, della quale, a forza di piegature di schiena, potè a stento vendere un terzo della prima impressione.
  È allora che il Medico buffone si gonfia come un tacchino, ed ogni volta che deve pulirsi il naso, fa come il bottegaio di Balzac; mette un angolo del moccichino in bocca, ne rialza il centro, si afferra magistralmente il naso, e manda all’intorno una tale armonia da disgradarne un trombone di banda militare.

Farmachi alla noia, pp. 220-228.


  pp. 226-227. Il miglior nemico della noia è appunto ciò che pare più noioso: lo studio. […] Lo studio è l’unico mezzo che abbiamo per imparare a ragionare da noi medesimi, e ad attingere al fonte della nostra individuale intelligenza quei rudi principj che ci diede natura, per confrontarli colle idee più forbite che si leggono sui buoni libri e trarne le conclusioni.
  La lettura deve essere attenta e non isvolazzante, altrimenti non serve a scacciar la noia. Ai nostri giorni non si hanno in mano che alcuni eleganti volumetti stampati a Parigi od a Brusselles, che portano nel frontespizio i nomi di Hugo, di Balzac, della Giorgio Sand, d’Arlincourt, mentre Manzoni, Grossi, Azeglio, son quasi direi posti in dimenticanza. Si ha bisogno di forti emozioni, di terremoti cordiali, e questi non si possono avere che dai romanzi palpitanti. Osserviamo però che quelli d’Arlincourt non palpitano niente affatto, ma piacciono più d’ogni altro in causa di sonanti periodi e grandiose similitudini. Intanto si dimenticano i migliori libri, e si perde l’istruzione.

Foglietti volanti, pp. 257-314.[11]

  pp. 275-276. Quando il signor di Balzac venne in Italia, raccontò una sera in casa M*** il seguente aneddoto:
   – Una notte mi trovavo a letto, ma la stanchezza m’impediva di dormire. Odo un lieve rumore vicino al mio scrittoio, e, dopo un po’ di cigolio, veggo che uno scellerato sta scavezzandone la serratura. Allora mi metto a ridere ad alta voce. Il ladro resta un momento esterrefatto, ed io di nuovo a ridere sgangheratamente.
  – Di che cosa ridete? esclamò finalmente il ladro.
  – Di che cosa? … oh bella! risposi: siete un bel minchione a venir così di notte, col rischio della galera, e con un grimaldello a cercare dei denari in un mobile, nel quale non ne posso trovare io stesso che vi frugo di giorno e con tutta comodità.


  Un Originale d’Italia, I Ladri, in Originalità di Londra visibili ed invisibili, descritte da un Originale d’Italia, Napoli, Stabilimento Tipo-litografico dei Fratelli De Angelis, 1871, pp. 106-109.

  p. 109. Ma possiamo anche andar superbi d’essere in un bel concetto! Speriamo sia solo presso i ladri; e frattanto col primo sciampagna che avrò alla mano vo’ fare un brindisi ai nostri amici Hugo, Dumas, Balzac e compagnia illustrissima, per il disturbo che si son presi di generalizzare coi loro romanzi il pregiudizio innocente che ci [noi italiani] pareggia agli assassini; almeno così, mercè loro, possiamo dire d’aver tra i ladri di Londra una riputazione assicurata.
  Ma se gl’illustrissimi si compiacquero – più o meno velatamente – di darci del brigante, io darò a loro apertamente del galantuomo; e così ognuno di noi avrà detta la sua bugia.


  Luca Vivarelli, Sermone III. Prove dell’immoralità del teatro in Italia, in Sopra lo stato presente del teatro in Italia. Sermoni IV del cav. Dott. Luca Vivarelli, Bologna, Tip. Fava e Garagnani al progresso, 1871, pp. 25-33.

  pp. 30-32, vv. 165-209.

Ed ecco quindi una masnada insana

Di drammatici autor rasente i fossi,

Quai sciancati asinei trattaron dietro

Ai Corifei di Francia. Essi pur troppo,

Boriosi dei plausi a lor comprati

Dai cari amici e dalle buje sette,

Han difusa la peste oltramontana

E poi corrotto dell’Italia il gusto

E il moral senso. Il male inveleniva

Col correre negli anni ognor più fiero,

E vedi or drammi che, sfacciatamente,

Dei maestri stranier calcando l’orme,

Compassionano i rei, difendon gli empi,

Fan stolto il probo, venerando il tristo,

Ognora buono, onesto l’operaio,

E ognor ingiusti i direttori e crudi;

Mostrano nei palagi, e nelle reggie

Sempre l’iniquità, sempre i misfatti,

E nelle bische poi, nelle taverne,

E perfin dell’ergastolo fra i ceppi,

Quanta bontà, quanti Catoni, e Scipi

Contro giustizia gemono puniti!

Né qui s’arrestan; la viltà più infame

Di grand’opra cogli abiti s’ammanta,

E per forza si vuol che abbia gli applausi;

Le virtù si confondon cogl’istinti,

Ed ecco un genitor che per le figlie (1)

Gittava averi, onore e fin la vita,

Chiamasi il Cristo del paterno affetto,

E altro non è che il can che muor lambendo

La destra del padron che lo trafisse.

– Tu suoni a doppio i vituperi contro

L’età, contro i moderni vati – È vero,

Ma l’onestade e il santo amor d’Italia,

Non vili intenti, son mia luce e scorta;

Vedo però, che qual bambin folleggio

Saltar tentando del mio corpo l’ombra.

Deh! chè non sono io tal da romper l’empia

Camorra che da sé stessa s’applaude,

E da prostrar quei perfidi, che posto

In non cale il dover di Sacerdoti

Delle sante virtudi, e del costume,

S’alzan di corruzione empi ministri,

Fannosi duci agli odi, alle discordie

E ammannano un Sedàno al bel paese.

 

(1) Imitazioni di Père Goriot.



   Arturo Zannetti, Studj sui cranj etruschi (Dal Museo Nazionale d’antropologia in Firenze), «Archivio per l’Antropologia e la Etnologia», Firenze, Stabilimento Tip. Lit. ed Elettro-Galv. G. Pellas, Primo Volume, Fascicolo quarto, 1871, pp. 166-191.

  p. 171. I Greci non hanno modificato i popoli italici con invasioni armate. Noi italiani non abbiamo coll’arme alla mano introdotto nelle lingue straniere il linguaggio della scienza musicale; senza aver mai soggiogato la Francia abbiamo modificato la sua lingua e i suoi costumi in un secolo in cui prendeva dal nostro commercio, oggetti e mode e in cui leggeva i nostri poeti come ora noi leggiamo i suoi romanzieri. E d’altra parte i costumi ed il linguaggio semifrancese del nostro tempo più che alle invasioni Napoleoniche li dobbiamo a quelle dei Balzac e dei Victor-Hugo, del commercio e delle industrie. Ma questa lenta azione vuole per la trasformazione di una razza più tempo che mistura di sangue ed il tempo è appunto la nebbia che ci nasconde l’origine delle cose.




   [1] Opera presente nella Biblioteca della Società Storica Lombarda di Milano.
   [2] Segnalato ed analizzato da L. Carcereri, Editoria e critica balzachiana … cit., p. 517. L’opera è presente nelle seguenti Biblioteche italiane: Archivio Biblioteca Museo Civico di Altamura; Biblioteca Civica ‘Giovanni Canna’ di Casale Monferrato; Biblioteca Civica di Cosenza; Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze; Biblioteca Civica ‘G. L. Lercari’ di Genova; Biblioteca Civica ‘Ubaldo Mazzini’ di La Spezia; Biblioteca Provinciale ‘Nicola Bernardini’ di Lecce; Biblioteca Nazionale Braidense di Milano; Biblioteca Estense Universitaria di Modena; Biblioteca Comunale ‘Passerini-Landi’ di Piacenza; Biblioteca dell’Archivio storico diocesano di Prato; Biblioteca comunale ‘Giuseppe Melli’ di San Pietro Vernotico (BR); Biblioteca Civica ‘A. G. Barrili’ di Savona.
   [3] Segnalato ed analizzato da L. Carcereri, Editoria e critica balzachiana … cit., pp. 516-517. L’opera è presente nelle seguenti Biblioteche italiane: Biblioteca del Gabinetto Scientifico Letterario ‘G. P. Vieusseux’ di Firenze; Biblioteca Statale Isontina di Gorizia; Biblioteca Comunale ‘G. Panunzio’ di Molfetta; Biblioteca Nazionale ‘Vittorio Emanuele III’ di Napoli.
   [4] Cfr. Miscellanea. Cronaca del giorno. Un pranzo di carpioni (Dal francese), «Gazzetta privilegiata di Venezia», Venezia, n. 36, 13 febbraio 1840, p. 144. La trascrizione integrale di questo articolo è presente in R. de Cesare, La prima fortuna di Balzac … cit., vol. II, pp. 618-620.
   [5] Cfr. Appendice di letteratura, teatri e varietà. Costumi. Una sessione letteraria a Parigi, «Gazzetta privilegiata di Venezia», Venezia, n. 143, 25 giugno 1840, pp. 569-570. La trascrizione integrale di questo articolo è presente in R. de Cesare, La prima fortuna di Balzac … cit., vol. II, pp. 639-642.
   [6] Cfr. Miscellanea. Cronaca del giorno. Il Vautrin del sig. di Balzac. Argomento, «Gazzetta privilegiata di Venezia», Venezia, n. 70, 26 marzo 1840, p. 280. La trascrizione integrale di questo articolo è presente in R. de Cesare, La prima fortuna di Balzac … cit., vol. II, pp. 624-626.
   [7] Citazione tratta da La Muse du Département.
   [8] Citazione tratta da La Muse du Département.
   [9] Citazione tratta da Eugénie Grandet.
   [10] Pubblicato, in prima edizione, nel 1844. Cfr. R. de Cesare, La prima fortuna di Balzac… cit., vol. II, pp. 957-958.
   [11] Cfr. R. de Cesare, La prima fortuna …cit., vol. II, p. 900, nota 2.

Marco Stupazzoni


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