lunedì 14 settembre 2015



1904



Estratti in lingua francese.

  Honoré de Balzac, L’arrivée du cousin Grandet excite la curiosité des personnes réunies chez son oncle, in Tito Zanardelli, Pages détachées de Littérature française. Précédées de résumés critiques et accompagnés de notes. Livre de lecture pour les Cours Supérieurs de français dans les Écoles secondaires, Milan-Palerme-Naples, Remo Sandron – Éditeur Libraire de la Maison Royale, 1904, pp. 119-121 ; Comment Grandet l’Avare reçoit son neveu, pp. 121-123.

  [Da: Eugénie Grandet].



Traduzioni.


  Onorato di Balzac, Mercadet l’affarista. Commedia in cinque atti. Il Lutto. Commedia in un atto di Onorato di Balzac, Milano, Società Editrice Sonzogno (Tip. dello Stab. della Società Editrice Sonzogno), 1904 («Biblioteca Universale», N° 13), pp. 91.

  Cfr. 1882.   

  Onorato Balzac, La pelle di Zigrino. Traduzione di Emilio Girardi, Milano, Casa Editrice Sonzogno, 1904 («Biblioteca Romantica Economica», Serie II, 311), pp. 309.
  Per quanto, nel complesso, sufficientemente aderente al modello francese, questa traduzione de La Peau de chagrin curata da Emilio Girardi, condotta sul testo dell’edizione definitiva del romanzo (Furne, 1845; il testo è suddiviso in tre capitoli seguiti da un Epilogo; non è riportata la dedica a ‘Monsieur Savary’), non ci sembra sempre degna di elogi; anzi, in qualche caso, essa si rivela persino piuttosto scorretta e inadeguata soprattutto per alcune scelte di natura linguistico-lessicale operate dal compilatore nella resa del testo francese.
  Limitandoci a considerare le prime pagine del romanzo, segnaliamo:
  - d’Arcet è trascritto Darcet;
  - papier gras è tradotto: carta grigia;
  - l’avverbio nonchalamment è reso, nello spazio di alcune righe, con ‘momentaneamente’ (étaient nonchalamment assis – erano momentaneamente seduti) e con l’espressione ‘pieni di indifferenza’ (se promenaient nonchalamment – passeggiavano pieni di indifferenza);
  - les douleurs doivent être muettes: ‘i dolori devono essere morti’;
  - saluèrent une douleur inouïe, une blessure profonde que sondait leur regard: ‘salutarono con dolore inaudito una ferita profonda che il loro sguardo scandagliava’.

  O. de Balzac, Splendori e miserie delle corteggiane [In copertina: O. Di Balzac, Splendori e miserie delle cortigiane. Prima traduzione italiana di Giuseppe Lubrano, Napoli, Salvatore Romano, Editore, Piazza Cavour, 15 (Stab. Tip. F. Lubrano - S. Pietro a Majella, 31), 1904, pp. 196.
  Struttura dell’opera:
  Prologo. Il patto fatale, pp. 3-32; Parte prima. Ester felice, pp. 32-195; Riepilogo, p. 196.


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  Si tratta della ristampa, in volume unico, di: Fasti e Miserie delle corteggiane. Prima traduzione italiana di Giuseppe Lubrano, pubblicata a Napoli, in quattro volumetti, da Felice Perrucchetti intorno al 1871 e che abbiamo segnalato nella sezione specifica riguardante quell’anno.
  Come abbiamo già avuto modo di osservare, questo riassunto-adattamento di Illusions perdues e di Splendeurs et misères des courtisanes è condensato in molte sue parti essenziali, svuotato di molte scene, semplificato con tagli arbitrarî e ricuciture operate dal Lubrano con approssimazione e assai discutibile eleganza di stile.

  Onorato Balzac, Storia dei Tredici di Onorato Balzac. Scene della vita parigina. Ferragus – La duchessa di Langeais – La ragazza dagli occhi d’oro, Milano, Casa Editrice Sonzogno, 1904 («Biblioteca Romantica Economica», Serie II, 310), pp. 359.
  Cfr. 1903.


Studî e riferimenti critici.


  Rassegna settimanale della stampa. Balzac tipografo, «Minerva. Rivista delle Riviste. Rivista moderna», Roma, Società Editrice Laziale, Anno XIV, Vol. XXIV, N. 16, 27 marzo 1904, p. 384; «Giornale della libreria, della tipografia e delle arti e industrie affini», Milano, Anno XVII, N. 18, 1° Maggio 1904.
  Nel 1825 Balzac aveva ventisei anni; i suoi genitori, che a malincuore gli avevano promesso di tentare la carriera letteraria, speravano di distorgliernelo lesinandogli il denaro e lasciandolo a poco a poco senza mezzi. Egli, dal canto suo, era stanco e vergognoso di scrivere, per la necessità di vivere, dei romanzacci che egli stesso chiamava littérature marchande; si sentiva già maturo per i capolavori e, come fece per tutta la vita, e come faceva del resto anche suo padre, accarezzava sogni di fortuna insperata, di milioni che gli avrebbero permesso di darsi alla produzione letteraria senza alcuna altra preoccupazione. Incoraggiato da un amico che si offrì di fornirgli i primi fondi, si gettò nel mare magno degli affari, e diventò editore, poi tipografo, poi fonditore di caratteri; e da questa impresa uscì, dopo quattro anni, con un debito di circa centomila franchi.
  A questo brevissimo periodo della vita del grande romanziere è dedicato un grosso volume in quarto, di più di 260 pagine, infarcito di una quantità enorme di documenti, intitolato Balzac imprimeur, che è stato testè pubblicato dall’ex-ministro Gabriele Hanotaux, l’insigne storico di Richelieu, e da Gregorio Vicaire (Parigi, Ferroud edit.). Andrea Le Breton, rendendo conto di questa pubblicazione nel Journal des Débats (n. 80), trova che, veramente, duecentosessanta pagine per un soggetto simile sono troppe, e che il libro pecca per eccesso di documentazione e anche perché è alquanto confuso e arruffato. Tuttavia – egli aggiunge – è un volume curioso, che si legge con piacere, e in cui sono specialmente notevoli le pagine consacrate a madama de Berny, la prima donna amata da Balzac, anzi l’unica che egli abbia amata veramente. Intorno a questa signora si avevano già delle notizie, ma i due studiosi ne aggiungono di nuove e interessanti: essi determinano con sicurezza le origini della signora de Berny e i vincoli che la univano all’antico regime, dimostrano quale tenerezza materna ella avesse per il giovane romanziere, ciò che ella fece per preservarlo dalla completa rovina, e la salutare influenza ch’ella esercitò su lui.

  Il medico condotto in Francia (1), «Minerva. Rivista delle Riviste. Rivista moderna», Roma, Società Editrice Laziale, Anno XIV, Vol. XXIV, N. 20, 24 aprile 1904, pp. 473-474.
  (1) Da un articolo del Chambers’s Journal, aprile.
  Chi non ha letto nel Médecin de campagne di Balzac la commovente apoteosi del modesto e buon dottor Benassis, che i villici affidati alla sua cura chiamavano padre? E in Madame Bovary di Flaubert che non ha fatto la conoscenza di Carlo Bovary, il medico di campagna lento e pesante come un bue, e che solo c’interessa per le sue reiterate disgrazie coniugali?
  In qualunque parte del mondo l’eroe di Balzac è un tipo non facile a trovarsi; e anche Charbovary, come in gioventù si faceva chiamare il marito sfortunato del romanzo di Flaubert, è un esemplare abbastanza raro fra i medici francesi. I figli della grande nation possono affascinarci con le loro qualità brillanti o farci ribrezzo con i loro vizi: ma la stupidità non è certo un loro punto debole.
  Poche persone, del resto, hanno tanto da lavorare quanto i medici condotti in Francia. Questi erano assai pochi e sparsi a grandi distanze quando comparvero il Médecin de Campagne nel 1833 e la Madame Bovary nel 1860. […].
  Le nuove idee e le nuove leggi hanno modificato in Francia tale stato di cose, e reso abbastanza rimunerativa la professione medica. […].
  Generalmente parlando, i medici francesi, anche i più modesti, costretti a vivere per le campagne, sono veri apostoli dell’arte sanitaria e rappresentano un anello di congiunzione fra la classe del contadino e quella del bourgeois, che non sempre simpatizzano fra loro. È un peccato che il médecin de campagne, questo elemento caratteristico della vita rurale francese, sia così persistentemente ignorato dai moderni romanzieri compatrioti di Balzac e di Flaubert.

  Le prime rappresentazioni. Altre novità, «Cronache Musicali e Drammatiche», Roma, Anno V, N. 17, 28 Aprile 1904, p. 2.

  — Al teatro del Corso di Bologna, la com­pagnia di Alfredo De Sanctis ha rappresentato per la prima volta in italiano La Rabouilleuse, dramma in 4 atti di Fabre, tratto dall’omonimo romanzo di Onorato Balzac. Il titolo intraducibile – in francese s’intende per rabouilleuse una dama che con una bacchetta intorbida l’acqua per spingere i gamberi verso le reti tese – fu tradotto in italiano Il colonnello Bridau. Il lavoro, che mette in scena personaggi dell’epoca napoleonica, non incontrò il gradimento del pubblico bolognese. Vi furono applausi ai primi atti, ma disapprovazioni all’ultimo. Ot­tima l’esecuzione.


  Notizie, libri e recenti pubblicazioni. Francia, «Nuova Antologia di Lettere, Scienze ed Arti», Roma, Direzione della Nuova Antologia, Quarta Serie, Volume Centoundicesimo della Raccolta, Volume CXCV, Fascicolo 778, 16 maggio 1904, pp. 378-380.
  p. 379. La libreria André Leclerc ha messo in vendita il 15 maggio, l’Histoire de l’Empereur racontée dans une grange par un vieux soldat, di Honoré di Balzac, in edizione di gran lusso, con 14 tavole incise all’acquaforte, a colori. La tiratura è di soli 300 esemplari e il prezzo è di 40 franchi.

  Farfalle erranti, «La Provincia di Lecce», Lecce, Anno IX, N. 29, 24 Luglio 1904, p. 2.

  Una donna di cinquanta anni può essere più gio­vane di una di venticinque, e coloro i quali dicono che la gioventù è bellezza, sanno bene che, a qua­ranta anni, una donna può essere più bella che a diciotto.

  Il Balzac preferiva l’età matura per l’eroine (sic) dei suoi romanzi. Certi elementi della bellezza femminea non raggiungono il loro massimo splendore prima dei trenta anni.


  L’Arte di camminare. Una teoria inedita di Balzac, «Giornale illustrato dei viaggi. Avventure di Terra e di Mare», Milano, Volume XXXIII, 1904, pp. 178-179. 

  Michel Provins riassume sul Gaulois uno studio inedito dell’autore della Commedia umana e che ha per titolo la «Teoria del camminare». [Cfr. M. Provins, Une théorie inédite de Balzac, «Le Gaulois», 27 Mai 1899].

  In alcune pagine d’introduzione, smaglianti per quello spirito d’osservazione e di erudizione che caratterizza la sua opera, Balzac asserisce che questa sua teoria contiene in germe gli elementi di una nuova curiosissima e quasi vergine scienza.

  È strano, osserva Balzac, che dopo Lavater, il quale ha enunciato pel primo che tutto era omogeneo in noi, nessuno siasi chiesto perché l’uomo cammini, come cammini, se possa camminar meglio e se ci sia modo di imporre, di cambiare e d’analizzare e questo suo movimento.

  Per cogliere gli elementi pratici-di questa res ambulatoria, Balzac si pose un bel giorno sul boulevard e si mise a scrutare successivamente il modo di camminare di … duecentocinquantaquattro parigini, i quali, naturalmente, non sospettavano certo che il più grande romanziere del secolo tracciava di loro un’istantanea psicologica.

  Dall’esame di questi duecentocinquantaquattro parigini egli trasse una serie di aforismi dei quali ecco i principali:

  Il camminare, è la fisionomia del corpo. Si può scoprire un vizio, un rimorso, una malattia, osservandoci in movimento.

  L’inclinazione più o meno viva di uno di uno dei nostri movimenti, la forma telegrafica di cui esso ha contratto, nostro malgrado. l’abitudine, l'angolo e il contorno che noi gli facciamo descrivere portano limpronta della nostra volontà e sono di un significato straordinario.

  Lo sguardo, la voce, la respirazione, il modo di camminare sono identici; ma siccome non è stato dato all’uomo di poter vigilare contemporaneamente a queste quattro espressioni diverse e simultanee del suo pensiero, cercate quella che le riassume, e conoscerete l’uomo per intero.

  Un semplice gesto, un fremito involontario delle labbra può divenire il terribile scioglimento di un dramma nascosto da molto tempo fra due cuori.

  Il riposo è il silenzio del corpo.

  Il movimento lento è essenzialmente maestoso.

  L’uomo che cammina rapidamente scopre già la metà del suo segreto; egli ha fretta, è impaziente.

  Ogni movimento senza grazia tradisce un vizio o una cattiva educazione.

  La grazia esige delle belle forme.

  E veniamo alle donne.

  Le donne possono, camminando, mostrar tutto, e nulla lasciar vedere. C’è nel vestito della donna, e nel modo di servirsene, tutta una psicologia.

  Poco dopo Balzac soggiunge: Ci sono dei movimenti di gonnella che valgono persino una corona. Per provarlo, egli ricorda un aneddoto narrato da Mercy-Argentau.

  – Un giorno, raccontava questo diplomatico, la principessa Assia Darmstadt condusse le sue tre figlie dall’imperatrice, perché questa scegliesse fra di esse una donna pel granduca. Senza aver loro parlato, l’imperatrice scelse la seconda.

  La principessa, sorpresa, le chiese la ragione di questo rapido giudizio.

  — Le ho osservate tutte tre dalla mia finestra mentre scendevano dalla vettura, rispose l’imperatrice. La primogenita ha fatto un passo falso, la seconda è scesa naturalmente, la terza spiccò un salto e scese a terra senza por piede sul predellino.

  La prima dev’essere impacciata, la terza sventata.

  E pare che l’imperatrice non si fosse ingannata.

  Balzac che dev’essersi molto divertito a svolgere in un centinajo di pagine questa originale teoria del camminare, termina con queste curiose osservazioni:

  Gli uomini più imponenti, egli, dice, hanno tutti la testa leggermente inclinata a sinistra.

  Alessandro, Cesare, Luigi XIV, Newton, Carlo XIII, Voltaire, Federico II e Byron ostentavano quest’attitudine.

  Napoleone, invece, teneva la testa inclinata a destra è si rappresentava ogni cosa rettangolarmente.

  Robespierre guardava in faccia la sua assemblea; Danton continuò l’attitudine di Mirabeau, che teneva alta la fronte in un’attitudine d’audacia teatrale.

  Ci sono degli uomini che camminano a testa bassa come i cavalli di fiacre, ce ne sono altri, che ostentano una posa accademica, altri che sembrano avanzare a forza di braccia; le loro mani essendo dei remi, dei quali si servono, per navigare: ce ne sono di quelli che camminano a gambe larghe, e si meravigliano poi di vedersi passare sotto i cani che inseguono i loro padroni, ecc., ecc.

  Tanti uomini, altrettanti modi di camminare, egli conclude, e tentare di descriverli completamente, equivarrebbe a voler ricercare tutte le desinenze del vizio, tutti i ridicoli della società.


  Cronaca italiana. L’arte della fotografia. Lezione di G. Sciutto all’Università popolare, «Società fotografica Italiana. Bullettino mensile», Firenze, Anno XVI, Disp. IV, 1904, p. 121.

 

  Balzac pure innanzi al «mistero» della fotografia rimane preso da un senso di paura quasi come da un processo che sottragga uno strato di vita.


  A.[ntonio] Agresti, La Filosofia nella letteratura moderna, Torino, Fratelli Bocca, Editori, 1904 (“Piccola Biblioteca di Scienze moderne”, n° 89).
Il Positivismo.
I Naturalisti, pp. 67-89.
  p. 68. Ma se Emilio Zola fu il teorico del naturalismo non ne fu lui l’inventore, e, del resto, egli non lo ha mai detto; anzi combattendo il romanticismo, riannoda la tradizione naturalista a Balzac. E non a torto.
  Volendo sottilizzare non sarebbe difficile sostenere le tesi elegante che i primi naturalisti furono Aristofane e Plauto, che il poeta del naturalismo fu Marziale, che gli autori drammatici del naturalismo, di molto anteriori a Balzac, furono Machiavelli, l’Aretino e Marlowe. Ma non voglio, né me lo consente l’indole del lavoro, polemizzare su le origini. Prima che la teoria filosofica del naturalismo fosse formulata da Zola, i naturalisti avevano già prodotto i capolavori della scuola: «Robinson Crusoè (sic) di De Foe; «David Copperfield» di Dickens; «I Promessi Sposi» di Manzoni; «Pére (sic) Goriot» e «Cousine Bette» di Balzac. Ma il naturalismo della nostra epoca nella sua forma e nella sua filosofia – voluta la forma, incosciente la filosofia – nacque in Inghilterra. […].
  p. 72. Da De Foe a Walter Scott che in «Heart of Midlothian» è tanto naturalista quanto Dickens o Balzac – i romanzieri Inglesi hanno ben cura di non essere lubrici o sconci. […].
  pp. 75-77. Vi sono altri uomini che nascono prima dell’ora decisiva. A loro spetta dissodare il terreno, aprire il solco, spargere la prima sementa; raramente la raccolta è per loro; essi nascono predestinati alla preparazione dell’era vittoriosa; spesso sono uomini di genio, sempre sono potenti, volontari, grandi, conscî della loro missione, del loro valore, di sé.
  Balzac è di questi.
  Egli ha veduto, osservato, notomizzato, descritto tutto un mondo. La piccola borghesia francese, borghesia della capitale e della provincia; gli operai, i contadini, tutti gli esseri che compongono la folla cinerognola di un paese sono passati attraverso la sua lente, e sul suo tavolo hanno lasciato qualche cosa di sé, un brandello di cuore o un filo di cervello; un sorriso o una bestemmia; un dolore o un amore. Ed egli di quello che ha potuto ottenere con la osservazione, ha fatto tesoro per l’opera sua.
  Non è un artista, non è un letterato; la lingua di Balzac ha tutte le durezze, tutti i difetti delle lingue adoperate senza esperienza. L‘intreccio dei romanzi di Balzac è sovente assurdo; la sua «Commedia Umana» pare una raccolta di melodrammi, e melodrammatico è lo svolgimento e sovente la soluzione dei suoi romanzi; ma, come i suoi tipi sono viventi e veri! E come l’ambiente nel quale s’agitano e vivono è potentemente e fortemente descritto! Sono quasi tentato di dire che Balzac è partito dal romanticismo con «L’ultima incarnazione di Vautruin (sic)» per arrivare al realismo, in quei capolavori che sono «Les parents pauvres» e «La recherche de l’absolu».
  La filosofia di Balzac è fatta d’umorismo, di buon senso e d’ironia. Egli non è impassibile come poco di poi sarà Gustavo Flaubert; egli non è scienziato come Zola pretenderà d’esserlo; vede, osserva, ragiona. La sua filosofia è tutta nella «Physiologie du mariage», una filosofia d’osservazioni acute che, se praticate, e se troppo influenti su la mentalità umana, condurrebbero ad un quietismo dannoso all’umano progresso.
  Balzac non si è mai posto il problema scientifico e filosofico: il suo metodo è nato spontaneo dalla tessitura stessa del suo lavoro e del suo temperamento. Come egli ha creduto, così egli ha sentito, e ha descritto: la sua grande potenza, la sua gigantesca forza sta qui. E bene a ragione Zola lo ha chiamato il fondatore del naturalismo; poiché l’osservazione e la descrizione fotografica dell’ambiente e del tipo datano da lui. La «Commedia umana» è il monumento colossale di un movimento letterario, che è morto perché ha voluto essere troppo logico, troppo coerente a sé stesso. E chi, primo, volendo giovargli, gli inferse la ferita mortale fu il capo stesso dei naturalisti: Emilio Zola.
  Fu Emilio Zola che pigliando a modello il Balzac, non s’accorse che l’enorme romanziere non s’era mai occupato di sapere se i suoi lavori andavano d’accordo o no con le teorie scientifiche del suo tempo.
  Un errore capitalissimo, errore d’osservazione – strano in un uomo come Zola – rende falsa tutta la teoria su la quale è basato il romanzo verista moderno. […].
  p. 80. Ma se Emilio Zola ha fallato volendosi appoggiare alla scienza, non gli è accaduto così quando egli ha seguìto la corrente filosofica del suo tempo.
  Infatti Zola è bene l’uomo che presenta una teoria filosofica, la fa accettare e crea da questa tutta una scuola letteraria.
  Il caso vale la pena d’essere esaminato.
  Balzac nella prefazione alla «Commedia umana» aveva detto che «obbedendo ad una legge che è ancora da scoprire, l’uomo tende a rappresentare i suoi costumi, le sue leggi, il suo tempo». Ora la legge sembra non essere più oscura. Dal cumulo dei fatti che la scienza ha raccolto, deve scaturire un insegnamento positivo, una legge generale che li spieghi, e ce ne faccia sapere le finalità. Taine è l’uomo che tenta quest’opera, ed è Taine il filosofo dei naturalisti.

Il Pessimismo.
Nietzsche e gli Individualisti, pp. 162-184.
  pp. 182-183. Il romanzo, il dramma, il poema che durano eterni sono nella società; in modo che il personaggio creato dall’autore è tanto naturale ed evidente che rimane come il prototipo dei tanti che gli somigliano. Così è del «Tartufo» di Molière, del «Burbero Benefico» di Goldoni, dell’«Ursule Mirouet (sic)» e del «Père Goriot» di Balzac; dei «Miserabili» di Hugo e via di seguito.

La Metafisica.
I Simbolisti – Gli Imperialisti, pp. 212-229.
  p. 215. Mentre in Francia trionfava il Naturalismo, ed Emilio Zola affermava con la critica e con le opere la teoria che quello sterminato genio di Balzac aveva predicata senza predicare, un fatto colpì il pensiero di alcuni poeti e letterati e fu la disperante similitudine di conclusioni cui il romanzo naturalista conduceva a proposito degli uomini, della società, della vita.

  Adolfo Albertazzi, La Scapigliatura Milanese, «Natura ed Arte. Rivista quindicinale illustrata», Milano-Roma, Casa Editrice Dott. F. Vallardi, Anno XIII, N. 14, 15 Giugno 1904, pp. 75-80.

  p. 79. A proposito del racconto Michelina del Solera, l’Albertazzi osserva: «scena militare del 1836», diceva lui; e, diciam noi, rachitico prodotto di mescolanze del Balzac col Sue, dello Stendhal con la Sand, fermentanti in una testa già scapigliata! […].
  p. 80. E, a proposito del Tarchetti, l’A. scrive:
  Che lasciava al suo nome? Il pathos dei romantici, il realismo del Balzac, il naturalismo del Rovani e la bohème, fermentandogli nell’avida fantasia, l’avevano commosso alle pene di Paolina, alle strane ebbrezze dei racconti L’amore nell’arte […].

  Adolfo Albertazzi, Il Guerrazzi romanziere, «Nuova Antologia di Lettere, Scienze ed Arti», Roma, Direzione della Nuova Antologia, Quarta Serie, Volume Centododicesimo della Raccolta, Volume CXCVI, Fascicolo 784, 16 agosto 1904, pp. 576-582.
  p. 580. Il Camerini scopriva nel Guerrazzi l’anatomia del Balzac, la fantasticheria dell’Hoffman (sic) e i morsi di Heine.


  Vittore Alemanni, Pietro Ceretti. L’uomo – Il poeta – Il filosofo teoretico con prefazione del Prof. Carlo Cantoni Senatore del Regno, Milano, Ulrico Hoepli Libraio della Real Casa, 1904. 

  p. 156. [Su: Le Avventure di Cecchino]. In siffatta famiglia il padre è un barone borioso, decorato per problematici meriti civili, che allontana da sè i suoi figli per affidarli a un sacerdote che per sventura è ignorante e corrotto come tanti preti delle nostre novelle e commedie classiche, e che lascia che la propria casa sia teatro della più inconscia dissolutezza : la madre è una gentildonna che apprese sei lingue, pittura, equitazione, nuoto, poesia, musica, scultura, architettura, medicina, geologia, geometria, magnetismo, estetica, metafisica ed etica, che molto imparò dalla lettura dei romanzi di Walter Scott, di Balzac, di Paul de Koch, di Dumas, di V. Hugo, di G. Sand; ma che sopratutto seppe acquietare la sua coscienza di moglie e di madre con ogni sorta di compromessi mondani.


  Ida Baccini, La mia Vita. Ricordi autobiografici, Roma-Milano, Società Editrice Dante Alighieri di Albrighi, Segati e C., 1904.
XV.
Tra la calzetta e la letteratura, pp. 88-95.
  p. 91. Il cav. Vieusseux […] mi suggerì subito il Daudet, il Theuriet, il Loti, tutta la gloriosa falange della Francia romantica moderna.
  Da quei maghi dello stile risalii dolcemente la corrente e mi sprofondai – è la vera parola – in Teofilo Gautier, nella Sand, in Victor Hugo, in Alfred de Musset e nel divino insuperabile Balzac, di cui lessi in poche settimane tutta la Comédie humaine. […].
XXIV.
Fioritura, pp. 164-173.
  pp. 168-169, nota (1). Di un’altra cara e preziosa amicizia ho da parlare in queste pagine, dell’amicizia di Matilde Serao, che conobbi di nome, nell’anno 1881 (1) […].
  (1) Avevo sempre vagheggiato, prima della mia condanna all’infanzia, la grande arte. A questo proposito riporto qui alcune lettere dei due più grandi artisti d’Italia [M. Serao e A. Fogazzaro] che mi onorano della loro affettuosa amicizia.
  «Pregiatissima amica – mi scriveva Matilde Serao – permetta che io dica così dopo la buona e affettuosa lettera che ella mi ha indirizzata. […] Verrò subito, non dubiti, e mi vedrà e le farò una strana impressione, poiché sono molto diversa da quello che scrivo. Lei com’è, bionda o bruna? Come sono i suoi occhi? Le piace ridere? E dell’amore che pensa? Le piace Balzac? […]».
  pp. 170-171.
  «Carissima amica,
  ho pensato più volte a scrivervi, ma ho temuto che foste a Milano ancora. […].
  Non parliamo dell’amore. Per me è la stupenda e la più straziante delle cose umane. […] Ahimè – come dice Heine – noi facciamo piccole storie dei nostri grandi dolori. Mi piace che amiate Balzac: io lo adoro. Se vivesse, andrei a fargli da serva. […]».

  Piero Barbèra, Autori e editori, in Editori e autori. Studi e passatempi di un libraio, Firenze, G. Barbèra, Editore, 1904.[1]
  p. 296. Cfr. 1897.


  Dr Pietro Giorgio Enrico Bayon, I cretini nella letteratura e nell’arte, in Eziologia, diagnosi e terapia del cretinismo con particolare riguardo alle altre malattie della glandola tiroide. Gozzo e mixedema. Illustrato con 14 Tavole separate, Torino, Unione Tipografico-Editrice, 1904, pp. 24-26.

 

  pp. 24-25. Pure gli scrittori francesi come il Flaubert, Victor Hugo, Maupassant, Bourget ed altri si servono nei loro libri sovente della parola «crétin» senza averne però altra concezione che quella di un individuo immensamente stupido […].

  Un’eccezione vien fatta dal Balzac. Questo scrittore genialissimo aveva un vivissimo interesse per la medicina in generale e per la questione del cretinismo in particolare. Nel suo libro «Le médecin de campagne» egli descrive diffusamente come per mezzo di misure igieniche e con l’emigrazione dei casi più gravi di cretinismo, un intiero villaggio vien liberato dall’endemia gozzo-cretinica. La descrizione che ci dà di cretini rivela che egli conosceva la forma clinica della malattia, e come un equivalente dell’ipotiroidia. È pure degno di nota che in una delle sue lettere Balzac fa la proposta «de refaire le cerveau à un crétin avec de l’haschisch».

  Balzac menziona pure un fatto che io non ho sinora potuto constatare nei paesi dove regna l’endemia gozzo-cretinica; cioè che i cretini vi siano considerati con molto rispetto, quasi con venerazione.


  Angelo Brofferio, I Miei Tempi. Vol. II, Torino, Renzo Stregio e C., Editori, 1904.
  Capitolo XXXIV.
  Cfr. 1858.

  L.[uigi] Capuana, Arte e scienza. Discorso letto il 6 novembre 1903 per la solenne inaugurazione degli studi nella R. Università di Catania, Catania, Tipografia, Francesco Galati, 1904.[2]
  Nella prolusione Arte e scienza, letta dal Capuana, allora professore di Lessicografia e Stilistica nell’Università di Catania, il 6 novembre 1903, per l’inaugurazione dell’Anno accademico, lo scrittore siciliano polemizza nei confronti delle accuse mosse dalla critica contemporanea alle più recenti produzioni narrative italiane, e scrive:
  pp. 7-9. Gli artisti avrebbero potuto rispondere [alle accuse dei critici] che hanno fatto, e sempre, precisamente quel che oggi si pretende, come cosa nuova, da essi. Se non che, lo hanno fatto – e tale era il dover loro – da artisti, gettando nella forma i concetti astratti dei politici, dei sociologi, dei filosofi, creando, non discutendo; con l’immaginazione, non col ragionamento.
  Ma, (per parlare come quegli altri) non sono anch’essi per nulla del XX secolo! E han voluto ragionare, discutere. Uno di loro, assumendo inconsapevolmente la rappresentanza di tutti, a proposito della forma d’arte più specialmente moderna, il romanzo, sentito parlare di scienza sperimentale, ha avuto la malaugurata idea di proclamare, alla sua volta, il Romanzo sperimentale.
  Prima di lui, Onorato Balzac aveva additato, nella celebre prefazione alla sua Commedia umana, il posto elevato che il romanzo dovea conquistare, divenendo una specie di storia naturale dell’umanità. Fino al Balzac, il romanzo era stato una specie di fiaba per adulti. La fantasia vi regnava da sovrana assoluta. L’ufficio del romanzo si riduceva a quello di trasportare il lettore fuori della realtà, in un mondo in cui le avventure si moltiplicavano capricciosamente, meravigliosamente; e infatti le parole romanzo, romanzesco servivano a indicare qualcosa di straordinario, stavo per dire, d’impossibile, l’opposto insomma degli avvenimenti della vita comune.
  Col Balzac penetrava nel romanzo l’idea della diretta osservazione e dell’influenza dei luoghi, dell’ambiente, come oggi si chiama, della professione e del mestiere su le passioni e i caratteri. Il romanzo s’introduceva negli studi dei notai, nei locali delle banche, nelle botteghe, e rintracciava commedie, drammi e tragedie là dove sembrava che esso non avrebbe potuto mai trovare elementi per la sua rappresentazione. Così un profumiere, Cesare Birotteau, diventava interessante quanto un eroe di cappa e spada; così Re Lear trovava un riscontro inatteso in Papà Goriot; un umile parroco di villaggio, un medico condotto, un contadino si vedevano elevato ad altezza d’arte fin allora da simili personaggi non raggiunte. I fatti interiori, del cuore e dello spirito, venivano scrutati ed analizzati al pari dei fatti esteriori della vita sociale. Dalla bassa radura degli interessi materiali, il romanzo si elevava fino alla nebbiosa cima del misticismo con Séraphîta-Séraphîtus, diretta discendente del visionario – e forse l’epiteto non è esatto – Emanuele Swedenborg, dopo di esser passato pei fenomeni del magnetismo con Orsola Mirouët. Insomma, dopo il Balzac, nessun più nascosto angolo della vita rimaneva escluso dallo studio della rappresentazione artistica narrativa, senza però trascendere fino alla pretesa che il romanzo dovesse ridursi una succursale della Scienza e attingere la stessa importanza di questa. […].
  p. 15. Ma il rispetto impostomi dalla mia ignoranza non mi vieta di umilmente confessare che io sarei stato lietissimo della mia sorte se circostanze di influenze ataviche, di lesioni traumatiche o patologiche, mi avessero posto in condizione di produrre un’opera d’arte da gareggiare con la Divina Commedia, con le tragedie di Shakespeare, coi quadri di Raffaello e del Guercino, con le sculture di Michelangelo e le musiche del Bellini e del Wagner. E ardisco timidamente pensare che soltanto la nostra deficiente forza di immaginazione più non ci permette di elevare al rango di semidei, come avveniva nell’età primitiva, Dante, Shakespeare, Raffaello, Michelangelo e i nostri contemporanei Onorato Balzac e Riccardo Wagner.

  Jean Carrère, I cattivi maestri (1). Emilio Zola, «Minerva. Rivista delle Riviste. Rivista moderna», Roma, Società Editrice Laziale, Anno XIV, Vol. XXIV, N. 47, 30 ottobre 1904, pp. 1114-1116.
  (1) Da uno studio di Jean Carrère, Revue Hebdomadaire, 3, 10, 24 settembre e 1° ottobre.
  p. 1114. […] la sua opera è in verità una sintesi meravigliosa, più cosciente ancora di quella che troviamo nella Comédie Humaine di Balzac.

  Giuseppe Coceva, Fra libri vecchi e nuovi. “Il primo esilio di Nicolò Tommaseo”: lettere di lui a Cesare Cantù, edite e illustrate da Ettore Verga. – Milano, editore L. F. Cogliati, 1904, pagg. VII-243, «Minerva. Rivista delle Riviste. Rivista moderna», Roma, Società Editrice Laziale, Anno XIV, Vol. XXIV, N. 22, 8 maggio 1904, pp. 524-525.
  p. 525. Interessanti sono anche i giudizi che qua e là troviamo intorno ad alcuni scrittori francesi, sia in generale, sia a proposito di qualche loro singola opera: per esempio, del romanzo Volupté di Sainte-Beuve, dice che è «cristiano e mondano a un tempo, casto e lascivo, incerto come l’anima dell’autore». – Con poche ed efficaci parole definisce George Sand: «Stravolto ingegno, ma forte sentire. Infelicissima, tediata della vita e della voluttà cui sospira». – Si duole «più che d’una nuova invasione di barbari» che a Balzac siano state fatte dai Milanesi accoglienze esageratamente entusiastiche: a Balzac del quale rileva i difetti senza riconoscerne i meriti: «scrivente manierato, senza la potenza di que’ che si creano una maniera, pittore minuzioso della parte materiale di certe cose, ignorante del resto, sterile sì di fantasia, sì d’affetto».


  Arturo Colautti, Fidelia. Romanzo. Nuova edizione rifatta, Milano, Libreria Editrice Nazionale, 1904.

 

  p. 211. —: Va là che sei incorreggibile! — diceva, sorridendo?

  — Eh, caro te, la moglie la fa il marito, ... - sentenziò l’altro, ironico.

  — E sei tu che lo affermi?

  — No, è Balzac.

  Paolo si strinse nelle spalle.

  — Un burlone di genio! — mormorò.

  — Hai un bel sorridere ... — ribadì Cosimo, ferito nel suo culto per il romanziere-filosofo — La Phisyologie (sic) non resterà meno per questo il breviario dei mariti ...

  — Dei celibi, dovresti dire ... Essa mostra soltanto i difetti e i pericoli del matrimonio ... La sua lettura incoraggia a passare nella solitudine il resto dei proprî giorni ...

  — Ma se è un trattato di polizia coniugale! - rimbeccò De Marchis, convintissimo.  

  — Sì, un trattato che ha il difetto di servire egregiamente anche agli avversari dell’istituzione ... Balzac, credimi, non è, in fondo, che un apologista del divorzio. Il tuo messale, mio caro, appartiene alla biblioteca dell’adulterio. Tant’è vero che non ti dispensa

di essere geloso ...

  — Oh! io lo sono per passatempo ... Ma tu ...

 

  p. 509. Povero De Marchis! quella volta aveva proprio indovinato. Ma tutta la sua vigilanza otelliana gli serviva a un bel nulla: nè Balzac, nè Schopenhauer lo avrebbero salvato. Ed ecco quanto succede a chi sposa una bella donna!


  Luigi Curcio Palmieri, Note di attualità. Carnevale e maschere, «La Settimana. Rassegna di Lettere, Scienze ed Arti», Napoli, Anno III, N. 3, 17 Gennaio 1904, pp. 192-195.
  p. 192. Siamo in tempo di carnevale e nessuna cosa più opportuna di parlar di maschere, che sono il quadro vivente, la viva rappresentazione di ciò che offre principalmente la società moderna, secondo l’avviso del Balzac e del Beaumarchais.

  Lucio D’Ambra, Le opere e gli uomini. Note, figure, medaglioni e saggi (1898-1903), Torino-Roma, Casa Editrice Nazionale Roux & Viarengo, 1904.

Paul Adam, pp. 33-45.
  p. 45. Paul Adam, ereditando nel tempo stesso da Balzac, da Flaubert e da Zola, studia i gesti ed i pensieri di un popolo durante un gran secolo, quale fu per la Francia quello testè fiorito. A lui manca forse solamente la facoltà di rendere, penetrandole, le anime altrui.

Alfred Capus, pp. 46-56.
  p. 51. La caratteristica del Capus è l’indulgenza. Ritroviamo questo carattere d’indulgente verità nella commedia che il Capus fece seguire alla prima [Grignol et sa fille], Rosine, ancor meglio che in questo tipo di Brignol che ricorda molto spesso, ma pallidamente, il Mercadet di Balzac, l’Arnoux evocato da Flaubert nell’Education sentimentale, il Micavober incomparabilmente creato da Dickens nel David Copperfield e l’Eketal finto dall’Ibsen nell’Anitra selvatica.

Paul Bourget. Un romanzo mondano: “Idylle tragique”, pp. 73-83.
  p. 74. Nei personaggi del Balzac una facoltà ingrandita, sino ad assumere proporzioni di mostruosità, assorbe tutte le altre e s’impone come regina. I romanzieri naturalisti, dice il Doumic, per un processo ardito o ingenuo di semplificazione, riducono l’uomo a subire soltanto i confusi impulsi dell’istinto e gli sproni della materia bruta.

IV. – Un dramma d’amore e d’incesto. «Le fantôme», pp. 96-104.
  p. 98. L. D’Ambra identifica nel romanzo psicologico «quella forma letteraria che ha dato in tutti i tempi una serie di capolavori, da Manon Lescaut di Prévost a Marianne di Marivaux, dalle Liaisons dangereuses di Laclos alla Princesse de Clèves, dal Werther di Goethe all’Ortis di Foscolo, dall’Adolphe di Benjamin Constant al Rouge et noir di Stendhal e alla Chartreuse de Parme, dal Lys dans la vallée a Engénie (sic) Grandet di Balzac, da Mensonges o dal Fantôme di Paul Bourget all’Innocente di D’Annunzio o al Peints par eux-mêmes di Paul Hervieu! E il Fantôme di Paul Bourget è venuto appunto a dimostrare che il romanzo d’analisi non è destinato a morire.

V. – Un romanzo politico di Paul Bourget, pp. 104-109.
  pp. 105-108. Oggi infine il Bourget ci ha dato l’opera [L’Étape] che è stata più variamente discussa ma che sarà forse anche quella tra le ultime sue che più rammenta il Bourget magistrale del Disciple, l’opera che nella potenza rappresentativa del romanzo ricorda Balzac, così per l’abbondanza delle idee generali, come per la profondità degli intenti sociali uniti all’elemento patetico delle situazioni. […].
  È interessante vedere alle prese col romanzo sociale il più fervido ammiratore di Balzac ed il più diretto discepolo d’Ippolito Taine. Egli si manifesta per un reazionario veemente. […].
  Già il vecchio positivista Augusto Comte aveva detto che la società si compone non d’individui ma di famiglie. Ad un’originale conclusione era giunto Balzac nell’esordio della Commedia Umana. E la tesi del Bourget non deriva forse da quelle, consimili, dell’Ippolito Taine delle Origines, del Le Play e del de Bonald? […]
  Ma tuttavia non voglio finire questa pagina in cui non ho certamente potuto sposare le conclusioni di Paul Bourget, senza aver detto di quale profonda e mirabile arte di romanziere dia prova Bourget nell’Etape. È sovente nella linea del Balzac: forte, serrato, profondo, possente.

Fèlicien (sic) Champsaur, pp. 143-159.
  p. 145. Si disse che questo romanzo [Dinah Samuel]: libro a chiave? e si volle trovare in Dinah Samuel non altro che un trasparente pseudonimo ed in Patrice Montelar, un ritratto dell’autore. E sia pure. Che importa? Romanzo a chiave? Dove, nella realtà della vita o altrove, hanno preso i loro personaggi, i romanzieri più grandi, Balzac, Dickens, Zola? Rastignac e Lucien de Rubempré, il padre Goriot e la cugina Betta, non ebbero, prima di essere nei libri balzacchiani, un nome ed un cognome ed uno stato civile sotto il regno di Carlo X o di Luigi Filippo? […].
  pp. 149-150. In questa trilogia [Le mandarin, divisa in tre romanzi: Marquisette, Un Maître, l’Épouvante] lo Champsaur pose dei traguardi per la filosofia di domani, poiché riassume la nostra società contemporanea e sintetizza lucidamente la nostra epoca di negazione, di disillusione, di confusione di principii: […] un personaggio, il principale personaggio di questa trilogia, Claude Barsac, è degno di prendere posto, per esempio, fra i più grandi tipi balzacchiani della Commedia Umana. […].
  Lo Champsaur vi è romanziere della tradizione di Balzac e la sua opera, a volte, appare piena di una potenza d’altri tempi!

Giustino L. Ferri, pp. 197-208.
  p. 207. Un delizioso miniaturista di piccole figure secondarie si mostra anche il Ferri in questo Capolavoro. Lasciamo andare le figure di Sanluigi, del mastro di casa Costanzo, della baronessa Bergamotti; v’è una figura in questo libro [il professor Paleologo] ch’è un vero gioiello degno di Balzac.

François Coppée. “Le coupable”, pp. 252-257.
  p. 254. Ed è per questo – scrive l’A. a proposito dell’ufficio dello scrittore – che non bisognava stupirsi e gridare come se si fosse udita un’eresia tremenda, quando Bourget sostenne che la melanconia dei Fiori del male di Baudelaire, e la tristezza atroce dell’Adolphe di Benjamin Constant, la crudeltà dello scioglimento delle Liaisons dangereuses di Laclos e la sinistra atmosfera della Cousine Bette di Balzac fanno di questi libri, in apparenza e per gli sciocchi immoralissimi, opere invece di altissima moralità.

A. Olivieri Sangiacomo. Per una letteratura militare in Italia, pp. 286-296.
  p. 290. Poiché il militarismo e le guerre sono divenute le più potenti espressioni collettive di questo secolo, è naturale che sia fiorito il romanzo militare, come si è avuto il romanzo socialista ed anti-socialista, come con Ferdinando Fabre si ebbe in Francia il romanzo religioso. Noi, in Italia, non abbiamo, né avemmo, né il primo, né il secondo, né il terzo. […] anche quegl’ingegni più fervidi si smarriscono in laberinti preziosi, senza uscire ad accogliere nell’anima e nel cervello il potente soffio della vita, ignari che se Balzac è enorme ed i cinquanta volumi della Commedia Umana hanno il sigillo glorioso dell’immortalità, dipende dal fatto che cinquanta anni or sono, come adesso, come fra un secolo quei romanzi colossali, dalla Peau de chagrin alle Illusions perdues, da Splendeurs et misères des courtisanes alla Cousine Bette, dal Lys dans la vallée a Cesar (sic) Birotteau – prendo, a caso, i libri più differenti – saranno brani di vita umana, imperituri. Ma questa alta concezione del romanzo che anche lo innalzerebbe a dignità maggiori non trova purtroppo asilo nelle intenzioni d’arte dei nostri romanzieri.

La crisi del romanzo, pp. 569-596.
  p. 595. Chi può dunque affermare che il romanzo potrebbe morire? Come una fenice esso rinascerebbe incessantemente dalle sue ceneri. Nata con l’umanità, questa forma letteraria non potrà sparire che con lei. […] Fu detta ed è una forma letteraria malleabile e flessibile che si adatta al mutare dei tempi e dei paesi. In un connubio mirabile, come accade nell’opera dei grandi. Balzac c’insegni, questa forma, ampia, perfetta e immortale sa unire la realtà al sogno ed è quindi tutta la vita.


  Lucio d’Ambra, Salotti romani, «Gazzetta di Venezia», Venezia, Anno CLXII, N. 350, 20 dicembre 1904, pp. 1-2.

 

  Sull’Archivio Primoli.

 

  Non meno curiosa è la parte che concerne Balzac. Ci sono lettere inedite, appunti preziosi, pagine di manoscritto dell’autore della Comédie humaine, scritte col suo grosso ed energico carattere d’improvvisatore e quasi senza cancellature. Quando si scolpisce un monumento colossale, l’artista non ha tempo di arrestarsi a guardare se il colpo di scalpello è stato dato a perfezione. Egli si affida per questo all’istinto sicuro del suo genio.



  Doctor Cajus. Interessi professionali. L’omicidio medico, «Il Policlinico. Sezione pratica», Roma, Anno XI, Fasc. 29, 16 luglio 1904, pp. 921-923.


  p. 923. Se vi sono calcolatori scettici fra i medici moderni, la maggioranza tuttavia è sempre foggiata sul modello che Balzac ha descritto del medico di campagna. Questi deve essere un filantropo, un apostolo piuttosto che un medico. Le critiche opposte al medico di Balzac non tolgono che oggi desso sia l’ideale della nostra professione.


 

  All’Alfieri [di Torino] continuano brillantemente le repliche di: San gené, Pillole, Frutto acer­bo e Crisi, alternate da un atto della Sig. C. Tartufari: Un’opinione di Balzac, opi­nione graziosissima nel grande autore della Commedia umana, ma sbagliata in quella teatrale nella quale è d'uopo ridere o pian­gere […].


  Giovanni Errico, Il Dolore degli Altri, «La Lettura. Rivista mensile del Corriere della Sera», Milano, Anno IV, Fascicolo 11, Novembre 1904, pp. 972-980.
  p. 979. Ancora sul leggìo la trascrizione di Liszt, che la mamma prediligeva: un lieder di Schubert, Tu sei la pace, che per la pura, serena, parlante melodia, per la semplice e toccante espressione d’un vivo sentimento umano e pel vigile accompagnamento, che sottolinea d’un significato di anelante respiro l’idea tematica, ella definiva la più limpida creazione dello stile romantico, esclamando con le parole di Balzac: «Musica che è altra vita nella vita!»[3].

  Giulio de Frenzi [Luigi Federzoni], Cesare Pascarella, in Candidati all’immortalità (Prima serie). XIII ritratti di Augusto Maiani, Bologna, Ditta Nicola Zanichelli, 1904, pp. 19-31.
  pp. 21-22. Ed io ricordo quanto acuto e giusto mi parve il pensiero espressomi da un poeta romano innamorato delle cose romane, Diego Angeli, nel tempo d’un nostro vagabondaggio per le viuzze antiche di Trastevere, allorchè egli mi affermava che l’opera del Belli gli pareva potersi paragonare, come rappresentazione d’un ambiente sociale, soltanto con la Commedia Umana d’Onorato di Balzac. […].

Ugo Ojetti, pp. 143-151.
  p. 150. Del resto, tutta la letteratura contemporanea, da Balzac realista a Bourget cattolico, ha un contenuto di critica e di demolizione.

  Il Lettore, I Libri. Romanzi e novelle, «Corriere della Sera», Milano, Anno 29°, Num. 337, 11 Dicembre 1904, p. 6.
  O. Balzac: La pelle di zigrino (Milano, Sonzogno), L. 1. – Nuova versione italiana del celebre romanzo filosofico dell’autore della Commedia umana.

  Adolfo Levi, Il pensiero francese nel secolo XIX, in L’Indeterminismo nella filosofia francese contemporanea. La Filosofia della contingenza, Firenze, Bernardo Seeber Successore di Loescher & Seeber, 1904, pp. 3-9.
  p. 4. Intanto sino dai primi decenni del secolo un pensatore isolato, Augusto Comte, aveva costruito una dottrina filosofica in completa opposizione alla filosofia dominante […]; l’opera sua rimase quasi segreta per un lungo periodo di tempo, scorso il quale si diffuse e dominò. Lo stesso destino ebbe nella letteratura francese l’opera di Balzac, l’autore della Comédie humaine; egli pure rimase nella sua vita solo, isolato fra tutti i suoi contemporanei, ma dopo la sua morte, quando il romanticismo cadde in isfacelo, il suo lavoro titanico trovò ovunque ammiratori entusiasti. A chi conosca, sia pure superficialmente, i romanzi del Balzac è vano far notare le grandi affinità di pensiero che esistono fra le dottrine del Comte e i concetti direttori della Comédie humaine, cioè (può ben dirsi) del capolavoro del romanzo naturalista nato prima che sorgesse il naturalismo.

  Camillo Mauclair, A proposito del “Sole dei morti”, «Avanti! Giornale socialista», Roma, Anno VIII, Numero 2557, 1 Maggio 1904, p. 2.

  Quanto al titolo enigmatico di questo libro bisogna pure che io ne dica una parola.

  Balzac ha scritto: «La gloria è il sole dei morti». Voleva dire egli che essa non ricompensa e non riscalda che delle tombe.

  Questa frase, da cui ho tolto il mio titolo, io l’ho presa in un senso differente obbedendo ad una concezione simbolica, che poi abbandonai.


  Gennaro de Monaco, Romanticismo femminile, «La Settimana. Rassegna di Lettere, Arti e Scienze», Napoli, Anno III, N. 8, 27 Febbraio 1904, pp. 563-569.
  pp. 565-566. Ella [G. Sand] voleva che l’arte non fosse uno studio della realtà positiva, ma una ricerca della verità ideale, e per questa norma, non si peritava di abbellire, come diceva, i suoi soggetti. Contemporaneamente Onorato di Balzac la punzecchiava sul metodo artificiale e già sorgeva come un colosso allo sbaraglio della vecchia scuola.


  Adriano Navarotto, Pittura olandese, in Nel paese delle dighe. Fascicolo primo, Torino, Libreria Salesiana San Giovanni Evangelista, 1904, pp. 248-300.

 

  pp. 279-280. E, a questo proposito, mi ricordo di un critico francese che l’ha [il pittore Steen] paragonato col Molière e collo stesso Balzac, avendo quegli intravvisto nel teatro dell’uno e nella Commedia Umana dell’altro gli stessi personaggi che rivengono abitualmente, sostenendo sempre una stessa parte sebbene in opere differenti. Come Molière egli ha i suoi Tartufai, i suoi Arpagoni, i suoi Sganarelli; ma nella «Commedia Umana» del Balzac neerlandese non vi si trova che tutta una troupe consacrata a Bacco e compari del larario […].


  Gaetano Negri, La tesi religiosa nel “Paris” di Emilio Zola, in Ultimi saggi. Problemi di religione, di politica e di letteratura. Precedono: G. Negri cittadino e pensatore. Discorso di Michele Scherillo e G. Negri patriota e soldato. Discorso di Francesco Novati. Con molte lettere inedite del Negri e con due suoi ritratti giovanili, Milano, Ulrico Hoepli Editore Libraio della Real Casa, 1904, pp. 163-184.
  p. 164. La lunga serie dei suoi [di Zola] romanzi, che va dall’Assommoir alla Debâcle (sic), è una pittura della società francese nella seconda metà del secolo, che rimarrà un documento prezioso pei posteri, non meno della Comédie humaine del Balzac per la società francese della prima metà del secolo stesso.

  Nemi [La Redazione], Tra libri e riviste. Guy de Maupassant, «Nuova Antologia di Lettere, Scienze ed Arti», Roma, Direzione della Nuova Antologia, Quarta Serie, Volume Centesimodecimo della Raccolta, Volume CXCIV, Fascicolo 775, 1° aprile 1904, pp. 559-561.
  p. 560. L’Hermant [cfr. Renaissance Latine] dice che l’epiteto «naturalista» è assai vago, se si può applicare insieme a Balzac, a Daudet, a Zola.

  Paolo Orano, I Patriarchi del Socialismo, Roma, Luigi Mongini editore, 1904.

XIII.
Saint-Simon (1760-1825), pp. 93-98.
  p. 95. Nel 1811 Saint-Simon accetta di essere scrivano al Monte di pietà, con lo stipendio annuo di mille lire. Avrebbe dovuto poi lavorare nove ore al giorno.
  Era la tortura e Saint-Simon piegò sotto di essa, ammalandosi gravemente.
  Il romanzo incomincia qui; un romanzo che Balzac deve aver certamente conosciuto per aver potuto dare – così come ha fatto – quelle magnifiche pennellate di tragica tristezza e di luminosa umanità a certi suoi immortali personaggi. […].
  p. 97. Poi le cose precipitarono in seno alla voragine di quella società che Onorato Balzac visse, seppe e descrisse come niun altro. Il Collège saintsimoniano si tramutò in una église. […].
XVI.
Leroux (1797-1871), pp. 112-120.
  p. 112. L’originalità di Piero Leroux non poteva non destare una simpatia eccezionale nelle menti elette dell’epoca. Ed è ben conosciuta l’azione morale che la figura e l’opera del grande socialista ebbero su George Sand. Con la scrittrice che gareggiò con Balzac e Victor Hugo nel primato letterario della Francia, Leroux fondò e diresse un periodico, la Revue indépendante nell’anno 1841. […].
XVII.
Proudhon (1809-1865), pp. 121-129.
  p. 126. Nel 1875 sono stati pubblicati i 14 volumi dell’epistolario di Proudhon, che indubbiamente gareggia in importanza con quello di Balzac e di Saint-Beuve, indispensabili a chi voglia conoscere la realtà minuta e precisa della vita e del pensiero francese nella prima metà e oltre del secolo XIX. […].

XIX.
Blanc (1811-1882), pp. 137-147.
  p. 139. Io penso che Blanc sia, come scrittore, il documentatore mirabile del romanzo di Onorato Balzac. La sua storia, che si diffuse subito in tutta Europa, studia appunto quelle crisi, quelle lotte, quelle formazioni, attraverso alle quali si costituiscono le orientazioni più specialmente giuridiche e politiche della opinione pubblica che ancora in parte sopravvive.
XX.
Marx (5 maggio 1818-14 marzo 1883), pp. 149-172.
  p. 171. E nessuno forse ha inteso il significato umano e scientifico dell’opera di Onorato Balzac così quanto l’agitatore tedesco. Una simpatia indicibile univa quest’uomo gigante all’arte di chi scrisse Cousine Bette e Pére (sic) Goriot. Non sono forse l’uno e l’altro, Marx e Balzac, gli interpreti sovrani della vita sociale, i dichiaratori del tramonto della borghesia, le menti magnifiche, le quali hanno capito le ragioni reali del sentimento e delle idee, le menti che hanno veduto muoversi e produrre il meccanismo nascosto della vita collettiva?
  «Non solo è Balzac – scriveva Carlo Marx – il raccontatore più preciso della vita sociale che gli fu contemporanea, ma egli creava quei personaggi profetici che nacquero sotto Luigi Filippo e si svolsero durante il secondo Impero, gli uomini del pubblicismo, i parlamentari, gli affaristi, i magistrati. Vi ha forse un’altra personificazione del plutocrata paragonabile a quella del barone Nucingen?».

  Paolo Orano, Pel centenario di Giorgio Sand, «Avanti! Giornale socialista», Roma, Anno VIII, Numero 2725, 5 Luglio 1904, pp. 1-2.

  p. 1. E' vero che «Valentine», «Jacques», « Rose et Blanche» sono libri che rivelano la sovreccitazione di una fantasia abbandonatasi ai compiacimenti più folli di legami febbrili; che in «Lelia», trascinata dalla furia del piacere, quella donna che era una madre, quella dominatrice di un'epoca che esercitò l'apostolato della rigenerazione sociale ed ha fatto piangere con le sue pagine sante come Sue, come Hugo, come Balzac, abbia osato tentare con febbrili mani colpevoli le vie più arcane dell'amore unisessuale.


  Ulisse Ortensi, Letterati contemporanei: Anton Tchékhov, «Emporium. Rivista mensile illustrata d’arte-letteratura-scienze e varietà», Bergamo, Istituto Italiano d’Arti Grafiche, Vol. XIX, N. 113, Maggio 1904, pp. 368-377.
  p. 375. L’opera magistrale di Tchékhov è il dramma Le tre sorelle. […] Esse [Macha, Olga ed Irene] sono nate e vissute a Mosca, ma il destino nel momento in cui Tchékhov le studia, le ha relegate presso un loro fratello in un piccolo centro provinciale. Quale vita! Bisognerebbe invocare l’ombra di Balzac!

  Ulisse Ortensi, Letterati contemporanei: Thomas Hardy, «Emporium. Rivista mensile illustrata d’arte-letteratura-scienze e varietà», Bergamo, Istituto Italiano d’Arti Grafiche, Vol. XX, N. 116, Agosto 1904, pp. 100-108.
  p. 101. […] George Eliot ha scritto il romanzo della piccola provincia, Maupassant ha solamente schizzata la vita dei contadini di Normandia deridendoli, Balzac e Zola hanno scritto il romanzo rustico come un capitolo della storia sociale, George Sand e Lamartine hanno studiato il contadino a beneficio totale di une loro tesi preconcetta per idealizzare il lavoro ed il popolo. L’opera intiera di Hardy è il romanzo del suo paese natio, del Wessex: non è la storia in un dato periodo come in Balzac, o di una famiglia in questa società come in Zola, «ma è la storia di un angolo del mondo in ciò che v’ha di più immutabile attraverso le vicende della storia ufficiale […]». […].
  p. 103. Nel primo piano del quadro è il contadino del Wessex, con tutte le sue differenze da tutti i contadini degli altri paesi del mondo, con la sua anima speciale, diversi da quelli studiati da Sand, da Balzac, da Zola e dal tedesco Fritz Reuter.

  Guido Pardo, Esiste la “donna russa”?, «La Stampa. Gazzetta Piemontese», Torino, Anno XXXVIII, N. 36, 5 Febbraio 1904, pp. 1-2.
  p. 1. Esiste, in realtà, un tipo speciale di donna russa? […].
  Io non parlerò della contadina, di quella cui Balzac, nella introduzione alla sua Fisiologia del Matrimonio, rifiuta il nome di donna, per relegare in un ordine inferiore, intermedio tra l’uomo e l’animale.

  Vittorio Pica, Tre maestri della caricatura in Francia (Daumier, Gavarni, Forain), in Attraverso gli Albi e le Cartelle [Sensazioni d’arte]. Prima Serie. Con 594 illustrazioni e 24 inquadrature, testate ed iniziali originali […], Bergamo, Istituto Italiano d’Arti Grafiche – Editore, 1904, pp. 120-158.
  p. 131. Mai il Daumier, io credo, ha, più che in questo disegno di così epico orrore [‘Ménélas vainqueur’], ottenuto quell’efficacia rappresentativa concessa soltanto al genio; mai è stato degno dell’enfatica lode tributatagli dal Balzac, che un giorno, in un giusto impeto d’ammirazione, diceva ai redattori della Caricature: «Ce gaillard-là, mes enfants, a du Michel-Ange sous la peau!» […].
  p. 149. Pittore di costumi deve considerarsi il Gavarni […]. Pittore di costumi insuperato ed inseparabile egli è, sicchè bene a ragione Paul de Saint-Victor poteva dire della sua Opera che essa meritava di essere intitolata: Mémoires de la vie privée du dix-neuvième siècle e ben a ragione egli ha potuto essere posto a raffronto con Balzac di cui possedeva il grande amore pel vero, senza però avere quella visione ingigantitrice e quella tendenza a trasformare gl’individui in tipi generali, che ravvicina l’autore della Comédie humaine piuttosto al Daumier.
  A p. 158, troviamo la riproduzione di una vignetta del Gavarni per La Physiologie du mariage di Balzac.


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  Cosimo Rubino, La forza della raganella, «Corriere Meridionale», Lecce, Anno XV, Numero 37, 29 Settembre 1904, p. 2.

  La frase non è mia, ma di quel profondo e bizzarro ingegno francese che fu il conte (sic) Onorato di Balzac. Questa forza consiste nella virtù di persuadere chi ha la ripe­tizione ostinata e monotona di una idea.


  Alessandro Schiavi, Il movimento contadino, «Critica Sociale. Rivista quindicinale del Socialismo», Milano, Anno XIV, N. 2, 16 gennaio 1904, pp. 25-28.
  p. 25. Anche la Francia ebbe ed ha il suo movimento di contadini che non è costituito dalle troppo citate agitazioni capitanate da Jacques Rachemme, né dalle fermentazioni dei paysans di Balzac, ma da vere e proprie organizzazioni di lavoratori dei campi […].

  Matilde Serao, Per Monaca, «La Settimana. Rassegna di Letteratura, Arti e Scienze», Napoli, Anno III, N. 2, 10 Gennaio 1904, pp. 139-156.
  p. 140. – Aveva promesso di non giuocare più, – mormorò Eva.
  – Domandalo dunque a Tecla, con cui sono venuta e che si è fermata fuori a comprare un libro.
  Tecla era venuta anche lei con una giacchetta di lana nera foderata di astrakan, tutta alamari e cordoni, con un berretto di astrakan; aveva comperato un romanzo di Balzac, l’Alberto Savarus.

  Matilde Serao, Santa Teresa, Catania, Cav. Niccolò Giannotta, Editore Librajo della Real Casa, 1904 (“Sempreverdi. Biblioteca popolare contemporanea”).

Santa Teresa, pp. 1-61.
  p. 18. Come tutte le cose di questa terra, la passione ha in sé tutti i germi della vita, ma anche tutti i germi della morte. La passione non vive intensamente che a spese della propria vita, come il misterioso personaggio della Peau de chagrin di Onorato de Balzac; più essa è forte e più essa è breve; più è ardente e meno è tenace; più è clamorosa e meno è profonda; più è impulsiva e più dissolvente. […].

Un innamorato dell’Italia, pp. 63-119.
  pp. 101-102. Il genio di de Stendhal ha riassunto, nelle quattrocento pagine di questo romanzo [La Chartreuse de Parme], tutta l’Italia dal 1815 al 1830, in una narrazione così evidente, così efficace, così colorita e salda che il titolo del romanzo è troppo modesto per tale sintesi profonda e sagace, per tale potenzialità di espressione. Onorato de Balzac dice che, nel duca di Parma, gli è sembrato di vedere riapparire Il Principe di Niccolò Machiavelli; ma se tale giudizio può parere troppo esagerato, certo è, che Ranuccio Ernesto Quarto è il simbolo di quel che furono i signori degli Stati Italiani di allora: un simbolo senza velo: tanto la virtù e i vizii di quei padroni del nostro paese vi sono chiari e palesi.


  Cesare Sobrero, Rubrica Rubricarum. La verità intorno a Boris Sarafoff, «Rivista di Roma. Politica, parlamentare, sociale, artistica», Roma, Anno VIII, Fascicolo III, 16 Gennaio 1904, p. 39. 

  Balzac lo avrebbe posto tra i protagonisti della sua Histoire des Treize.

 

  Cesare Sobrero, Rubrica Rubricarum. Attualità politica, «Rivista di Roma. Politica, parlamentare, sociale, artistica», Roma, Anno VIII, Fascicolo XX, 15 Maggio 1904, p. 322. 

  Tutti por uno, uno per tutti: È questa dunque la divisa siciliana ancora in onore, come lo era per i Treizes di Balzac. Sembra infatti di leggere qualche pagina del creatore di Vautrin, scorrendo i particolari che si vanno man mano precisando, della fuga magistralmente preparata a tavolino, colla stessa precisione e la stessa cura del dettaglio, colla quale Moltke preparava le sue battaglie. Soltanto che il tempo ha camminato. Ai fumidi cavalli dei giorni in cui vivevano Béatrix. la baronessa di Nucingen e papà Goriot, si è sostituito l'automobile a sessanta chilometri all’ora.


  Giuseppe Spencer Kennard, Introduzione, in Romanzi e romanzieri italiani. Volume I, Firenze, presso G. Barbèra, 1904, pp. III-LVIII.

  pp. LXXXI-LXXXII. Già venti o trent’anni addietro una consimile mania pseudo-scientifica dominò nella opinione pubblica, al punto che un romanzo non poteva sperare in un buon successo quando non portasse nel frontespizio la qualifica di fisiologico, o non contenesse un certo numero di osservazioni patologiche, esposte talvolta con nauseante crudezza. […].
  Dal libro pornografico di Balzac sul matrimonio, agli aforismi di Stendhal sull’amore, dai Manuali d’igiene del Mantegazza al ciclo dei Rougon Macquart dello Zola, quali ammassi di trivialità, di putridume, d’immoralità scollacciata non hanno dovuto inghiottirsi in nome della scienza i poveri lettori italiani e francesi!
  Tuttavia, se i nostri pronipoti dovessero formarsi un criterio del progresso fatto nella scienza fisiologica di quel tempo, basandolo sul merito di queste opere, potrebbero recar grave offesa alla memoria di cotali scienziati, come offenderebbero quella dei nostri psicologi viventi, se volessero misurare la scienza reale di essi dal modo con cui venne applicata nei libri di amena lettura.
Volume II.
Federigo de Roberto, pp. 71-98.
  p. 91. Quando gli scrittori realisti vogliono tratteggiare una donna pura e virtuosa, cadono spesso nel convenzionalismo, perché non arrivando col loro pessimismo ad immaginarli come reali, idealizzano troppo i tipi. Molte di queste eroine eteree sono in vivo contrasto con l’ambiente, stanno a mezza via fra cielo e terra; troppo eteree e troppo belle per poter interessare la nostra fralezza, quali ad esempio Il giglio della valle (sic) di Balzac, e il Rêve di Zola. […].

Gerolamo Rovetta, pp. 267-280.
  p. 274. Baraonda, è forse di tutti i libri del Rovetta il più caratteristico ed è più adatto a mettere in evidenza tutto il buono ed il mediocre che c’è il lui. […].
  Eppure da taluno egli avrebbe potuto prendere assai. […] Da Balzac avrebbe potuto apprendere le angoscie di chi ha per il danaro una vera ardente passione. […].
  p. 277. A fianco di questo di questo nobile affarista [il duca Casalbara], vediamo il banchiere tedesco Kloss, vera caricatura dei Baroni di Balzac, saggio disgustoso ed inverosimile di debolezza; […].

  Jacopo Tavaroni, Le imposte dirette sulla ricchezza mobiliare e sul diritto. Storia – analisi – riforma, Torino-Roma, Casa Editrice Nazionale Roux e Viarengo, 1904.
  197. Giudizio sui progetti Wollembrog, Alessio, Bonomi, pp. 164-165.
  [Sul progetto Alessio].
  p. 165. […] non ci convince la sua imposta sul patrimonio, la quale avrebbe certamente per effetto di colpire più gravemente la ricchezza fondiaria, sempre pronta alla frode e ala dissimulazione, perché, come Balzac faceva dire a Mercadet, «la terra, al contrario, la terra paga per tutti. Essa se ne resta là, come un imbecille, a subire le imposte, mentre il capitale si salva».

  Ettore Verga, Il Primo esilio di Niccolò Tommaseo. 1834-1839. Lettere di lui a Cesare Cantù edite ed illustrate da Ettore Verga, Milano, Tipografia Editrice L. F. Cogliati, 1904, pp. 113-117 [Lettera XVI].
  Viene riprodotta la lettera del Tommaseo a Cesare Cantù, datata Parigi, 7 Aprile 1837. Cfr. 1881.

  Ettore Verga, Note alla Lettera XVI, pp. 116-117.
  Nota (2), pp. 116-117. È nota per alcune pubblicazioni di storia aneddotica, tra le quali quelle del Barbiera, l’accoglienza fatta dalla società milanese al Balzac. Senza accennare perciò ai festeggiamenti mondani, aggiungerò che l’opera dell’autore di Père Goriot fu in que’ giorni alacremente discussa nei nostri circoli letterari. Ignazio Cantù, il fratello di Cesare, la esaminava in lunghi articoli sul Ricoglitore del 1836 e 1837 A. Piazza ne parlava entusiasta nella Gazzetta di Milano del 23 febbraio 1837. Non fu solo il Tommaseo a trovare esagerati quegli entusiasmi: in questo egli era d’accordo colla sua buona amica la Voce della Verità, la quale però andava un po’ più oltre quando dichiarava che dal Balzac «ogni onesto uomo dovrebbe tenersi lontano come si fa dal contatto delle materie pestilenziali o almeno dal puzzo delle cloache» e si scatenava contro un D. S. ammiratore del grande romanziere, che doveva essere il nostro Defendente Sacchi. In termini meno sconvenienti una corrispondenza da Milano al Journal de Francfort, 1837, numero 72, censurava quella idolatria, e il buon Lambertini, direttore della Gazzetta di Milano, protestava vivacemente contro quella corrispondenza nel suo giornale: (19 marzo 1837): Quanto alle parole poco amabili del Tommaseo pel D’Azeglio presentatore del Balzac, sono interessanti le proteste dello Stampa a proposito di questo passo pubblicato dal Cantù nelle Reminiscenze (II, 138): S. S.[tampa], Alessandro Manzoni, la sua famiglia, i suoi amici, Milano, Hoepli, 1882, I, 298.


  E. D. Z., Teatri e concerti. “Il colonnello Bridau”. Quattro atti di H. de Balzac e di E. Fabre al “Goldoni”, «Gazzetta di Venezia», Venezia, Anno CLXII, N. 359, 29 dicembre 1904, p. 2.

 

  La versione di La rabouilleuse in Il colonnello Bridau, m’aveva fatto sospettare per il lavoro francese, quello che è accaduto per il Pane altrui e per i Piccoli borghesi: e cioè, una di quelle trasposizioni delle figure del dramma, per modo che una di coteste, pur essendo stata posta dall’autore nel secondo piano della trama scenica, venisse dal traduttore rinforzata tanto da divenire la principale [...].

  Non è così, invece, nel Colonnello Bridau: perché, se il signor Fabre chiamò La rabouilleuse, queste scene che trasse dal mirabile Ménage d’un garçon di Honoré de Balzac, pure Flora Brazier – la rabouilleuse o pescatrice di fiume – non è affatto la principal figura di esse, come non lo è stata nelle granitiche pagine del Balzac.

  Da questa constatazione si può trarne un’altra utile al giudizio del lavoro: il quale – mi è caro subito di notarlo – iersera suscitò un’ammirazione spontanea ed incondizionata, tanto da affermare una volta di più la potenza della sintesi, nella quale Balzac, viva, strinse l’umanità. [...].

  Perciò, dunque, il signor Fabre deve ringraziare del successo dell’nico atto da lui pensato il traduttore o l’attore italiano: e noi dobbiamo, poi, altrettante grazie rendere a lui, per aver dato modo di conoscere la potenza di Balzac a tanta brava gente che va volentieri a teatro, ma che non ha letto né leggerebbe mai la Commedia umana. [...].


  Tito Zanardelli, Honoré de Balzac (1799-1850), in Pages détachées … cit., pp. 118-119.

  Bénédictin du roman, au dire de Théophile Gautier, travailleur infatigable sur un champ on ne peut plus étendu, peintre fidèle des mœurs contemporaines, il a eu soin d’étudier la société dans ses différents milieux et dans ses différentes manifestations. Il a réuni pour cela, dans son œuvre, le plus riche répertoire de documents humains qu’il était possible de réunir à son époque. Le contenu de ce qu’il appelle lui-même : La Comédie humaine est en effet une suite d’études morales et psychologiques sur un fond prodigieux de faits bien avérés, mais accrus et altérés par l’invention romanesque, qui parfois, creusée dans le vide et dans l’invraisemblable, porte atteinte à cet esprit de réalité qu’il poursuit toujours et partout, en tant qu’initiateur du réalisme moderne. – Grâce à sa nature exubérante et protéiforme, à la variété de ses sujets, de ses types, de ses procédés techniques, et à son sentiment esthétique, qui courait après toutes les grandes créations de l’art, sans direction fixe, il n’a pas eu seulement du succès en France, mais aussi en Italie, en Russie, en Pologne, en un mot, dans toute l’Europe. L’auteur immortel d’Eugénie Grandet, du Colonel Chabert, des Parents Pauvres, du Père Goriot, de la Peau de chagrin et de la Recherche de l’absolu, tout en étant l’égal d’Eugène Sue en invention et en fécondité, fut supérieur et bien supérieur à Alexandre Dumas, à Georges (sic) Sand et à Frédéric Soulié à tous les autres points de vue.


  N.[icola] Zingarelli, La perfezione artistica della poesia provenzale, «Nuova Antologia di Lettere, Scienze ed Arti», Roma, Direzione della Nuova Antologia, Quarta Serie, Volume Centotredicesimo della Raccolta, Volume CXCVII, Fascicolo 787, 1° ottobre 1904, pp. 372-384.
  p. 372. I progressi della filologia romanza nella stima generale devonsi alla maggiore perfezione e consapevolezza dei suoi fini, e al cresciuto suo campo. Sorta nel primo ventennio del secolo XIX dalle varie correnti dell’erudizione francese, col Raynouard, e dal romanticismo poetico, che avvolgeva l’Europa, serbava allora due caratteri spiccati, l’uno della curiosità storica e linguistica […], l’altro di ammirazione sentimentale verso un’età fantastica penetrata di poesia e di fede. […] essi trovarono un nuovo mondo da esplorare: e da una parte risalirono alla remota letteratura latina del Medio Evo, dall’altra discesero al Manzoni e al Balzac.


   [1] Lettura fatta al Circolo Filologico di Firenze la sera del 29 marzo 1897. [N.d.A.].
   [2] Segnalato e commentato da R. de Cesare, Capuana e Balzac … cit., pp. 109-110. È da questo prezioso studio che trascriviamo i passi riguardanti Balzac che qui riportiamo.
   [3] Citazione tratta da Une Fille d’Eve.

Marco Stupazzoni