domenica 11 agosto 2013


1855



Studî e riferimenti critici.


  Balzac (Onorato), in Piccolo dizionario biografico degli uomini illustri di tutte le età e nazioni, Alessandria, Tipografia Gazzotti, 1855, p. 17[1].

  BALZAC (Onorato), celebre scrit. francese di romanzi.


  Rivista di giornali, «La Cronaca. Giornale di scienze, lettere, arti, economia, industria pubblicato da Ignazio Cantù, Milano, Tipografia di Giuseppe Redaelli, Anno primo, Dispensa diciannovesima, 1855, pp. 865-869.

 

  p. 866. I romanzieri francesi, e Balzac in capofila, ritrassero la donna sotto sgraziati colori. Per essi la donna ha molto spirito e poco cuore; ha molta ambizione, galanteria, intrigo, pochi principii; da giovane ha circolo d’amanti; maturata s’adopera a far procedere suo marito negli impieghi; tien ritrovi di politici, di cortigiani, affetta molto genio, riceve molta gente e fa pasturare alla sua mensa un serraglio di poeti e di prosatori casalinghi; vedova ha amici di tutti i colori, del pari fra i magistrati che fra i democratici, protegge, patrocina le vecchie zitelle e le cava dall’inferno del nubilato; e riuscita che sia a porre la corona su d’una testa una o due volte maggiorenne, è più superba che Luigi XIV quando ebbe posta la corona di Spagna sul capo a Filippo V.



   Balzac, «Il Fuggilozio. Giornale di amena letteratura contemporanea», Milano, per Borroni e Scotti. Anno 1°, N° 1, 6 Gennaio 1855, pp. 140-144.



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            Onorato di Balzac nacque a Tours il 20 maggio 1799[2].
  Suo padre, consultando l’almanacco, e trovando di buon augurio il nome del santo che correva quel dì, glielo impose al fonte battesimale.
  Il giovane Onorato crebbe ai fianchi di due amabili sorelle, ma non prendeva parte alcuna ai loro trastulli; perciocché, fino all’età più tenera, era preoccupato da una specie di precoce inspirazione che lo trasportava nel mondo de’ sogni. Aveva a’ suoi fianchi una fata misteriosa, un angelo custode, che lo riparava delle sue ali e dolcemente lo cullava nell’estasi delle sue meditazioni.
  La signora di Balzac, ansiosa di vedere il fanciullo, tenero ancora, mostrare tante ascetiche inclinazioni, volle distornelo: ma fra tutti i balocchi, che gli si profondevano a josa, uno solo ebbe il dono di piacergli: era uno Stradivari da venticinque soldi che si sogliono comperare sui banchi delle fiere. Ei lo aveva sempre fra le mani e vi strimpellava da mattina a sera; e, spesse volte, fu rinvenuto in fondo al giardino, cogli occhi rivolti al cielo ed il volto inondato di lagrime: le note stridenti, di cui a caso risuonavano le corde, eransi cangiate, pel fantastico ragazzo, in un’armonia di paradiso.
  A cinque anni lesse le Scritture, e con ineffabile voluttà udiva la madre interpretarne i misteriosi sensi. Tutti i libri che gli cadevano fra le mani erano da lui istantaneamente divorati, e nella lettura assorbiva talvolta quasi intiera la giornata. Questa passione continuò egli a coltivare anche nel collegio dei Padri dell’Oratorio di Vendôme, ove fu mandato di otto anni.
  Opere scientifiche, filosofiche o religiose, tutto faceva al caso suo: e dove gli altri libri gli fossero venuti meno, dava di piglio ai dizionari e li scorreva dalla prima fino all’ultima riga. Talvolta persino, quando gli era dato d’aver fra le mani qualche libro interessante, aveva costume di meritare per castigo il carcere accademico, onde leggerlo colà a più bell’agio.
  Dotato di prodigiosa memoria, egli sapeva ritenere i luoghi, i nomi, le parole, le cose, le figure.
  Ma avvenne che di mezzo a questo caos di idee, che s’avvolgevano confusamente nel suo cervello, la sua ragione sembrò ad un tratto offuscarsi.
  Uscito in questo stato dal collegio, e fatto ritorno a Tours, destò grave allarme nella sua famiglia.
  «Fu dato nome d’idiotismo, dice un suo biografo, alla inevitabile sonnolenza cagionata, se mi è permesso di esprimere così, dal penoso lavoro della sua mente nel riordinare le idee.
  Assiso al banchetto della intelligenza, l’adolescente aveva assorbita un’intera biblioteca, e la digestione facevasi penosamente.
  Questo filosofo di quattordici anni sapeva tutto, tranne le cose più semplici e comuni della vita: chiedeva di che si componesse il pane, e non distingueva una vigna da un campo seminato di biade.
  Pel corso di quindici giorni conservò in un vaso, colle cure le più gelose e dilicate, un fior di cocomero, che sua sorella Laura gli aveva dato per un cactus delle Indie».
  Ma questa specie di apatia fu di breve durata; la mente, compiuto il riordinamento delle idee, raggiò di più vivo splendore; le tenebre si dissiparono, e già Balzac scorgeva nell’avvenire la splendida aureola di gloria a cui aspirava.
  – Vedrete! Vedrete! Diceva alle sue sorelle; un giorno sarò celebre!
  – Ma, per allora, dovette pagare a caro prezzo quel vanto puerile. Perché, da quell’istante, le scherzose giovinette non lo accostavano mai senza prodigargli beffardi inchini, e senza dirgli con rispettoso accento di voce:
  – Salute al grande Balzac!
  Nel 1813, tutta la famiglia lasciò Tours per stabilirsi a Parigi. Suo padre era stato promosso ad un impiego lucroso: ed il giovane Onorato potè compiere i suoi studii in uno de’ più rinomati collegi della capitale. A diciott’anni seguì simultaneamente i corsi della scuola di diritto della Sorbona e del collegio di Francia.
  Era bello, pieno di vita e di salute. Senza stancarsi, studiava assiduamente: gli occhi suoi corruscavano di letizia; ed un gajo sorriso sempre gl’infiorava le labbra. In casa insegnava, per ispasso, il latino alle sorelle, o trastulla vasi a riordinare i libri che andava acquistando col suo privato peculio.
  Cominciò fino d’allora a raccogliere quella preziosa suppellettile di libri che orgogliosamente additava agli amici negli ultimi anni della sua vita, «e che’egli avrebbe lasciato in dono alla sua città natale, dice il bibliofilo Jacob, se questa città non avesse fatto mostra d’indifferenza, e fors’anche di sprezzo verso di lui».
  Balzac non fu profeta in patria, cosa che d’ordinario accade, specialmente nelle piccole città; poiché la stupida mediocrità ed il volgo degli sciocchi, ch’ebbero comune la culla col genio, non sanno rassegnarsi a tributargli omaggio; non sanno comprendere come in un medesimo campo possa crescere il superbo faggio ed il tristo arboscello. Il talento di un solo è argomento d’umiliazione ai più; e per tal modo vediamo sovente la canna combattere la quercia e negargli ogni merito.
  Questa ingiustizia del paese nativo è a molti grandi uomini cagione di grave rammarico: sarebbe così dolce il raccogliere gli allori ove si ebbe la culla! Ma spesso invece non si trovano che cardi e triboli!
  Per annuire ai desiderii del padre, Balzac, mentre attendeva allo studio del diritto, faceva pratico esercizio presso un legale, salito in quei tempi a bella fama di scienza: ivi s’avvenne in Scribe che, al pari di lui, non aveva molta vocazione per la procedura.
  Dicesi che nel medesimo studio fosse impiegato, in qualità di copista, Giulio Janin il quale assai dedito, per natura, alla pigrizia ed alle dispettose risposte, ebbe spesso occasione di conoscere col fatto come sapesse d’ostico la punta dello stivale di Balzac! Questo modo d’apostrofe spiacque grandemente a Janin, che abbandonò lo studio dell’avvocato per entrare nella redazione di un giornale, ove la sua critica poteva esercitarsi senza tema di una troppo diretta applicazione delle repliche de’ suoi avversarii.
  Nel campo della critica, come ci verrà dato di narrare in seguito, Janin ebbe sempre a memoria quelle sue prime relazioni con Balzac.
  Un bel giorno Onorato venne alla presenza degli autori de’ suoi giorni, ed ebbe a sostenere un solenne interrogatorio.
  Fra quattro mesi, gli disse suo padre, tu varcherai il ventunesimo anno di tua vita. A quale stato hai pensato d’applicarti?
  La mia vocazione, rispose Balzac, mi trae verso le lettere.
  Sei pazzo?
  No; ho lungamente meditato, e voglio diventare autore.
  Sembra, disse la madre eccitando collo sguardo il marito alla severità, che il signorino abbia propensione alla miseria?
  Onorato, disse il genitore, nostro proposito è di destinarti alla professione di notajo.
  Il giovine fece un cenno d’ostinato diniego.
  Ma, non sai, disgraziato, a che ti può ridurre il mestiere del letterato? Nelle lettere è necessario d’esser re, per non essere il più infimo degli uomini.
  Or bene, disse Balzac, io sarò re!
  E fu impossibile di smuoverlo da tale ostinazione.
  Allora i genitori ricorsero alle usate vessazioni, e resero stentata la vita di Onorato, onde farlo desistere da’ suoi progetti. Ritiratisi alla campagna lasciarono solo il figliuolo a Parigi, scarsamente provveduto di mezzi pecuniarj. Installato in una umile stanzuccia, si diede a lavorare con un coraggio soprannaturale, in mezzo alle privazioni d’ogni natura, senza perdere l’usata allegria. Le lettere che mandò in quest’epoca alle sue sorelle sono capolavori di comica ingenuità.
  La sua abitazione, schiusa, a tutte le intemperie dell’inverno, gli cagiona un’ (sic) orribile mal di denti: le sue guance sono enfiate da una perpetua flussione. «Ah! mia povera Laura, scrive a sua sorella, se mi vedessi non sapresti più ravvisarmi: sono un Pater doloris!».
  Il primo suo passo nella carriera delle lettere fu un Cromwell in cinque atti, che andò a leggere in seno alla famiglia.
  Ivi si erano radunati ad udirla alcune persone capaci di pronunciare un assennato giudicio. Fra gli altri, un professore del Collegio di Francia, che, finita la lettura, dichiarò, in tuono cattedratico, che l’elocubrazione di Balzac non dava indizio alcuno di talento in colui che l’aveva scritta.
  Umiliato da tale critica brutale, Onorato fece ritorno alla sua stanza di Parigi; rinunciò al tragico e si fece romanziere.
  Sfidando le sofferenze materiali, e non curandosi della miseria, scrisse quaranta volumi pubblicati, a mano a mano, da avidi editori, che hanno per sistema di lasciar morire di fame un autore. I suoi primi romanzi (Argow le Pirate, la dernière Fée, le Sorcier, l’Israélite, Jean-Louis, etc.) furono pubblicati sotto il pseudo nome di lord R’hoone, anagramma di Honoré e gli fruttarono appena con che scampare e gravissimo stento la vita.
  Ma il nostro giovane, con uno sforzo d’energia, risolvette di giungere ad ogni costo a trarsi da quello stato di penosa esistenza.
  Un antico compagno di collegio gli diede a prestanza sufficiente denaro per usufruttare un’idea libraria, da cui sperava di trarre largo profitto. Raccolse e stampò in un sol volume compatto tutte le opere di Molière, e in un secondo, quelle di La Fontaine; vi prepose una introduzione a ciascun volume, e li affisò al commercio. Ma l’invidia de’ librai impedì che avessero il debito spaccio. L’edizione scadde di presso, e Balzac vi perdette la somma che gli era stata affidata. L’amico suo non si perdette d’animo, e gli fornì nuove somme per riscattare la perduta. Al tempo stesso, suo padre, lieto di poterlo distogliere dalla carriera delle lettere, mandò dodici torchi da stampa, stabilì una fonderia di caratteri e diede meraviglioso impulso al suo commercio, sicuro finalmente di poter trionfare della sua stella maligna.
  Per mala sorte, correvano allora tempi avversi alla stampa; perciocché la Ristorazione vi creava ostacoli ogni giorno. In poco d’ora, venuti meno i fondi, fu costretto a cedere a vil prezzo un materiale che fece la fortuna de’ suoi successori.
  Balzac dovette così far ritorno alla letteratura, non solo per vivere, ma per pagare i debiti contratti.
  In luogo di abbattere le anime grandi, la sventura ritempera il loro coraggio. La fede nell’artista, come nel cristiano, vince ogni più arduo ostacolo!
  Un onesto librajo pubblica le nuove opere di Balzac e lo induce ad apporvi il suo nome. L’Ultimo Chouan; la Donna di trent’anni; i due Sogni, la Casa del Gatto, il Ballo di Sceaux pubblicati dal 1827 al 1829 (sic), cominciano a rendere popolare il nostro paziente scrittore, e la Fisiologia del matrimonio finisce per collocarlo sovra solida base.
  Da quell’istante non ha più tregua. Le sue notti, i suoi giorni sono consacrati al lavoro. Ad ogni pagina che scrive avvalla una sorsata di caffè, che scaccia il sonno e gli arde il sangue: ma al tempo stesso quanti ammirabili lavori! Gobseck; la Vendetta; la Saracena (sic); Luigi Lambert; l’illustre Gaudissart; il Medico di Campagna; Ferragus; Eugenia Grandet; Papà Goriot; la Ricerca dell’assoluto; il Giglio della (sic) Valle; il Curato del Villaggio e venti altri romanzi, vale a dire sessanta volumi, pubblicati nell’intervallo di sei anni.
  E Balzac non ebbe mai collaboratori! I suoi più grandi nemici non osano sostenere che una linea, una sola linea estranea sia venuta a frammettersi nelle sue pagine.
  «Questo possente ed infaticabile scrittore, disse Vittore Hugo, questo filosofo, questo pensatore, questo poeta, visse fra di noi vita tempestosa, piena di lotte, di querele e di corrucci».
  In fatti, Balzac dovette sempre combattere contro l’invidia e la critica de’ suoi nemici.
  Giulio Janin, che abbiamo poc’anzi accennato, stampò di lui nel Débats del 18 febbrajo 1843:
  «Egli scrisse, sotto un falso nome, romanzi eccentrici, e strascinandosi fra le tombe d’Anna Radcliffe, le bestemmie di Pigault-Lebrun e le scempiaggini di Paolo di Kock, si avvolge continuamente nella stessa cerchia di avventure volgari e triviali.
  Balzac fu intaccato non solo sul conto delle sue opere, ma persino sulla sua nascita: «Ah! esclamò un giorno il nostro autore, voi pretendete ch’io non discenda dai Balzac di Entragues? Tanto peggio per loro!».
  Fu in quel torno (1837) che Onorato Balzac, viaggiando a diporti, venne in Milano; dove, preceduto dalla fama de’ suoi scritti, fu accolto festosamente. Ma qui non lasciò buona memoria di sé.
  Generosamente ospitato per ben tre mesi dal principe Porcia, e’ si credette sdebitato verso il medesimo d’ogni gratitudine colla dedica di non so quale fra le sue opere[3]; mentre qui da noi gioconda vasi in compagnevoli banchetti che la contessa dei Milanesi gli offeriva, sulle sponde della Senna dava in luce le Scene della Vita Parigina, che sono un monticello d’errori, e diciamo pure, una bella, una spiritosa ingiuria al nome italiano.
  Qui, giacchè ne abbiamo il destro, ci si permetta, una volta per sempre, di protestare contro il mal vezzo che hanno quasi tutti i romanzieri francesi di accattare il favore dei loro leggenti, mettendo in discredito gl’Italiani, e dove bisognino loro personaggi rotti ad ogni più turpe vizio, codardi, infami, scellerati, imaginare soldati vili, nobili di perduta speranza, cortigiane dissolute, truffatori spaccati, e su tutti ad un modo stampare il nome e il colore italiano!
  Fra i molti che s’accesero di nobile sdegno, il signor Antonio Lissoni, antico ufficiale di cavalleria, il quale con pari audacia e valore sa maneggiare le armi e la penna, di presente divulgò colle stampe un erudito opuscolo: Difesa dell’onore delle armi italiane, oltraggiato dal signor di Balzac. In esso, con la bella eloquenza, rimprovera al nostro autore le sue sfacciate menzogne, e ristabilisce ad evidenza la verità storica da lui compromessa a nostro vituperio nella narrazione di molti fatti[4].
  «Era egli proprio necessità (gli dice) di creare italiani gl’iniqui personaggi della tua Marane (sic)? È dunque l’Italia divenuta una sentina di vizj, un’officina di delitti, una terra di maledizione, une spelonca di masnadieri, un antro di bruti, una famiglia che lavora solo a scelleraggini, a nefandità da inorridirne, da metterne in ispavento la natura ed il mondo? E che ci han da far gl’Italiani a descrivere le turpitudini della vita parigina? …
  Cala alquanto dell’orgoglio tuo, non ti levare cotanto sopra di noi, e viaggiando queste nostre contrade, non fare una Beozia novella dell’Atene, che fu già dell’Europa, non far tanti Iloti di coloro che la van del paro co’ tuoi, se già non gli avanzano in molte scienze … Non correre l’Italia a guisa di maestro che insegna, ma sì di alunno che impara; chè, qua pure, come ogni dì fa tutta Europa, e nella nostra Roma, tempio eterno delle arti del mondo, avvi molto da imparare. Il tuo Bérenger (sic) affermò col candore del vero sapiente, avere imparato più assai in tre soli anni in Roma, in Italia, che non in venti nella tua magnifica Parigi».
  Tali sono le parole che il Lissoni dirige a Balzac, parole che dobbiamo aver presenti al pensiero ogni qualvolta ci vengon lette ingiurie al nome nostro nei baldanzosi romanzieri di Francia. – Ma ciò che maggiormente dispettava il Lissoni erano gli onori resi a Balzac:
  «Tu rubato d’un oriuolo, ti è in sul subito ridonato[5], e noi saccheggiati, noi diserti, noi predati al cader del secolo passato, noi rubati oggidì per fin della fama, il più prezioso bene delle nazioni e degli uomini, noi, che saremmo stati rapinati anche dell’ingegno, se l’ingegno fosse cosa da poter rubare; noi traditi da colei che si nomava libertà, ed era allora rapina e tradimento, noi ti accogliamo con animo generoso e cortese … Ma con tutto ciò non credere bassezza o viltà le cortesi accoglienze nostre, chè non fu certo per vergogna, o per timore che n’avessimo, o per sciocco e leggero giudizio che facessimo di te e de’ tuoi meriti; ma sì bella consuetudine patria di onorare e festeggiar gli ospiti, massimamente stranieri …
  Io però non verrò a te con occhi bassi in atto di riverenza, di soggezione, di viltà; non mi scuserò, a te della sognata povertà degli ingegni italiani; ma sibbene con alto il capo come chi sa di non dovere vergognare di cosa alcuna, io mi rappresenterò in sembiante di dignitoso, e la prima cosa per onorarmi, per fare a te rispettare e tenere nel giusto concetto la mia patria, la prima cosa io ti dirò: Sono italiano!».
  E così fece.
  La sera del giorno stesso che il suo scritto correva per le mani di tutti, il signor Antonio Lissoni si presentò al caffè Martini, ove Balzac, circondato da una folla di amici, stava per la centesima volta raccontando la storia del ricuperato orologio; e fattosi largo fino a lui, in brevi parole si dichiarò pronto a sostenere con tutti i mezzi che detta l’onore, ciò, che sì validamente aveva oppugnato colle stampe.
  Quello che poscia accadde nol seppi mai con certezza. Mi fu assicurato soltanto che all’indomani Balzac fece firmare il suo passaporto, e valicato il Ticino, si restituì in patria.
  Ci perdoneranno i lettori d’esserci alcun poco dilungati in questo episodio della vita che raccontiamo; episodio che se non torna molto in suo onore, servì almeno ad insegnargli in buon’ora a rispettare questa nostra Italia.
  Del resto non avvi alcuno che voglia contestare il merito letterario di Balzac.
  Se si volessero analizzare le sue opre, non basterebbe un intero volume in foglio. Il carattere più eminente de’ suoi scritti, è la paziente e precisa pittura delle umane passioni.
  Pochi filosofi al pari di lui hanno sì profondamente scrutato il cuore dell’uomo.
  La donna specialmente, questo essere fragile e misterioso, questo fiore dai mille colori, rinvenne in lui il suo naturalista, il suo poeta.
  Tuttavolta Balzac, malgrado il successo de’ suoi libri, non si arricchiva. Lavorava con troppa coscienza e troppa lentezza: non era mai contento di sé medesimo. Uno de’ suoi romanzi, Pierrette, fu ricorretto da capo a fondo per ben quattordici volte.
  Badate, diceva lo stampatore, che sarete, alla fine dei conti, aggravato da mille e ottocento o duemila lire di spesa.
  Che m’importa? Diceva Balzac; fate pure. Fu obbedito, e le stampe non furono licenziate se non dopo la ventisettesima correzione.
  Pierrette era dedicata alla ricca ed avvenente donna che dovea un giorno portare il suo nome[6]; ei voleva presentarle un lavoro perfetto. Le correzioni del libro sorpassarono di tre o quattrocento franchi il prezzo pagatogli dall’editore.
  Gli era difficile con un tale sistema di pagare i debiti.
  «Spingeva tant’oltre il merito della verità e della precisione, dice il bibliofilo Jacob, che non descrisse mai un paese, senz’averlo visitato».
  Annojato dai creditori, Balzac cadeva talvolta in profonda tristezza.
  Quasi ogni sera pranzava da sua sorella Laura, stabilita a Parigi collo sposo e due figliuole.
  Suvvia, gazzelle mie, (così chiamava le nipoti) disse un giorno entrando, datemi un foglio di carta ed una matita … Presto!
  Gli fu recato quanto chiedeva.
  Passò quasi un’ora, non già a scrivere qualche scena di romanzo, ma a schierare in colonna alcune cifre e sommarle.
  Cinquantanovemila franchi! Mormorò; sono debitore di cinquantanovemila franchi! Non mi resta più che spaccarmi le cervella o gittarmi a capitombolo nella Senna!
  Ed il romanzo che hai cominciato per me, non lo terminerai?[7] Gli diceva piangendo sua nipote Sofia.
  Angelo mio! … in fatti, ho torto di perdermi così di coraggio. Lavorerò per te, e forse mi sorriderà la fortuna. Bando alle tristi idee! Termini il tuo romanzo, lo vendo per diecimila franchi; gli editori mi fanno nuove offerte … A meraviglia! Pago in due anni tutti i miei creditori; divento ricco, Pari di Francia! Benone! Frattanto andiamo a pranzo.
  E Balzac non pensò più alla enorme cifra de’ suoi debiti; e rallegrò co’ suoi motti spiritosi la ospitale famiglia di suo cognato.
  E tale precisamente era l’indole di Balzac; un minuto di gioia scancellava in cuor suo le lunghe ore di disperanza, e gli restituiva tutto il vigore necessario alle sue occupazioni.
  Spesso trastulla vasi colle sue nipoti, come faceva Enrico IV co’ suoi figli. Quando sua sorella lo rimproverava di perdere momenti così preziosi, esclamava:
  Taci, Petrarca! (le dava per ischerzo questo nome, perché si chiamava Laura). È necessario che la mia testa si sollevi, altrimenti diventerei tutto cervello!
  Il dolore ai denti, che erasi procacciato nella fredda stanzuccia da studente, lo tormentava ancora di quando in quando; ma e’ non volea lasciarsi governare, pretendendo che i lupi non ricorrono mai ai dentisti.
  Ho capito! Dicevagli sua sorella, non hai coraggio; non ardisci farti cavare un dente!
  Oh! Questo poi no! Ne ho qui appunto uno che dondola: dammi un po’ di filo, e vedrai se non giungo a strapparlo da me stesso!
  Si accinse a compiere l’operazione; ma faceva uso di tale delicatezza e di tale riguardo, che sua sorella, presa da impazienza, diè un colpo violento sulla mano che stringeva il filo, ed il malfermo canino gli cadde di bocca.
  È strano! Disse Balzac; sembra ch’io non tirassi che moralmente.
  Poiché assolutamente la letteratura non gli forniva i mezzi di liberarsi dai creditori, Balzac si lambiccò il cervello per iscoprire qualche industria che lo potesse arricchire.
  Leggendo un dì le storie di Tacito, e vedendo che i Romani coltivarono, già tempo, le miniere d’argento in Sardegna, si percosse la fronte ed esclamò:
  Eccomi milionario!
  Senza frappor tempo in mezzo, prende a prestito cinquecento franchi, corre a Marsiglia, s’imbarca su di una nave, e comunica la sua idea al capitano che la trova superba. Era infatti evidente che i Romani, poco versati nella chimica, non avessero potuto trarre largo frutto da quelle miniere.
  Balzac visita la Sardegna, porta il minerale a Parigi, e si convince coll’analisi dell’utile quantità di metallo che esso contiene.
  Ma quando chiese il privilegio al governo Sardo di spigolare quello che i Romani vi avevano lasciato, gli fu risposto che era troppo tardi.
  Il capitano marsigliese, riconosciuto ottimo il progetto, erasi affrettato a sollecitare, a suo pro, la necessaria autorizzazione.


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  Vittima di questo abuso di confidenza, Balzac non si sconcerta e pensa a nuovi mezzi di far denaro. Ora studia con profondo mistero il modo di risolvere il vecchio problema del moto perpetuo; altra volta vuole usufruttare le coltivazioni degli ananas; poi abbandonandosi ai calcoli matematici, sperò di trovare un mezzo, con cui far saltare le banche di Baden e di Homburgo, per mezzo di qualche nuovo paroli. Finalmente gli prese fantasia di andar a coltivar l’oppio in Corsica.
  Tornato nel campo letterario, fondò successivamente tre giornali: il Feuilleton littéraire, la Revue parisienne, e la Chronique de Paris. Ma invano vi pubblicò i suoi capolavori; queste imprese caddero, ed il nostro autore lavorò diciotto mesi per aggiungere venticinquemila franchi di più alla cifra del suo passivo.
  Perseguitato da vicino da atti esecutivi, stette alcun tempo nascosto in casa della signora Visconti: ma accadde che, cercato dalle guardie di commercio, una donna gelosa forse o vendicativa, svelò il segreto del suo domicilio. In brev’ora, il palazzo Visconti venne accerchiato, e Balzac sturbato a mezzo di un capitolo di romanzo, vide entrare due sbirri, che lo pregarono colle debite cortesie a seguirli a Clichy.
  Ma se una donna aveva tradito Balzac, fu una donna che lo salvò.
  Regalmente ospitale, la signora Visconti gettò diecimila franchi innanzi agli sbirri, ed additò loro la porta.
  Dal 1837 al 1845 pubblicò: La Vecchia ragazza; il Gabinetto degli antichi; Cesare Birotteau; una Figlia d’Eva; Un Tenebroso intrigo; un Esordio nella vita; Onorina, e molti altri[8].
  Balzac, come fu detto, fu sempre assiduo nel lavoro. Andava a letto quasi tutte le sere a sei ore dopo pranzo; verso mezzanotte s’alzava, s’avviluppava in un ampio sajo da cappuccino, che aveva adottato per veste da camera, ed accudiva al lavoro fino alle nove del mattino; interrompevasi per far colazione, e riprendeva poscia la penna fino alle tre pomeridiane.
  Strano era il sistema che impiegava nello scrivere i suoi romanzi; abbozzava un romanzo come i pittori schizzano un quadro.
  Il primo impianto della più voluminosa fra le sue opere non occupava più di trenta o quaranta foglietti, che il dì successivo passavano nella stamperia, e ritornavano a lui in bozze di stampa con enormi margini di carta.
  I quaranta foglietti diventavano cento colle aggiunte delle prime correzioni, duecento colle seconde, e così fino ad opera compiuta.
  Questo modo di scrivere formava la disperazione dei compositori di stamperia, e la moltitudine e la confusione delle sue correzioni rendevano così difficile il lavoro, che negli accordi ch’essi stipulavano col proprietario dello stabilimento, ponevano per clausola di non esser costretti a fare ogni giorno più di due ore di Balzac.
  Se Balzac avesse fatto uso delle ciurmerie di Girardin o di Dumas, sarebbe giunto col suo ingegno a tesorizzare milioni. Ma egli rifuggiva da tutto ciò che potesse offendere la sua dignità.
  Balzac e Dumas si odiavano cordialmente. Morto però Balzac, Dumas diè fiato alla tromba onde innalzare al suo nemico un monumento ed incidervi a perenne ricordanza:
  «A Balzac, Dumas suo rivale!»
  Tutti sanno come un tale progetto destasse la suscettibilità della ricca vedova di Balzac, la quale pretendeva esclusivo il privilegio di onorare la memoria di suo marito: Dumas chiamato in giudicio, seppe validamente difendersi, e nessuno più gli contestò il diritto di erigere un monumento al defunto collega. Ma questo momento, dopo tanto scalpore, è tuttavia allo stadio di progetto!
  I bei giorni sereni non sorrisero lungamente ad Onorato Balzac.
  Dopo aver terminato I parenti poveri, sentì i primi sintomi della crudele malattia che doveva trascinarlo al sepolcro.
  Il 18 agosto 1850, quattro mesi dopo le sue nozze colla contessa d’Hanska, morì a Parigi.
  Questa morte fu un lutto pubblico. Venne dato il suo nome alla contrada ove abitava. Le sue spoglie mortali furono accompagnate alla estrema dimora da quanti illustri scrittori albergavano allora nella capitale della Francia.
  Vittore Hugo pronunciò il suo elogio funebre:
  «La sua morte ha colpito Parigi di stupore. Da alcuni mesi era rientrato in Francia. Sentendosi morire, aveva voluto rivedere la patria, come alla vigilia di un gran viaggio si vuol baciare la propria madre.
  La sua vita fu breve, ma ricolma più di opere che di giorni …
  Dopo una vita di lotte e di stenti, comune in tutte le epoche agli uomini grandi, oggi eccolo in pace! Abbandona gli odii e le contese, per entrare, all’ora istessa, nella gloria e nel sepolcro. Da ora in poi egli risplenderà al di sopra di tutte le nubi che s’avvolgono sui nostri capi, fra gli astri della patria».
  La tomba di Balzac è nel cimitero del Père-Lachaise, accanto a quelle di Carlo Nodier e di Casimiro Delavigne. Il suo busto in bronzo ne corona il fastigio del monumento.

  Paolo di Kock, «Il Fuggilozio. Giornale di amena letteratura contemporanea», Milano, Borroni e Scotti Tipografi-Librai, Anno 1°., N°. 6°., 10 Febbraio 1855, pp. 91-96.
  p. 93. In generale dal ceto aristocratico de’ letterati si manifesta per Paolo di Kock un superbo disdegno; quelli stessi che provarono qualche piacere leggendo le sue opere, non osano confessarlo, per tema di passare per sciocchi o gente di cattivo gusto. Uno solo rese giustizia a Paolo di Kock: Alessandro Dumas. Una sera un adulatore diceva alla sua tavola: «Maestro, del vostro secolo non rimarranno che tre scrittori di romanzi, voi, Giorgio Sand e Balzac».
  – Aggiungete un quarto, rispose Dumas.
  – Chi?
  – Paolo de Kock: quest’autore vivrà più a lungo di noi. Se non siete del mio parere, suppongo che non lo abbiate letto. – Questo aneddoto è autentico.

  Emilio di Girardin, «Il Fuggilozio. Giornale di amena letteratura contemporanea», Milano, Borroni e Scotti Tipografi-Librai, Anno 1°., N°. 7°., 17 Febbraio 1855, pp.106-112.
  p. 109. Due giorni dopo comparve in luce il primo numero della Moda.
  Questo giornale ebbe un successo prodigioso, e tolse molti associati alla Rivista di Parigi. Balzac, Eugenio Sue, Alessandro Dumas esordirono nella Moda.


  Appendice. Il 1821, 1831, 1833 in Italia, «Italia e Popolo. Giornale politico», Genova, Anno V, Num. 49, 18 Febbraio 1855, pp. 211-213.

 

  p. 213. Vi han certi viaggiatori acciacosi per mal sottile, che all’infuori del fulgido sole null’altro vi ravvisano: i tory i più servi delle abitudini e più incapponiti degli altri, che per anco nel 1839, dopo avere tranquillamente percorsa l’Italia posteggiando, parlano ancora come ancora nel buon tempo antico di banditi e di stiletto; ingenue creature che studiano l’Italia nei romanzi d’Anna Radcliffe, e talvola (sic) nelle memorie del Casanova; quindi giornalisti, compilatori di riviste, (di consueto francesi) speranze sconciate della letteratura; per esempio Janin, Balzac e consorteria, scrittori a un tanto alla pagina; costoro non iscorgono in Italia, che la Chiaia, i lazzaroni, la festa de Moccoli a Roma , le ville a bassorilievo delle famiglie patrizie, le quali si millantano della propaggine di Marte, conti che si chiamano Frontiferro, fanciulle che si dicono Veneri; poscia i provveditori di magazines, che non disfidando alcun pericolo a sbertare l’Italia, ubbidiscono in pace alla naturale vocazione; e finalmente, ma per buona ventura sono rari, i rinnegati politici, genìa di cui il conte Dal Pozzo, non ha guari ci ha regalato un saggio. Tutti costoro criticano, calunniano per nequizia, per passatempo, o per coarcevare numerose pagine. Cavallette della letteratura, si gettano a desso sulle pianure italiane, dimani visiteranno la Spagna, o tutt’altra contrada che potranno vantaggiosamente usuffruttarne. […].

  Le loro opere hanno, gli è vero, un’esistenza effimera; si leggono senza attenzione, come uno scacciapensieri e tosto si dimenticano, pure imprimono nello spirito un’orma di scetticismo e d’indifferenza, assuefanno a giudicare superficialmente l’Italia; d’onde provengono le opinioni sfavorevoli pubblicate da scrittori più gravi che fanno accettare senza esame nuova copia d’errori. Se si danno opinioni da raccogliersi cautamente e dopo un maturo esame, sono quelle per fermo che si vanno ognidì architettando sull’Italia. In un paese dove havvi una vita pubblica qualsiasi, dove il progresso eterno del pensiero, trova nella stampa o nelle popolari assemblee la propria espressione, incontanente e dovunque si possono chiarire le opinioni individuali; e tale giudizio salutarmente influisce sugli scrittori, rendendoli meno arditi, e sul lettore il che può quindi correggere quanto nelle asserzioni pubblicate v’ha di fallace e di esagerato. Ma a che servirà in Italia il giudizio nostro? Qual freno ivi ha l’errore? […].


  Gerardo di Nerval, «Il Fuggilozio. Giornale di amena letteratura contemporanea», Milano, Borroni e Scotti Tipografi-Librai, Anno 1°., N°. 8°., 24 Febbraio 1855, pp. 123-128.
  p. 126. «Di tutta la colluvie letteraria, dice un critico francese, che da venticinque anni ingombra i nostri gabinetti di lettura, alla fine del secolo non sopravviveranno, (ne ho ferma credenza) che pochi romanzi di Balzac, due o tre volumi di Giorgio Sand ed i libri di Gerardo di Nerval».


  Notizie posteriori. Francia, «Italia e Popolo. Giornale politico», Genova, Anno V, Num. 88, 29 Marzo 1855, p. 364.

 

– Si annuncia a Parigi la pubblicazione di un romanzo di Balzac compiutamente inedito, intitolato – I contadini; e un nuovo romanzo di Giorgio Sand, col titolo – Le diable aux champs.



  Appendice. Rivista drammatica. Teatro Carignano. “La Czarina”. “La Locandiera” [...]., «L’Opinione», Torino, Anno VIII, N. 112, 23 aprile 1855, pp. 1-2.

 

  La signora Ristori ed il signor Rossi hanno assai bene rappresentato (quali vennero immaginati dall’autore [Scribe]), l’uno il personaggio di Pietro e l’altra quello di Catterina. E ne facciamo loro tanto più volontieri l’elogio, in quanto che la stessa cosa non possiamo dire del modo in cui hanno questi due attori recitata alcune sere sono La Locandiera di Goldoni. Essi peccarono per esagerazione di perfezione. Balzac in un suo breve racconto (Il capolavoro sconosciuto) narra d’un artista, il quale da anni ed anni lavorava attorno ad una tela, e s’era talmente innamorato dell’opera sua, la voleva condurre a tal perfezione, porvi tale finitezza in tutte le gradazioni dei colori, che non si stancava mai dal ritoccarla, e dare qua e là un colpo di pennello. Un giorno finalmente scopre il suo lavoro ad un amico, e questi trova un capolavoro guastato. Su quella tela eravi una figura celeste e piena di vita; il primo dipinto però pareva coperto da una immensità di linee tiratevi sopra, e succedentisi all’infinito, ma senza quel contrasto leggiero e quasi armonico che fa spiccare l'insieme – col volerlo troppo perfezionare si era guastato il primo lavoro.

  Ciò che accadeva a questo pittore, avviene pure talvolta alla signora Ristori ed al sig. Rossi. [...].

 Delavigne, Balzac e cento altri scrittori hanno proclamata la massima difficoltà che s’incontra nel produrre sul teatro od in un romanzo alcun che di veramente nuovo ed originale. Ma essi hanno pure insegnato che la mancanza di novità nella idea prima può e deve essere compensata dalla verità dei dettagli, dalla varietà degli incidenti, e che un concetto comune a molti può ricevere impronta d’originalità dalla natura dell’autore, il quale se lo appropria.



  Bibliografia straniera. “Revue de Paris” […], «Bibliografia italiana e straniera della Rivista Enciclopedica», Torino, Anno I, Dispensa II, Maggio 1855, pp. 18-19. 

  p. 18. C’cst ainsi qu’elle annonce la publication des Paysans, par H.de Balzac. Ce roman, complètement achevé par Balzac lui-même, est tout un événement littéraire. Après ce dernier chef-d’oeuvre de la Comédie humaine, la Revue publiera Le diable aux champs, par George Sand.


  La signora di Girardin, «Il Fuggilozio. Giornale di amena letteratura contemporanea», Milano, Borroni e Scotti Tipografi-Librai, Anno 1°., N°. 18°., 5 Maggio 1855, pp. 285-288.

  pp. 286-287. La signora di Girardin, non essendo più sotto l’immediato influsso di suo marito, ritornò a sé stessa ed alla pristina indole de’ suoi scritti, e siccome l’andazzo dei tempi aveva posto in onore i romanzi, Delfina volle provarvisi, rimpastando una novella già da lei pubblicata le Lorgnon (storia fondata sull’impossibilità, ma piena di morale e di sottili argomenti); dandole una forma più fantastica ed interessante offerì al pubblico un delizioso volumetto che ha per titolo La canne de M. de Balzac.
  p. 288. [a proposito delle Lettere parigine]. Madama di Girardin non segue un preconcetto sistema, nel giudicare le opere di letteratura. Il gusto in lei detta da giudice.
  La vediamo rendere ugualmente giustizia a Balzac, a Paolo di Kock, a Vittore Hugo, a Giorgio Sand.

  Giulio Janin, «Il Fuggilozio. Giornale di amena letteratura contemporanea», Milano, Borroni e Scotti Tipografi-Librai, Anno 1°., N°. 29°., 21 Luglio 1855, pp. 462-464.

  p. 464. Nel corso della sua professione di pubblicista egli ha, in tal modo, tentato di offuscare molte vere glorie del secolo. Trattò con irriverenza Balzac; scrisse pagine sdegnose contro Vittore Hugo, che poi ha chiamato il re de’ poeti, lo scrittore sublime, l’aquila dalle ali possenti.


  Biografia, «Il Fotografo. Giornale illustrato storico, statistico, geografico, scientifico», Milano, Anno I, N. 6, 4 Agosto 1855, p. 43.

  Lamartine, Béranger, Vittore Hugo andavano da lei [la principessa Alessandrina Lorenza, vedova di Luciano Bonaparte] ad ascoltare le opere inedite di Luciano, delle quali Balzac faceva la lettura.


  Morale. L’onestà, «Il Fotografo. Giornale illustrato storico, statistico, geografico, scientifico», Milano, Anno I, N. 7, 11 Agosto 1855, p. 55.

  La solida stima non si alza che sulle basi della pura morale: la gloria vera non è altro che la virtù. Senza la bontà, dice Balzac, la sapienza non è che veleno; negli stessi poemi del più remoti tempi gli eroi protestano di odiare il vizio, e gli schiavi soltanto vengono impiegati negli occulti maneggi o nelle insidiose trame. Se la buona fede e l’onore, scriveva un dotto autore, venissero proscritte dal resto degli uomini, dovrebbero trovarsi però nel cuore dell'onesto.


  Luigi Véron, «Il Fuggilozio. Giornale di amena letteratura contemporanea», Milano, Borroni e Scotti Tipografi-Librai, Anno 1°., N°. 38°., 22 Settembre 1855, pp. 605-608.

  p. 607. Egli combattè alle bandiere del romanticismo. Allora gli occorse alla mente il pensiero di fondare egli stesso un giornale. Tuttavolta considerando che l’ufficio di Mecenate diventava oneroso alla sua borsa, recasi da Aguado, il principe de’ banchieri parigini, che acconsentì ad essere con Véron la provvidenza delle lettere. Gli diede ottantamila franchi per fondare la Rivista di Parigi. […]
  Sainte-Beuve, Mérimée, Malitourne, Capefigue, sono i principali redattori della Rivista di Parigi: a costoro s’aggiunse uno sciame di giovani scrittori, e in quel giornale fecero le loro prime armi Giorgio Sand, Alessandro Dumas, Eugenio Sue e Balzac.

  Emanuele Gonzalès, «Il Fuggilozio. Giornale di amena letteratura contemporanea», Milano, Borroni e Scotti Tipografi-Librai, Anno 1°., N°. 41°., 13 Ottobre 1855, pp. 655-656.
  p. 656. Verso il 1840 Gonzalès assunse la direzione in capo del giornaletto Caricatura, avendo a collaboratori Balzac, Alfonso Karr, Luigi Desnoyers, Léon Gozlan, Teofilo Gautier, Alessandro Dumas.

  Scene sociali. Onorina ovvero Le conseguenze di una cattiva educazione (dal “Buon Gusto”), «Corriere delle Dame», Milano, Anno LIII, Num. 12, 16 ottobre 1855, pp. 330-332.

  p. 330. Onorina aveva diciassette anni e, per soprappiù, un bel visino, un bel personalino ed un certo fare tutto suo che innamorava … […]
  – Ma la sua istruzione? Le sue doti morali?
  – Ah! eccovele. Parlava alla meglio l’italiano, ma in compenso sapeva improvvisare benissimo un complimento in lingua francese. I romanzi di Paul de Kock, di Ducange, di Balzac e di Dumas padre e figlio, erano il suo passatempo, la sua passione. In special modo la Dame aux camélias le aveva colpito la fantasia.
  – Come! E i genitori le hanno lasciato tra le mani a tutto pascolo simili libri?
  – Che meraviglia! E su quali basi si fonda oggigiorno in Italia l’educazione delle donne? Sui romanzi francesi. Quella è una gran scuola, vé! Le ragazze apprendono in quei racconti tutto quello che occorre per far figura in società: l’arte d’amoreggiare palesemente o di nascosto, il modo di contenersi cogli innamorati, quello di inghirlandare con amabile furberia il capo di un innocente marito; e per giunta si preparano a fare delle passioni; la fantasia si esalta, ogni fanciulla si crede una eroina e finalmente, o prima o dopo, la pianta giunge a tiro e produce i suoi frutti.
  – Frutti bastardi, se vogliamo; ma chi si contenta gode, dice il proverbio. Io per me se avessi una figlia! … basta, lasciamo la morale e voi tirate avanti la vostra storietta.


  I Zuavi, «Il Fuggilozio. Giornale di amena letteratura contemporanea», Milano, Anno 1°, N° 50. 15 Dicembre 1855, pp. 795-798.

  p. 797. Conoscere, m’immagino, la storia di quel volteggiatore che, alloggiato in casa particolare, era proprio capitato presso la vecchia più avara della contrada: il padre Grandet l’avrebbe fatta interdire per prodigalità.


  Teodoro Barrière, I Parigini. Commedia in tre atti di Teodoro Barrière. Versione di C. V., in AA.VV., Florilegio drammatico ovvero Scelto repertorio moderno di componimenti teatrali italiani e stranieri pubblicato per cura di Pietro Monzoni. Serie Quinta, Vol. VII, Milano, coi tipi Borroni e Scotti, 1855, pp. 92.


Atto Primo. Scena X.


  p. 21. Gan. [Paolo Gandin, letterato] (che non ha udito). Del resto, io non sono, lo confesso, come que’ lavoranti letterarii, come quegli operai drammatici, che producono, producono! … Io, signori, non produco un ette … Aspetto che il buon gusto abbia smascherato tutte le riputazioni usurpate dell’epoca! Eppure, se volessi! … Non sono le occasioni che mi mancano, stiatene certi. Tutti i teatri mi sono aperti, ed il direttore dell’Opera mi diceva jeri stesso …
  Des. [Desgenais, ex redattore di un giornale] Ah! voi conoscete? …
  Gan. Non ci lasciamo quasi mai! – Ma caro Gandin, mi diceva, voi siete troppo pigro! Suvvia! … datemi un poema da porre in musica.
  Des. E voi avete rifiutato?
  Gan. Sì, per bacco! … Per quello che vo’ meditando … per quello che ho qui … avrei bisogno di un pubblico distinto. Per ciò m’accontento di seminare qua e colà qualche strofa sugli album de’ miei amici, e di tempo in tempo, pubblicare sul mio giornale La foglia morta, qualche articolo di teatro, di critica … Ah, ah! le ho tutte acconciate pel dì delle feste le nostre celebrità letterarie; i Balzac, i Kock, eccetera; nessuno è stato risparmiato!
  Des. Alla buon’ora; se non fate lavori, voi, almeno sputate su ciò che fanno gli altri.
  Gan. Che?
  Des. È un impiego comodissimo questo, e facile a tutti, non richiede talenti, ma ha mestieri soltanto d’un po’ di saliva.
  Gan. Signore … queste parole …
  Des. Non vi badate, è un articoletto di critica …

  Vittorio Bersezio, Novella V. Romualdo va a Parigi di Francia. – Vi conosce molti francesi di buon ingegno, un italiano di buon cuore – La sua bestialità continua e cresce: piglia un rimedio inglese a Londra, ne sta un mese a letto: s’alza rovinato in fortuna, ed in salute, e torna a casa sua impoverito, spennacchiato, malaticcio, ma guarito, in Il Novelliere contemporaneo per Vittorio Bersezio, Torino, Tipografia di Giuseppe Cassone, 1855, pp. 102-161.

  pp. 129-130. Dopo molto esitare me ne apersi a Mériou.
  – Denaro! mi rispose, se ne trova sempre, finchè non s’è sotto le chiavi di Clichy, od una pistola che non vi ha spaccato il cranio: questo è il modo più spiccio per i debitori disperati, pei bancarottieri, e pei giuocatori di saldare ogni loro conto. L’usuraio, personaggio calunniato dai moralisti e dai padri di famiglia, è il benefattore dell’umanità giovane, dai diciotto ai trent’anni. Pei figli di famiglia è una succursale alla cassa paterna in anticipati, con un tasso un po’ forte, se vogliamo, di sconto e di commissione: ma gli è che non si può avere alcun bene senza qualche disagio: anche tutte le belle donne hanno l’unghie che graffiano, per lasciar dormire una volta l’antico proverbio delle rose. Vi presenterò domani al mio solito provveditore: un usuraio damerino in guanti bianchi, che si fa trascinare in una magnifica carrozza, e fa correre cavalli di pura razza alle corse di Chantilly. Tutto è progredito, tutto s’è appulito, tutto si è circondato di forme, che se non mutano la sostanza, pure contentano gli occhi. Balzac nel dipingere i suoi usurai Gobseck, Palma, Gigonnet, ecc. è stato indietro di un quarto di secolo. Il suo genio, sotto all’abito sfarzoso di chi lo inzaccherava con un tilbury elegante, ha saputo scoprire lo spiantato, l’avventuriere moderno, l’imbroglione, il ladro, la spia; per Bacco! non è giunto a discernervi ancora l’usuriere raffazzonato dell’oggi, che pela un figlio di famiglia, consultando allegramente il bollettino della borsa ed il figurino della moda. Vedrete monsieur Hundrot, e ne sarete stupito. Un gentiluomo della reggenza che parla d’affari: è molto favorito delle dame, e mantiene ai suoi stipendi un’attrice delle Variétés, una ballerina dell’Opéra Comique, ed un’écuyère del circo Franconi: un leone … il quale visto la violenza in mal occhio al codice penale s’è acconciato ad esser volpe. […]
  M. Hundrot m’accolse come un ministro costituzionale accoglie un deputato che gli viene a dimandare un favore amministrativo. Si parlò d’un po’ di tutto, dell’ultima discussione delle camere, del corso dei fondi pubblici, del ballo nuovo dell’Opera, del romanzo fresco fresco di Balzac, del zucchero di barbabietole, di cavalli, di giuoco e di donne. […].

XXIII. Conclusione, pp. 300-303.


  pp. 302-303. – Credete voi ch’io volessi sobbarcarmi al peso d’un connubio legittimo? …
  – Volontieri a quello delle di lei sostanze.
  – Non fui sì matto da pigliare impegni … ed ella mi comprese pienamente … N’andammo intesi del tutto … Ho letto una volta in un libro … non so più quale …
  – Bertoldo e Bertoldino: è il solo libro che fa per te.
  – … Che il matrimonio sta all’amore, come la cera al miele. Ebbene! Ella ha dato a suggere a me il miele, ed ha impaniato Lucci nella cera.
  – Chi vuol scommettere il ritaglio d’un’unghia contro cento lire, che Buonviso ci conta le grandi frottole?
  – Per mille diavoli! … Sentite: Lucci è uno di quelli che Balzac chiamava predestinati; ed essa è fatta apposta per compiere il destino. Io che non sapeva fosse innamorato di quella donna, colla virtù dell’innocenza, gli avevo mostrata nuda la verità; egli coll’innocenza della virtù volle tener chiusi gli occhi … forse perché le nudità ne spaventano il pudore, Lasciate che tornino; lasciate che sia trascorsa la luna di miele; ch’io l’accosti alle feste da ballo quest’inverno … od al più tardi in villa la state ventura … e vedrete!
  Com’è facile il capire, tutte le bestialità e le ciancie di questo scapato, non tolsero che i due sposi si amassero e fossero felici.

  Giuseppe Bianchetti, Dello scrittore italiano. Discorsi nove di Giuseppe Bianchetti; Degli uomini di lettere. Libri quattro, del medesimo autore. Edizione riveduta, Firenze, Felice Le Monnier, 1855 [1839].
  Segnalato da L. Carcereri, Editoria e critica balzachiana … cit., pp. 527-528.

Libro Terzo.

  Degli uomini di lettere considerati nelle relazioni che hanno o possono avere con alcune classi particolari della società, pp. 274-370.


  pp. 302-303. In quanto al matrimonio, esso pure è uno stato di cui niente si può determinare in generale, per ciò che spetta all’utile o al danno che può recare all’uomo nell’esercizio della letteratura. Io credo certo che alcuni possano trovarvi quella tranquillità, quel riposo dell’anima che tanto giova a’ migliori studi. Ma, se deggio dire quello che penso, penso che la maggior parte de’ letterati i quali abbracciano questo stato, si espongano invece al pericolo di trovarvi un impedimento più o meno grande. […] Ripeterò quello che ho detto alcune pagine più indietro; io non ho voglia né tempo di fare il faceto. Dal sofistico e pazzo dilemma di Biante (1) all’impudente opera del signor Balzac (2), la letteratura, e particolarmente la drammatica, venendo in aiuto di que’ tratti di spirito assai usato e più ancora noioso, che si odono tutto giorno in società, si è già occupata abbastanza di far ridere di cosa tanto santa qual è il matrimonio.
  (1) «Non ti maritare, perché la moglie bella piacerà a te e ad altri; brutta, né ad altri né a te».
  (2) La physiolologie (sic) du mariage.

Libro Quarto.

  Del merito letterario considerato in se stesso e nell’opinione degli altri, pp. 371-411.


  pp. 404-405. È però verissimo anche in letteratura che la reputazione fa spesso il maggior merito; e non è pur raro che lo faccia tutto. Ciò accade ogni qual volta vediamo opere mediocri, od anche cattive, andar pel mondo ricercate ed applaudite a motivo della preoccupazione operata nelle menti degli uomini dalla fama già ottenuta da’ loro autori. Il signor Scribe ed il signor Balzac, quando furono saliti a quella tanta popolare celebrità che tutti sanno, tiraron fuori dalle tenebre in cui giacevano alcuni lavori letterari che avean composti e messi fuori in altro tempo; e cambiando loro poco più che il titolo, d’ignorati o screditati ch’erano, li resero celebri anch’essi.


  Cesare Bordiga, Scene sociali. Onorina ovvero Le conseguenze di una cattiva educazione, «Il Buon Gusto», Firenze, Anno V, N. 3, 23 Settembre 1855, pp. 18-19.

 

  p. 18. I romanzi di Paul de Kock, di Ducange, di Balzac e di Dumas padre e figlio erano la sua passione. In special modo la Dame aux camélias le aveva colpito la fantasia.

  – Come! e i genitori le avevano lasciato tra le mani a tutto pascolo simili libri?

  – Che meraviglia! Oh su quali basi si fonda oggigiorno in Italia l’educazione delle donne? Sui romanzi francesi. Quella è una gran scuola, veh! Le ragazze apprendono in quei racconti tutto quello che occorre per far figura in società: l’arte di amoreggiare palesemente o di nascosto, il modo di contenersi cogli innamorati, quello d’inghirlandare con amabile furberia il capo di un innocente marito; e per giunta si preparano a fare delle passioni; la fantasia si esalta, ogni fanciulla si crede una eroina e finalmente, o prima o dopo, la pianta giunge a tiro e produce i suoi frutti.

  – Frutti bastardi, se vogliamo; ma chi si contenta gode, dice il proverbio.


  [P. Antonio Bresciani], La congiura del 17 luglio, in L’Ebreo di Verona. Racconto storico dall’anno 1846 al 1849. Unica edizione riveduta e corretta dall’autore con aggiunta di note storiche e filologiche, Milano, Tipografia Arcivescovile, Ditta Poniardi-Pogliani di E. Besozzi, 1855, pp. 83-98.
  p. 83. In questo mentre la Polissena era d’una mala voglia che mai la più nera. L’Alisa dopo quel celebre banchetto di mezzo maggio era caduta in una certa malinconia che avresti detto più presto languore e spossatezza d’animo afflitto. Più raro usciva, e sulle feste non era più sì gaia e conversevole colle amiche: amava di starsene soletta in camera; leggeva più a lungo i romanzi, di ch’era dovizia nel gabinetto di Polissena, a massime certi di Balzac, ch’essa amava sopra gli altri.

  Antonio Bresciani, Il ritorno del carbonaro, in Della Repubblica romana. Appendice dell’«Ebreo di Verona» corretta dall’autore e corredata di note. Prima edizione milanese. Vol. II, Milano, Tipografia Arcivescovile, Ditta Boniardi – Pogliani di E. Besozzi, 1855, pp. 31-37.
  p. 37, nota 1. Cfr. 1852.

  Padre Antonio Bresciani, Della mitologia e dell’espressione della civiltà attuale. Parte seconda, in Del Romanticismo italiano rispetto alle lettere, alla religione, alla politica e alla morale del Padre Antonio Bresciani della Compagnia di Gesù. Prima edizione milanese riveduta dall’autore, Milano, Tip. e Libr. Arcivescovile, Ditta Boniardi – Pogliani di E. Besozzi, 1855, pp. 75-83.
  pp. 81-82. Nota 1, p. 82. Cfr. 1853.

  Cesare Cantù, I Romanzi, in Storia di cento anni [1750-1850] narrata da Cesare Cantù. Terza edizione, Vol. II, Firenze, Felice Le Monnier, 1855, p. 501.
  Cfr. 1851 e 1852.

  Luigi Carrer, Del come scrivere una nuova storia della letteratura italiana, in Prose di Luigi Carrer. Volume primo. Elogi - Discorsi - Relazioni accademiche - Discorsetti sopra vari autori italiani – Prose morali, Firenze, Felice Le Monnier, 1855, pp. 140-157.

  p. 156. Prego chi mi avesse per troppo indiscreto a leggere nelle moderne biografie dettate da un uomo da nulla, quella di Onorato Balzac, e farmi ragione.

  Luigi Chiala, Chiacchierate letterarie. II. Giorgio Sand e la sua “Histoire de ma vie”, «Rivista Contemporanea. Filosofia – Storia – Scienze – Letteratura – Poesia – Romanzi – Viaggi – Critica – Archeologia – Belle Arti», Torino, Pelazza, Tipografia Subalpina, Volume Terzo, Anno secondo, Marzo, Aprile, Maggio, Giugno, Luglio, Agosto 1855, pp. 212-223.
  p. 213. Amendue [Sand e Sandeau] eransi partiti dal loro paese per alla volta di Parigi in cerca della fortuna e della rinomanza, e vi giungevano pochi giorni dacchè era avvenuta la rivoluzione del 1830, in quel punto stesso in cui sorgeva l’aurora di quel genio sfavillante che fu il Balzac.
[…]
  p. 215. Le bellezze letterarie di Valentine, di Lélia, di Jacques e di André non ci fan gabbo alla mente per giudicarne pessima l’influenza morale. E fu pessima davvero! E anche oggi la Francia ne sente le dure seguenze! La famiglia, le cui basi crollavano nel 1848, ci potrà dare qual frutto abbianle arrecato le vilanie contro la fede del coniugio, le difese dell’adulterio, l’esaltamento del libertinaggio, il dispetto della veneranda vecchiaia, l’appello all’emanceppazione de’ figli! Giorgio Sand e Onorato di Balzac; ecco quali furono le cause prime del morale decadimento della famiglia in Francia. Quegli istillava il veleno ne’ cuori colla poesia della passione; questi colla poesia dell’osservazione; uno corrompeva il mondo ideale, l’altro il mondo reale.

  Luigi Chiala, Rivista letteraria. “Il Novelliere contemporaneo” per Vittorio Bersezio – Un bel volume in–8° di pag. XXXI-306 [Torino, tip. Cassone, 1855], ««Rivista Contemporanea. Filosofia – Storia – Scienze – Letteratura – Poesia – Romanzi – Viaggi – Critica – Archeologia – Belle Arti», Torino, Pelazza Tipografia Subalpina, Anno Secondo, Vol. Terzo, Fasc. XX, Aprile 1855, pp. 249-252.
  p. 250. Il Bersezio ha adottato la forma, non il fondo del romanzo: egli ha creduto di darci una storia reale nell’amore della moderna società, ed io penso che egli non sia riuscito ad altro che ad offrircene l’ideale. I molteplici esempi che ci presenta allo sguardo di donne che tradiscono la fede giurata, di giovani che spendono il fior dell’età in tresche indegne de’ nobili loro sentimenti, sono un’eccezione anziché una storia continua e ordinaria. Pur troppo è venuta la moda di disprezzare il matrimonio, e sembra che il sangue delle Andromache, delle Artemisie, delle Porzie, delle Arrie, delle Paoline, per dir solo dell’antichità, non scorra più nelle vene delle donne del secolo decimonono. Se la celebrità non costasse cara alla virtù, quanti esempi si potrebbero citare di donne de’ giorni nostri le quali si vivovo fedeli ai loro doveri, e perché sono spose non cessano di essere amanti! Ben rare si troverebbero, son certo e lietamente il dico ad onore dell’umanità, quelle che si comportano in diversa ragione. Cotestoro esistono nell’imaginativa del Balzac, ed è difficile ritrovarle nella vita reale. A qualunque mondo uom s’appartenga, si citi un eroe, un tipo del Balzac che abbia realmente vissuto o solo che abbia potuto esistere. Ove si videro giammai le duchesse di Langeais, le viscontesse di Beauséant, le marchese d’Espard, i Marsay, i Vandenesse, i Baldassarre Claës, i David Séchard, i Dudley, i Vautrin, i Mortsauf? Costoro non sono che l’ideale dell’amore come se lo forma quella parte della società che ha la corruzione nel cuore. Triste ideale invero è codesto, come quello che è contrario alla virtù, alla religion del dovere. Ignorato dall’artigiano perché oppresso dal lavoro, e dal villico perché troppo semplice, non esiste se non in quegli ordini della società, in cui l’ozio ci lascia sopracarichi del peso del nostro cuore col suo amor proprio e colle sue perenni inquietudini. «Il nostro tempo, diceva il citato Guizot, è colpito da un male deplorabile; non crede alla passione se non è accompagnata dalla sregolatezza: l’amore infinito, la perfetta devozione, tutti i sentimenti infiammanti, ardenti, padroni dell’anima, non gli sembrano possibili se non al di fuori delle leggi morali e delle convenienze sociali: ogni regola, per lui, è un giogo che paralizza, ogni sommessione una servitù che abbassa, ogni fiamma si estingue se non diventa un incendio. Male altrettanto più grave, in quanto non è un accesso di febbre; né l’impeto di una forza straordinaria; ed ha sua fonte in dottrine perverse, nel rigetto di ogni legge, di ogni fede, di ogni esistenza sovrumana; nell’idolatria dell’uomo che adora se stesso per Dio, sè solo, unico suo piacere e sua volontà sola» (Revue des Deux Mondes, 1er mars 1855, pag. 923).


  Pier Ambrogio Curti, La figlia dell’armajuolo. Cronaca milanese del secolo XVII. XV, «La Fama del 1855. Rassegna di scienze, lettere, industria e teatri», Milano, Anno XIV, N. 67, 20 Agosto 1855, p. 265; per l’edizione in volume: La Figlia dell’armajuolo. Storia domestica milanese del secolo XVII tratta da un manoscritto d’un notaio criminale da Pier Ambrogio Curti, Milano, Francesco Colombo Editore-Librajo 1855, p. 197.

 

  Vi hanno de’ fiori che non ispiegano la loro vita di profumo se non che notte, ma per questo non sono meno leggiadri e meno soavi; hannovi così certe anime che celano una grande virtù agli occhi del mondo, chiuse nell’angustia d’una povera cameretta. Serafita chiamerebbe queste anime angeli solitarii, nome gentile che piacemi dare egualmente alla buona Catterina ed alla eccellente madre di lei.


  Tullio Dandolo, Appendice. A M. Jules Janin, in Il Pensiero cristiano… cit., pp. 110-111.
  p. 110. Vous y [in Reminiscenze e Fantasie] trouverez une conversation que j’eus avec M. Balzac à Venise un jour qu’il se permit, dans une société réunie pour le fêter, de faire profession de cinisme (sic) littéraire: j’eus l’honneur de le réfuter: ce fut une rencontre assez chaude, où notre amour-propre était fort en jeu.

  Tullio Dandolo, Une conversation avec M. de Balzac [9], Ibid., pp. 111-116.
  Prié par l’aimable contesse S. .. à dîner en compagnie de Mr. Honoré de Balzac, l’illustre auteur de la Comédie Humaine, j’acceptai de grand coeur, quoique j’eûsse les heures comtées, devant partir la nuit même de Venise. J’omets les préliminaires. Nous étions une douzaine à table, et Mr. B. parut d’abord avoir fort à demêler avec son appétit: ce ne fut qui (sic) à la seconde entrée qu’il se laissa aller à dire à son voisin, mais assez haut pour être entendu de tous, que les Fiancés de Manzoni soutiennent mal l’épreuve d’une traduction; ce que fut relevé et applaudi par son voisin, un monsieur très-rond de sa personne, qui prit sur lui d’ajouter – c’est dommage que Grossi et Azeglio aient imité Manzoni! – C’est à cause de cela, répliqua Balzac, que je ne me suis pas empressé de lire leurs romans. –
  M. le rond fut enchanté de la répartie: je lui demandai du bout opposé la table, s’il ne croyait pas que les romans d’Azeglio et de Grossi fussent maqués au cachet du patriottisme (sic) et de la moralité. Et voyant que Balzac avait braqué sur moi son lorgnon, j’ajoutai: - s’il n’était pas d’avis que les Fiancés causaient une douce et mémorable impression, tandis que les romans français les plus en vogue, après avoir exercé sur le lecteur une espèce de fascination, l’entraînaient au découragement, presqu’au remords?
  La maîtresse de la maison trouva, je pense, mon interrogation un peu vive, car elle y fit diversion en disant – j’aime en Manzoni le Chateaubriand de l’Italie.
  M. le rond s’empressa de demander à Balzac s’il connaissait Chateaubriand.
  – Je le vois de temps en temps.
  – Comment vit-il?
  – Très-retiré: il bonde.
  – Pourquoi?
  – Parce que son heure est passée: il se fâche que l’attention publique se soit portée ailleurs. Il y a un mot de M.me Ancelot à ce propos: on disait à cette dame que Chateaubriand se plaignait de devenir sourd: - il se le figure, marqua-t-elle, de ce qu’il n’entend plus parler de lui. –
  La pointe fut applaudie. Je demandais à Balzac s’il verrait à son retour Chateaubriand. – A peine rentré, me répondit-il. –
  Il fut très aimable avec moi à Londres, repliquais-je: seriez-vous assez bon pour me rappeler à son souvenir?
  Ce serait temps perdu: il ne se souvient que de lui.
  Voilà, pensais-je, une répartie caractéristique: nicher dans quatre mots une impertinence contre Chateaubriand, et une grossièreté à mon adresse, c’est un problème que M.r de B. résout en habile homme: mes réflexions m’ont empêché de suivre la conversation … J’entends B. qui dit.
  C’est un peintre de mérite: il a fait mon portrait, ce qui l’a mis en vogue: je l’ai recommandé au ministre de la maison du Roi, qui lui fait avoir une bonne commission par la Musée historique, une revue de la garde nationale où je me trouve peint en guerrier citoyen.
  Est-ce un joli uniforme?
  Pas mal; je lui devrai bientôt quinze jours de prison.
  De prison! – s’écria-t-on …
  N’ais-je pas manqué l’appel?
  Mais vous êtes absent, muni d’un passeport.
  Le passeport n’est qu’une lettre de change à dix francs que le gouvernement tire sur les sortans (sic), et qui sert à constater leur identité: la garde nationale ne s’embarrasse pas de cela; elle veut son home; et le met aux arrêt à moins qu’il ne se présente son extrait mortuaire à la main.
  Vous profiterez de la prison pour écrire un roman de plus; nous y gagnerons de l’agrément, et vous de l’argent.
  Quant à l’argent, cette maudite Belgique est notre cauchemar.
  Comment cela?
  C’est tout simple: suivez, sil vous plait, mon raisonnement. Chaque roman d’auteur connu se vend 15 fr. les deux volumes in 8vo et revient au libraire 4 fr. pour l’auteur, 2.50 pour les annonces, 3.50 pour les rabais, 3 pour les frais de papier et d’impression: voilà 13 fr. de déboursés: il en reste deux pour le libraire; et les exemplaires qui ne se vendent pas? En Belgique, au contraire, la réimpression des deux in 8vo se fait en un seul volume in 12me; pas d’annonces, pas de droits d’auteur: vendez cela cinq francs et vous gagnerez trente peur (sic) cent …
  Les écrivains français comment s’enrichissent-ils alors?
  L’on exagère sur notre compte. Cinq noms seuls jouissent parmi nous d’une popularité argentifère; Cuvier, Chateaubriand, Scribe, Lamartine, et Béranger: la vogue des deux derniers est immense; l’un frappe monnaie au son de ses refrains bachiques; l’autre à la mélodie vaporeuse de ses odes; les bons enfans (sic) se sont fait tributaires du premier; les hypocondriaques et les istériques (sic) du second. Quant à Scribe il touché chaque samedi à la poste des droits d’auteur qui lui pleuvent de tous les coins de la France.
  Quel homme est-ce?
  – Il a six ans plus que moi, on le croirait sexagénaire: la mise en scène de ses pièces lui coûte fort; il s’intéresse trop aux progrès des belles actrices; ce qui le vieillit.
  M. le rond éclate de rire: la Comtesse s’empresse de répliquer – je crois que le nom de Balzac pourrait accompagner les cinq ci-dessus.
  – Plût à Dieu! madame: ce que je possédais naguère de plus net c’était mille francs de dettes. Je viens de passer contrat pour la fourniture de deux volumes chaque quadrimestre, au taux de quatre mille fr. par mois, et cela pour douze ans.
  – Il me semble que la littérature est chez-vous autant art que spéculation.
  Balzac continuait à parler: je ne l’écoutais plus; une lumière avait jailli ses paroles: je trouvai expliqué la (sic) pessimisme de la littérature à la mode. Moi qui crois que la littérature est un sacerdoce social destiné à éclairer les hommes, même en les amusant, et qui met (sic) dans mes écrits la bonne foie et l’ardeur d’un néophite je frémis en entendant prononce la (sic) blasphème qui ravalait ma noble Muse à n’être qu’une courtisane; et j’en vins, par contrecoup, à éprouver un sentiment d’orgueil pour mon propre compte, et pour celui de mes confrères italiens. L’écrivain qui chez-nous consacre ses ville sans profits pécuniaires à un but élevé, qui parle à ses compatriotes avec le désintéressement d’un ami, qui leur présentant les grands tableaux de la nature ou de l’histoire s’est proposé de nourrir les âmes d’idées utile set généreuses, cet écrivain, dans ma rêverie, se dressa de toute sa (sic) hauteur vis-à-vis du colosse aux pieds d’argile qui avait transformé mon art chérie en métier … Balzac et da côterie me parurent peu de chose: leur stile (sic) versicolore, la vivacité de leurs peintures, le scalpel de leur anatomie remué (sic) dans le coeur des lecteurs pour y provoquer un battement convulsif, tout cela me fit l’effet des guirlandes de fleurs, des souliers de satin des Laïs du Boulevard: elles s’y promènent le (sic) tête haute, le sourire sur les lèvres, le regard provoquant: c’est ainsi que les productions de cette littérature effrontée courent l’Europe exerçant une fascination dangereuse: le style en est séduisant: c’est la goutte de miel dont notre divin Torquato voulait trempés les bords de la coupe de la vérité … Non! Là où il n’y a pas de but moral, la mission de la littérature est trahie, la cause même de l’humanité est compromise: il n’existe de véritable force que dans la vérité, que dans la droiture: illusion et folie habitent là où les rayons de l’intelligence ne convergent pas en Dieu; comme ce beau fleuve que je vis, l’autre jour, se perdre dans les cavernes d’Adelsberg pour n’en plus sortir … l’immoralité est une (sic) abyme; âmes et renommées s’y engouffrent du même coup. La destinée de Crébillon fils attend Balzac: ses romans oubliés per nos fils deviendront un jour pour les érudits une expression curieuse de la corruption parisienne: si l’historien n’y puisera ses matériaux qu’avec répugnance, s’il doutera de la ressemblance des tableaux, c’est qu’il y lira par tout l’épigraphe honteuse – la littérature n’est point art mais spéculation … –
  Un moment de silence général me tira de mes réflexions; Balzac reprenait haleine, et paraissait prêt à entreprendre un récit vivement attendu.
  Ma carrière littéraire, dit-il, débuta dans l’étude d’un notaire, où j’avais pour compagnons-clercs Mérimée et Ampère: nous dînions ensemble: il nous vint l’idée d’écrire en commun des romans destinés à payer l’écot: trois heures avant de nous mettre à table chacun de nous allait à tour de rôle chez le restaurant pour y travailler d’après le canevas que j’avais indiqué chapitre par chapitre: au bout d’un mois le travail social était fini; on le vendait à 500 fr. cent pour chacun, et le reste pour le restaurant. C’est ainsi que nous avons bâclé plusieurs douzaines de volumes. Quand je me mis à écrire tout seul, et mon nom commença à poindre, un libraire de Bruxelles réimprima le fratras social me l’attribuant corps et âme; je protestai, car il m’était dur d’être censé le père de tant de bâtards; d’ailleurs je comptais leurs laisser peu de place au soleil: la progéniture légitime s’empara bientôt; et notre notaire invite une fois par an ses anciens élèves à diner (sic), pour se donner, dit-il, le plaisir de porter un toast aux influences de son Etude sur le développement des lettres contemporaines; ce qui peut s’appliquer à Mérimée et Ampère dont la rénommé  (sic) est mûre, tandis que la mienne est encore en bouton …
  En bouton! S’écria M.r le rond: je vous jure que c’est là un bouton qui vaut la rose la mieux épanouie; votre nom est sur toutes les bouches; celui de Walter Scott en pâlit.
  Je vous demande pardon, Monsieur: W. Scott est notre maître à tous …
  Je ne dis pas en France (s’empressa d’ajouter M.r le rond, qui comprit d’avoir poussé trop loin son obséquieuse apologie); mais je puis vous assurer qu’en Italie on ne lit plus W. Scott.
  En étez-vous (sic) bien sûr? demandais-je à mon tour: je croyais tout le contraire, rien qu’à voir les éditions des oeuvres complètes du Romancier Écossais qui se multiplient à Milan, à Turin, à Florence, voir (sic) même à Naples. Ce qui (sic) j’ai l’honneur de vous certifier c’est que les romans français qui se trouvent le plus à la mode à Paris ne sont connus ici que de la classe élevée; à peine entament-ils la moyenne; quant au peuple il les ignore, et n’en comprendrait pas un mot: ils sont pour nos dandys (sic) un texte où ils étudient la théorie des passions, où ils anatomisent la femme, où ils s’initient à la physiologie du mariage; ils sont pour nos oisifs un passe-temps, pour nos bavards une minière à divagations, pour nos petites-maîtresses un dossier bon à consulter, pour les esprits sérieux rien, pire que rien, vu que les esprits sérieux tranchent la question par cet aphorisme – la littérature a une mission bonne ou mauvaise; c’est une vierge ou une prostituée…!
  Je parlais avec chaleur; M.r le rond me regardais (sic) avec surprise; Balzac avait rougi: l’aimable Comtesse, probablement pour m’éviter une foudroyante repartie, donna l’exemple de se lever de table: si elle eût différé d’un quart d’heure je perdais ma place à la diligence; ce qui m’aurait fâché au peu plus que le courroux de l’illustre Romancier …

  Taddeo Dei Consoni, La Esistenza e spiritualità dell’anima distinta dallo spirito sensitivo prodotto del meccanismo organico contro i materialisti fatta rilevare in più fasi di mesmerica lucidità mediante una trentina di pubbliche gratuite accademie offerte Dal Mesmerita Prof. Can: e Cavaliere Taddeo Dei Consoni per le sue invenzioni e scoperte magnetiche con espresso cesareo diploma Wohlfahrt fra i cursori della natura: dell’ordine dei patrizi sammarinesi, autore di diverse opere, socio di varie accademia in tutti gli stati d’Italia, di alcune di Francia, di Alemagna ed oltre Europa, non che dei congressi scientifici nazionali e stranieri; aggregato a società religiose ed istituti stenografici e mesmerici. Seconda edizione toscana. In forma Critico-Apologetica aumentata ed adorna di Vignette. Col ritratto dell’Autore, Firenze, coi tipi di Federico Bencini all’insegna di Dante, Giorgio Franz in Monaco, 1855.
  p. 227. Il magnetismo ha avuto ed ha proseliti e partigiani tra i sapienti più illustri e tra gli uomini più distinti, dei quali si cita con orgoglio: Cuvier, Laplace, Hufland, Fourrier, Berzélius, Gall, Azaïs, Klugge, Broussais, Oken, Sprengel, Lavater, Incotot, Hahnemann, Reil, Washington, il principe Talleyrand, lord Stanhope, l’arciduca Carlo, la regina Ortensia, lo czar Alessandro, ecc. E in un rango meno elevato, Itard, Balzac, Ling de Motabert Guerseut, Fouquier, Souberbielle, Barouillet, Foa, il conte d’Orsay, Arago, Santanelli, Leone, Gioberti, ecc.


  I. F., Bibliografia. “Poesie di” Arnaldo Fusinato “illustrate da”Osvaldo Monti; “dalla premiata Tipografia e Litografia di “ Giovanni Cecchini; Vol. I, Venezia 1853-54, «Il Collettore dell’Adige», Verona, Anno V, N. 10, 28 Marzo 1855, pp. 77-78.

 

 p. 78. - Ecco la Donna romantica. In queste graziose sestine tu sfoderi una solenne stoccata «Ai Romanzi che a noi manda la Francia», e alle belle italiane, che se ne inebbriano i cervelli a oltranza, come non fossero leggieri ed esaltati che basta. E bene sta, caro Arnaldo; perocché le comedie, i drammi e i romanzi francesi avidamente divorati in Italia, non fanno che spargere i suoi costumi, corrompere la morale e la letteratura e trascinare le povere donne al mal passo ... della Lafarge e di altre traviate. Anche fra noi avvengono esempj troppo funesti di questo bel frutto. Dumas, Sue, Balzac, Hugo hanno disseminato a bizzeffe «il gran principio che nel brutto è il bello». È questa una pagina che merita essere molto meditata dalle moderne romantiche pelle grandi verità che, celiando, insegni loro.


  Costante Ferrari, Memorie postume del Cav. Costante Ferrari, Capitano delle Guardie Reali del Regno italico, Tenente-Colonnello nelle Americhe e Colonnello effettivo in Italia. Vol. unico, Rocca S. Casciano, Tipografia di Federigo Cappelli, 1855.
pp. 285-286. […] finalmente percorrendo le Castiglie e le Biscaglie nel 1813 fummo alla difesa della costa dei due Mari segnalando quest’ultima guerra colla espugnazione di Castro Sull’Oceano, e alla bella difesa di Tarragona sul Mediterraneo. Le forze italiane intanto che passarono in Ispagna ascendono a 30,183 di cui 2,627 di cavalleria. Eppure i reduci in Italia ad epoche diverse non eccedono gli 8,958. Così nel corso di sei anni andarono perduti ben 21,225 Italiani, se pure è da chiamarsi perduto chi confermò il nome Italiano col dare il sangue e la vita sui campi dell’onore militare, non ostante l’ingratissimo e villano insulto del Romanziere Balzac verso i nostri, che guerreggiarono co’ suoi Francesi in Ispagna.

  Pietro Giordani, Al Sig. Antonio Gussalli. Venerdì 11 marzo [1842], in Epistolario di Pietro Giordani edito per Antonio Gussalli compilatore della vita che lo precede. Volume settimo, Milano, Borroni e Scotti, 1855, pp. 34-35.
p. 34. Ti sei accorto che Balzac ora è tanto legitimità, tutto catolicismo ne’ suoi romanzi?


  F.[rancesco] D.[omenico] Guerrazzi, Veronica Cybo duchessa di San Giuliano. Racconto storico di F. D. Guerrazzi, Firenze, Gio. Batt. Rossi Librajo-Editore, 1855.
  Cfr. 1851.

  Emilia (sic; lege Emilio) de La Bedollière, Notizie storiche su Enrico Beyle, in Stendhal (Enrico Beyle), La Certosa di Parma. Romanzo di Stendhal (Enrico Beyle) seguito da un cenno storico sull’autore di Emilia (sic) de la Bedollière. Versione di Luigi Masieri. Vol. III, Milano, per Borroni e Scotti Tipografi-Librai, 1855, pp. 165-179 [10].
  pp. 175-178. Balzac, ripartendo le produzioni contemporanee in tre classi: letteratura delle immagini, letteratura delle idee e letteratura eclettica, diceva nella Rassegna parigina del 25 settembre 1840, pag. 278: «La Chartreuse de Parme è al tempo nostro, e fino ad ora, a mio avviso, il capolavoro della letteratura delle idee, e il signor Beyle vi ha fatto concedimenti alle altre due scuole, che sono ammissibili dai buoni ingegni e soddisfacenti pe’ due campi. Beyle ha scritto un libro in cui il sublime manifestasi di capitolo in capitolo. Produsse in tempo in cui gli uomini trovano di rado argomenti grandiosi, e dopo avere scritto una ventina di volumi estremamente spiritosi, un’opera di che non può farsi debito conto se non dalle anime e dalle genti veramente di vaglia». Finalmente scrisse il Prince moderne, il romanzo che Macchiavelli (sic) scriverebbe se vivesse bandito dall’Italia al secolo decimo nono.
  «E però il maggior ostacolo alla meritata fama di Beyle deriva da ciò che la Chartreuse de Parme non può trovar lettori atta a gustarla che fra i diplomatici, i ministri più distinti, e finalmente fra le milledugento e millecinquecento persone che sono a capo dell’Europa. Non vi maravigliate dunque se da dieci mesi che quest’opera maravigliosa fu pubblicata non un solo giornalista la lesse, la comprese, la studiò, l’analizzò, la lodò, vi fe’ né tempoco allusione. Io, che credo interdermene un pochetto, la lessi per la terza volta in questi giorni, ho trovato l’opera ancor più bella, e ne ebbi l’animo soddisfattissimo come d’una buona azione da adempirsi.
  «E non è forse buona azione procurare di render giustizia ad un uomo di sommo ingegno, cui solo pochi esseri privilegiati vorranno conceder del genio, e a cui la trascendentalità delle idee tolse quell’invidiata ma passeggera popolarità vagheggiata dai cortigiani del popolo, ma sprezzata dalle anime grandi? Se le menti mediocri si persuadessero, comprendendo gli uomini sublimi, che v’ha per loro possibilità di sollevarsi sino ad essi, la Chartreuse de Parme avrebbe tanti lettori quanti n’ebbe al suo comparire Clarissa Harlow (sic)».
  L’eminente critico terminava con questo ritratto: «Gli è ora di render giustizia al merito del signor Beyle. Il nostro tempo molto gli deve per averci il primo rivelato Rossini, il più bel genio della musica. Sostenne costantemente questa gloria che la Francia non seppe apprezzare. Sosteniamo a nostra volta lo scrittore che meglio conosce l’Italia, che la vendica dalle calunnie de’ suoi vincitori, e che sì bene ne ha spiegato lo spirito e il genio.
  «L’ultima volta che m’avvenni in Beyle, ed era la seconda in dodici anni, mi presi la libertà di fargli le mie congratulazioni sulla sua Chartreuse de Parme, e il suo conversare mi provò giusto il concetto che m’era fatto di lui. Narra con quello spirito e quelle grazie che possedono ad alto grado Carlo Nodier e de Latouche; ne possiede la stessa attrattiva di parole: quantunque la corporatura, di soverchio tarchiata, gli tolga a primo tratto certa eleganza e pieghevolezza di modi, fa presto dimenticar questa menda come il dottore Koreff, l’amico di Hoffmann. Ha bel fronte, occhio sfolgorante, bocca sardonica, fisonomia insomma che rivela il carattere del suo ingegno. Trovi nel suo discorso quell’enigmatico, quel bizzarro che lo consiglia a non appor mai alle cose sue quel nome di Beyle ch’egli ha tanto illustrato, ma a chiamarsi un dì Cotonnet, un altro Frédéric, ora Datu, e che so io? Beyle era stato impiegato dell’imperatore. Il 1814 lo strappò necessariamente alla sua carriera; passò da Berlino a Milano, ed al segnalato contrasto tra la vita settentrionale e la meridionale che lo colpì, dobbiamo il suo ingegno. Beyle è uno degli uomini di vaglia del tempo nostro. È difficile spiegar come questo osservatore di primo ordine, questo profondo diplomatico, che cogli scritti e colle parole ha dato tante prove di sublimità di idee e di vaste pratiche cognizioni, trovisi soltanto console a Civitavecchia. Nessuno più di lui gioverebbe alla Francia a Roma. Merimée conobbe per tempo Beyle, ed ha un po’ delle sue maniere; ma è più elegante e più disinvolto. Le opere di Beyle son numerose e si fanno notare per finezza d’osservazioni e copia d’idee».
  Beyle poco sopravvisse all’onore d’aver eccitata l’ammirazione di quello fra gli uomini moderni che meglio poteva farne il debito conto.

  Carlo Lorenzini, Galleria fisiologica. La Madre debuttante!, «Lo Scaramuccia. Giornale-Omnibus», Firenze, Anno III, N° 6, 8 dicembre 1855, pp. 1-2.

  p. 1. La donna, per esempio, dal giorno che nasce fino ai dieci anni, si chiama semplicemente una bambina! dai 10 anni in su, allora soltanto la sua età comincia a registrarsi. A 11 anni, suona il pianoforte, a 12, canta la cavatina d’Ernani o la cabaletta Di quella pira, a 14 legge il Cocu di Paolo di Kock e la Physiologie du Mariage di Balzac; a 16 fa all’amore, a 20 ha preso marito – o lo vuole per forza. Quando la donna è giunta sui venti anni, fà alto e non passa più in là. Dai venti ai trenta, la donna non sa più contare.

  D. P., Corrispondenze letterarie. (Dal Piemonte), «Lo Spettatore. Rassegna letteraria, artistica, scientifica e industriale», Firenze, Anno Primo, Numero 10, 8 Aprile 1855, pp. 111-113.

  [Su: Vittorio Bersezio, Il Novelliere contemporaneo].

  p. 112. Tutti i poeti e romanzieri hanno di queste pitture, ma mostrano poi di stomacarsene eglino stessi, e talora l’impressione ultima che ve ne resta nell’animo è morale: ma il Bersezio pare che alla dipintura dei disordini sociali non trovi da opporre che quell’ironia che ne crede e ne lascia per disperata la cura. Contro questa scuola che il Bersezio vorrebbe iniziare fra noi, soliti per nostra disgrazia ad esser presi dalle malattie morali ed intellettuali quando negli altri paesi sono cessate fra il riso, contro questa scuola nella stessa Francia è cominciato un moto di reazione. Vedete ciò che dice Pontmartin nella Revue des deux mondes sopra Onorato de Balzac.


  Augusto Ricard, Prefazione, in Primogenita e secondogenita di Augusto Ricard. Prima traduzione italiana. Volume primo, Milano, presso Ernesto Oliva, Libraio, 1855, pp. 5-18.

 

  p. 12. Se io dico che il signor di Balzac mi diletta, mi ruba tutta una notte co’ suoi racconti, non mi si risponderà:

  - Via, via, siete, montato con lui a cavallo, vi siete tuttora con lui in confidenza al bosco.

  Voi sapete, madama Choppart, che io ero ufficiale di fanteria, e che ora sono semplice fantaccino nella dodicesima legione della guardia nazionale; in questo proposito ho le mie prove: i miei vecchi brevetti e cinque condanne redatte con tutta la poesia che potete, madama, supporre in un consiglio di disciplina.

  In quanto al bosco di Boulogne, quelli che mi conoscono sanno che io l’attraverso alle volte ma à piedi, quando l’omnibus di Neuilly è pieno, e per portarmi a Saint-Cloud dove la frittura è eccellente ... sapete, madama Choppart, in quella piccola osteria sulle sponde di quell’acqua della quale vi ho più volte parlato. Pero il signor di Balzac non andrebbe certo colà.


  Francesco de Sanctis, “La Divina Commedia” versione di F. Lamennais, con una introduzione sulla vita, le dottrine e le opere di Dante, «Il Cimento. Rivista di Scienze, Lettere ed Arti», Torino, All’Ufficio del Cimento, Anno Terzo, Serie Terza, Volume VI, 1855, pp. 271-280.[11]
  […] elemento prosaico che distingue il romanzo dalla poesia pura, che il Manzoni ha introdotto quasi sempre con giusta misura, che nel Balzac valica ogni termine e spesso assorbisce in sé la poesia.

  Giovenale Vegezzi-Ruscalla, “Les Doinas”. Poésies moldaves de V. Alexandri, tradite par J. E. Voinesco. – Paris, 1855, in-12°, «Lo Spettatore. Rassegna letteraria, artistica, scientifica e industriale», Firenze, Anno Primo, Numero 35, 30 Settembre 1855, pp. 417-419.
  p. 418. Tacendo delle opere storiche e principiando dallo acennare le traduzioni, osservo che dal 1828 al 1848 si stamparono le versioni dell’Iliade, fatta dall’Aristia, del Gersen e di Cervantes, ed inoltre quelle di alcune fra le più applaudite produzioni di Shakspeare (sic), Molière, Voltaire, Fénélon, Le-Sage, Marmontel, Bernardino di Saint Pierre, Alfieri, Göthe (sic), Byron, Pellico, Châteaubriand, Eugenio Sue, Hugo, Dumas, Balzac e Sand.
  Come si scorge da questo incompiuto elenco i rumeni preferiscono tradurre autori che scrissero negli altri idiomi neo-latini; ciò basterebbe a far fede della loro origine italica stata con ogni maniera di sofismi contrastata da slavi e tedeschi.

  X., Corrispondenze Letterarie. Corrispondenza letteraria d’Allemagna, «Il Cimento. Rivista di Scienze, Lettere ed Arti», Torino, Tip. Scolastica di Sebastiano Franco e Figli e Comp., Anno III, - Serie 2a., Volume VI, 1855, pp. 1046-1050.

  p. 1048. Debbo dirvi due parole delle sei lezioni di letteratura date qui dal sig. Filarete Chasles, nella sala dell’Accademia di canto sul romanzo inglese e francese nel secolo XIX. […] Egli passò in rassegna Chateaubriand, M.ma di Staël, Walter Scott, quel contadino sagace come lo chiama il sig. Chasles che lo conobbe, e seppe raccontare con molto spirito e vena una pesca di trote, sopra un lago presso Abbotsford, alla quale egli accompagnò l’autore di Konilworth; uscirono poi in campo Victor Hugo, Balzac e tanti altri nomi contemporanei celebri o presso a venire in fama.


  [1] Segnalato da L. Carcereri, Editoria e critica balzachiana … cit., p. 530.
  [2] E precisamente nella casa di via Imperiale che porta il numero 45. Questa casa fu comperata dal generale d’Outremont. Ammirasi nella corte un’acacia, piantatavi per ordine della signora di Balzac, il giorno medesimo della nascita di suo figlio, e che fu dappoi costantemente rispettata. [N.d.A.].
  [3] Un’altra ne dedicò alla contessa Bolognini. [N.d.A.].
  [4] Le ingiurie confutate dal Lissoni nel suo opuscolo sono molte e troppo ci dilungherebbe il discorrerne. Basti ad edificazione dei lettori nostri che ne citiamo una sola pagina:
  «In altro romanzo il signore di Balzac fece la più sanguinosa ingiuria al colonnello Milo dell’artiglieria leggera italiana, e scrisse avere il Milo ucciso in Russia di tradimento un colonnello francese. Un Milo traditore, e vile assassino! … Egli, uno de’ più valorosi non solo dell’esercito italiano, ma eziandio del francese e dell’europeo! Milo uccise un colonnello francese, ma un infame, uno scellerato; ed eccone la brieve, sincera storia, raccontami non ha molto da ufficiali superiori italiani testimoni del fatto.
  Un colonnello francese era geloso, invidioso che il colonnello Milo godesse l’amicizia della consorte di un tenente del suo medesimo corpo. Caduto gravemente ferito quest’ufficiale della invidiata consorte, si giaceva sulla grande strada aspettando di essere adagiato su qualche carro de’ suoi. Il francese colonnello lo vede, e accecato dall’invidia, simulata distrazione, gli fa passar sopra del corpo un cassone di artiglieria, che tutto il conquassa, e il finisce per crudel maniera. Certificato della cosa Milo corre a quel codardo assassino, e siccome ad un’alta statura, ad un coraggio e valore maggior d’ogni credere il Milo aggiungeva una gagliardia erculea, infuriato e come fuor di sé, artiglia ferocemente nel petto il vile francese, e da cavallo com’era il batte a terra non altramente che un cencio. Indi là dinanzi a tutti, francesi e italiani, un po’ fuor della strada il costringe a duellar seco, e dopo brevi colpi il passa fuor fuora privo di vita. Messo a morte quell’iniquo, egli si fece a disfidare tutti i Francesi a vendicarlo, però non fu alcuno che raccogliesse quel terribil guanto». [N.d.A.].
  [5] Allude il Lissoni al furto dell’orologio fatto a Balzac sul cader di una sera d’estate, mentre passava per la Contrada della Sala. Egli ne fece immenso scalpore; ma fatto capo alla Direzione di Polizia, poco stante, riebbe il fatto suo. Fu notata in questa circostanza quanto cieco e presuntuoso sia l’orgoglio d’un Francese. Non appena Balzac si fu accorto che un tagliaborse aveagli involato l’orologio, si diede a correre e gridare: Al ladro! I monelli od i complici del colpevole gridarono alla lor volta: Mola, barzac! Frase furbesca che significa: Dálli, t’inseguono! Ma da ciò Balzac pretese, e lo raccontò più volte, che egli fosse tanto popolare in Italia, che il suo nome era conto persino ai monelli di strada. [N.d.A.].
  [6] Eva di Hanska. [N.d.A.].
  [7] Balzac proibì alle nipoti di leggere i suoi romanzi. Compose espressamente per loro Orsola Mirouet, libro casto ed angelico, che in ogni pagina contiene i più puri sentimenti cristiani. [N.d.A.].
  [8] L’editore Houssiaux di Parigi pubblicò ora una edizione delle sue opere, che comprende 90 romanzi, o novelle, formanti 120 volumi circa in 8.° Un paziente suo ammiratore fece il calcolo che tutti i personaggi posti in iscena da Balzac toccano la cifra di cinquemila. [N.d.A.].
  [9] C’est en français que cette controverse eut lieu: dans les Reminiscenze e Fantasie, pour en rendre compte à mes compatriotes, je l’ai publiée en italien: j’aime de la rétablir dans son texte, et de lui faire place dans cette appendice, pour que ma profession de foi s’y trouve complète sous tous les rapports. [N. d. A.].
  [10] Segnalato da L. Carcereri, Editoria e critica balzachiana … cit., pp. 528-530.
  [11] Segnalato da L. Carcereri, Editoria e critica balzachiana … cit. p. 528. Poi nelle varie edizioni dei Saggi critici: Napoli, 1866, 1869, 1874, 1881, 1888.

Marco Stupazzoni


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