lunedì 26 agosto 2013


1863


Traduzioni.


  Balzac, Lo Scomunicato. Prima versione dal francese per Maunand Eugenio, Milano, presso Francesco Scorza Editore-Librajo (Tip. di Gaetano Bozza), 1863.[1]

  Tre volumi in 16°, rispettivamente di 134, 141 e 152 pagine; 3 tavole. L’opera è suddivisa in ventiquattro capitoli così ripartiti: Vol. I: capp. I-VIII; Vol. II: capp. IX-XVI; Vol. III: capp. XVII-XXIV. Di questi, soltanto i primi undici e una parte del dodicesimo appartengono a Balzac, mentre per quel che riguarda la redazione dei restanti capitoli, essa si deve a Belloy, che intervenne anche sul manoscritto balzachiano apportando correzioni di importanza non rilevante. Il testo delle pagine autografe di Balzac è riprodotto alle pp. 307-418 dell’edizione critica delle Oeuvres diverses II (Paris, Gallimard, 1996 «Bibliothèque de la Pléiade»).


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  La traduzione si fonda sul testo dell’edizione originale del romanzo, inserita nella serie delle Oeuvres complètes d’Horace de Saint-Aubin (Paris, Souverain, 1837), o, più probabilmente, su quello delle Oeuvres de Balzac illustrées (Paris, Marescq et Cie, 1855).

  La qualità della versione del Maunand ci pare alquanto insoddisfacente: numerose, infatti, sono le omissioni di interi passi balzachiani, frequenti gli arbitrî linguistici e le interpretazioni errate della morfologia, della sintassi e del lessico francesi. Si confronti, ad esempio, il testo di alcune sequenze iniziali del primo capitolo con la corrispondente traduzione fornita dal compilatore:

  La fin du XIVe siècle et le commencement du XVe préparèrent à la France, une longue anarchie dont la minorité et l’état douloureux du roi Charles VI furent les principales causes. […] Le siècle de malheur qui s’ouvrit alors ne finit qu’au règne de Louis XI monarque terrible, qui en abattant l’orgueil des grands feudataires de la Couronne sous un sombre despotisme ferma les plus vives plaies de la Monarchie et sut créer un royaume aux rois de France.
  La fine del quattordicesimo secolo e l’incominciamento del quindicesimo viddero la Francia abbandonata ad una lunga anarchia, di cui la minorità e la demenza del re Carlo V furono le principali cause. […] Il secolo disastroso che s’aperse allora non terminò che al regno di Luigi XI, il quale, abbattendo l’orgoglio dei grandi feudatari della corona, seppe creare un regno ai re di Francia.

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  Della medesima opera, esisterebbe, secondo le indicazioni bibliografiche fornite da Attilio Pagliaini[2], da Giuseppe Gigli (che indica ‘in due volumi’)[3] e da CLIO, una seconda edizione pubblicata a Milano da G. Bozza nel 1864 e rimasta introvabile. Vista l’indicazione del nome della tipografia di Gaetano Bozza nell’esemplare del 1863, l’edizione del 1864 potrebbe costituire, ammettendo la correttezza della trascrizione della data di pubblicazione, una semplice ristampa della precedente.


Studî e riferimenti critici.


  Balzac (Onorato di), in Enciclopedia elementare. Dizionario di cognizioni utili specialmente alla gioventù studiosa italiana d’ambo i sessi. Opera interamente riveduta dal Cav. Professore Nicomede Bianchi Preside del Liceo del Carmine in Torino. Adorna di molte incisioni inserite nel testo. Volume II, Torino, Unione Tipografico-Editrice, 1863, pp. 16-17.[4]

  Balzac (Onorato di). Uno dei più fecondi romanzieri moderni della Francia, n. a Tours nel 1799, m. a Parigi nel 1850; fece i primi studii nel collegio di Vendôme, ove lasciò fama d’allievo indolente ed indocile. Compiuti gli studii in un istituto privato di Parigi, fu posto dalla sua famiglia in un ufficio di notaio in quella città; ma anziché attendere al foro, prese a scrivere articoli pe’ giornali. Dal 1822, o poco innanzi, fino al 1829, mandò in luce varii romanzi sotto il nome di Orazio di Saint-Aubin, di Veillerge (sic) e di lord Rhoone. Frattanto associatosi con lo stampatore Barbier per la pubblicazione degli Annali romantici, facea professione di libraio, stampatore e scrittore. Finalmente nel 1829 mise in luce il primo romanzo sotto il suo proprio nome, intitolato l’Ultimo Sciuano (Chouan). Nell’anno seguente la sua Fisiologia del matrimonio destò l’attenzione dell’universale sul novello scrittore. Questo libro è un quadro di sociali immoralità, e tuttavia ottenne grandissimo applauso, che non gli può esser dato, senza una qualche riserva, da chiunque ha fede nel nobile magisterio delle lettere. D’allora in poi mandò in luce senza posa una strabocchevole quantità d’opere, nelle quali, sotto i titoli complessivi di Scene della vita privata, di provincia, militare, di campagna o politica, e di studii filosofici ed analitici, tolse a dipingere con vivi colori il gran quadro della civiltà moderna, collegando tutti quegli scritti col porre sempre in scena ora gli uni, ora gli altri de’ medesimi personaggi, e sotto un’idea comune: “La vita è una commedia”. Altri lo accusa di un certo cinismo nel linguaggio e nelle opinioni; ma la colpa non è tanto sua quanto di quella società parigina ch’ei tolse a descrivere incancrenita intimamente da ogni vizio, e ammantata al di fuori da quella vernice di civiltà che abbaglia gl’inesperti e gl’incoscienti. Dotato d’immenso ingegno, può chiamarsi a ragione il più grande anatomista del genere umano ai nostri giorni.


  Le acque di Montecatini, «Il Lampione», Firenze, Anno VI, N. 119, 4 Marzo 1863, p. 4.

 

  Montecatini!

  Ecco un nome che io vorrei che tutte le donne pronunziassero sottovoce, fosse una parola scorretta ecco un paese che le poetiche figlie d’Eva dovrebbero ignorare, o far finta d’ignorare – ecco una località balnearia, sulla quale la civiltà scriverà quanto prima quelle parole che Onorato Balzac ha stampato sul frontespizio della Fisiologia del Matrimonio: Défendu aux Dames!



  Sacco nero. – Ci scrivono, «Gazzetta del Popolo», Torino, Anno XVI, N. 247, 9 Settembre 1863, p. 3.

 

  «Domenica a sera (6) da una Société di dilettanti davasi nel Teatro di Moncalieri una rappresentazione a benefizio del vecchio artista drammatico Bucciotti, che fa già membro della Compagnia Reale.

  Il sempre bravissimo Anista nell’interessante parte di Papà Goriot dimostrò al pubblico accorso numeroso dalla città e dalle circostanti villeggiature, con qual purezza di scuola si recitava al tempo delle Marchionni, dei Vestri e dei Boccomini.

Un Villeggiante

della collina di Moncalieri».


  C. A., “Claudia”. Romanzo di Felice Calvi, «Gazzetta dell’Umbria. Giornale politico quotidiano», Perugia, Anno III, N. 11, 17 Gennaio 1863, p. 3.

 

  Esso è uno di que’ lavori che Balzac chiamava volentieri Etudes de femme.


  Stefano Apicella, I romanzi perversi. Appendice agli articoli: “Gli Ontologi in riguardo all’ultima decisione di Roma”, «La Scienza e la Fede. Raccolta religiosa scientifica letteraria artistica», Napoli, All’Uffizio della Biblioteca Cattolica, Anno Ventesimoterzo, Vol. XLIX, fasc. 294, Giugno 1863, pp. 409-424.

  p. 413. Maledetta letteratura [francese] come chiamolla il Constitutionnel, e satanica, secondo l’espressione della Revue Nationale! Ove, tu o lettore mio, trovi in un eroe, finto o vero, poco monta, personificato un potere magico ed arcano governante questo mondo; e per via di paurose catastrofi, di maledizioni, di misantropismo accanto all’amore più brutale, per vie di lotte continue tra una virtù inerme e spregiata ed un vizio esaltato e felice, sei condotto od alla vita de’ ciacchi, o nella voragine della disperazione, al suicidio. Alessandro Dumas, Eugenio Sue, Balzac, Giorgio Sand, Vittor Ugo (sic), e cento altri di questa risma fan fede a ciò.

  G. Arnaud, Appendice letteraria. Romanzi e romanzieri. II, «La Lombardia. Giornale ufficiale per la pubblicazione degli Atti Governativi e l’inserzione degli Atti Giudiziari», Milano, Anno V, N. 220, 17 Agosto 1863, pp. 1-2.

  Parlare di Dumas, di Balzac, di Giorgio Sand, di Sue, di Souvestre, di Paul de Kock gli è parlare di tutta una biblioteca di romanzi. In tanta concorrenza di scrittori è naturale che dovessero prodursi nuove varietà. A canto al romanzo plutonico e pseudo-storico dell’autore di Montecristo e dei Tre moschettieri, notiamo subito il romanzo fisiologico-sociale di Onorato Balzac. È un complesso di cento volumi, cui egli diede il titolo di Commedia umana, e che sono già coperti a quest’ora dell’onorata polvere delle biblioteche. Eugenia Grandet, il Papà Goriot e qualche altro sfuggono appena a questa trista fine di quasi tutti i romanzi. La di lui minuta osservazione è spinta fino al processo clinico, e le di lui descrizioni fino all’inventario; in compenso colse le mezze tinte delle passioni con una felicità inarrivabile.

  Seguono osservazioni su G. Sand, E. Sue, E. Souvestre, P. de Kock e M. Raymond.


  Bartolomeo Bertolini, Nota, in La mia prigionia in Russia. Racconto storico di Bartolomeo Bertolini da Trento antico Capitano di cavalleria e Cavaliere della Legion d’onore. IV. Edizione ricorretta ed aumentata dall’autore. Volume secondo, Milano, Tipografia Alberti e Comp. 1863, pp. 207-255.

 

  pp. 208-210. Quello poi che mi ha maggiormente colpito di maraviglia, fu la lettura di un libercolo, intitolato «La Marana» scritto dal signor De Balzac, in cui viene descritta la guerra di Spagna sostenuta per la maggior parte dalle truppe italiane; e nella sua descrizione l’autore dipinge gl’Italiani con colori sì oscuri e disonorevoli, da rappresentarli piuttosto a delle orde di briganti, anzicchè a valorosi soldati. Tengo al contrario sott’occhio l’opera «La campagna del 1812 in Russia» , del signor Eugenio Labaume, uno dei più distinti ufficiali francesi, il quale faceva parte del quarto corpo della grande armata nella campagna di Russia; e questo tanto valoroso ufficiale quanto eccellente scrittore, e specialmente storico imparziale, è uno dei pochissimi, anzi unico nel suo genere, che fedelmente descriva le eroiche gesta delle milizie italiane nella loro veritiera entità , e che in pari tempo segni colla massima esattezza i luoghi e le epoche in cui le medesime si sono distinte.

  Ed è così che scrivono degli Italiani tutti quelli che hanno la verità per loro guida, e che non sono mossi da ridicoli pregiudizii nazionali, come si dà chiaramente a conoscere il predetto signor De Balzac, il quale defraudando tutta quella gloria a cui hanno diritto i prodi Italiani, inveisce invece contro i medesimi e li deturpa, rappresentandoli come uomini di singolare ed incredibile corruzione e dissolutezza.

  Non facendomi però carico di questo fantastico romanziere, ed applicandogli il noto verso di Dante,

 

«Non ti curar di lui, ma guarda e passa»,

 

  tanto più che un morto non potrebbe rispondere a quanto io fossi per dire sulle sue patenti calunnie , e specialmente poi perché il prode capitano Lissoni, cavaliere della Corona ferrea e mio buon amico nella sua chiarissima operetta «La gloria delle armi italiane rivendicata», ha evidentemente dimostrato quanto false ed assurde siano le accuse calunniose, mosse da quell’immaginoso poeta di avventure, che sconvolge la storia secondo l’ispirazione delle muse, non già secondo i dettami dell’onesto e del vero; ma risponderò invece francamente a tutti gli scrittori che continuamente attentano all’onore delle eroiche gesta delle legioni italiane, per attribuirne tutta la gloria alla loro Nazione [...].


  Padre Antonio Bresciani, Don Giovanni ossia Il Benefattore occulto aggiuntivi Quattro dialoghi sopra il risorgimento del paganesimo in Italia nel 1849 del Padre Antonio Bresciani della Compagnia di Gesù. Seconda edizione milanese, Milano, Tip. e Lib. Arcivescovile, Ditta Boniardi – Pogliani di Ermenegildo Besozzi; Torino, presso Marietti Tipografo-Librajo, 1863.

  pp. 149-150. Cfr. 1856; 1859; 1862.


  Eugenio Camerini, Letteratura. Le poesie di Berchet, «Museo di Famiglia. Rivista illustrata», Milano, Anno III, Volume III, N. 15, 12 Aprile 1863, pp. 236-239.

  p. 238. Il signor marchese Cusani ci ha fatto un bel dono, illustrando Berchet, sebbene non gli potesse riuscire di renderlo più glorioso. Si cercano i cartoni e i primi quadri dei grandi pittori; servono a meglio comprendere e gustare i lor capolavori. Si leggono con ardore i primi romanzi, per cui il Balzac disperò della fama.


  Cesare Cantù, I Romanzi, in Storia di cento anni (1750-1850) narrata da Cesare Cantù. Vol. II, Firenze, Felice Le Monnier, 1863.
  Cfr. 1851; 1856; 1861.

  Filippo Cardona, Della Fisonomia per Filippo Cardona, Ancona, Tipografia del Commercio, 1863.

Parte Seconda.
Della Fisonomia in ispecie.
Capitolo XXI.
Della mano, pp. 257-278.
  pp. 267-268. Madama Sand, le cui mani son piccolissime, grandeggia negl’intendimenti psicologici, ed an del grandioso anche le sue minuzie. Ell’avrebbe inventato il telescopio!» […]
  Grande è da quello [Stanislas d’Arpentigny, autore di un trattato intitolato: La science de la main, pubblicato nel 1856] descritta nel Balzac: «Il Balzac con tutti i conici manoni conta i frutti della pergola, le foglie del cespuglio, i peli della barba. E’ piacesi delle particolarità fisiologiche, ed avria inventato il microscopio». (Ivi, c. VII, f. 94). […]
  p. 273. «La mano lunga … (aggiugne il Desbarrolles, ivi, f. 163), invita al minuto e perfino al minuzioso: essa antimette il fornito al grande. Il pittor di fiori Redouté aveva grosse, e massimamente grandi mani: il Balzac, l’uomo della trita descrizione, gran mani agute».
  In quest’ultimo passaggio, l’A. si riferisce all’opera di Alphonse Desbarrolles: Les mystères de la main, pubblicata nel 1860.

  [Carlo Cattaneo], Sul romanzo delle donne contemporanee, «Il Politecnico. Repertorio mensile di Studj applicati alla prosperità e coltura sociale», Milano, Editori del Politecnico, Volume XVIII, 1863, pp. 89-112.

  p. 93. La verità che le ispira rende originali le autrici italiane contemporanee. […]
  Informate a quella scuola che i critici d’oltremonti chiamano la scuola del realismo, quanto son lontane dall’inciampare nei suoi eccessi! V’incontrate voi lo sfarzo d’accessori che Balzac sembra abbia preso al pennello di Terburg, o il manierato fare di Champfleury, il realista per progetto? Nulla di tutto ciò. L’autore non fa mai capolino nel libro; vi è come passivo; nessuno potrebbe appuntargli che siasi formato un piano o prefisso uno scopo al quale mostri di convergere i suoi sforzi. Non mai quel tedioso intervenire del narratore nel racconto ch’è sì comune nei romanzi francesi, e che somiglierebbe al teatro in cui i misteri delle quinte si mescessero all’azione, e ad ogni tratto si vedesse o il suggeritore, o il macchinista, o s’udissero cigolare le funi delle scene.

  Teobaldo Ciconi, La Figlia unica. Commedia in 5 atti del Dottor Teobaldi (sic) Ciconi, Milano, Presso l’Editore Edoardo Sonzogno, 1863.


Atto Secondo. Scena III.


  pp. 34-35.
  Amal. [Marchesa Amalia Villanis] […] Il marchese Villanis mi offerse il suo nome.
  Ipp. [Ippolito Grigioni] E le sue carrozze.
  Amal. Sulle prime rifiutai.
  Ipp. Sulle seconde, accettaste.
  Amal. Dio buono! un marito presto o tardi me lo dovevo pigliare. D’altronde poco ci volle a farmi credere che il vostro amore non fosse altro che una avventura da palco scenico, un capriccio di gioventù, un fuoco di paglia insomma. E dico il vero: piuttosto ch’esser vittima di un fuoco di paglia, m’è sembrato conveniente di soffocare le mie inclinazioni.
  Ipp. Sotto le ceneri d’oro d’un marchesato in decadenza. Niente di più naturale.
  Amal. Fu un matrimonio di riflessione, il quale non impediva alla marchesa Villanis di mantenere nel segreto della sua anima le promesse e i giuramenti di madamigella Deserti.
  Ipp. Brava. Ecco veramente una combinazione ingegnosa: l’unico mezzo di salvare la capra, senza perdere i cavoli. Io faceva la parte del cavolo.
  Amal. Avete un bel ridere, ma ne lascio giudice voi stesso. Il sentimento che io nutriva pel povero mio marito, era forse amore? Né voi lo credete, né nessuno. Sotto il nome di moglie io non aveva che i doveri di figlia.
  Ipp. Balzac, Giglio nella Valle, volume 1, capitolo 8: avanti.


  Angelo Mariano Cisco, Pantadicea. Brevi scritti di Angelo Mariano Cisco prete veneziano, Venezia, Tipografia G. B. Merlo Edit., 1863.

 

Annotazioni.

 

  p. 25. (2). I romanzi di Balzac, e di Giorgio Sand; anche di questi molti sono proibiti, ed il cattolico pio e l’uomo morale deve schivare tali letture.



  [Adèle Foucher], Memorie di Vittor Hugo scritte da un testimone della sua vita. Vol. IV, Milano, G. Daelli e C., 1863.

LIV.

Una lettura, pp. 24-31.

  pp. 24-25. Vittor Hugo aveva in mente due argomenti per drammi; era in forse se scriver prima Marion de Lorme o Hernani; preelesse Marion de Lorme, e si pose scriverlo il primo gennaio 1829. […] Il 24 giugno, il dramma era terminato.
  Gli amici ai quali Vittor Hugo leggeva mano mano tutto quello ch’egli faceva gli consigliarono una lettura più pubblica. […].
  Egli lesse pertanto, una sera di luglio, Marion di Lorme, che allora s’intitolava Un duello sotto Richelieu, ad una numerosa adunanza ove si notava Balzac, Eugenio Delacroix, Alfredo di Musset, Alessandro Dumas, Alfredo di Vigny, Sainte-Beuve, Villemain, Mérimée, Armando e Eduardo Bertin, Luigi Boulanger, Federigo Soulié, Taylor, Soumet, Emilio e Antonio Deschamps, i Dévéria, Carlo Magnin, madama Tastu, ecc.
  – Riuscì assalissimo. Uno degli stupori dell’udienza fu che Vittor Hugo avesse fatto un dramma rappresentabile […].

LV.

Hernani, pp. 32-66.

  pp. 45-47. Tutti gli amici dell’autore e tutti quelli che desideravano il trionfo dell’arte nuova eran andati a profferirsi. […] Essi [tra cui, Gautier, Nerval, Dévéria, P. Borel] batterono a raccolta nei campi della letteratura, della musica, negli studj di pittura, scultura ed architettura. Tornarono con liste di nomi che avevano reclutati, e chiesero di condurre ciascun la sua tribù alla pugna. Io ho trovato una lista delle tribù Gautier, Gérard, Petrus Borel ecc. Vi leggo i seguenti nomi: Balzac, Berlioz, Cabat […].
[…]
  Vittor Hugo comprò parecchie risme di carta rossa e tagliò i fogli in piccoli quadrati sui quali stampò con un impronto il vocabolo spagnuolo che vuol dire ferro: Hierro.
  Egli distribuì questi quadrettini ai capi di tribù. Il teatro gli lasciava l’orchestra, le seconde gallerie, e la platea meno una cinquantina di posti.
  Per ben combinare il loro piano strategico, e bene assicurare il loro ordine di battaglia, i giovani chiesero di entrare al teatro prima del pubblico. Fu loro concesso […].
  La porta non si apriva; le tribù impedivano la circolazione; il che era loro assai indifferente; ma una cosa fu a un pelo di far lor perdere la pazienza. L’arte classica non potè vedere ad animo tranquillo quelle orde di barbari che andavano ad invadere il suo asilo; essa raccattò tutte le spazzature e tutte le immondezze del teatro e le gettò dal tetto sugli assedianti. Il signor de Balzac ricevè per sua parte un torsolo di cavolo.

LXV.

La festa a Versailles, pp. 154-158.

  pp. 154-155. Nella state del 1837, Luigi Filippo volle festeggiare a Versailles il matrimonio del duca d’Orleans. Vittor Hugo fu invitato. […].
  La festa cominciava dalla visita dell’interno del castello. Per quanto fosse grande la calca, si girava comodamente in questi vasti appartamenti regi e in quelle gallerie interminabili. Vi s’incontravano quanti erano illustri in letteratura, in pittura, in scultura, in musica, in scienza, in politica ecc. Uno dei primi che incontrarono fu il Balzac, in abito di marchese, preso probabilmente a nolo, e certo fatto per un altro.

  Giuseppe Giusti, Una chiacchierata ai lettori di Dante, in Scritti vari in prosa e in verso per la maggior parte inediti pubblicati per cura di Aurelio Gotti, Firenze, Felice Le Monnier, 1863, pp. 174-175.

  Cfr. 1860.

  G. Gonin, La Lettura, «Pasquino. Giornale umoristico con caricature», Torino, Vol. VIII, Num. 3, 18 Gennaio 1863, p. 21.

  – Il pendolo suona le nove ... Augusto sarà qui a momenti. Ed io attendendolo leggo il GIGLIO NELLA VALLE? Ah! Ma infine io non abito una valle!


  Julius, La famiglia in Questione romana. Democrazia e papismo per Julius, Milano, presso Levino Robecchi, 1863, pp. 241-251.

  pp. 245-246. Che fu infatto nelle epoche cristiane la famiglia in Italia? Come le antiche cronache dei comuni ritraggono i furori dei partiti, le guerre civili d’ogni città, accese in gran parte dalla Chiesa, così i novellieri ritraggono la vita della famiglia. Essi sono le cronache domestiche, come quelle le storie del comune. Le prime ritraggono le città, i secondi la famiglia. Ora che cosa fosse in Italia la famiglia sino dai tempi in cui predominava la fede, sino dai secoli undecimo e duodecimo, lo dicono le novelle del Boccaccio, del Sacchetti e degli altri novellieri antichi. I Balzac e Soulié impallidiscono a peto alle oscene istorie che essi ci conservarono. Eppure non facevano che ritrarre dal vero. Ma gli eroi moderni, i Faublas, i Lovelace, i Don Giovanni, sono laici, i seduttori dei nostri novellieri erano monaci e frati.


 Federico Lacroix, I Misteri della Russia. Quadro politico e morale dell’Impero russo. […]. Opera redatta sui manoscritti d’un diplomatico e d’un viaggiatore da Federico Lacroix. Prima versione italiana con note originali del Dr. G. C., Fiume, Stabilimento Tipo-Litografico Fiumano di Huber & Mohovich, 1863.

 pp. 113-114. Checchè ne sia conosciamo gli atti di liberalità di Nicolò, i quali provano ch’egli era immune da quella lebbra morale che il pittore d’Eugenio (sic) Grandet, coadjuvato da Molière, ha sì energicamente caratterizzata.


  Antonio Malgrani, Il Perno delle cognizioni. Sunto dell’Epitome di un copioso manoscritto, giacente inedito, sorretto da solidi fondamenti, appoggiato a fermi principj di sana e robusta moralità, adorno di svariata erudizione dottrinale, d’incontestabili assiomi, sagaci proverbj, ottimi precetti, giuste massime, sublimi pensieri e provvide sentenze, desunte da libri scelti, dizionarj enciclopedici ed altre opere accreditate, di profondi interpreti ed insigni scrittori antichi e moderni, nazionali e stranieri, versatissimi nei rispettivi rami e singole categorie dell’immensurabile scibile umano. Compilazione di Antonio Malgrani, Venezia, Tipografia del Commercio, 1863.

 

Titolo IX.

Romanticismo, pp. 167-168.

 

  p. 168. Ammesso l’asserto di un ragguardevole numero di dotti, che Omero sia il più grande fattore di Romanzi che conoscasi nel mondo letterario, sussisterebbe pur anco siccome dal poema eroico all’epopea domestica non vi ha differenza, se non che in quello campeggia la sintesi e lo studio generico, in questo l’analisi e la minuziosa ricerca dei particolari; così molti altri individui possono cimentarsi in quell’aringo difficile con riuscita soddisfacente quando a similitudine di Balzac e Sand, che sono gli Omeri dell’epoca nel romanzo intimo, sappiano con sottili innumerevoli raggi dar notizie meravigliose di molte leggi morali, parlando sempre secondo che inspira una gagliarda e sana idea da esprimersi con coraggio in tutti i tempi, in tutti i modi, tenendosi a bello studio sempre lungi dall’immobilità.



  Antonio Mazzucotelli, Romanzi, in L’Arte del Guttemberg ossia La Stampa. Opera del Sacerdote Antonio Mazzucotelli Parroco di Caorle, Diocesi di Bergamo. Utile ad ogni ceto e precipuamente alla gioventù studiosa, Torino, Tip. dell’Oratorio di S. Francesco di Sales, Agosto 1863, pp. 168-175.

Capitolo Quarto.

Romanzi. Pecche de’ romanzi moderni, pp. 169-172.

  pp. 171-172. Il Werter (sic) es. gr., il Ghoete (sic), l’Hortis, il Foscolo, la Novella Eloisa, il Balzac, Dumas, Sue, Sand, ecc. non imbrattano in vero carta colle sdolcinature de’ personaggi, i quali eternamente ti cantano a ristucco la treccia dorata della loro amanza, ma appunto perché più serii e più robusti dei petrarchisti sono ancor più micidiali, dirigendo ogni loro sforzo all’ultima meta a deificare il vizio e schiantare la fede. […]

Parte Terza. Episodio e conclusioni.

Capitolo Primo.

  Episodio ossia donne e loro educazione. Potenza morale della donna, pp. 193-207.

  pp. 201-202. […] ma per lo invece il Medio Evo studiasi sopra avvelenati libercoli in Walter-Scott, in Balzac, in Dumas, in Sue ed in tanti altri corrompi storie, i quali cospirando contro la verità, travolgono que’ tempi di fede in quadri sì luridi da far rabbrividire ogni uomo che conservi ancora l’ultimo alito della religione. Quinci quante giovinette jeri sì vive ed allegre colle compagne, oggi per la lettura di romanzi sentimentali tristi s’assidono alla lor opera che lor sfugge di mano, cercano il riposo della solitudine: divenute languide e scolorite, sentono capricci, ineguaglianze d’umori insoliti, inappetenze: sopraffatte da lacrime involontarie che a loro insaputa cadono dagli occhi, sospirano, vogliono e non vogliono senza una mira designata. Testè calma, poi agitata a volta a volta arrossisce, imbianca, arde, gela, nutre nella sua anima un sentimento doloroso ch’ella stessa non conosce, che nasconde e che teme a se stessa di confessare … La madre sollecita ed accorta vedendo fuggire le rose dalla gota dell’amata figlia, la gajezza de’ suoi occhi, la limpidezza della sua fronte verginale, interroga, cerca: ma l’abisso di quel cuore è chiuso che non vi giunge neppur lo scandaglio della madre. Qual ne fu la causa? Un romanzo furtivo ferì mortalmente la giovinetta nel cuore: e dentro vi cova le più feriali immaginazioni e per fin la morte istessa. […]
  p. 206. È cosa palmare mille volte raffermata dall’esperienza che l’ingegno femminile quando non sia coartato entro i giusti confini del sentimento cristiano, trascorre in modi temerari, imprudenti, leggieri: la sgarrerebbe all’ingrosso chi si fidasse sulla di lei saviezza; questo sarebbe proprio il caso in cui il marito prudente dovrebbe osservare, secondo la fisiologia di Balzac, il nodo della cravatta di chi va o di chi viene in casa.
[…]
Capitolo secondo. Conclusioni ossia Mezzi onde rendere utile la stampa. Ostacoli alla protezione delle scienze. 1° Il carattere del dotto, pp. 264-268.
  p. 268. Eugenio Sue istessamente incassava pe’ suoi romanzi più di cento mila franchi all’anno: che fortuna non fecero Scribe colle sue commedie, Balzac, Dumas padre e figlio, Victor Hugo ecc. co’ loro romanzi? E ben si noti che le produzioni degli anzidetti autori sono immorali, luride in massima parte, o per lo meno futili e romanzesche.

  [Paolo Minucci], Le Merende di Burchiello. Cronachetta del secolo XV narrata da Buricchio e pubblicata da Paolo Minucci con commenti di Bianchina, Firenze, Tipografia Tofani, 1863; 1869.
  p. 46, nota 2. L’analogia fra la gatta e la donna è stata constatata da vari scrittori, e specialmente da Balzac. Ed io poi aggiungo che tale analogia continuerà ad essere vera, fino a che la cultura intellettuale della donna sarà non solo trascurata, ma eziandio avversata, come lo è generalmente e disgraziatamente in tutta l’Italia.

  Marco Monnier, I Lombardi, in L’Italia è ella la Terra de’ Morti? Libro di Marco Monnier, Venezia, dal Prem. Stabil. di P. Naratovich, 1863, pp. 49-65. 1860.
  pp. 52 e 61. Cfr. 1860.


  S. de Montépin, Dame in terza. Romanzo di S. de Montépin. Volume primo, Trieste, Stabilimento Lib. Tip. Lit. Music. e Belle Arti di Colombo Coen Ed., 1863.

 

V

Amore! Amore .... quando ci hai ...

 

  p. 65. Noi non ci riconosciamo d’altronde nè la scienza, nè il talento necessario per dare una forma attraente a quei lunghi e pazienti studii del cuore umano veduto col microscopio.

  Per riescire in questo genere ingrato e difficile, occorrerebbe niente meno che la penna immortale di Balzac, – e, diciamolo di volo, daremmo di tutto cuore quanto abbiamo scritto e quanto ancora scriveremo, per aver prodotto il più umile volume di questo romanziere di genio.



  Pier-Alessandro Paravia, Lezione di chiusa recitata il 27 giugno 1835, in Vita e documenti letterari di Pier-Alessandro Paravia. Parte seconda, Torino, per Giacinto Marietti Tipografo-Libraio, 1863, pp. 45-60.

 

  p. 55. Eppure con tutte queste storie della rivoluzione di Francia, scritte anche da potenti ed illustri ingegni, chi vuol formarsi una vera idea di que’ tempi di tante virtù e di tanti delitti, di tante glorie e di tante venture, d’uopo è che legga un romanzo, L’ultimo Chouan di Balzac. Lo dicono gli stessi Francesi, e noi dobbiamo lor credere: «Possiamo asserirlo (così la Rivista enciclopedica di Parigi), noi non conoscevamo nè la Bretagna, nè il governo direttoriale in provincia, nè la Vandea spirante, nè l’emigrazione cospiratrice, prima di aver letto l’opera del sig. Balzac».

  Queste sono le principali avvertenze, che debbe avere lo scrittore, il quale voglia imprendere la composizione di un romanzo.


  Pietro Vincenzo Pasquini, Lettera al Compilatore [Pietro Fanfani], «Il Borghini. Studj di filologia e di lettere italiane compilato da Pietro Fanfani», Firenze, Stamperia del Monitore Toscano, Anno Primo, Giugno 1863, pp. 331-346.

  pp. 341-342. L’istituzione dell’Accademia Francese somiglia per alcuni lati all’Accademia della Crusca. Ella pose singolar cura nella impeccabilità dello scrivere, vagliando ciascuna parola, librando lo stile ed il metodo tanto, che vi fu chi propose il giuramento di non usare un vocabolo, che fosse rigettato a maggioranza di voti. […].
  Ma se ha perduto in originalità e varietà, non le si terrà alcun conto dei pregi, che ha guadagnato? L’adulto rimpiangeva pure le grazie dell’adolescenza; ma ha acquistato la maturità del senno, il giudizio. La purezza pregiudicò all’originalità, ma ne ottenne in compenso chiarezza, semplicità, naturalezza, ordine, precisione, e diventò universale. Pure lo stato attuale della lingua francese è transitorio: ed anche la sua letteratura si trasformò e si vivificò, facendosi più fertile, e varia, e Delavigne, e La Martine, e Victor Hugo diedero alla lingua ricchi colori; né Thiers, né Cousin, né Michelet, né Lamennais, né George Sand, né Balzac sono scrittori, né anche in quanto allo stile, monotoni.

  Ferdinando Ranalli, Degli ammaestramenti di letteratura di Ferdinando Ranalli. Libri quattro. Terza edizione con correzioni e miglioramenti. Volume primo, Firenze, Felice Le Monnier, 1863.

  p. 271. Cfr. 1857.

  J. A. Rossi, Rivista letteraria e scientifica, estratta dal Giornale “L’Italie Nouvelle”, – Torino, An. II, N. 4; 23 Agosto 1863; diretto dall’Illustre Economista Francese Sig. Pasquale Duprat, ex-rappresentante del popolo all’Assemblea Nazionale di Parigi. – Du Romantisme en Italie. A propos d’une publication récente titolata – “Nuova Guida al Romanticismo, ovvero Progresso Letterario-Scientifico in Italia dal Medio-Evo a questa parte”. – Studi dell’Avv. Carmelo Arcidiacono-Costanzo. – Catania, 1863; 1 vol. in-8°., in AA.VV., Varii giudizii sull’opera dell’Avv. Carmelo Arcidiacono-Costanzo Socio di varie Accademie intitolata: - “Nuova guida al Romanticismo, ovvero Progresso letterario-scientifico in Italia dal Medio-Evo a questa parte, con influenza della civiltà cristiana. – Raccolti e pubblicati per cura dell’Avv. Sig. L. Tornambene, Catania, Tipografia del Leone di San Marco, 1863, pp. 24-37.

  pp. 34-35. C’est ainsi que l’amour de la patrie et un sentiment exagéré d’admiration lui fait dire que les romans italiens modernes sont supérieurs aux romans étrangers. Ce jugement est tout-à-fait erroné. L’Italie est la nation qui a le moins produit dans cette branche de littérature. Il est juste de reconnaître que quelques romans qu’elle possède sont des œuvres très-estimables, et ne craignent pas la comparaison avec plusieurs des meilleurs français, allemands et anglais. Il n’est pas permis de dire, toutefois, que les romans de Manzoni, de Guerrazzi, de Grossi, d’Azeglio, de Cantù ont plus de prix que ceux de Walter Scott, de Bulwer, de Cooper, de Dickens, de Balzac, de George Sand et de tant d’autres.

  Pietro Selvatico, Il pittore Giuseppe Ribera ed il principe Don Giovanni d’Austria o I Favori de’ grandi costano spesso salati, in Arte ed artisti. Studi e racconti, Padova, Libreria Sacchetto Imp., 1863, pp. 185-245.

  p. 220. Cfr. 1862.

  Carlo Tèoli [Eugenio Camerini], Proemio, in Erasmo da Roterdamo, Elogio della Pazzia di Erasmo da Roterdamo. Antica versione italiana nuovamente riveduta e corretta ed illustrata con disegni di Holbein, Milano, G. Daelli e Comp. Editori, 1863, pp. IX-XVI.

  pp. IX-X. Onorato Balzac raccoglieva i suoi capolavori sotto il titolo di Comédie humaine; erano gran frammenti che rappresentavano la vita dei nostri tempi, ma con tali particolarità e svolgimenti che i volumi s’ammassavano e la piena rappresentazione era di là da venire. Erasmo in uno scorcio magistrale fece quel che Balzac tentò invano nelle sue superbe tele; l’Elogio della Pazzia è la commedia umana, nei suoi principali lineamenti, colta in un tempo fecondo di contrasti e ricco d’originalità.

  Carlo Téoli [Eugenio Camerini], Proemio, in Federigo Luigini, Il Libro della Bella Donna di Federigo Luigini [1554]. Nuova e corretta edizione, Milano, G. Daelli e Comp. Editori, 1863, pp. V-XII.

  p. VII. Le belle italiane del secolo decimo sesto erano sommamente vaghe di vedere adombrate le loro sembianze nei dipinti de’ gran maestri ed eziandio ne’ libri de’ retori. E quando pure una sola parte di loro avesse ad essere illustrata coi colori e con la parola, consentivano all’amputazione della bellezza, cedendo i capelli, o il labbro, od altro ad una imagine esemplare, che poi crediamo, per singolare astrazione, non rimirassero che in quello ch’avea di loro, quasi il capolavoro ignoto di Balzac, di cui non restava intatto che il piè divino, fondamento alla fantasia per ricrear la meravigliosa figura.

  Michele Uda, Un matrimonio per concorso, in Riccardo Armandi, Michele Uda, Scene della Commedia umana. Schizzi e profili. L’amante di mia cugina. Un matrimonio per concorso. Adriana Lecouvreur, Milano, Francesco Sanvito, 1863, pp. 29-63.

  pp. 31-32. Per descrivervi una per una le diverse fasi del regno di Luigi Filippo dal suo nascere al declinare, mi sarebbe mestieri scrivere tanti romanzi quanti ne scrisse quel fecondissimo ingegno di Onorato Balzac. Dalla Peau de Chagrin al Lys dans la vallée troverete in essi un trattato compiuto di fisiologia sociale applicato a quell’epoca, in cui il sistema inaugurato dall’ex-professore di matematica a Reichenau aveva rimescolato tutti i bassi istinti e le abbiette passioni del cuore umano. […]
  Luigi Pierrot veste ancora il corrotto de’ suoi genitori, morti a sessant’anni e legittimisti, allorchè sopravvengono le rivolture di Luglio. Per nascondere le antiche velleità aristocratiche muta il nome di Luigi in quello di Biagio, e si reca a Parigi con trecentomila franchi nel portafogli. Quivi, il povero proletario, chiede pane e riforme col popolo, sollecita un impiego nell’amministrazione e balla il cancan colla borghesia. Sulle prime sfegatato repubblicano co’ repubblicani di San Dionigi, poscia orleanista cogli orleanisti fa stampare i trecentomila franchi in calce al suo biglietto di visita e corteggia assiduamente, prodigando inchini e sorrisi alle liane dell’anticamera, Sua Eccellenza il Milione e Sua Maestà l’Aggiotaggio. Il giovane rampollo del defunto provveditore giunge a smettere in pochi giorni la proverbiale balordaggine del provinciale, atterga un de al proprio nome, applaude a un sermone di Lacordaire e sorseggia deliziosamente lo sfacciato cinismo de’ Contes Drolatiques del signor di Balzac, l’Omero, come vi ho detto, di questa strana epopea che si apre coll’esiglio di Carlo X, e chiudesi nel modesto ritiro di Claremont, dove Luigi Filippo muore, rassegnato senza neppur destare quel senso di pietà e di raccapriccio che nasce dallo spettacolo di una grandezza che tramonta nell’oblio.

  K. X., Bibliografia. C. Arrighi, “La Diplomazia in Commedia”. Versi. M. Uda, “Il cuore di una Beghina”. Romanzo. L. Capranica, “La Congiura di Brescia”. Romanzo, «La Perseveranza», Milano, Anno IV, 26 Gennaio 1863, pp. 1-2.

  p. 1. A proposito del romanzo di M. Uda, si afferma:
  «È un bel lavoro, che si legge d’un fiato e scritto con garbo, e non crediamo aver esagerato nel dire altrove che v’è nell’Uda alcuna cosa del valore psicologico di Balzac».


  [1] L’opera è presente nelle seguenti Biblioteche italiane: Biblioteca Zelantea di Acireale; Biblioteca Città di Arezzo; Biblioteca Palagio di Parte Guelfa – Fondo dell’ex Università Popolare di Firenze; Biblioteca ed Emeroteca della Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Livorno (voll. I e II); Centro Biblioteca e Archivi della Scuola Normale Superiore di Pisa; Biblioteca Comunale Antonelliana di Senigallia.
  [2] Cfr. Catalogo generale della Libreria italiana dall’anno 1847 a tutto il 1899, Milano, Associazione tipografico-libraria italiana, 1901, p. 129.
  [3] Cfr. Balzac in Italia. Contributo alla biografia di Onorato di Balzac, Milano, Fratelli Treves, 1920, p. 226.
  [4] Segnalato da L. Carcereri, Editoria e critica balzachiana … cit., pp. 538-539.

Marco Stupazzoni

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