giovedì 14 giugno 2018



1919


Traduzioni.


  [Balzac], Balzac e la Signora Hanska (1838), in AA.VV., Lettere d’amore scelte fra le più belle. Traduzione, Prefazione, Introduzioni e Note di Ada e Giovanni Meille, Milano, Casa Editrice Sonzogno, s. d. [1919], pp. 135-138.

  Si tratta della traduzione, alquanto approssimativa, di tre lettere inviate da Balzac a Madame Hanska: da Milano, 5 giugno 1838, pp. 135-136; [da Passy], 1 marzo 1844, pp. 136-138; [da Passy], 12 settembre 1845, p. 138[1]. In quest’ultima missiva, il traduttore accorpa in un unico testo alcune sequenze testuali tratte da due lettere all’Etrangère: quella del 12 settembre e quella inviata il giorno seguente (13 settembre).

  Il corpus di queste tre lettere balzachiane è preceduto da una breve introduzione dei curatori che trascriviamo integralmente:

  A Neufchâtel, Onorato di Balzac e la signora Hanska s’incontrarono per la prima volta. La signora era sposata ad un uomo attempato ch’essa infinitamente rispettava e dal quale aveva avuto una bambina. Essa lottò enormemente perché voleva salvaguardare ad un tempo la sua passione pel romanziere ed il suo dovere di moglie.

  Nel 1833, Balzac tornò a vedere la signora Hanska a Ginevra; la loro corrispondenza durava da due anni.

  Essi passarono insieme tre giorni deliziosi, si giurarono perpetuo amore e adottarono per motto le parole Adoremus in aeternum. Ella gli promise la vita; egli giurò di aspettarla. Soltanto sedici anni dopo era loro concesso di realizzare il loro sogno.


  [Balzac], Antologia dell’amore (Lettere di amanti celebri e liriche dei più noti poeti). Balzac e la signora Hanska (1838-1845), in Jules de Gastyne, Padre e figlie (Père et filles). Romanzo. Tradotto dal francese da Mario Buggelli, Milano, Casa Editrice Sonzogno, s. d. [1919] («Biblioteca Romantica Economica»), pp. 93-95.

  Cfr. scheda precedente.


  Onorato di Balzac, I Celibi II. Casa di Scapolo di Onorato di Balzac, Milano, Fratelli Treves, Editori (Tip. Treves), 1919 («Biblioteca Amena», N. 738), Quarto migliaio, pp. 287.

  Cfr. 1908.


  Onorato Balzac, Cesare Birottò. Romanzo di Onorato Balzac. Traduzione di Galeazzo Falconi, Milano, Fratelli Treves, Editori (Tip. Treves), 1919 («Biblioteca Amena», N. 729), Quarto migliaio, pp. XI-307.

  Struttura dell’opera:

  Galeazzo Falconi, Balzac e la “Commedia Umana” in Italia, pp. V-XI;

  Parte Prima. Cesare al suo apogeo, pp. 1-158;

  Parte Seconda. Cesare alle prese con le disgrazie, pp. 160-260;

  Parte Terza. Trionfo di Cesare, pp. 261-306.

  Cfr. 1906; 1907.


  Balzac, Il figlio maledetto. Gambara. - Massimilla Doni, Milano, Fratelli Treves, Editori (Tip. Fratelli Treves), 1919 («Biblioteca Amena», N. 826), Quarto migliaio, pp. 311.

  Struttura dell’opera:

  Il figlio maledetto, pp. 1-128;

  Gambara, pp. 129-206;

  Massimilla Doni, pp. 207-310.

  Cfr. 1914.


  Onorato di Balzac, Giovanna la pallida. Romanzo di Onorato di Balzac. Traduzione di Elio Jona, Milano, Fratelli Treves, Editori (Tip. Fratelli Treves), 1919 («Biblioteca Amena», N. 786), Terzo migliaio, pp. 326.

  Cfr. 1910.


  Onorato di Balzac, Illusioni perdute di Onorato di Balzac. I. I due Poeti. Un grand’uomo di provincia a Parigi. II. Un grand’uomo di provincia a Parigi. Eva e David, Milano, Fratelli Treves, Editori, 1919 («Biblioteca Amena», NN. 758-759), Quarto migliaio, 2 volumi, pp. 315 e 293.

  Cfr. 1909; 1917.


  Onorato di Balzac, Gl’impiegati. Romanzo di Onorato di Balzac. Prima traduzione italiana di L. Agnes, Milano, Casa Editrice Sonzogno, 1919 («Biblioteca Universale», N. 199-200), pp. 196.

  Cfr. 1890; 1893; 1906; 1911.


  Balzac, L’Israelita. Romanzo, Milano, Fratelli Treves, Editori, 1919 («Biblioteca Amena», N. 826), Terzo migliaio, pp. 326.

  Cfr. 1912.


  Balzac, Il Martirio, Firenze, Editore Quattrini Casa Editrice Italiana, 1919 («Biblioteca Amena Quattrini»), pp. 74.

  Cfr. 1917.


  Onorato de Balzac, Memorie di due giovani spose di Onorato de Balzac. Romanzo. Traduzione di Mario Domenichini, Lanciano, Carabba Editore, 1919 («Scrittori italiani e stranieri», N. 117), pp. 248.

  Condotta sul testo dell’edizione originale (Furne, 1842), la traduzione che Mario Domenichini fornisce di Mémoires de deux jeunes mariées può considerarsi, nel complesso, accettabile.


  Onorato Balzac, Scene della vita di provincia. Orsola Mirouet. Romanzo di Onorato Balzac. Prima traduzione italiana del Dott. Attilio Leproux, Milano, Fratelli Treves, Editori, 1919 («Biblioteca Amena», N. 843), Terzo migliaio, pp. 293.

  Cfr. 1913.


  Balzac, Piccole miserie della vita coniugale, «Il Romanzo Quattrini. Pubblicazione settimanale dell’Editore Quattrini», Firenze, Serie A, N. 409, 4 Dicembre – N. 410, 11 Dicembre 1919, pp. 1-38; 41-80.

  È riproposta la traduzione (anonima) dello studio analitico balzachiano pubblicata dai Fratelli Treves Editori in Milano a partire dal 1901. Rispetto all’edizione milanese, non è qui presente la traduzione della Préface où chacun retrouvera ses impressions de mariage.


  Balzac, Splendori e miserie delle cortigiane. Ester felice. Quanto costa l’amore ai vecchi. Dove conducono le cattive strade, Milano, Fratelli Treves, Editori (Tip. Treves), 1919 («Biblioteca Amena», N. 771), Quarto migliaio, pp. 364.

  Cfr. 1909.


Studî e riferimenti critici.

 

 

  Voci umane di tutti i tempi, «La Piazza di Cecina», Cecina, Anno II, N. 2, 18 Gennaio 1919, p. 1.

 

  Essa non ha amato – disse Aquilina con un tono di voce profondo. Non ha mai fatto cento leghe per andare a divorare con mille delizie uno sguardo o un rifiuto. Non ha attaccato mai la sua vita a un capello né ha mai tentato di pugnalare parecchi uomini per salvare il suo sovrano, il suo signore, il suo Dio. [Citazione tratta da La Peau de chagrin].

Balzac.




  Voci umane di tutti i tempi, «La Piazza di Cecina», Cecina, Anno II, N. 3, 25 Gennaio 1919, pp. 1-2.

 

  p. 2. ... L’amore astratto non basta ad un uomo povero e grande. Egli ne vuole tutte le abnegazioni. Le creature di poco intelletto, che passano la loro vita a provare dei cachemire, o che si fanno gli attaccapanni della moda, non hanno abnegazione. Ne esigono invece, e vedono nell’amore il piacere di comandare non quello di ubbidire.

  La vera sposa, in carne e in ossa, si lascia trascinare là dove vuole colui nel quale risiedono, la sua vita, la sua forza e la sua felicità. [Citazione tratta da La Peau de chagrin].

Balzac.




  Voci umane di tutti i tempi, «La Piazza di Cecina», Cecina, Anno II, N. 6, 1 Marzo 1919, p. 1.

 

  Sì! Chi dice arte, dice menzogna. L’amore passa attraverso trasformazioni infinite prima di mischiarsi per sempre alla nostra vita e tingerla per sempre del suo colore di fiamma. Il segreto di questa infusione impercettibile sfugge all’analisi dell’artista. La vera passione si esprime con gridi e sospiri, noiosi per un uomo freddo.

  Bisogna amare sinceramente per associarsi ai ruggiti di Lovelace, leggendo Clarissa Harlove (sic). L’amore è una sorgente ingenua, partita dal suo letto di crescione, di fiori, di sassolini, che, ruscello o fiume, cambia di natura e d’aspetto ad ogni fiotto e si getta in un incommensurabile oceano dove gli intelletti incompleti vedono la monotonia, e dove le grandi anime s’inabissano in perpetue contemplazioni. [Citazione tratta da La Peau de chagrin].

Balzac.


  I Divertimenti. “La donna abbandonata” al Cinema Royal, «La Stampa», Torino, Anno 53, Num. 92 , 2 Aprile 1919, p. 3.

  Bellezza, arte ed eleganza fusi in un tutto armonico con una ricchissima messa in scena della Tiber e una splendida fotografia, diedero veste cinematografica al tragico romanzo di Onorato di Balzac: La donna abbandonata. Hesperia, Tullio Carminati, la coppia affiatatissima che tanto successo ottiene in cinematografia, confermano una volta di più le loro preclari doti interpretative: Hesperia, elegantissima e quanto mai «signora»; il Carminati, aristocraticamente persuasivo […].


  Echi e notizie, «Il Cinematografo. Giornale quindicinale dell’arte e dell’industria cinematografica», Napoli, Anno I, Num. 2, 15 Aprile 1919, p. 6.

  Alla Lombardo Film, sotto l’abile e sapiente direzione del signor A. Devarennes, è terminata or ora la esecuzione del grande film “Vautrin” tratto dalla celebre opera di Onorato de Balzac. Il protagonista Vautrin è stato personificato dal Comm. Giovanni Grasso con una perfetta verità.

  Questo film, attraverso una serie di appassionate avventure, è chiamato al più grande successo […].


  “Le beau Gaudissart”, «Corriere della Sera», Milano, Anno 44, N. 136, 17 Maggio 1919, p. 2.

  Festoso, dunque, il signor René Finon, professore di scienze politiche e turcimanno della Delegazione austriaca a Saint-Germain en Laye: pieno di riguardi, pieno di amabi­lità per gli ospiti di Vienna e, sopra tutto, infinitamente contento di se stesso. Ci sem­bra d’averlo davanti, di ammirarlo in per­sona, coi modi e l’aria giuliva del commes­so-viaggiatore che si sente sul punto di condurre a termine un ottimo affare. E torna nella memoria, appena un po’ più rumoroso e più faceto, uno dei migliori riusciti per­sonaggi di Balzac: il bel Gaudissart.


  Echi e notizie, «Il Cinematografo. Giornale quindicinale dell’arte e dell’industria cinematografica», Napoli, Anno I, Num. 5, 1° Giugno 1919, p. 6.

  Una nuova Società per Edizioni di films d’arte sta per essere costituita a Roma, la Paris film […].

  Intanto, se un’indiscrezione ci può essere concessa, possiamo annunziare che il primo lavoro che la nuova Casa editerà, sarà La donna di trenta anni di O. de Balzac.


  Cronache parigine. Nuove opere di Paul Bourget […], «La Stampa», Torino, Anno 53, Num. 211, 3 Agosto 1919, p. 3.

  L’Echo de Paris pubblica un lungo e interessante colloquio che il suo redattore letterario Gerard Bauer ha avuto con Paul Bourget. Il celebre scrittore ha conversato a lungo della sua ormai lunga giornata di lavoro. Egli ha detto di amare la fatica quasi più dell’arte. «Quando – disse – ci si consacra a un mestiere bisogna farlo con passione; sia esso manuale, sia intellettuale. Non lasciatevi prendere dallo scrupolo critico. Scrivete uno, due, tre, quattro, cinquanta romanzi; se, tra essi, ce ne sarà uno che si chiama Manon Lescaut o Eugénie Grandet, potrete morir tranquillo, quando verrà la grande ora del riposo eterno. I grandi scrittori non furono mai artisti troppo minuziosi e amanti di sottigliezze. Pensate a Balzac! Quanta verità e quanta ricchezza. Io mi ricordo di aver trovato un mattino Barbey d’Aurevilly solo, curvo davanti a un volume della Comédie Humaine. Egli mi fece vedere le sue mani di lavoratore, distese e con una voce piena di ammirazione e di rimpianto disse: «Questo Balzac mi fa disperare …». […].

  Bourget lavora quindici ore al giorno: di mattina, di sera e anche al pomeriggio. Sul suo tavolo sono aperti e ammucchiati i volumi di Balzac.


  I processi di spionaggio in Francia. Rievocazioni di Bouchardon, «Corriere della Sera», Milano, Anno 44, N. 213, 3 Agosto 1919, p. 3.

  Il peggiore dei traditori fucilati, ma anche il più singolare e il più romanzesco, fu Duval, implicato nella faccenda del Bonnet Rouge. Bouchardon lo paragona all’eroe di un Grand homme de Province di Balzac, quel Vermon, uomo geniale inacidito e miscono­sciuto, marito di una donna inferma e padre di figli infermi, che si vendica della società che gli rifiutava il posto che eragli dovuto con un odio tenace.


  Piccola Cronaca. E ci scrive anche la Paris films, «La Cine-Fono. La Rivista Fono-Cinematografica», Napoli, Anno XIII, N. 398, 10-25 Agosto 1919, p. 68.

  Ci pregiamo comunicarle, con preghiera d’inserzione nel suo pregiato giornale, che la Paris film ha già ultimato i due soggetti annunziati dalla stampa: «La donna di 30 anni» di O. di Balzac e «Racconti di Natale», messi in scena dal sig. A. De Varennes […].


  Piccola Cronaca. L’attività della Flegrea, «La Cine-Fono. La Rivista Fono-Cinematografica», Napoli, Anno XIII, N. 400, 11-25 Settembre 1919, pp. 88-89.

  p. 89. Fra le film in lavorazione […] notiamo: […] «La maschera e l’amore» da l’«Amour masqué» di Balzac (sic), con la Xeo e C. A. Calabrese […].


  Varietas. La gloria è il sole dei morti, «La Basilicata. Giornale della sera», Napoli, Anno I, Numero 91, 27 Settembre 1919, p. 3.

  E’ proprio vero, come disse Balzac, che la gloria è il sole dei morti.


  Informazioni. Paolo Nocito, «L’Arte cinematografica. Rassegna mensile illustrata», Roma, Anno II, N. 8-9, Settembre-Ottobre 1919, p. 22.

  L’attore […] termina i suoi impegni con la Paris film di Napoli, dove sostenne il ruolo di primo attore a fianco di Gianna Terribili Gonzales nella «Donna di 30 anni» di Balzac […].

 


  La fisiologia del matrimonio, «La Tribuna», Roma, Anno XXXVI, N. 253, 14 Novembre 1919, p. 2.

 

 Il richiamare oggi alla mente dei nostri lettori il ricordo dell’acuto studio che Onorato De Balzac volle compiere sull’andamento della vita famigliare intima, a vantaggio specialmente dei giovani mariti, non deve ritenersi una inutile riesumazione di vecchia letteratura. Il genio e le sue divinazioni non sono attaccabili dalla labe della vecchiaia, ed oggi che la vita della famiglia è resa tanto difficile da un complesso di circostanze a tutti note, i consigli del grande autore della «Commedia Umana» sono di attualità. [...].


  Tito Alacevich, Sfogliando fra i programmi. “L’intorbidatrice” (Il Colonnello Bridau) – della Cosmopolis – al Cinema Olimpia di Roma, «film. Corriere dei Cinematografi», Napoli-Roma, Anno VI, Numero 6, 23 Febbraio 1919, p. 5.

  Io non voglio fare dei confronti tra l’opera di Onorato Balzac e questa riduzione cinematografica. La quasi totalità della gente, che va al cinematografo, non si pasce di letteratura e giudica le “films” per quelle che sono nel loro contenuto artistico, estetico e fotografico e non per ciò che dovrebbero essere rispetto alle fonti onde sono tratte. […].

  La critica potrà dire che nell’Intobidatrice ci sono delle manchevolezze d’azione per parte delle figure comprimarie, che certi quadri sono goffi; ma deve riconoscere che i quadri principali, quelli per esempio di Waterloo e del 14 luglio, sono stati assai bene composti, che le figure mascoline sono tutte indovinatissime per il loro “physique du rôle” e che le due principali figure femminili (Flora e Marietta), se proprio non hanno il carattere artistico perfetto, sono tuttavia impersonate da due attrici valenti e belle, Pepa Bonafè e Nelly Pinto. […].


  A. Mario Antonioli, I cento anni della “Società del Giardino”, «Il Mondo. Rivista settimanale illustrata per tutti», Milano, Anno V, N. 17, 27 Aprile 1919, pp. 15-18.

  p. 17. Egli [A. Bruschetti, cfr. 1899] ci ricorda le persone che frequentavano i locali, che furono socie, nel volgere degli anni. È una lunga teoria di nomi famosi in ogni campo, nelle lettere, nella musica, da Vincenzo Monti a Tommaso Grossi, da Massimo d'Azeglio a Gian Domenico Romagnosi, da Onorato Balzac a Francesco Liszt, da Daniele Stern al valoroso pianista Thalberg. E fra i più puri patrioti erano soci il conte Belgioioso e Tullio Dandolo.


  Luigi Barzini, La Conferenza. La decisione di Spa e il pericolo di un dissolvimento in Germania, «Corriere della Sera», Milano, Anno 44, N. 96, 6 Aprile 1919, p. 4.

  Questo stato d’animo è comprensibile e dovrebbe essere considerato come una suprema ragione di urgenza da chi porta la responsabilità delle decisioni della pace. E’ un elemento che corrode tutto e intacca sempre più i frutti della vittoria, poiché è evidente che la Germania disorganizzan­dosi progressivamente sopporterà sempre minor peso. Essa può dar oggi meno di ie­ri e potrà dare domani meno di oggi. Ogni giorno che passa porta alla deriva un pez­zo della vittoria che si restringe continuamente come la «peau de chagrin» fatata dell’eroe di Balzac.


  Paolo Bellezza, La Commedia delle lingue, «La Lettura. Rivista mensile del Corriere della Sera», Milano, Anno XIX, N° 8, Agosto 1919, pp. 581-588.

  p. 587. Il Balzac narra che durante il suo soggiorno in Austria, con la più assoluta ignoranza del tedesco, invece di chiedere al vetturino quanto gli dovesse per la corsa, gli metteva in mano un kreutzer, poi un altro, poi un altro ancora, e così via, spiando ogni volta il viso del suo uomo. Quando lo vedeva sorridere, non dava più altro.


 Massimo Bontempelli, Il caso di forza maggiore. Romanzo d’avventure. (N. 2 della Serie “La vita intensa”). Lettera dedicatoria alla signorina Ardita, «Ardita. Rivista mensile del Giornale “Il Popolo d’Italia”», Milano, Anno I, N. 2, 15 Aprile 1919, p. 70. 

 Ah, badi che “La vita intensa”, che era il titolo del romanzo d’avventure di Marzo, rimane il titolo di tutta la serie. Tutt’insieme fanno dunque, come suol dirsi, un “ciclo secondo il sistema di Emilio Zola, Salvator Gotta, Onorato Balzac, e simili, tra cui ho l'onore di firmarmi anch’io per il di Lei, gentil Signorina, dev.mo e obbl.mo

Autore

 

 Massimo Bontempelli, Il Dramma eccentrico del 31 Aprile ovvero Delitto e Castigo. (N. 4 della Serie “La vita intensa”), «Ardita. Rivista mensile del Giornale “Il Popolo d’Italia”», Milano, Anno I, N. 4, 15 Giugno 1919, pp. 213-220. 

 p. 213. A questo punto Balzac descriverebbe accuratamente l’architettura esterna e l’arredamento interno del locale, con richiami culturali alla storia di quel quartiere e riferimenti genealogici agli oscuri antenati dei proprietarii la bottega. Io non lo faccio, per segnar bene qui, una volta per tutte, la differenza tra me e l’autore della Commedia umana.


 Corso Bovio, Romain Rolland, Napoli, Libreria Editrice “La Luce del Pensiero”, 1919. 

 p. 4. Forse Jean Cristophe non corse il mondo, portando il brivido di un pensiero nuovo? In quelle pagine voi sentite l'ultimo raggio dello spirito di Balzac rinnovato nelle ansie della coscienza moderna.

 pp. 9-10. Mentre ciò accadeva, le Accademie, piccole repubbliche di intrighi e di commerci letterarii, simulavano di raccogliere la sapienza ufficiale e distribuivano patenti e diplomi di immortalità, come i vescovi sgominati da Lutero distribuivano misericordie e indulgenze. Così, in breve tempo la Francia fu coperta di canonicati e il nobil mestiere delle arti fu trasformato in un mercato di ortaggi. La grande ombra di Balzac, colui che folgorò tutti i mercimoni, sollevando la bandiera del rinnovamento intellettuale, era scomparsa nella caligine del tempo: e innanzi alla sua pietra ardeva soltanto qualche lumicino disperso, acceso dalla memoria di qualche raro discepolo, che, uscendo dal quartiere latino, recava al Maestro la testimonianza che la luce dei Grandi non è mai del tutto spenta.


  Sac. Dott. Giovanni Casati, Fra libri e autori condannati dall’“Indice”. Balzac, «Rivista di Letture. Bollettino della Federazione Italiana delle Biblioteche Cattoliche», Milano, Anno XVI, N. 7, 15 luglio 1919, pp. 97-101.

  Un onesto traduttore di alcuni romanzi di Balzac nel 1838 o giù di lì, si faceva dovere di annotare nella prefazione alla traduzione del Cesare Birotteau:

  «La lettura delle opere di Balzac non suole inspirare uno straordinario buon concetto del cuor umano. Un avaro che sforza il fratello a torsi la vita nell’infamia anziché privarsi d’un obolo dei suoi quattordici milioni; una fanciulla che tutto ha sagrificato per salvare l’onore di un cugino, rimeritata coll’abbandono e poco meno che col disprezzo; l’esosa improntitudine di due figlie che veggono morirsi dall’inedia un padre che spogliarono e trassero a lunga morte, né tampoco pensano a concedere onore di tomba a povero vecchio che la sua vita, ogni suo bene ripose nel vederle felici; un beffardo sorriso volto alle più sante virtù, la turpitudine de’ vizii considerata come conseguenza dell’umana natura, il cuore tenuto puramente come un viscere, il cervello come veicolo di esterne impressioni, l’uomo come una macchina mossa dal caso, il dare e l’avere unica verità, il soddisfacimento de’ bisogni unico piacere, la mala fede, le frodi, lo scherno di ogni sociale virtù coronati da ottimi successi, che passeggiano vanitosi e inchinati fra la virtù raminga e cenciosa, tutto al più dimenticanza alle prime né una parola di conforto alla seconda, sono desolanti quadri di società presentati dal grande anatomico del cuore umano».[2]

  Chi dettava questo severo, ma giusto giudizio, traduceva e riduceva pel colto pubblico italiano, la Storia della grandezza e decadenza di Ce­sare Birotteau profumiere, Cava­liere della Legion d’onore, aggiunto al Maire del secondo distretto della città di Parigi, scritta da Onorato Balzac.

  Il misero Cesare Birotteau, buon uomo in fondo, fatalmente aveva assorbito l’atmosfera di cui era pregna quella società che il Balzac vedeva come sola e veramente esistente, e di quell’atmosfera avvelenata rima­neva vittima, quasi incosciente, senza che nessuna forza, nè famigliare nè religiosa, nè morale o civile, potesse trarlo dalla fatale rovina.

  Quello che Leopardi filosofò nelle sue Operette morali, Balzac dipinse, come romanziere, nobilitando per così esprimermi, ad arte il mestiere del cronista, nel tesser le vicende de’ suoi personaggi, con evidenza di caratteri e di fatti, come nella cronaca degli avvenimenti veri.

  Pessimismo o scetticismo o sa­tira? Forse e l’uno e l’altro e l’altra, a formare quella Commedia umana, che doveva essere il titolo generale del ciclo romantico del Balzac.

  Gli intrecci a cui il nostro tradut­tore allude, non sono però del libro ch’egli con un fondo di buona co­scienza riduceva, ma di altri romanzi, e primo di tutti, di quella Eugenia Grandet, spirito sì soave e buono, e sentimentale, messo apposta per render più duro il contrasto delle anime infami e tiranniche di suo padre, ed anche del cugino da lei protetto.

  Del romanzo di Eugenia Grandet, che va tra i migliori, anche moral­mente, è bene dire parola. Si può tuttavia affermare in generale che in ogni romanzo di Balzac il prota­gonista non è mai dissimile da quello del signor Grandet padre di Eugenia; e se ne ha un tipo in quello degli Im­piegati, il signor Clemente des Lupeaulx:

  «Costui era egoista e vano, pie­ghevole e fiero, libertino e goloso, avido di denaro a causa dei suoi debiti, muto come una tomba, dalla quale nulla esce per non smentire l’iscrizione fatta solo per chi passa, intrepido e senza paura quando sol­lecitava qualche favore, gentile e spiritoso, in tutto il significato della parola, e beffardo a tempo; inoltre era disposto a far mercato di sè e così abile da compromettere gli altri con una carezza come con una go­mitata; volterriano accanito andava a Messa nelle chiese più frequentate quando vi era raccolta molta gente. Insomma il segretario generale ras­somigliava a tutte le mediocrità che sono per il mondo politico il famoso punto d’Archimede. Sapiente della scienza altrui esso aveva assunto con tutti la parte di uditore; certo non ce n’era altro più attento ed allo stesso modo, per non destare sospetti, si sprofondava in adulazioni fino alla nausea, s’insinuava come un pro­fumo ed era prodigo di moine al pari di una donna svenevole».

  Ma fu proprio questa così gene­ralizzata società umana fatta di fin­zioni e di ipocrisia meditata, la so­cietà vissuta da Balzac? O fu esso pure di quella scuola di reazione o meglio di rivoluzione dei principii della società religiosa, di coloro che, professando una religione naturale, si sbizzarrirono a raccontare tutti i mali della società ispirata al cristia­nesimo? O fu la sua un’arte esage­rata, di realismo, che lo portava a vedere e a copiare solo il male, e a dare ad esso solo ragione di mo­vente nell’umano consorzio, appunto per un errore filosofico di generalizzazione?

  Per certo i realisti moderni ten­gono Balzac per loro capo; ma egli si distacca affatto, o almeno non fa professione di essere di coloro, da quella scuola, che con Stendhal, Hugo, Dumas, ecc., vilipesero la società cristiana. Per quanto Balzac, ad esempio nello Scomunicato, ap­plichi la stessa teoria del calcolo alla religione e alle sue istituzioni: il principe, per togliersi un nemico, lo uccideva, l’abate lo scomunicava, ed entrambi nella più perfetta buona fede!

  Onorato de Balzac (nato a Tours il 20 maggio 1799) fu non solo uno dei più fecondi romanzieri del suo tempo, ma lasciò più d’ogni altro traccia nel popolo francese, che a lui più che ad altri dedicò accademie e circoli, che l’effigie sua ritenne sempre come simbolo di qualcosa d’idealmente francese.

  Forse contribuì a questo la vita stessa bizzarra dello scrittore, il suo fervido genio, l’opera voluminosa, poderosa, la tenacità e sovratutto l’instancabilità inesauribile del suo lavoro. Si dice che, preso tutta la vita da mania di speculazione commerciale e indebitatosi chi dice di 200 mila, chi di due milioni di lire, bene o male riuscisse poi a pa­gare. Dettava più romanzi per volta, tenendo gli amanuensi separati in varie stanze, tormentatissimi da lui che da l’una a l’altra passava, in preda ad esaltazione; dettava più che altro tracce, le quali poi passavano allo stampatore, tracce che rivedeva in seguito, per ritornarle mutate affatto, con lunghe aggiunte di volta in volta, talora fino alla 18° prova, con quali noie e lamentele ognun pensi, fino a dare completo il romanzo, che, per la fretta, mancò quasi sempre di perfezione, sebbene indicasse una mente poderosa.

  Fu la vita del romanziere provata dalle traversie e dalla sconoscenza, dalla dimenticanza; tantoché la sua fama prese a brillare dopo la sua precoce morte, rimpianta come quella d’un genio. Tipo bizzarro, un origi­nale di primo ordine, fu suo padre, dalla conversazione col quale assai prese il figlio pe’ suoi personaggi. Era poi metodo del romanziere uscendo di teatro tener dietro inosservato a qualche comitiva del popolo, udire i loro discorsi, che dalla rappresenta­zione teatrale finivano nei loro inte­ressi, e appena a casa, buttare in carta tutto il vivo dialogo udito.

  Si dice che Balzac fosse cattolico e monarchico, benché ai correligio­nari politici inviso.

  Ne’ suoi libri affetta indifferenza di principi. Se ha pagine insupera­bili sulla religione cattolica e sulla missione del sacerdozio (come nel Curato del villaggio), toglie in libro di uguale indole (Il medico di cam­pagna) l’aureola già posta per con­trapporvi la filantropia del medico. Prete, medico e avvocato, a lui che trattava le piaghe sociali furono i tre personaggi indispensabili di ogni ro­manzo. Espone anzi nel Medico di campagna la sua teoria pratica, sul compito di quelle tre classi, teoria che ripetè a più riprese, e compen­diò in una novella, salvo errore in Il lutto (sic):

  «Vi sono tre uomini nella nostra società che non possono aver stima del mondo, il prete, il medico e l’av­vocato, tre uomini che veston di nero perché portano il lutto di tutte le virtù, di tutte le illusioni. Però il prete è nelle migliori condizioni, perché quando l’uomo viene a tro­vare il prete, vi arriva cacciato dal pentimento pei rimorsi, per le cre­denze che lo rendono interessante, che lo fanno grande, e consolano l’animo del sacerdote, la di cui fa­tica non è mai senza gioia, perché egli purifica, ripara e riconcilia».

  Belle parole, invidiabili, se stesser da sole, se non coronassero come epilogo storie tanto desolanti sull’u­mana virtù, se della religione Balzac avesse avuto un concetto più vero, come di azione divina di grazia, capace di sanare quegli individui e quella società che egli non ritenne affatto sanabili!

  L’abitudine di filosofare sui fatti narrati, e quindi di generalizzare a sproposito, fu forse una delle pecche peggiori del romanziere. Dopo aver descritta la rassegnazione pecorina delle donne di casa Grandet che dominate dall’avarizia crudele di lui, pur, suggerite dal confessore, ringraziavan la Provvidenza d’esser tanto fortunate, Balzac soggiunge, bestemmiando:

  «Se dei filosofi si trovassero a con­tatto con donne come Nannina, come la signora Grandet, come Eu­genia, non avrebbero forse il diritto di asserire che l’ironia è l’elemento essenziale nel carattere della Provvi­denza?».

  E giacché ci capita sott’occhio que­sta parola, Provvidenza, è bene ac­cennare di passaggio, come un tal nome troppo spesso corra nei libri di Balzac, ma non è la Provvidenza dei Promessi Sposi, cioè lo scudo divino che protegge di preferenza i poveri, i tribolati, i perseguitati, che vuole il trionfo della loro felicità anche terrena, col castigo del per­secutore, castigo cui però non è estra­nea la voce della misericordia; ma è la Provvidenza che muove gli av­venimenti del Conte di Montecristo o di Giovanni Valjean, cioè un agente romantico qualsiasi, che trae le fila al termine della vendetta raggiunta, del castigo imperdonabile, delle ri­vendicazioni più complete e senza pietà.

  E la virtù, anche nel senso di bontà d’animo, non esiste affatto? Esiste, ma è quella di Eugenia Gran­det, cioè una virtù incosciente di sè, sorta in una ignoranza supina del mondo, accanto al più perverso cal­colatore qual è il babbo suo, virtù che dura così finché non c’è lotta, una cosa tutta passiva; e poi una remissione, benefica e santa se si vuole, ma sotto lo schiacciamento totale della sventura operata dai tristi: poiché tutte così, in una grande pietà, finiscono le eroine di Balzac.

  Due moventi soli ci sono vera­mente nel mondo, l’amor proprio e l’interesse (Eugenia Grandet, c. IV); e poiché in fondo questo si riduce a quello, l’egoismo è il vero padrone dominante, l’avaro il vero tipo del­l’uomo che regna, che ingrassa il debole, lo scanna, lo divora e lo disprezza.

  La morale, unica nella società, è l’applicazione esatta di quel principio:

  «Gli avari non credono punto alla vita futura, poiché per essi il pre­sente è tutto, e questo medesimo concetto diffonde una luce orribile sul mondo odierno, ove più che mai il denaro domina leggi, politica e co­stumi. Istituzioni, libri, uomini e dottrina cospirano insieme a scuotere la credenza in un’altra vita, credenza su cui da diciotto secoli si basa l’edifizio sociale. Tuttavia ci troviamo quasi allo stesso punto, poiché l’avvenire che ci attendeva al di là del requiem fu trasportato nel presente. Giungere per fas et nefas al para­diso terrestre del lusso e delle gioie vanitose, pietrificare il cuore e ma­cerarsi il corpo nell’ansia di beni passeggieri, come un tempo si sof­friva il martirio per acquistare i beni eterni, ecco l’idea di tutti, l’idea stabilita e concretata in ogni luogo, financo nelle leggi, le quali doman­dano al legislatore: Cosa paghi? invece di dirgli: Che pensi? (ib., c. III).

  Come ognun vede, su verità spa­ventosamente vere e che pur oggi tocchiam con mano, Balzac ha edi­ficato generalizzando fino all’esclu­sione del principio del bene, la sua teoria del male: il bene non esiste nella società o è una chimera.

  E in sottolinea si osservi, come a rendere più ributtante il quadro, Balzac non solo fa grandeggiare il suo triste eroe; ma pur quello che desta pietà, cioè la sua vittima, il figlio superstite di suo fratello che non aiutato dal milionario s’era suicidato per debiti; questo nipote salvato dalla pietà di Eugenia che l’amava, ritornato ricco, dà il calcio alla fanciulla, scrivendole per rinun­ciare al matrimonio con lei: «Ho appreso dall’esperienza che bisogna piegarsi alle leggi sociali e riunire nel prender moglie tutte le possibili convenienze». Perciò, pur sentendo d’amarla anche per debito di ricono­scenza, sposò un’altra non amata.

  E la pietà, che la misera c’infonde, sì infelice nel cumulo delle ricchezze ch’ella, rimasta vedova a trent’anni d’un matrimonio a cui fu costretta, usa a beneficare i poveri; e il pro­fumo di quell’anima non tocca dai calcoli dell’interesse, e di quel cuore aperto ai più dolci sentimenti, che del danaro si spropriava, quasi ane­lando a un po’ d’affetto che pur le sfuggiva per fa diffidenza che il da­naro stesso che possedeva comuni­cava intorno, colle tinte sue scialbe in quella vita celeste; e quella mano di lei che molceva le secrete affli­zioni di ogni casa, non valgono, pur con potenti luci di contrasto, a sa­nare la filosofia malsana che si tra­duce dal romanzo.


  Sac. Dott. Giovanni Casati, Fra libri e autori condannati dall’“Indice”. Sue e Sand, «Rivista di Letture. Bollettino della Federazione Italiana delle Biblioteche Cattoliche», Milano, Anno XVI, N. 10, 15 Ottobre 1919, pp. 146-149.

  pp. 148-149. Il Balzac scriveva, a proposito d’un romanzo di Sand, Jacques, queste parole di condanna:

  «Jacques, l’ultimo romanzo di Madame Dudevant, è un consiglio dato ai mariti che son d’impaccio alle lor mogli, di uccidersi per renderle libere. Questo libro è falso da una parte all’altra. Una giovanetta ingenua (è Balzac che sottolinea) lascia dopo sei mesi di matrimonio, un uomo superiore per un vanesio, per un damerino, senz’alcuna ragione fisiologica né morale … Tutti questi autori corrono a vuoto, son saliti a cavallo sull’incavo, e non v’è niente di vero. Preferisco gli orchi, i nani e le belle dormienti nel bosco» (Lettres à l’Etrangère, 834, N. LXXI).


  Benedetto Croce, Postille. Storia artistica e storia sociologica della poesia. Il libro del Brandes, «La Critica. Rivista di letteratura, storia e filosofia», Napoli, Volume XVII (V della Seconda Serie), 1919, pp. 60-64.

  p. 62. La stessa esaltazione, come è naturale, è fatta del Balzac, sebbene per incidente vi accenni, che era mediocre scrittore e gli mancava lo stile (V, 183). E, concedendo tante pagine al Balzac e ad altri scrittori sociologicamente rappresentativi, il Brandes si sente perfettamente scusato, dovendo seguire le «correnti principali» e i «personaggi rappresentativi», di avere accennato appena a un Alfredo de Vigny, e ad altrettali, nella storia sociologica, «personalità secondarie» (Nebenpersonen) (V, 371).


  Benedetto Croce, Note sulla poesia italiana e straniera del secolo decimonono. V. Baudelaire, «La Critica. Rivista di letteratura, storia e filosofia», Napoli, Volume XVII (V della Seconda Serie), 1919, pp. 65-74.

  p. 71. Della letteratura francese del suo secolo non gli piacevano se non Chateaubriand, Balzac, Stendhalal, Mérimée, De Vigny, Flaubert, e gli amici coi quali aveva comuni gli ideali, il Gautier, il Banville, il Leconte de Lisle.


  Benedetto Croce, La guerra e la borghesia (Giornale d’Italia, 17 settembre 1917), in Pagine sparse raccolte da G. Castellano. Serie seconda. Pagine sulla guerra, Napoli, Riccardo Ricciardi Editore, 1919, pp. 216-220.

  p. 217. Ma, passando di pensiero in pensiero, io ho anche riflettuto che giornali conservatori e liberali, indulgendo a un’enfasi rettorica certamente simpatica, vengono da un pezzo descrivendo un fatto che non esiste, e rischiano di crearlo (ossia di crearne le cattive conseguenze), a forza di descriverlo: press’a poco come il Balzac, a furia di descrivere nei suoi romanzi ammobigliamenti di bric à brac, fece sorgere la moda del bric à brac, e non giovò certo al buon gusto moderno.


   Galeazzo Falconi, Balzac e la “Commedia Umana” in Italia, in O. Balzac, Cesare Birottò, Milano, Treves, 1919, pp. V-XI.

  Cfr. 1906; 1907.


 Pier Antonio Gariazzo, Il Teatro muto, Torino, S. Lattes & C, Editori Librai della Real Casa; Firenze, R. Bemporad & Figlio, 1919.

 

La formazione della commedia cinematografica, pp. 62-123.

 

 p. 67. Nel genere tragico trovò come tipo ideale la novella Balzachiana (mi perdoni quel grande); intendo la novella Balzachiana nelle sue degenerazioni, vale a dire: un fatto breve composto di pochi casi normali determinati dalle posizioni reciproche dei personaggi, ed un finale improvviso, inatteso, sanguinoso, violentemente drammatico, sì da piombare sull’animo dello spettatore come l’artiglio di un’aquila.

 p. 72. Onorato di Balzac ci insegnò a murare il rivale vivo in un armadio, ed il rivale, per un onore che non è più del nostro tempo, si lasciò murare in silenzio ...

 

L’alba dell’arte sulla scena cinematografica, pp. 124-187.

 

 p. 179. Inimicizie famigliari per antiche uccisioni — Giulietta e Romeo di Shakespeare, il Cid, parecchie opere di Voltaire, come l’Irene, l’Olimpia, ecc., semplici rivalità famigliari come nei Rantzau di Erkmann Chatrian, o politiche, come in infinite opere dei tempi di agitazioni politiche, ove è di regola che l’eroina scelga per oggetto dell’amore uno dei rappresentanti principali del partito avverso, come nei Chouans di Balzac.


  Cesarino Giardini, Vautrin e l’amore, «Il Mondo. Rivista settimanale illustrata per tutti», Milano, Anno V, N. 4, 26 Gennaio 1919, pp. 4-7.

  p. 4. Paterno Beltalenti era filosofo e stoico. Così almeno diceva. In che consistesse il suo stoicismo non è facile dire: probabilmente si limitava alla definizione scolastica di qualche vocabolario, raccomandante, come prima norma da seguire nell’esercizio di tale disciplina, l’indifferenza. Questo concetto egli chiamava saggezza, ne aveva consegnate le massime regolatrici in un decalogo che egli chiamava appunto «Decalogo del saggio» e che disgraziatamente è andato smarrito. Viveva giorno per giorno, senza preoccuparsi del domani, in una casa ch’era in fondo a una strada solitaria ed erbosa, piena, sotto le gronde dei palazzi, di nidi e di rondini. Come Paterno Beltalenti si fosse deciso a seppellire se stesso nella noia d’una cittadina di provincia polverosa e maligna, a soli cinquantacinque anni, nessuno avrebbe saputo dire. Egli aveva percorso mezzo mondo, s’era smarrito incognito e solitario nel rombare fantastico delle grandi capitali, aveva scalato le altezze ghiacciate delle montagne, s'era recato a cercare la pace all'ombra dei palazzi muti, nelle babeli distrutte, instancabile e incontentabile nell’inseguire i sogni del suo spirito malato. Poi, un giorno, gli era balenato il pensiero che quell’andare continuo e quella ricerca ostinata di qualcosa che non appariva ben chiaro nè pure a lui, esorbitassero dalla vera saggezza. La quale abita più tosto una botte e non chiede che un raggio di sole ai potenti della terra. E s’era fermato. In quell'epoca aveva anche scoperto d’essere tubercoloso. Paterno Beltalenti, ch’era a suo dire filosofo e stoico, si sforzava di vivere saggiamente. Senonchè la sua armatura di indifferenza aveva due punti deboli.

  Il primo riguardava l’amore.

  Paterno non aveva mai amato. […].

  p. 6. Continuò [Bianca] la passeggiata appoggiandosi al braccio di Luciano. Pensò che il loro binomio ricordava singolarmente quello di Cyrano e di Cristiano. Poi, la sua anima analitica scorse la differenza essenziale tra l’uno e l’altro caso. Infatti: Cyrano è innamorato di Rossana – si disse – mentre io non amo menomamente donna Bianca. – Allora si sforzò di trovare un esempio letterario del suo caso e gli parve che il Vautrin balzacchiano rispondesse a questo suo desiderio. Sì... egli riviveva nel discepolo... amava ... (rise come un folle entro di sè) per delegazione.


  Amalia Guglielminetti, La Chiromante. Novella di Amalia Guglielminetti, «L’Illustrazione Italiana», Milano, Anno XLVI, N. 37, 14 Settembre 1919, pp. 277-280.

  p. 279. La sua figura è così graziosa che le è facile riuscire simpatica. Vediamo la mano. — soggiunse Lady Bervik curvandosi su di lei e brandendo di nuovo l’occhialetto d’oro. — Dimmi che mano hai e ti dirò chi sei. Il più grande romanziere Balzac, e il più grande scienziato, Newton, hanno creduto che nella mano sia segnato l’indirizzo della vita.

 

 

  Joseph Lega, Balzac et le cinématographe, «Apollon. Rassegna Internazionale d’arte cinematografica», Roma, Anno IV, Num. 20, 31 Marzo 1919, s.i.p.

 

 Il faut qu’on sache, avant tout, que le Colonel Bridau, le film tiré d’un roman – La Rabouilleuse – d’Honoré de Balzac, édité par la Cosmopoli et interprété par des artistes d’une valeur indiscutable, tels que, entre autres, M.lle Pepa Bonafé et M. Raphaël Mariani, est un ouvrage qu’on ne saurait assez louer et dont le succès se trouve, en quelque sorte, mathématiquement garanti.

  Et il y a de bonnes raisons à cela: D’abord, il est présenté au jugement du public avec la marque d’une maison qui, en dépit de la concurrence, est parvenue, en très peu de temps, à acquérir un développement considérable et à s’attirer de chaudes, d’unanimes sympathies, d’autant plus méritées qu'elle a, grâce à sa largeur de vues en matière de production et au sérieux absolu de ses procédés, contribué efficacement à la renaissance artistique de la cinématographie en Italie.

  En second lieu, la pièce, bien que tirée d’un roman qui semblerait d’une adaptation scénique extrêmement difficile, offre néanmoins une si admirable unité organique, elle se maintient dans une si savante sobriété de lignes, elle suscite un si palpitant intérêt, qu’on jurerait qu’elle a été conçue et agencée expressément pour l’écran.

  C’est pourquoi le Colonel Bridau qui a eu déjà une longue série de projections très courues dans une des salles de spectacle les plus élégantes de Rome, en provoquant, chaque fois, une réelle satisfaction de l’esprit et des yeux, un plaisir d’une intensité frisant l’enthousiasme, ne pourra ne pas rencontrer à l’étranger un accueil aussi chaleureux que celui qu’il a eu dans la Péninsule.

  Nous ne craignons nullement que notre prévision soit démentie. Et cette assurance qui n'a rien de la témérité, car elle est le résultat d’un calcul positif, nous la puisons dans le fait que le Colonel Bridau s’est imposé ici sans la rituelle et tapageuse réclame qui précède et accompagne les films nouveaux, surtout ceux dont la médiocrité intrinsèque a le plus besoin des éloges grassement rétribués d’une presse complaisante et de l’encens— à combien le gramme ? — de thuriféraires faméliques. Le Colonel Bridau s’est passé, disons-nous, de toute espèce de tam-tam et a, quand même, attiré sur lui l’attention aussi bien des élites que des masses.

  L’appellerons-nous un chef d’œuvre? Dieu nous en garde. Il nous répugne d’employer désormais ce vocable, littéralement prostitué dans de hideux accouplements, avec des choses d’une vulgarité nauséabonde. Nous nous bornerons à déclarer que le Colonel Bridau constitue une pièce savamment bâtie, équilibrée et souple et captivante à la fois, un film impeccable, en un mot. C’est là l’unique définition exacte qu’on puisse donner de cet ouvrage cinématographique et en même temps, le meilleur compliment qu’on en puisse adresser à la Cosmopoli.

  Nous n’analyserons pas ici le film en cause, mais nous tenons cependant à relever le sens de vérité, le mouvement pittoresque, l’intérêt croissant qui se dégagent de chacun de ses tableaux, sans jamais coudoyer ni la trivialité, ni le conventionnalisme, ni la «ficelle» dont les fameux «chefs d’œuvre» de l’écran n’arrivent point à se dépêtrer. Il y a des scènes dans le Colonel Bridau où le côté profondément humain et vivant de l’action vous impressionne, vous secoue, vous tord les nerfs, vous étreint à la gorge.

  Les interprètes de la pièce, depuis les protagonistes M.lle Bonafé et M. Mariani, jusqu’aux plus modestes figurants, ont tous été à la hauteur de leur tâche, en animant d’une manière vigoureuse et sentie les personnages dans lesquels ils se sont étonnamment incarnés.

  Voilà les raisons péremptoires qui enracinent en nous la conviction, tantôt exprimée, de voir le Colonel Bridau remporter au-delà de nos frontières le même triomphe qui a couronné, en Italie, les efforts intelligents de la Cosmopoli et de ses vaillants collaborateurs.


  F. [ilippo] T.[ommaso] Marinetti, Democrazia futurista. Dinamismo politico, Milano, Facchi, Editore, 1919.

 

13. Contro l’immonda anzianità, la burocrazia, per il decentramento.

 

  p. 125. Inutile un esame psicologico della questione. In fondo siamo sempre ai termini che Balzac ha immortalato nel suo saggio Les Employés, perché gli uomini saranno sempre gli uomini e le greppie (dico io) sempre saranno le greppie.


  Marino Moretti, Attaccare un bottone, in Conoscere il mondo. Novelle, 1919, pp. 149-161.

  p. 152. Non credi [dice Fides-Corradina rivolgendosi a Sergio] che due sposi debbano essere molto diversi per essere felici? Leggi la Fisiologia del matrimonio di Onorato di Balzac.


  Neera [Anna Radius Zuccari], Una giovinezza del secolo XIX. Prefazione di Benedetto Croce, Milano, L. F. Cogliati, 1919. pp. 203-204.

  Il grande romanziere Balzac, a cui la gloria arrivò tardi, scriveva a sua sorella; ‘Laura, Laura, i miei due soli desideri, essere celebre ed essere amato, saranno essi soddisfatti?


  Alfredo Niceforo, La Misura della vita. Applicazioni del metodo statistico alle scienze naturali, alle scienze sociali, e all’arte. Con 112 tabelle e 29 diagrammi, Torino, Fratelli Bocca Editori, 1919 («Biblioteca di Scienze Moderne», N° 73).


Parte Prima. Capitolo V.

Ancora della variabilità e del movimento.

Distribuzione della ricchezza, pp. 188-280.


  p. 223. Conseguentemente vedono, coloro che abbracciano la tesi di cui di­scorriamo, nelle elevate qualità morali, come la dignità individuale, l’onestà, la più scrupolosa delicatezza, quelle qualità, per l’appunto, che impediscono a un uomo di «arrivare». Concetto che è stato reso con grande amarezza, e sobria precisione, dal Balzac, allorché poneva in bocca al cinico e ambizioso Rastignac, a proposito dell’onesto e valentissimo dottore Bianchon, l’esclamazione: «Pauvre Bianchon! ce ne sera jamais qu’un honnête homme!» (3).

  (3) Balzac in L’interdiction, pag. 206 dell’ediz. del Centenaire.


Parte Terza. Capitolo XI.

Strumenti registratori dei fenomeni e “misura” delle qualità.

§ 210. Lunghezza del periodo nel Balzac, pp. 458-461.


  Si veda, a modo d’esempio, la lunghezza del periodo in un’opera giovanile del Balzac e in un’opera della sua maturità intellettuale, quale è data dalla nostra Ta­bella CIII e dal diagramma (fig. 24) che la traduce. Se ci fermassimo alle semplici applicazioni del metodo infino a oggi seguito, ci accontenteremmo di vedere quante parole ha in media il periodo del Balzac giovane e quanto quello del Balzac maturo: il periodare apparirebbe pressocchè uguale, con 26,2 parole in media per il primo e 25,7 per il secondo. Ma, a guardare la distribuzione seriale (e chiamando ogni classe di grandezze col nome della grandezza centrale), si trova che il periodo più frequente, o punto di densità massima, è effet­tivamente di 8 parole soltanto nel Balzac giovane; brevis­simo dunque; e sale a 23 nel Balzac maturo. In quest’ultimo, per conseguenza, il periodo “tipico” effettivo si fa di mag­giore distesa. Orbene, il tipo concreto effettivo, più frequente, del periodare, anzi che il tipo astratto, medio, è per l’appunto il tipo che, alla lettura, dà di se maggiore impressione, e contribuisce, quindi, a dar carattere allo stile. Oltre di ciò, la distribuzione seriale suggerisce qualche altra osservazione


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  sulla struttura interna della distribuzione stessa. Nel testo del Balzac giovane, ad esempio, si trovano molti periodi bre­vissimi, ma vi si trova anche qualche periodo lunghissimo, di modo che dal periodo “tipico” di sole 8 parole, si va a quelli di più di 70 parole. Di qui una maggiore eterogeneità nell’insieme del periodare esaminato, in confronto con il testo dell’età matura. In quest’ultimo, il periodo balzacchiano sembra, per così dire, raccogliersi: abbandona la forma eccessivamente breve; e presenta, come forma tipica, la forma un poco più lunga (23 parole).


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  La distribuzione degradante intorno al periodo di lunghezza tipica, o normale, si fa in modo che appare un po’ diverso da quel che era nell’opera di gioventù. Misura di tale diverso disperdersi della lunghezza del periodo, e cioè di questo diverso grado di eterogeneità che, per mescolanza di periodi di varia lunghezza, presen­tano i due testi posti a fronte, potrebbe aversi calcolando la dispersione di ogni distribuzione, e si vedrebbe che essa ri­sulta assai più alta per il Balzac giovane (indice 22,10) che per il Balzac maturo (16,25).

  Si intenda bene che non diamo qui se non un esempio del modo con cui possono tradursi in seriazione alcune caratte­ristiche di uno stile, ma non veniamo a conclusioni definitive nel caso qui esaminato, perché tali paragoni dovrebbero anche farsi su periodi, o pagine, il più possibile omogenei in quanto alla natura del contenuto, e cioè non si dovrebbero confron­tare che le descrizioni con le descrizioni, i dialoghi con i dialoghi: il periodare del dialogo, per esempio, è spesso, di sua stessa natura, più breve di quello della descrizione. Nel caso qui esaminato i due brani sono, è vero, a un di presso a metà descrittivi (o narrativi; e a metà dialogati, ma una maggiore distesa nella rilevazione, e una assoluta separazione dei generi, sarebbe necessaria prima di giungere a conclusione definitiva.

  § 211. — Il diagramma della fig. 24 attira in modo abbastanza efficace l’attenzione dello studioso sulla differenza che potrebbe esservi nel modo di periodare (in quanto alla lunghezza del periodo) tra il Balzac giovanissimo e il Balzac già letterariamente maturo (1).

  (1) Ripetiamo che noi non abbiamo voluto dare che esempio del modo di procedere, o suggerire ricerche. Parte delle ricerche di cui abbiamo indicato la necessità furono già da noi condotte e saranno forse un giorno pubblicate: tra le caratteristiche, ad esempio, che si possono mettere in evidenza, con seriazioni e diagrammi, tra lo stile giovanile del Balzac e quello maturo sono, per lo stile giovanile, la frequenza di periodi brevissimi, la più larga copia di aggettivi, l’uso del presente all’indicativo nella descri­zione, che dà tanta vivacità, l’esuberanza delle citazioni di nomi propri. Nell’opera matura vi è frequenza e lunghezza delle descrizioni e delle digressioni: il dialogo ha battute più lunghe, o quindi presenta minore rapidità nell’opera matura. È inutile aggiungere (osservazione d'ordine generale) che gli scrittori non pensano, il più delle volte, a dotare il proprio scritto di quelle caratteristiche che un esame siffatto del testo può mettere in evidenza: non v’è premeditazione, vogliamo dire, ma spontaneità. E che, d'altra parte, il critico riesca a mettere in evidenza ciò che all’autore stesso dell’opera era rimasto ignoto, è fenomeno che non si metterà mai nella debita e dovuta evidenza, ed è fatto che solleva, generalmente, denegazioni più o meno ironiche. Ricordo, a questo proposito, la profonda osservazione di chi fu sovrano tra i critici, il Sainte-Beuve, che, nel suo Lundi del 9 marzo 1857 (sul Taine), scriveva: “On pourrait, je le crois, lui apprendre (all’Autore), sur lui-même, quelque chose de nouveau. Là, si on y réussissait, serait la gloire suprême du critique: là, sa part légitime d’invention”.


Parte Terza. Capitolo XII.

Statistica dei caratteri descrittivi, pp. 469-515.

  p. 479. Tra i romanzieri “naturalisti”, poi, il Balzac descrive lungamente ogni particolare del volto, o anche degli occhi, o di tutto il corpo, dei suoi personaggi.


  Alfredo Oriani, Matrimonio, Bari, Giuseppe Laterza & Figli Editori, 1919.

  pp. 4-10. E permettetemi ancora di dirvi, giacché molto è concesso agli ignari e molto condonato ai forestieri, che nessuno o almeno pochi di noi hanno capito come voi possiate essere il Presidente di una Accademia, che avendo rifiutato Molière e Balzac ha tuttavia nel proprio seno prosatori come Renan e poeti come Hugo, e avendo preferito il duca d’Aumale a Théophile Gautier, non potrà certo accettare Zola. Altri avrà giudicato finamente la vostra opera; a me preme dichiararvi anzitutto, che sebbene l’altezza della vostra posizione in Francia mi stupisca, paragonandola forzatamente a quella di uomini ben maggiori di voi e nullameno poco o punto considerati, ebbi già per voi una viva simpatia d’artista, e ho ancora una condiscendenza di scrittore, contro la quale debbo lottare. Giovane e preparato dall’entusiasmo per vostro padre, il novelliere più meraviglioso apparso nel nostro secolo, che ne ha avuti di così illustri, la vostra dissimiglianza con lui mi sedusse. Molti al vostro posto avrebbero soggiaciuto all’imitazione paterna; voi vi salvaste. Fu questo il primo vostro merito, forse il principio della vostra fortuna. Ma pensando all’epoca nella quale vi siete mostrato, al movimento donde procedete, alla rivoluzione teatrale che vi hanno attribuito, ho dovuto a poco a poco frenare i miei trasporti, modificare sopra di voi un'opinione, che dividevo con tutti e che pochi hanno fin qui modificato. Quando voi scendeste in campo, Balzac, il primo romanziere del mondo, il solo che in Francia restasse grande di faccia a Victor Hugo, era morto. Voi sapete meglio di me quanto egli abbia compiuto nell’arte, l’originalità de’ suoi soggetti, la potenza della sua analisi, l’estensione della sua zona, la profondità del suo genio. Egli è stato lo Shakespeare del nostro secolo, per lui la Francia non ha più nulla da invidiare all’Inghilterra del secolo XVI. Ma in quel romanticismo, del quale vostro padre sembrò scrivere le cronache e Victor Hugo i poemi, Chateaubriand cantare la religione e Lamartine la malinconia, egli passò quasi inosservato. Oggi si comincia a comprendere il terribile assorbimento esercitato da Hugo su coloro che lo precedettero e lo accompagnarono, e si noverano, si pesano gl’ingegni scomparsi nel suo: poiché il romanticismo era in tutti, al genio, che lo riassumeva, tutti dovevano contribuire e contribuirono. Per Balzac non fu così, o questo non è stato abbastanza spiegato. In fine Balzac essendo morto, la sua influenza al solito diventava irresistibile. Flaubert, un alfiere, dovette prendere il posto del morto capitano, e voi pure diventaste uno scolaro del defunto maestro. Ma se egli aveva dominato l’epoca propria, sfuggendo al doppio romanticismo cristiano e socialista, voi subiste l’uno e l’altro; per lungo tempo i vostri personaggi seguitarono ad essere infelici come i loro antenati di vent’anni prima, o a criticare la società come i loro coetanei, ultimi figli di George Sand. O io m’inganno, o quella gran donna ha pesato anche su voi. In lei, nel suo senso acuto della realtà, s'acuminavano e svanivano i due romanticismi dei novatori in politica e dei novatori in arte; in voi veniva scemando ciò che in lei finiva. […].

  Quale peccato però che la vostra Susanna fosse nipote di madama di Marneffe, e il capo-lavoro di un simile tipo lo avesse di già anticipato Balzac? E Balzac credete voi che avrebbe conchiuso il vostro Demi-monde, tanto ben ideato come commedia di costumi, in una commedia d’intrigo allo Scribe, specialmente dopo le giuste accuse fatte da voi allo Scribe stesso? […].

  Quindi il vostro istinto della realtà mise nella loro bocca parole altrettanto vere quanto erano falsi! loro argomenti; la vostra riflessione trovò spesso una eloquenza irresistibile per una conclusione inaccettabile. Eppure l’adulterio nella grande letteratura da Omero a Dante, da Shakespeare a Balzac non fu mai trattato come da voi. […].

  La moltitudine, naturalmente femmina, che preferisce l’ingegno al genio, il cortigiano al padrone, la piccola arte fatta di sentimento alla grande arte fatta di pensiero, vi acclamò; George Sand aveva oscurato Balzac, voi nascondeste Flaubert.

  p. 270. Vi siete mai chiesto perché in questa propaganda del divorzio manchi la voce e l’opera dei magni spiriti? Perché Victor Hugo, la più grande fantasia poetica, Balzac, la più grande fantasia drammatica, Michelet, la più grande fantasia storica del secolo, non sono con voi in questa crociata? […].

  Perché Proudhon, il quale con giusto orgoglio potè prendere per motto il versetto della Bibbia — Destruam, et aedificabo — e non arretrò davanti a nessuna demolizione, sostenne contro George Sand l’indissolubilità matrimoniale colla stessa fierezza di accento colla quale chiedeva l’abolizione della proprietà? Perché Flaubert e Zola, Goncourt e Daudet, i migliori scolari di Balzac, non scrivono commedie o romanzi, essi così profondi e minuti osservatori, per provare, come Sue, George Sand, Augier, e voi stesso, che il divorzio è la grande necessità, la piaga sanguinante della famiglia moderna?

  p. 303. Per le donne scienza e filosofia sono appena un dilettantismo; nell’arte non arrivano che al sentimento e all’ingegno. George Sand, la più gran donna di questo secolo, come diventa piccola fra Hugo, Balzac, e Wagner! […].

  Sapete perché vota il giardiniere? Perché la sua categoria politica in questo secolo sale fino a Cavour, la sua categoria scientifica a Darwin, la sua categoria filosofica ad Hegel, la sua categoria giuridica a Laurent, la sua categoria economica a Marx ; perché le sua categoria meccanica ha forato le Alpi con Piatti e tagliato l’istmo di Panama con Lesseps, perché i suoi poeti si chiamano Hugo, i suoi romanzieri Balzac, i suoi musicisti Wagner, i suoi pittori Meissonier, i suoi storici quando ricostruirono un’epoca Ranke, quando l’evocano Michelet […].

  p. 314. L’amore, per questa donna come per l’uomo, fu sempre un incidente della vita, un fiore di primavera, un vento o un fulmine, ma non tutta la terra dalla quale il fiore germogliava, non tutta la campagna sulla quale scoppiava la tempesta. Questa donna non è la donna della grande arte e dei grandi osservatori: da Manon a Salomone, da Aristofane a Shakespeare, da Goethe a Balzac, nessuno le attribuì una tale assoluta unità di amore.

  p. 324. I rumori della vita sono quasi sempre troppo assordanti per lasciarci intendere l’eco delle ninne-nanne che ci addormentarono le prime volte: l’egoismo delle nostre passioni, la fugace rapacità dei nostri interessi sono troppo violenti per consentirci la quiete necessaria alla educazione di questa memoria. Ecco perché essa ad ogni giorno della vita s’indebolisce, e diventando padri alla nostra volta cessiamo quasi di essere figli; ed ecco il sentimento che farà i nostri posteri tanto a noi superiori, e renderà nella loro arte impossibile un capolavoro, nel quale ci siamo tutti riconosciuti, arrossendo, Le Père Goriot di Balzac.


  Fernando Palazzi, Notizie bibliografiche. Letteratura contemporanea. Guido da Verona. “Il libro del mio sogno errante”. Milano, Baldini e Castoldi, 1919, pp. 366, in 8°. L. 6, «L’Italia che scrive. Rassegna per coloro che leggono. Supplemento mensile a tutti i periodici», Roma, Anno II, N. 4, Aprile 1919, p. 42.

  Conosce bene gli uomini e specialmente le donne, e ve li mostra quali sono nella vita, senza preoccuparsi affatto di sapere come ve li mostrerebbe il Boccaccio, il Carducci, il Balzac, ecc.


  Vilfredo Pareto, Manuale di economia politica con una Introduzione alla scienza sociale, Milano, Società Editrice Libraria, 1919 («Piccola Biblioteca Scientifica», 13).

 

La Popolazione.

 

  pp. 403-404, nota (3); p. 404. Balzac, Phys. du mariage, X: «Montesquieu, qui avait peut-être deviné le régime constitutionnel, a dit, je ne sais où, que le bon sens dans les assemblées était toujours du côté de la minorité».


  Polifilo, Leonardo e i disfattisti suoi con settanta illustrazioni e un’appendice “Leonardo architetto” di Luca Beltrami, Milano, Fratelli Treves Editori, 1919.

  p. 84. […] è la Gallerani, effigiata dal giovane Leonardo con quel senso di vita interiore che – come disse Balzac – «semble vouloir briser la forme»[3] […].


  Giorgio Politeo, Scritti filosofici e letterari con uno studio sul filosofo dalmata di Luigi Luzzatti, Bologna, Nicola Zanichelli Editore, 1919.


Lezioni di morale. Lezione ottava, pp. 281-318.

  p. 310. […] il romanzo intimo ne’ suoi più minuti particolari, il quadro di genere nelle sue riproduzioni più esatte sembravano come inspirarsi alla fotografia che era il trovato del giorno; e dopo una vicenda di casi e d’idee, che sarebbe fuor di luogo il richiamar ora alla mente e in cui entra per gran parte, a non contare che le influenze letterarie, l’opera di Balzac, fu un bel giorno trovata un’idea che col nome di realismo o di verismo fu inscritta sulla bandiera delle nostre letterature latine. In un certo senso, e certo in un senso diverso da quello in cui è inteso fra noi, io non so quale dei grandi artisti non sia stato realista, quale sia il genio che non abbia attinto più direttamente alla natura; e se è vero quanto abbiamo detto sul bello, come imagine dell’essere, la cosa si chiarisce da sé, come è anche manifesto per quel che abbiamo soggiunto dell’idealizzazione.


  Giuseppe Prato, La terra ai contadini o la terra agli impiegati?, Milano, Fratelli Treves, Editori, 1919 («Biblioteca di scienze economiche», N. 2).

  p. 158, nota (2). A proposito di uno studio storico di Luigi Cibario: «Le digressioni superflue o retoriche di certe pagine non scemano il valore del libro più di quanto non tolgan pregio ai quadri michelangioleschi di Balzac e di Hugo le insopportabili, asmatiche declamazioni, riflesso del periodo in cui quei grandi scrivevano».


  Henry Prior, Ne pareant … Portrait de Balzac par Balzac. Un chapitre de Balzac et ses amis d’Italie par Henry Prior, Milano, Tipografia Umberto Allegretti, MCMXIX, pp. 5-8, 2 ill.

  La veille de son départ définitif de Milan – le dimanche 23 Avril 1837 – Honoré de Balzac avait été prié à dîner chez la comtesse Bolognini, celle qu’il se plaisait à appeler sa parfaite amie.

  La comtesse Eugénie Bolognini Sforza Attendolo née Vimercati, était une femme charmante, pleine de grâces et d’esprit; elle avait alors un peu moins de trente ans et elle était dans tout l’éclat et l’épanouissement de sa beauté. Elle n’avait invité pour lui dire adieu que quelques intimes du grand romancier, le comte et la comtesse Sanseverino-Vimercati-Tadini, deux jeunes mariés qu’il avait connus à Paris chez les Appony et auxquels il devait d’avoir été reçu si cordialement par toute la société milanaise, le baron Denois, consul général de France, le beau comte Enrico Martini, avec qui il avait fait le voyage de Venise le mois précédent; il y avait encore le docteur Giovanni Rajberti, poète, patriote et savant que Balzac chercha vainement à convertir à ses idées sur le magnétisme, le sculpteur Alessandro Puttinati, qui avait exécuté la statue de l’écrivain et l’avait enthousiasmé et enfin le prince Alfonso Serafino di Porcia, qui devait bien des années plus tard épouser la maîtresse de céans.

  A cette époque ou (sic) dînait de bonne heure, à cinq heures, et il faisait encore jour, lorsque, le repas terminé, tous les invités passèrent dans le salon de la comtesse, ce grand salon en stuc, de style Empire, que Balzac devait se rappeler dans la dédicace d’Une fille d’Eve. Tandis qu’un domestique servait le café la conversation devint générale et l’on parla naturellement du séjour de Balzac à Milan et des regrets que ses nombreux amis éprouvaient de son départ fixé au lendemain.

  – J’aimerais, dit la comtesse, que les Guidoboni eussent encore des affaires à règler (sic) à Milan et que vous y vinssiez les représenter. Nous aurions ainsi le plaisir de vous revoir.

  – Non, cara contessa, les affaires des Guidoboni sont définitivement règlées (sic) et bien règlées, grâce à moi, je puis le dire. Mais je n’ai pas besoin de prétexte pour revenir vous voir, vous et tous ceux qui m’ont comblé d’amabilités pendant mon séjour ici.

  – Je n’y compte guère, mon cher Balzac. Vous ferez comme tous vos compatriotes; de grandes protestations d’amitié lorsqu’ils nous quittent et le parfait oubli dès qu’ils sont rentrés à Paris. Promettez-nous, au moins, de nous donner de vos nouvelles et de mon côté je vous en enverrai de tous vos amis milanais. Mais, au fait, quelle est exactement votre adresse ? Ecrivez-la donc vous-même ici, ajouta-t-elle, en lui tendant un tout petit album de maroquin noir qu’elle prit sur une console.

  Balzac prit l’album, chercha une page blanche et écrivit son adresse, qui était alors très compliquée, comme on peut le voir par la reproduction que nous en donnons (1).


image


  Cette adresse, bien connue de tous les Balzaciens, serait, disait-il, à le garantir des appels de la garde nationale ; mais elle lui était encore plus utile pour dépister les créanciers.

  L’adresse écrite, il se mit a (sic) feuilleter le petit livre; il regardait en souriant ce qui s’y trouvait et quelques dessins que des amis de la comtesse y avaient exécutés. Mais en verve sans doute par ce qu’il avait vu il esquissa au dessous de son adresse sa propre caricature où l’on reconnaît le froc de moine et la pose du célèbre portrait de Boulanger, qui précisément alors, figurait au Salon.

  Ce gribouillage, qui a plus l’air d’une gaminerie d’écolier que d’autre chose, suscita, comme bien l’on pense, les rires et les moqueries des personnes présentes.

  – Mon cher Balzac, lui dit la comtesse en riant, contentez-vous d’écrire des chefs-d’œuvre, mais, crayez-moi (sic), renoncez à la peinture; ce n’est pas votre vocation.

  – Ah ! chère comtesse, ne jugez pas de mes talents par ce griffonnage, je puis faire beaucoup mieux.

  – Je vous en mets au défi ! Vous avez toujours eu un grand défaut; celui de prendre vos rêves pour des réalités.

  – Mes rêves et mes réalités! murmura Balzac devenu tout d’un coup pensif et sérieux. Ah! cara contessa, par ces deux mots vous avez résumé sans le savoir la douloureuse histoire de toute ma vie. Mais donnez-moi l’album, occupez vos amis pendant dix minutes et je vais tâcher de traduire pour vous ces mots dont vous ignorez toute l’amertume, toute la profonde signification.

  La comtesse se leva et alla s’asseoir à l’autre bout du salon où la suivirent Rajberti et le prince, tandis que l’élégant Martini entraînait le reste des invités dans le petit jardin, déjà rempli de roses, sur lequel ouvraient les portes-fenêtres de l’appartement.

  Balzac prit le crayon, hésita un moment, tandis que sa main gauche, par un mouvement dont il était contumier (sic), passait nerveusement en revue les boutons de son gilet brodé, puis, du coup, se mit résolument à dessiner.

  Un quart d’heure ne s’était pas écoulé qu’il se levait en criant triomphalement:

  – Voilà le chef-d’œuvre achevé ! cara contessa. Venez et admirez !

  Et il présenta à madame Bolognini le petit dessin dont nous donnons la reproduction et qui suscita réellement l’admiration des assistants.

  Balzac s’est représenté debout, dans l’éternel froc de moine qu’il affectionnait, souriant, les bras croisés, ayant l’air de défier la destinée; à sa droite un monceau de sacs d’or, l’or qui sera constamment l’objet de ses rêves; de ses luttes, de ses espérances; à sa gauche la fenêtre fortement grillée d’une prison …

  – En vérité Balzac, ce dessin est fort bien tourné et je retire tout ce que j’ai dit …

  – Ah ! vous allez à Canossa !

  – Et de grand cœur ! et sans arrière-pensée ! Mais puisque ce portrait, ou plutôt ce symbole, a eu pour origine ce que j’ai dit de vos illusions, ayez la bonté d’ajouter la légende au dessin.

  – Non, non, cara contessa; mettez-la plutôt vous-même, ce sera une collaboration dont je serai fier.

  La comtesse se pencha sur la table et de son anglaise élégante – l’écriture à la mode d’alors – écrivit Mes rêves sous les sacs d’argent et Mes réalités sous la grille de Sainte-Pélagie.

  Telle est l’histoire véridique de ce petit portrait de Balzac, exécuté par lui-même, et qui vient curieusement augmenter son iconographie. On remarquera que le portrait lui-même est, à peu de choses près, une exacte reproduction de la caricature de Benjamin, que, sans doute, Balzac avait présente à l’esprit à ce moment-là.

  Sa valeur documentaire est par conséquent minime; il nous a paru cependant qu’il valait la peine de le conserver et de lui consacrer un numéro de Ne pareant, en attendant la publication du volume sur Balzac auquel nous travaillons.

  Ce petit dessin qui, à première vue, n’a guère l’aspect que d’une caricature spirituelle, n’est-il pas en effet, comme le disait Balzac lui-même, le symbole tragique de toute sa vie, de la lutte constante, opiniâtre de ce puissant génie contre des besoin (sic) d’argent dans (sic) cesse renaissants, ce rocher de Sisyphe qu’il s’efforçait de soulever par un travail surhumain et dont il devait finir par être écrasé ?

  [Nota].

  (1) Cette page a été détachée de l’album et nous a été gracieusement offerte par la duchesse Litta-Visconti-Arese, fille de la comtesse Bolognini qui devint plus tard princesse di Porcia.


  Giuseppe Rensi, Elementi di filosofia scettica, Bologna, Nicola Zanichelli Editore, 1919.


La teoria del male e dell’errore, pp. 159-171.


  p. 167. Come potrà egli [il delinquente] – e come non potremo noi, se cerchiamo di profondar veramente nel labirinto oscuro della coscienza delittuosa – non ripetere le parole del Balzac? «Ogni volta che la terribile giustizia umana ha sguainato la sua spada sul collo d’un uomo, io mi son detto: le leggi penali sono fatte da gente che non ha conosciuto la sventura» (I). Come non condividere la ripulsa che della ritorsione, dell’espiazione, della rappresaglia, dell’odio, insomma in sostanza d’ogni giustizia, fa il poeta, il cui intuito sa penetrare profondamente la realtà del cuore umano?

  (I) Le Lys dans la Vallée.

 


  Luisa Santandrea, Il giovane Autore, «Il Secolo XX°. Rivista mensile illustrata», Milano, Anno XVIII, N. 5, 1° Maggio 1919, pp. 346-350.

 

  p. 349. E per ultimo il trasandato, il pronipote di Balzac: – spettinatura – cappello floscio – barba incerta – baffi incipienti – cravatta al vento – abito qualunque – inzaccherato anche quando è bel tempo.


  Nino Savarese, Letteratura. Romanzi, «La Rassegna Italiana», Roma, Anno II, Serie I, N. 13, Vol. III, 15 Maggio 1919, pp. 285-288.

  p. 286. Quanti di questi nostri romanzieri si sentirebbero di scrivere una paginetta vera e convinta in cima ai loro romanzi?

  Manzoni credo se la caverebbe con meno: forse con un solo periodo di quei suoi tutti radici umide irraggiate nel suolo della realtà ed anche Balzac, per i suoi migliori, e Dostoievschi (sic) potrebbero fare altrettanto.


  Alberto Savinio, La Regina di Napoli, «Il Mondo. Rivista settimanale illustrata per tutti», Milano, Anno V, N. 38, 21 Settembre 1919, pp. 12-14.

  p. 12. Il palcoscenico de l'Opéra! ...

  Questo pensiero mi assillava da più giorni. Esso pensiero, per di più, non era di natura sterile: ingenerò pensieri-figli. Uno fra questi fu che il palcoscenico de l’Opéra si confacesse agli abiti di alquanta gala. Mi venne naturale il ricordare alcuni romanzieri letti molto addietro – francesi, ben s’intende – che scrissero sulle coulisse de l’Opéra. Rammemorai alcuni passi di Barbey d’Aurevilly; e non fu Balzac meno galeotto.


  Paolo Schicchi, Il Contadino e la questione sociale, Palermo, Ant. Trimarchi – Editore, 1919.


La moralità del contadino, pp. 54-62.

  p. 54. I villici di ogni razza, paese e tempo si somiglian pressochè tutti come fratelli, anche nella moralità. […] Il contadino della restaurazione, scolpito nella Vie de campagne e nei Paysans del Balzac, è suppergiù lo stesso del rurale del secondo impero, ritratto dallo Zola ne La Terre. […].


Il campanile e la bandiera, pp. 62-80.

  p. 63. Ma la canaglia rurale della Francia non era migliore, anzi sotto certi aspetti era peggiore. Lo hanno detto e ripetuto in coro un vero esercito di scrittori francesi […]. Basta nominare fra tutti il Balzac, il Maupassant, lo Zola. Da questa letteratura ne vien fuori il più tristo contadino che sia mai esistito sulla faccia della terra: zotico, avido, litigioso, egoista, reazionario, perfido, crudele […].


  Sfinge, L’uomo che voleva essere “chic”, in Il Castigamatti. Novelle, Milano, Fratelli Treves, Editori, 1919, pp. 181-201.

 

  p. 183. Salotti? Nessuno. Il sottoprefetto dava un ballo in carnevale e un ricevimento il giorno dello Statuto; ma quelle riunioni gli parevano degne d’essere comicamente descritte da Balzac o da Anatole France (egli non conosceva la letteratura italiana, ma era abbastanza edotto di quella francese).


   Ardengo Soffici, Statue e fantocci. Scritti letterari, Firenze, Vallecchi Editore, 1919.

  pp. 288 e 290. […] Cervantes, Montaigne, Goethe, Balzac, Dostojewski, Carducci hanno conosciuto la vita dei loro contemporanei, amato i loro fratelli, imitato la natura e descritto le passioni dei loro simili! […].

  Balzac – pensava Narsete – non ha esaurito il tema eterno della vita. Egli ha scritto la Commedia umana; io scriverò la Tragedia umana, e fece il suo piano.


  Enrico Thovez, Del «successo», in Mimi dei moderni, Napoli, Riccardo Ricciardi Editore, 1919, pp. 221-229.

  p. 229. Voi sapete come Balzac definiva la gloria: le soleil des morts. La rinomanza e la gloria sembrano due sorelle: sorella minore e sorella maggiore. Non è che un'apparenza. In realtà non hanno che un lontano legame di parentela. La rinomanza è pei vivi: può sembrare un sole ai loro occhi brevi; ma non è che una stella filante ...


  Pietro Toldo, Rassegna bibliografica. Luigi Tonelli. — “Lo spirito francese contemporaneo”. — Milano, Treves, 1917 (8°, pp. XVI-353), «Giornale storico della letteratura italiana», Torino, Casa Editrice Giovanni Chiantore, Volume LXXIII, Fascicolo 217, 1919, pp. 79-85.

  pp. 81-82. Il T. osserva come già il Balzac e lo Stendhal avessero concepito l’umana famiglia quale «animalità», però nel loro «tragico» ancora viveva la «virtus» latina, l’energia gagliarda dei Vautrin e dei Sorel. In codesti personaggi che così potentemente fanno sentire il loro «io», scorgo il profilo napoleonico. Con Flaubert, coi Goncourt, con lo Zola o col Maupassant. il pessimismo s’aggrava; non più personaggi grandi, almeno nel delitto, non più Capanei sfidanti le folgori di Giove, bensì mediocrità, cinismo, vizi e svalutazione di ogni attività ideale. In tale guisa nasce il nuovo tragico «dall’antitesi delle onnipossenti forze maligne del mondo esteriore con le debolissime volontà individuali, incapaci di una seria resistenza o addirittura impotenti». Il tragico di Balzac e di Stendhal era «in un certo senso «consolatore, giacche affermava ed esaltava l’individuo; il secondo sarà «umiliante e scoraggiante fino alla disperazione, perché affermerà l’inesistenza effettiva della personalità di fronte alle incombattibili forze dissolvitrici dell'universo». […].

  E ancora il T. parmi fuori di strada quando considera i suoi scrittori quali uomini di un solo pezzo, quando pare dimentichi il romanticismo del Balzac e dello Zola, romanticismo non solo degli inizi, ma evidente nell’opera tutta. Lo Zola, dopo avere assunto, nell’«affaire Dreyfus», l’aspetto del patriarca di Ferney e dell’esule di Guernesey, — il poeta cita Temi, direbbe il Boccalini, davanti ad Apollo, — si tuffa definitivamente in un mondo addirittura fantastico ed irreale e scrive i nuovi «Évangiles» che non valgono certamente gli antichi. Né molto diversi negli intenti e nell’arte trovo poi il Balzac e lo Zola. Entrambi sono pittori minuziosi di ambienti e di classi, entrambi esagerano influssi e generalizzano, ed ove si istituisca, per es., un serio raffronto tra i Paysans del primo e la Terre del secondo, apparirà manifesto come lo Zola abbia seguito da vicino il grande maestro, definito dal T., con soverchia disinvoltura, «inventore piuttosto che osservatore di caratteri».


  Alessandro Varaldo, La mosca bianca, in Le avventure. Novelle, Milano, Fratelli Treves, Editori, 1919 («Le Spighe»), pp. 99-116.

  p. 103: «Fu Goffredo che portò nella nostra città i poeti nuovi ed i nuovi romanzi, Walter Scott, il dottor Carlo Varese, Dumas padre, Balzac, Soulié e Richardson, il Prati della Edmenegarda, il Piccolini, il Rossetti, il Carter, il Berchet… Che belle serate in quell’inverno precoce!».


  Alessandro Varaldo, Poema biondo (Confidenze in due sere del poeta Valerio Guidi a Donna Giulia Florida), «Il Mondo. Rivista settimanale illustrata per tutti», Milano, Anno V, N. 22, 1 Giugno 1919, pp. 9-12.

  p. 12. La signorina Margherita, chiusa nella casa di Giulio, sempre lieta e tutta tranquilla coi romanzi di Dumas padre e l’attesa dell'amante, scomparve affatto, ed al suo posto sorse una donnina che imparò presto a non credersi compresa, una donnina nervosa, sognatrice, con la visione persistente dei salotti che aveva attraversati nella sua visita alla villa del marchese, una donnina che incominciò a guardare con attenzione gli equipaggi padronali e le carrozze equivoche, che divorò in poco tempo De Musset, che si ingolfò in Balzac, una testolina piena di pizzi, di velluti, di rasi, di galloni, di teatro, di cene alla Casa d’Oro e di monete fantastiche.



  Carlo Veneziani, La Finestra sul Mondo. Commedia in quattro atti di Carlo Veneziani. Atto primo, «Comoedia. Fascicolo periodico di commedie e di vita teatrale», Milano, Anno I, N. 4, 25 Ottobre 1919, pp. 7-16. 

  p. 11. Alfredo. Un momento! (Osserva intorno) quadri normali con prevalenza di paesaggio. Ah! ecco un nudo maschio ... troppo maschio per una signora di provincia.

  Berto. E’ un buon indizio?

  Alfredo. Aspetta. Mobili comuni. Un cestino da lavoro in cui il lavoro non c’è. Ma c’è un libro. Segno che non lavora: legge. (Prende il libro).

  Berto. Balzac?

  Riccardo. D’Annunzio?

  Alfredo. «Il re dei cuochi!».


Filmografia.


  Vautrin. Riduzione e messa in scena di Alexandre Devarennes. Protagonisti: Comm. Giovanni Grasso (Vautrin), Alberto Casanova, Mary Corwyn. Altri interpreti: Maria Casarini, Ignazio Lupi, Aldo Santoro. Fotografia: Giacomo Bazzichelli, Napoli, Lombardo Films, 1919.


Annunci cinematografici.


  La donna di trenta anni, Roma, Paris Film. Regia: Alexandre Devarennes. Interpreti: Paolo Nocito, Gianna Terribili Gonzales, 1919.


 


  [1] Cfr. Balzac, Lettres à Madame Hanska. 1832-1844, édition établie par Roger Pierrot, Paris, Robert Laffont, 1990, pp. 457, 818-819 ; 1844-1850, pp. 78-79.

  [2] Si tratta di un estratto della breve introduzione (Il traduttore, pp. IX-XII) che Luigi Masieri antepone alla sua mediocre traduzione-riduzione del César Birotteau di Balzac pubblicata a Milano nell’agosto del 1838. (Cfr. Raffaele de Cesare, La prima fortuna … cit., vol. I, pp. 469-471).

  [3] Citazione tratta da Le Chef-d’oeuvre inconnu.


Marco Stupazzoni

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