lunedì 31 marzo 2014


1886



Traduzioni.


  O. Balzac, La Erede di Birague. Romanzo del signor di Balzac. (Illustrato da 22 incisioni artistiche), Roma, Edoardo Perino, Editore, 1886 («Il Romanziere per tutti illustrato», Anno II, Num. 43-76, 13 Gennaio-2 Settembre 1886), pp. 128; ill.[1]
  Un volume a dispense in 4°.

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  La traduzione, nel complesso accettabile, si fonda sul testo dell’edizione Marescq (1855) o, più probabilmente, su quello delle successive riedizioni dell’opera (Lévy, 1867-1875).



Studî e riferimenti critici.


  Balzac (di) Onorato (biogr.), in Enciclopedia Popolare Illustrata. Disp. 181, Roma, Edoardo Perino, Editore, Volume IV, 1886, pp. 3331-3333.
  Celebre romanziere, nato a Tours, il 27 fiorile, anno VII (15 marzo [sic] 1799) morto a Parigi il 20 agosto 1850. Non era nobile, e non aveva nulla di comune colle nobili famiglie omonime. La particella di se l’aggiunse per mania aristocratica. Balzac ha tutt’ora in Francia schiere di devoti: una vera idolatria si è determinata presso i suoi seguaci; nessuna adulazione, nessuna esagerazione gli fu risparmiata. L’hanno perfino chiamato il Cristo dell’arte moderna. Ciò non va. A Balzac si deve dell’ammirazione, molta ammirazione; ma noi non vogliamo chinarci in faccia al delubro di alcun mammone. Bisogna dire la verità a tutti, anche ai morti. La biografia di Onorato Balzac ha un interesse eminentemente relativo. Venne giovanissimo a Parigi, e sino ai trent’anni condusse una vita pazza ed avventurosa. I principii della fama furono per lui, come per tutti, malagevoli, ma con isforzi di buona volontà e di ostinazione irremovibile ei guadagnò poco per volta ma sicuramente e meritatamente, una elevata posizione. Primamente assunse dei pseudonimi aristocratici. I suoi primi romanzi, più tardi da lui ripudiati, sono informi, ma indubitamente contengono la scintilla del genio. I due Ettori, il Vicario delle Ardenne, il Centenario, l’Ultima fata, ecc. ecc. ebbero un completo insuccesso letterario. Ma Balzac non si scoraggiò, ed alla qualità d’autore aggiunse quella di editore, di stampatore e fonditore di caratteri. Le sue speculazioni non gli riuscirono; tornò alla letteratura, e con ardore indescrivibile si riattaccò al lavoro della penna. Lavoro tanto più faticoso, ove si pensi che la modalità dei suoi scritti gli costava una fatica enorme. Balzac non fu mai uno scrittore di primo getto, il suo originale era ghirigoro interminabile, e le sue bozze di stampa erano il terrore di tutti i tipografi francesi. Alcuni erano giunti a far iscrivere nei loro patti, che non volevano più di un’ora per giorno originale di Balzac. Ecco quale era il suo processo letterario. Meditato un soggetto, buttava giù una traccia in poche pagine, che mandava in tipografia. Quando questo abbozzo gli ritornava, egli riempiva tutti i margini di questo embrione con una infinità di correzioni, di cambiamenti e di aggiunte. Le prove di stampa si moltiplicavano, ed in breve il testo originale era scomparso sotto un’enorme quantità di amplificazioni, che perduravano per alcun tempo ancora in uno stato di manipolazione in permanenza. Dodici, quattordici, perfino diciotto prove di stampa abbisognavano perché un suo romanzo venisse alla luce!! Tuttociò indica un grande lavoro di lima, ma prova insieme un grande sforzo nell’autore per riannodare i brandelli delle idee che gli attraversavano lo spirito. L’Ultimo Scioano è il primo dei romanzi di Balzac, dei quali in ordine cronologico egli abbia riconosciuto la paternità. In questo, la imitazione di Walter Scott va fino all’iperbole. La Fisiologia del matrimonio fu quello che sbalzò Balzac all’avanguardia del grande esercito militante delle lettere moderne. Poca moralità, molto brio, molte droghe piccanti di allusioni e di teorie, ecco che cosa ha fatto la fortuna di codesto libro, che in un momento ebbe parecchie edizioni. Vennero dopo Gloria e sciagura, il Verdugo, ecc. Ma fu il famoso Peau de chagrin che costituì la fama del gran letterato, quantunque l’imitazione di Hoffmann e di Rabelais appaia spesso in quel romanzo veramente straordinario. Eppoi Balzac aveva il segreto di farsi magnificamente bene la réclame. Scriveva da sé gli articoli bibliografici delle sue opere, come ne fa fede l’Amante degli autografi (15 maggio 1865). L’apogeo della carriera di Balzac fu all’epoca in cui pubblicò i suoi romanzi classificati Scene della vita privata e Scene della vita di provincia; ma il romanzo più pregevole di Balzac è l’Eugenia Grandet. La sua vita non offrì molto interesse. Ebbe sempre la febbre del milione, e finì collo sposare nel 1848 una ricchissima signora polacca. La morte di lui va attribuita ad una ipertrofia di cuore.


  Corriere teatrale, «Corriere della Sera», Milano, Anno XI, Num. 22, 22-23 Gennaio 1886, p. 3.

  Ieri sera il Filodrammatico era affollato per la seconda rappresentazione del Mercadet di Balzac. L’Emanuel fu applauditissimo. Non si può immagi­nare una interpretazione del tipo immortale di Mer­cadet più profonda, più giusta, più spiritosa e più divertente della sua. Speriamo che quella di ieri non sia stata l’ultima replica del capolavoro balzacchiano.

 


Notizie, «Giornale di erudizione», Firenze, Anno I, Num. 2, 30 di Gennajo 1886, p. 32.

 

 Sono stati venduti a Parigi varj autografi d’importanza, tra cui una lettera del Balzac colla seguente nota di carattere di Silvio Pellico: «Il signor De Balzac è divenuto da un po’ d’anni uno degli scrittori più fecondi di Francia. Il suo genere è il romanzo, disgraziatamente la morale non v’è rispettata»; ed una lettera del medesimo Pellico alla Marchesa Barol, del 22 agosto 1838.


  Luisa Michel, «Il Piccolo», Trieste, Anno V, N. 1500, 16 Febbraio 1886, p. 1.

  D’altronde, il giornalismo come lo si fa adesso, ci ha educati al desiderio acuto delle persone e delle cose: si sono inventati i documenti umani: si vuol sa­pere come desina, dorme e veste l’uomo — o la donna — del momento. Balzac raccomandava “les détails, toujours les détails”: oh! se il grand’uomo desse, og­gi, una capatina nel mondo vedrebbe che noi lo abbiamo servito; c’è, oggi, tutta una letteratura di “dettagli”.

  Benvengano, dunque, anche le Memorie della Michel.


  “50 per 100” di Enrico Rochefort. Romanzo dell’oggi, «La Commedia Umana. Giornale-Opuscolo settimanale», Milano, E. Sonzogno, Editore, Anno II, Punt.a N. 62, 21 Febbrajo 1886, pp. 1-2.
  p. 2. Rochefort, parafrasando un titolo di Balzac, avrebbe potuto intitolare questo suo libro Miserie e splendori degli affaristi.


  I Ventagli, «Il Piccolo della sera», Trieste, Anno V, N. 1624, 20 Giugno 1886, p. 1.

  Un uomo di mondo, inve­ce, ha riportato dalla “Fisiologia del matrimonio” del Balzac, questa sentenza: “Dans le dîner du mariage, chaque nuit doit avoir son menu”.


  Il processo dei milioni, «Il Piccolo della sera», Trieste, Anno V, N. 1648, 14 Luglio 1886, p. 2.

  Ma non finisce qui tutto. Quirino Go­vernatori, l’uomo balzato fuori da un ro­manzo di Gaboriau, la caricatura offembachiana del Vautrin di Balzac, una sola cosa aveva di sacro nella sua sciagurata vita: Argenide, la moglie.


  Libri e periodici. “Il verismo” di C. Rosa-Fornelli. – Torino, tipografia Matteo Artale, «Gazzetta Letteraria Artistica e Scientifica», Torino, Roux e Favale, Anno X, N. 29, 17 luglio 1886, p. 239.
  Vi sono dei buoni e dei cattivi naturalisti, come vi furono dei buoni e dei cattivi classicisti; soltanto il criterio artistico non può essere ristretto all’impressione che un dato libro od una data opera può produrre su di un adolescente o su di una verginella, perché in questo caso si sopprimerebbero di botto non soltanto i romanzi del Balzac, del Flaubert, dei De Goncourt e dello Zola, ma tutti i capolavori dell’epoca moderna e dell’epoca antica.

  Arti e Scienze. Teatro Alfieri, «Gazzetta Piemontese», Torino, Anno XX, Num. 304, 3 Novembre 1886, p. 2.
  Stasera il bravo Emanuel ci offre la vecchia ma sempre bella commedia di Balzac: Mercadet l’affarista.
  Il protagonista di questo lavoro ha nell’Emanuel un insuperabile interprete. Avviso a chi ancora non lo sentì in questa produzione e brama rivederlo.

  Lettere, Arti e Teatri. Teatro Alfieri, «Gazzetta Piemontese», Torino, Anno XX, Num. 305, 4 Novembre 1886, p. 3.
  Una piena da non dire ieri sera alla rappresentazione del Mercadet, di Balzac.
  Giovanni Emanuel fu, al solito, un protagonista valente, e si meritò una infinità d’applausi.

  Tartarin sulle Alpi, «Corriere della Sera», Milano, Anno XI, Num. 347, 17-18 Dicembre 1886, pp. 2-3.

  p. 2. Tartarin sulle Alpi è una delle satire più fine, più umoristiche che si possano imaginare. Quando il Daudet descrive la vita e l’ambiente di Tarascon, ci ricorda le migliori pagine delle scene della vita di provincia di Balzac.


  Letteratura. Il romanzo, «Il Progresso. Periodico politico», Bari, Anno 1, Num. 48, 23 Dicembre 1886, pp. 1-2.

  p. 1. «Ecco il bello insegnamento che ci dan­no tanti e tanti romanzi, che, quasi da im­pura officina, ci vengono ogni giorno dalla Senna; ecco a che scuola di morale si vie­ne ammaestrando la nostra gioventù, che pur vuol essere la speranza della patria. Che altro c’insegnano i Balzac, i Sue, i Dumas, i Kock, le Dudevant, per tacere di altri il cui nome è un insulto al pudore? Eppure, chi li credesse, non mirano essi che a togliere gli abusi, a riformare i co­stumi, a prosperare gli Stati; essi hanno la nobile missione di far felice il genere umano. Ma vedete strano modo di procac­ciare la felicità! metter sossopra tutto il mondo, inimicare l’una classe con l’al­tra; dire al padrone obbedisci e al servo comanda, dire al vecchio impara e al gio­vine insegna: e per sempre più conciliare il mutuo affetto, predicare a tutti che il mondo è un ospitale di pazzi , un bosco di malandrini; e dopo aver dipinta la so­cietà coi più neri colori, dopo avermi mo­strato che il vizio è la regola, la virtù si martora nella sua impotenza, conchiudere poi con ineffabile ingenuità: Eccoti, o uo­mo, la società che tu devi amare!». [cfr. Antonio Zoncada, Fasti delle lettere in Italia nel corrente secolo, 1853].


  Edmondo About, Due matrimoni. Racconto azzurro di Edmondo About, «L’Illustrazione popolare», Milano, Volume XXIII, N. 48, 28 Novembre 1886, pp. 763-766.

 

III.

 

  p. 763. Il mio primo pensiero, entrando, fu di domandare dei sigari, ma Leonzio non fuma va più. Bi sapeva che il sigaro, il quale agevola le amicizie fra gli uomini non ha la virtù di stringere i matrimonii, e che il tabacco offende del pari le donne e le api, creature alate. Ei mi raccontò la sua campagna di estate e mi mostrò in aria di trionfo venticinque o trenta biglietti di visita che valevano altrettanti inviti per la stagione invernale.

  — Leggi tutti questi nomi, — mi disse egli, — e vedrai se ho gettato la rete ai passeri!

  Io meravigliai di non vedere che nomi della Chaussée-d’Antin. Perché cosiffatta preferenza? Gli eroi di Balzac andavano al sobborgo Saut’Antonio!

  — Essi avevano le loro ragioni, — disse Leonzio: — io ho le mie per non andarvi. Il mio nome e il mio titolo ponno valermi alla Chaussée- d’Antin; mi nuocerebbero forse al sobborgo San Germano. [...].

  Gli stranieri poi si trovano tutti alla Chaussée-d’Antin. In questo mondo, che risuona del grato tintinnio dell’oro, che risplende della grata luce dei diamanti, ci s’incontra, ci si conosce, ci si ama, ci si sposa in modo che non occorra ad una duchessa per aprire la sua tabacchiera. In niun altro luogo si conosce maggiormente il valore del tempo. È là che gli uomini son vivi, che hanno frotta come me. È là che io getterò la mia rete, nelle acque tumultuose!

  Mi declamò allora uno squarcio del Giglio della (sic) valle, cioè l’ultima lettera di madama di Mortsauf al giovine Vandenesse.

  Poi mi rilesse i consigli di Enrico de Marsay a Paolo de Maneville (sic).

  In seguito ordinò la colazione e consumò due ore alla teletta, due ore giuste, secondo l’esempio di Marsay.

  p. 766. Ei profondeva largamente per comparire ed assai poco per divertirsi, tenendo in conto di spese inutili quelle fatte senza testimonii.

  In questo specialmente egli distinguevasi dai suoi modelli, i Rubempré ed i de Marsay, uomini gaudenti e fannulloni.


  Edmondo About, Due matrimoni. Racconto di Edmondo About (Continuazione), «L’Illustrazione Popolare», Milano, Volume XXIII, 5 Dicembre 1886, pp. 779-783.

 

  pp. 782-783. Il danno non è poi così grande, credetemelo. Una pastorale enfatica, un’aria da zampogna, suonata col flauto. Vi piace Balzac? E il mio autore prediletto. […].

  Benissimo, se fossi scapolo! Mio povero amico, si conosce subito che tu vivi in una botte, che non sai che cosa sia il mondo. Balzac ha provato da molto tempo che scapolo si può giungere a tutto, ma che maritato, le proprie forze devono lottare contro le somme della cuoca e il libro dei conti. Ah! tu vuoi ch’io lavori tra una donna, un cognato, una cognata ed i figli che verranno; assediato dalla famiglia, e imprigionato con tutta questa gente di un appartamento di quattrocento franchi? ... Vi soffocherei!


  Anton Giulio Barrili, Arrigo il savio. Racconto di Anton Giulio Barrili. Seconda edizione, Milano, Fratelli Treves, Editori, 1886.
  pp. 200-201. Cfr. 1885.

  Anton Giulio Barrili, Dumas il vecchio (Ritratto a penna), in Uomini e bestie. Racconti d’estate, Milano, Fratelli Treves, Editori, 1886, pp. 245-279.
  pp. 272-273. Pittore, non fotografo, [Dumas] ci diede il documento idealizzato, l’unico, diciamolo pure tra noi, l’unico che sia estetico. A taluni garba la copia della verità nuda e cruda; ed è questo certamente uno studio piacevole, che dispensa da tanti altri, senza fallo noiosi, ma che un giorno parevano necessarii a formare l’artista. Un fatto di cronaca contemporanea, come una nevrosi, o una follìa ereditaria, che ci passi per entro; e il romanzo è bell’e fatto, o è fatto e par bello. E sarà, non lo nego; ma il Dumas, di cui debbo parlare, usava altri ingredienti. Ed anche il Balzac, che pur s’invoca a maestro dai novatori. Il Balzac, a buon conto, ebbe sopra tutto l’occhio alla tesi; tesi politica, tesi sociale, tesi filosofica, tesi artistica, sempre e dovunque la tesi. Chi ci rende la fresca idealità del Lys dans la vallée! E l’Eugenia Grandet! Il suo autore ispirato non andò mica a cercare il segreto d’una virtù, la virtù del sacrificio semplice e domestico, in una felice predisposizione alla polisarchia! […].
  p. 276. Perché vive eterno il Cervantes? Perché un po’ sotto di lui nella originalità potente, ma garbata e fine, il Lesage? Perché non è morto il Richardson, con tutte le sue lungagnaie, né il Fielding, con tutte le sue leggerezze? Perché dura, nobile, vario e appassionato, Walter Scott? J’en passe et des meilleurs, per venir difilato ai Francesi. Morrà forse il Lamartine di Graziella, il Saintine di Picciola, il Nodier di Giovanni Sbogar, il Musset delle Confessions d’un enfant du siècle, la Sand di Mauprat, il Mérimée di Colomba? No, certamente, vivranno. Il Balzac, nella sua Comédie humaine, forse un tal po’ pretensionosa nel titolo, ha libri più saldi e durevoli del bronzo, il Dumas, con la esuberanza delle sue fantasie, verboso troppo, se volete, non mai stucchevole, scintillerà per mill’anni.

  Giuseppe Benetti, Curieuse!(*), «Gazzetta Letteraria Artistica e Scientifica», Torino, Roux e Favale, Anno X, N. 23, 5 giugno 1886, pp. 181-182.
  p. 182. Io non m’illudo sul successo che Curieuse potrà avere da noi, troppo abituati come siamo a coinvolgere in una sola esecrazione anche le opere più artistiche, sol perché appartengono ad una piuttosto che ad un’altra combriccola politica, a questa od a quella scuola e chiesuola. Ma, a parte le idee cattoliche professate dall’autore, a parte la conseguente intonazione del suo libro, a parte infine le stramberie sulla magia e gli inevitabili difetti di origine, a me pare questa l’opera di un fortissimo ingegno, di un acuto osservatore, discendente, come il Barbey d’Aurevilly ha detto, in linea diretta dal Balzac.
  (*) La décadence latine, par Joséphin Péladan. – Paris, Libraire de la Presse.

  Giuseppe Benetti, “Gli Ibridi”. Commedia in quattro atti di Luigi Illica, «Gazzetta Letteraria Artistica e Scientifica», Torino, Roux e Favale, Anno X, N. 46, 13 novembre 1886, pp. 371-372.
  p. 371. Carlo Fossambane è un tipo di tale ingordigia per il danaro che si direbbe diventato padre per speculazione.
  Vedendolo, si pensa al Mercadet.

  Guglielmo Berchet, Martin Luigi Enrico, in AA.VV., Annuario Biografico Universale. Raccolta delle Biografie dei più illustri Contemporanei. Compilato sotto la direzione del Professore Attilio Brunialti da distinti Scrittori italiani e stranieri. Anno II, Roma-Napoli, Unione Tipografico-Editrice Torinese, 1886, pp. 259-263.
  p. 259. Nel 1832, quando Balzac, Roger de Beauvoir, Alessandro Dumas pubblicavano i loro romanzi, che preconizzarono l’apogeo del romanticismo nei grandi lavori di Eugenio Sue e di Victor Hugo; […] Henri Martin pubblicava presso Eugenio Randuel, l’editore dei romanzieri, dapprima insieme con Felice Davin, una novella tirolese: Wolfhurm o la Torre del lupo


  P.[aolo] B.[ernasconi], La battaglia finanziaria alla Commedia francese, «Corriere della Sera», Milano, Anno XI, Num. 329, 29-30 Novembre 1886, pp. 1-2.

  p. 2. È nominata la cittadina di Saumur «resa celebre – scrive l’A. da Balzac coll’Eugenia Grandet».


  V.[ittorio] B.[ersezio], La «Sala Manzoniana» nella Braidense. Ricordi e notizie, «Gazzetta Piemontese», Torino, Anno XX, Num. 306, 5 Novembre 1886, p. 2.
  Parrà enorme quello che io affermo, ma io credo che ove si considerasse e si studiasse bene, si troverebbe un filo sottilissimo che lega al Manzoni Balzac e Zola.

  A. G. Bianchi, William Thackeray, «Napoli Letteraria», Napoli, Anno terzo (Nuova serie), Numero 41, 10 ottobre 1886, pp. 1-2; Numero 43, 24 ottobre 1886, pp. 4-5.
  p. 1. Così nei suoi romanzi è un intrecciarsi mostruoso di avvenimenti strani, di personaggi laidi, e in quell’ambiente triste, brullo d’illusioni, sconfortante non un carattere buono risalta, non un lembo d’azzurro rompe la monotonia di quel cielo fosco, non un raggio di sole rischiara la tenebra folta che grava su quegli uomini strani, su quei bruti inciviliti rappresentanti la gran commedia umana. Egli si può dire il padre di quel genere in cui tutto è orribile e di cui anche il romanzo sperimentale ha qualche carattere. Anche Balzac si era messo colla sua penna potente ad un simile lavoro, a scoprire col bisturi delle analisi le magagne della nostra società, a strappare i veli e le trine che nascondono le pieghe del cuore umano, ma in tutti i lavori suoi c’è qualche cosa che seduce, che ci riscalda, e che ci compensa dalla pena provata allo spettacolo di tanta miseria: c’è un carattere dolce che stranamente contrasta con tanti tristi, o è un tipo ideale che da questa miseria si solleva. Presso Clara di Nucingen mette il papà Goriot, vicino al calcolo il disinteresse. Così anche nello Zola e nel De Goncourt. […].

II.
  p. 4. Come già il Balzac in Francia, egli intuì e comprese questa strana società umana, questo palcoscenico immenso dove ogni singolo individuo rappresenta una parte, e nauseato, all’ottimismo dominante contrappose un pessimismo non meno esagerato. L’albero piegava a sinistra e per farlo star dritto conveniva che prima piegasse a destra.
  La folla odiatrice del nuovo non badò sulle prime, come già pel Balzac, a lui più che tanto, ma nel concetto ch’era un portato del tempo, era già l’idea di troppo per poter essere soffocato al suo nascere. […].
  Barry Lindon, Vanity Fair e Pendennis hanno preparato Newcomes ed Henry Esmond, in cui il pessimismo domina pur sempre ma con molta minore intensità. Né qui son tutti i meriti del Thackeray, giacchè l’investigazione, l’analisi psicologica è nei lavori suoi portata ad una perfezione e ad una minuziosità maravigliosa. Ed in queste forse egli supera Balzac col quale è da molti paragonato. Un confronto bellissimo mi piace anzi riportare dalla Bibliothèque universelle. «Peut-être que le grand romancier français a donné plus d’éclat, plus de reliefs à ses figures. Nous conviendrons avec M. Taine que Mirna Marneffe vous saisit, vous impressionne plus fortement encore que Becky Sharss. Tel le Satan de Milton, qui fait pâlir toutes le (sic) autres images du prime des démons. S’il y a une sorte de grandeur terrifiante dans le crime, l’héroïne de Balzac peut y prétendre. Mais est-ce dire que Rebecca ne soit pas étudiée avec un soin plus minutieux encore ? Non, au point de vue de l’analyse morale, Thackeray l’emporte. Il ne se contente pas de créer comme Balzac des êtres pleins de vie, et si vrais qu’il nous semble pouvoir les toucher du doigt ; il tient surtout à nous faire connaître l’homme intérieur, et pour cela il déchire tous les voiles, recherche le mobile de toutes les actions, et, avec une science consumée, met ainsi à nu le cœur humain, détruisant les illusions trompeuses dans lesquelles on se complaisait».
  Forse il Balzac aveva più che non il Thackeray un’idea chiara dell’opera sua; forse nella sua mente era più nettamente tracciato il cammino da seguirsi, mentre che l’autore di Vanity Fair (come risulta dal confronto che il Trollope stabilì tra il Thackeray e il Dickens) era indeciso, mobile, esitante, poco amante del lavoro, sempre malcontento di quel che faceva e disposto a dubitar di sé stesso. Ambedue dovettero viventi attraversare per ben tristi vicende, ma per Balzac molto valeva l’adamantina tempra dell’animo, e sorretto com’era da una volontà instancabile, dalla retta conoscenza di sé stesso, dall’amore al lavoro mai non si lasciò piegare da disillusioni, né da sventure. Egli era pure uno dei personaggi della grande commedia umana, ma egli si sentiva superiore alle piccinerie, alle meschinità del maggior numero dei personaggi che lo inondavano e che egli andava ritraendo. Se avesse avuto degli scoraggiamenti, sarebbe stato un umorista, mentre egli nei lavori suoi non fu che satirico, e la satira dimostra in chi l’adopera una grande padronanza d’animo. Thackeray invece di carattere strano, lavoratore nervoso, impressionabilissimo giocatore anche alle carte e dissoluto, aveva le mirabili percezione (sic) del genio, ma non l’ordinata chiarezza, cosicchè nella battaglia intrapresa contro l’ottimismo, il buon senso che regola il suo procedimento è forse più incosciente che non lungamente maturato.

  Achille Bizzoni, In platea. […] – Il “Mercadet” a Milano, «La Commedia Umana. Giornale-Opuscolo settimanale», Milano, E. Sonzogno, Editore, Anno II, Punt.a N. 60, 7 Febbrajo 1886, p. 6 [pp. 1-7].
  Dopo il Deputato di Bombignac, il Parigino assicurerà i successi della compagnia Pasta, che lotta contro Emanuel, il quale al Filodrammatico con insuperabile valentìa e lieta fortuna va alternando la Mamma del Vescovo con quel insuperabile capolavoro ch’è il Mercadet di Balzac, tipo eterno come i personaggi di Shakespeare.

  Achille Bizzoni, In platea, «La Commedia Umana. Giornale-Opuscolo settimanale», Milano, E. Sonzogno, Editore, Anno II, Punt.a N. 66, 21 Marzo 1886, pp. 1-10.
  p. 5. Oh, se facchino della stampa, non avessi dovuto passare la giovinezza nell’asfissiante ambiente dell’ufficio de’ giornali cotidiani, mi pare che avrei scritto un libro, che forse passerebbe alla posterità, Fisiologia del piede femminino … Ma, riposino in pace i Mani di Balzac, non gli farò concorrenza, mi basta d’avergli rubato il titolo della Commedia Umana.

  Achille Bizzoni, Da Milano a Barcellona, «La Commedia Umana. Giornale – Opuscolo settimanale», Milano, E. Sonzogno Editore, Anno II, Punt.a N. 92, 19 Settembre 1886, pp. 5-8.
  pp. 6-7. Le narrazioni di Victor Hugo, i racconti spagnuoli di Balzac, le novelle di Mérimée, i canti di Byron, le descrizioni di Gautier, i fantastici disegni di Doré e di Vierge mi si affollarono alla mente colla musica di Bizet e di Verdi, di Carmen e di Don Carlos, della Forza del Destino, colle gioconde canzoni udite in lontane notti della mia giovinezza, quando Lei, pellegrina, obliosa figlia d’Andalusia, gorgheggiava le giulive o patetiche canzoni della patria […].

  Giovanni Boglietti, Arsène Houssaye e le sue confessioni(1), «Nuova Antologia di Scienze, Lettere ed Arti», Roma, Direzione della Nuova Antologia, Terza Serie, Volume Cinquantacinquesimo della Raccolta, Volume LXXXIV, Fascicolo II, 16 Gennaio 1886, pp. 247-271.
  (1) Les Confessions. Souvenirs d’un demi-siècle (1830-1880), par M. Arsène Houssaye. 4 vol. Paris, chez Dentu, 1885.
  pp. 251-252. La lingua francese fu allora [durante la «rivoluzione letteraria che le Giornate di Luglio inaugurano e consacrano», p. 250] più che mai un’amazzone, che nel fitto delle battaglie trovò vigore, agilità, destrezza, mandando per così dire intorno a sé un sentore di vita prima neanche sospettato. Chateaubriand si può dire il Mirabeau di questa rivoluzione letteraria, Lamartine il Vergniaud, e Victor Hugo il Danton. E intorno a questi tre Grandi si vide, al versante del loro olimpo, tutta una pleiade di altri illustri: Dumas, Alfred de Vigny, Balzac, Alfred de Musset, Saint-Beuve, Jules Janin, Théophile Gautier, Georges (sic) Sand ed altri molti, i quali davano ogni giorno alla Francia un capolavoro, come i soldati di Napoleone una vittoria, qualche tratto straordinario di eroismo. […].
  Bisogna sentir raccontare all’Houssaye con che smaniosa aspettazione egli vagheggiava il momento di mettersi in relazione con quei campioni dell’arte nuova, che alla sua vergine fantasia di provinciale parevano altrettanti dei, o semidei almeno. Una sera ebbe la fortuna di vederne qualcuno all’Odéon, dove si rappresentava: La vie d’un joueur. V’erano Balzac, Alexandre Dumas, Eugène Sue. Ma era Dumas che più attirava l’attenzione e l’interesse del nostro uomo. […].
  Però con tutti questi splendidi inizi del romanticismo ci volle ancora del tempo molto prima che esso tenesse incontestato il campo e s’imponesse all’intelligenza e al gusto del pubblico. […] I giornali non pubblicavano punto romanzi, punto ritratti letterarii, punto studi di costumi; per cui chi era divorato dall’amor delle lettere doveva rassegnarsi a vivere di nulla. Il teatro dava appena di che vivere stentatamente; il romanzo giù di lì. Il gran Balzac riscuoteva appena mille franchi al mese dai suoi librai; mille franchi per un lavoro ostinato, accanito, febbrile di dodici, sedici, diciott’ore al giorno. […].
  p. 253. Ho nominato la «bohème» romantica, e vale la pena di fermarci un momento su qualcuna delle figure che componevano quel manipolo zingaresco di letterati. Abbiamo già visto gli dei del romanticismo: in alto sulla vetta dell’Olimpo Chateaubriand, Lamartine, Victor Hugo. Più in basso, intorno a questi, Dumas, Alfred de Musset, Alfred de Vigny, Balzac, Sainte-Beuve, George Sand, Janin ed altri molti. Non pochi di questi dei però non stavano sempre fermi sull’Olimpo. Erano invece il più spesso in giro giorno e notte, precisamente come gli dei di Offenbach nel suo Orfeo all’inferno. […].
  pp. 259-260. Però se politicamente la rivoluzione del 1830 riuscì ad una strozzatura, nella letteratura e nei costumi essa è stata completa. […].
  E difatti erano all’opera Lamartine, Victor Hugo, Alfred de Musset, Dumas, Balzac, Sainte-Beuve, Jules Janin, Alfred de Vigny, Mérimée, Charles Nodier, Sue ed altri. Che tempo meraviglioso quando si vedevano apparire in una stessa stagione capolavori come: Notre-Dame de Paris, La Peau de chagrin, Le Rouge et le Noir, Les Contes d’Espagne et d’Italie, i più bei drammi di Victor Hugo e Alessandro Dumas, le più belle figure di Bosio e di Pradier, la feroce e sublime Libertà di Delacroix, le critiche di Sainte-Beuve. E tutti costoro lavoravano quasi per nulla. […].
  p. 261. Quante cose serie o facete ricordate a proposito in queste Memorie! […] Alfred de Musset che non ottiene all’Accademia francese che due voti contro un tal Vatout che ne ha diciotto! E fra i votanti vi erano Victor Hugo, Lamartine, Sainte-Beuve, Mérimée, de Rémusat, de Vigny. E pure tutti costoro assicurano di aver votato per il de Musset, che non ebbe che due voti. Ugual sorte, del resto, era toccata a Balzac, che non aveva avuto che due voti, come non ne aveva avuti che due Alessandro Dumas. […].
  L’Houssaye era uno dei pochi letterati che con Alfred de Musset frequentavano la società. […] Balzac era ben diverso; egli sembrava sempre in società un uomo smarrito in un elemento non suo. Lo stesso era di Giorgio Sand, che in società non andava e in casa non ebbe mai un vero salotto. […].
  pp. 268-269. L’Houssaye ci dà in fine delle sue Confessioni una collana di Figure parigine, che per la freschezza del colorito, la grazia, lo spirito, l’osservazione giusta e sagace, sono tutte un vero gioiello. Passano sotto la sua abile matita Balzac, Thiers, Giorgio Sand, Saint-Beuve, Alphonse Karr, Lamennais, Béranger, Niewerkerke, Mérimée, Alfred de Vigny, Gavarni, Ingres, Gérard de Nerval, About, Barbier, Gautier, Mme Dorval, Jules Janin, Sandeau e altri non pochi. Egli li ha conosciuti tutti, e la maggior parte nell’intimità dell’amicizia. Egli ritrae quindi dal vero, e si sente che il tratto che n’esce è giusto, preciso e caratteristico.

  Giovanni Boglietti, La morte di Balzac e di Alfred de Musset, «Fanfulla della Domenica», Roma, Anno VIII, N. 8, 21 Febbraio 1886, p. 1.


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  Balzac morì fulminato da uno schianto al cervello. Perduto in una diuturna accanita tremenda battaglia per il vero e per l’arte, egli diede al suo apparecchio cerebrale una temperatura di fiamma, e un giorno la macchina scoppiò.
  Negli ultimi suoi giorni Balzac aveva avuto un raggio di felicità, una felicità tarda che gli giungeva dalla lontana Polonia nella persona di una sposa bella e cinquantenne. Ma questa felicità a lui bastava; ne era anzi orgoglioso e fiero, come di un bene degno di ogni invidia. Egli è che quest’uomo, il quale aveva scrutato negli esseri di sua creazione le più ime latebre della vita, aveva poi dimenticato di vivere per conto proprio. E gliene era sfuggita la confessione quando nel rantolo dell’agonia mormorava agli amici costernati: «J’ai passé à côté de ma vie».
  Nulla di più drammatico della morte di Balzac. È una lotta che mette spavento fra una volontà indomabile che aspira a creare, e la vile fatalità fisiologica che a quella volontà tronca i nervi e il potere.
  « – Dottore – dice Balzac al medico curante: io non sono un uomo come un altro; non vorrei essere sorpreso dalla morte; ho ancora molto da fare per terminare l’opera mia.
  « – … Che è uno dei monumento dei diciannovesimo secolo» - interrompe il dottore.
  « – Ebbene, a questo monumento quante statue, quanti ornamenti ancora mancano!» E battendosi la fronte cola palma della mano: «L’architrave stessa, disse, non è ancora a posto. Certe cose il volgo non le comprende; ma la luce è la chiave del genio». – «Dottore, proseguiva Balzac, animandosi fino all’esaltazione, «esigo da voi tutta la verità; mi sento più malato che non credevo: le forze mi abbandonano. Invano coll’immaginazione cerco di stuzzicare l’appetito: ogni cibo mi fa orrore. Quanto tempo credete che io abbia ancora di vita?».
  Il dottore non rispondeva.
  « – Dunque, dottore, mi credete un fanciullo? Devo ripetervi che io non debbo morire come un uomo qualunque? Un uomo come me deve un testamento al pubblico».
  Questa parola «testamento» fece aprire la bocca al dottore. Se Balzac doveva un testamento al pubblico, ne doveva forse uno anche alla sua famiglia e a sua moglie: «Mio caro malato, quanto tempo vi vuole per ciò che vi rimane a fare? - «Sei mesi!» rispose Balzac, coll’aria di un uomo che ha fatto bene i suoi calcoli.
  E in ciò dire aveva gli occhi fissi sul dottore.
  «Sei mesi! Sei mesi!» balbettava il medico scotendo la testa. – «Ah! – interruppe tristamente Balzac. – Ben vedo che non mi date sei mesi. Mi darete almeno sei settimane, spero. Sei settimane colla febbre sono un’eternità, le ore sono giorni. E poi le notti non vanno perdute …».
  E il dottore scuote il capo come prima. Balzac allora si alza in atto quasi d’indignazione. In quel suo stato di esaltazione forse credeva che il medico fosse padrone di allungare o raccorciare la sua vita come un’altra Peau de chagrin. – «Che posso dunque sperare? esclama: mi darete, spero, sei giorni almeno!».
  Il dottore non potendo parlare si volta per nascondere una lagrima. «Sei giorni! ripete Balzac. Ebbene in questo poco tempo indicherò a grandi tratti ciò che rimane da fare per condurre a compimento l’opera mia, i miei amici metteranno i punti sugli i. Darò uno sguardo rapido ai miei cinquanta volumi; straccerò le pagine cattive; ritoccherò le buone. La volontà umana opera miracoli, Dio ha creato il mondo in sei giorni; io posso ben dare in sei giorni una vita immortale al mondo di mia creazione. Il settimo giorno riposerò».
  E di nuovo guarda fissamente il dottore che a stento riesce a dissimulare la sua straziante emozione.
  Nel tempo che Balzac andava ponendo questi terribili punti d’interrogazione, egli aveva invecchiato di dieci anni. Egli non aveva più voce per interrogare il medico, il quale alla sua volta sentiva morirsi la parola nella strozza. «Mio caro ammalato, dice egli finalmente tentando un sorriso – un sorriso di medico – chi mai può rispondere quaggiù di un’ora di vita? Qualcuno che in questo momento è sanissimo, morirà prima di voi. Ma voi volete da me la verità: avete parlato di un testamento al vostro pubblico …» – «Ebbene?» mormora Balzac. «Ebbene, questo testamento bisogna farlo oggi stesso».
  Balzac alzò la testa. «Non ho più dunque che sei ore?» grida con ispavento.
  E ricadde sul guanciale. In quel punto l’immortale cesellatore della Commedia umana entrò in agonia.

  Antonio Caccianiga, La Famiglia Bonifazio. Racconto di Antonio Caccianiga, Milano, Fratelli Treves, Editori, 1886.
  p. 174. In caso disperato, anche senza essere letterati non siamo tanto scemi da non saper inventare una storiella spiritosa, che diverta il pubblico per qualche giorno. Diceva bene Balzac: “pour le journaliste, tout ce qui est probable est vrai”. Noi non abbiamo corrispondenze che con Roma e Milano, ma tu che sei nato in Francia, e scrivi il francese meglio dell’italiano, tu potresti guadagnare moltissimo mandando delle corrispondenze a Parigi.

  Carlo Canetta, Un libro postumo di Gustavo Flaubert(1), «Corriere Ticinese. Giornale politico indipendente», Pavia, Anno II, N. 17, 9 Febbraio 1886, p. 3.
  (1) Gustave Flaubert. Par les champs et par les grèves (Voyage en Bretagne) accompagné de mélange et de fragments inédits. Paris, Charpentier, 1886.
  E fra gli autori francesi del nostro secolo si cercava di mettere un po’ d’ordine, di quell’ordine che suggella i periodi letterari e che dà vita e forma alla storia letteraria.
  Si arrivava a Flaubert dopo il visconte di Chateaubriand, a Daudet dopo Flaubert; ma Emilio Zola deriva da Balzac.

  O.[reste] Cenacchi, Teatro e romanzo. Note e ricerche, Bologna, Nicola Zanichelli, 1886.

  A proposito di “Chérie”, pp. 41-61.
  Cfr. 1884.
  A proposito di un’attrice moderna [Eleonora Duse], pp. 63-77.
  p. 70. […] e, pur volendo rimanere in Italia, il primo attore, quando si chiama Emanuel, esce dal paludamento di Alcibiade per indossare la casacca di Giboyer o quella di Mercadet.
  Per una compagnia comica, pp. 107-112.
  Cfr. 1885.
  Letteratura di scarto, pp. 123-135.
  p. 130. Ma nessuno dei moderni scrittori che stanno di mezzo fra questa produzione plebea e quella aristocratica, la quale prese le mosse da Balzac, doveva arrivare ai moderni sperimentalisti, sa arrivare al ginocchio dei propri antecessori.
  Sapho di Alfonso Daudet, pp. 173-189.
  Cfr. 1884.
  Un monumento a Béranger, pp. 191-205.
  p. 204. Queste ed alcune altre poesie del genere costituiscono l’intero patrimonio che Béranger lascerà all’arte e mi pare non ci sia da fargli un monumento che Andrea Chénier e Onorato Balzac aspettano ancora.
  p. 230. Nota (13). Non dimentico certo la Commedia Umana ma l’ignoranza del pubblico preferiva Eugenio Sue a Balzac. [cfr. L’ultimo romanzo d’un accademico, pp. 104-105: Si capisce facilmente il successo che quel libro [il signor di Comors di Feuillet] ottenne allora, ma esso appare ben povera cosa oggi, di fronte alla più lunga ed ampia estensione portata nello studio del documento umano].

  E. Chauvin, Virginia. Romanzo di E. Chauvin, «L’Euganeo. Politico-Letterario», Padova, Anno V, N. 306, 5 Novembre 1886, p. 2.

  Giunsi alle rupi, e la vidi di lontano, seduta presso un cespuglio. Leggeva attentamente.

  M’avvicinai, sospettando che fa­cesse finta di non vedermi, e, cur­vandomi sulla sua spalla, guardai il titolo del libro, volume unto e bisunto come un vecchio almanacco.

  Restai tutto sorpreso, vedendo che era «La ragazza cogli occhi d'oro», uno dei romanzi più liberi di Balzac.

  – Ah! mavete fatto paura, diss’ella ridendo.

  – Come leggete questo libro?

  – Sì. Oh! adesso che non mi fanno più lavorare, io studio molto, e que­sto mi piace molto di più!

  Chi vi ha dato quest'opera? le domandai rattristato.

  – Mio padre, rispose lei con sicu­rezza. Perché assumete quell’aria cattiva? Vi dispiace forse che io mi istruisca?

  – È che questa lettura mi sembra scelta assai male per voi.

  – Oh! è una storia così diverten­te ... e tutto questo mondo di Pa­rigi! ...

  – Dunque lo capite, questo romanzo?

  – Diamine! mi pare di capirlo, ri­spose Virginia con un’occhiata can­dida d’innocenza, che nella sua au­dacia smentiva quelle parole.

  Non volli insistere, per paura di segnalarle il pericolo.

  Più la vedevo, e più mi persuadevo che l’arditezza, la quale a bella pri­ma m’aveva urtato, era semplicemente la sicurezza d’una immaginazione in­genua.


  E.[ugenio] Checchi, Romanzi e Racconti. «Teresa» di Neera, «Fanfulla della Domenica», Roma, Anno VIII, N. 34, 22 agosto 1886, p. 1.
  C’è qua e là come un’eco lontana di taluno fra i capolavori del Balzac, e forse un grado di parentela remota esiste fra la Teresa dell’autrice italiana e l’Eugenia Grandet dell’immortale scrittore francese. Ma una tal quale somiglianza di fondo non attenua in nulla la gagliarda originalità di Neera: insuperabile, parmi, in certe sue riflessioni sottili, che lumeggiano a tratti gli avvenimenti, e ritraggono con una pennellata una fisonomia morale; […].

  Giuseppe Chiarini, Roberto Burns. Parte Prima. La poesia secondo Platone – La poesia inglese dal 1750 al 1780 – Le idee moderne in Inghilterra – La vita e i canti del Burns, «Nuova Antologia di Scienze, Lettere ed Arti», Roma, Direzione della Nuova Antologia, Terza Serie, Volume Secondo Della Raccolta, Volume LXXXVI, Fascicolo XVI, 16 Marzo 1886, pp. 209-228.
  p. 217. L’uomo moderno, dice il Taine, «è l’uomo in abito nero, che lavora solo nella sua stanza, o corre in fiacre per procacciarsi amici e protettori; spesso invidioso, spostato per natura, qualche volta rassegnato, sempre scontento, fecondo di invenzioni, prodigo de’ suoi dolori, e che trova l’immagine delle sue colpe e della sua forza nel teatro di Victor Hugo e nei romanzi del Balzac».
  Di quest’uomo moderno, essenzialmente diverso dal Cowper, c’è invece qualche cosa, anzi molto, nel Burns […].

  Domenico Ciampoli, Studi slavi. Il romanzo in Russia. N. G. Cerniscevky, «Gazzetta Letteraria Artistica e Scientifica», Torino, Roux e Favale, Anno X, N. 1, 2 gennaio 1886, pp. 2-4.
  p. 4. Tutto il romanzo [Che fare?] però è una ribellione: alle regole, alla retorica, al cattivo gusto, a’ vecchi costumi; ribellione impersonale che scatta da ogni pagina del libro, e sotto forma d’analisi accurata e minuta cela un’arte squisitissima che ricorda Balzac e Stendhal.

  Conte Verde, Al Teatro. Un precetto di Balzac. […] – Un amore. – Un’agonia. – Una morte, «La Civetta. Cronaca azzurra», Firenze, Anno I, Numero 10, 16 Dicembre 1886, pp. 7-8.


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  Balzac consigliava ai poeti di esser casti; diceva ai suoi giovani amici già illustri che vedeva camminare dietro di sé: Sfuggite le donne! Lui, la cui opera è, si può dire, tutta una lunga, appassionata, desolante storia di donna. E al precetto egli aggiungeva l’esempio, poiché solo a cinquant’anni incominciò a goderla fuori dei libri, soltanto allora sposando l’adorata madame Hanska. E diceva: «Venti anni di fatica e di lotta mi sembrano un nulla pensando al premio di un amore così splendido, così raggiante e completo».
  Egli permetteva soltanto di vedere la bien-aimée una mezz’ora ogni sei mesi. – Ma potremo scriverle? gli domandavano. «Oh! pour cela oui, ça sert à former le style».
  Scrivere qui, ha per me tutte le seduzioni dello scrivere una di queste piccole e profumate letterine che Balzac permetteva. Tanto più che, come Stendhal mi è caro, o dolci mie bien-aimées incognite, di piacere solo a trenta o a quaranta persone che non vedrò forse mai ma che amo alla follia senza conoscere. […].
  Nulla di più soave e tragico, di questo amore di Houssaye per Maria Garcia o meglio di Maria Garcia per Houssaye, un vero amore da romanzo. […].
  Alla sua agonia assiste l’Houssaye; è un’agonia che ha rammentato un po’ quella dell’angelica contessa di Mortsauf nel Lys dans la vallée di Balzac: vi ricordate? Essa, dice l’Houssaye, non aveva creduto all’agonia. La sua agonia non fu terribile, ma fu un’agonia. […].

  Ugo Conti, Dottrine naturaliste, in Intorno alle nuove dottrine in diritto penale con particolare riguardo alla pena di morte, Bologna, Nicola Zanichelli, 1886, pp. 25-73.
  [Sulle dottrine antropologiche nel campo della scienza criminale di Cesare Lombroso, qui discusse dall’A.].
  p. 59. Un tempo dava il Balzac, fisiologo arguto, e senza pretese, i caratteri dei predestinati … a che cosa si capisce, nel matrimonio, oggi offre il Lombroso, antropologo erudito, e con altissimi intenti, quelli dell’uomo delinquente predestinato […].

  Giuseppe Depanis, Fra romanzieri e novellieri [De’ Rossi – Caze – De Bounières – Kraszewski – Stinde – Hepell – D’Annunzio – Theuriet – James], «Gazzetta Letteraria Artistica e Scientifica», Torino, Roux e Favale, Anno X, N. 20, 15 maggio 1886, pp. 157-159.
  p. 158. L’idillio della vedova [D’Annunzio] ricorda Après la bataille, di Paolo Alexis, e Turlendana ritorna, si riallaccia ad una novella del Balzac ed a Jacques Damour, di Emilio Zola.

  Giuseppe Depanis, Franz Liszt. I., «Gazzetta Letteraria Artistica e Scientifica», Torino, Roux e Favale, Anno X, N. 32, 7 agosto 1886, pp. 257-258.
  p. 257. Nel 1844 quel legame [Liszt-contessa D’Agoult] che era durato dieci anni si sciolse, non importa indagare per quale motivo. Fu supposto che la Sand non vi fosse estranea, e nell’amicizia della Sand col Liszt infatti molto si disse e molto si scrisse. […] Certo si è che la storia degli amori della contessa D’Agoult e del Liszt fu in parte tracciata, per tacere di altri, dalla D’Agoult stessa nel romanzo Nelida e dal Balzac in Béatrix, dove madame de Rochefide raffigura la contessa D’Agoult, Conti il Liszt, Camille Maupin Giorgio Sand e Claude Vignon Gustave Planche.

  Giuseppe Depanis, Fra romanzieri e novellieri – Del Balzo – Neera – Halévy – Fabre – Poictevin – Conway, «Gazzetta Letteraria Artistica e Scientifica», Torino, Roux e Favale, Anno X, N. 49, 4 dicembre 1886, pp. 396-398.
  pp. 396-397. Carlo Del Balzo volle ora tentare il romanzo, ed esordì con un lavoro audace e vigoroso [Le sorelle Damala. – Milano, Galli editore]. Sedotto dall’esempio del Balzac e dello Zola, egli aspira a consacrare il suo nome con un’opera ciclica e grandiosa [si tratta de: I Deviati, studi di costumi contemporanei]. […].
  Considerato nel suo complesso, Madame Fuster [par Ferdinand Fabre] è un romanzo esuberante che ricorda qua e là i romanzi del Balzac nei pregi e nei difetti, quali lo svolgimento impacciato, l’ingrossamento dei personaggi che, pur non esorbitando dall’umanità, si riducono spesso ad astrazioni, una certa pesantezza di stile ed una certa povertà di condotta.


  Dip., Teatri di Prosa a Milano, «L’Arte Drammatica», Milano, Anno XV, N. 11, 23 Gennaio 1886, pp. 1-2.

 

  p. 1. Di notevole al Filodrammatico in questa settimana, una novità; Mercadet l’affarista dl Onorato di Balzac. Questa commedia scritta circa cinquant’anni fa, rappresentata or sono trentacinque anni dopo la morte dell’autore, è una novità bella e buona. Quanti degli spettatori di mercoledì, giovedì e venerdì l’avevano sentita? — O io m’inganno o queste esumazioni, rivelano in Emanuel un odorato sopraffino in fatto d’arte.

  Chi avesse oggi trovato il manoscritto inedito del Mercadet e l’avesse dato al teatro, avrebbe fatta la sua fortuna. Mai fotografia di una figura sociale che vediamo tatti i giorni, è riuscita migliore di questa. Questo prova che il mondo fu, è e sarà sempre lo stesso, e Balzac che lo sapeva, forse lasciò la cura ai posteri di impadronirsi della sua commedia, che, certamente pensò, è di tutti i tempi e di tutta la società.

  Sfido a negare che il Mercadet sia di Balzac! ci ha i connotati. Nessuno ha potuto fin ora notomizzare il cuore e la natura umana come questo filosofo grande, il vero successore di Voltaire, con questa differenza a suo vantaggio, che dove Voltaire trovava il suo spirito manchevole vi sostituì lo scherno, Balzac avendolo completo indovinò sempre, e canzonò quanto il primo colpendo però sempre nel segno.

  Ma siccome l’ombra di Balzac non si commoverà gran fatto per questo mio postumo omaggio, è meglio parli brevemente dell’esecuzione. Chi volesse persuadersi dell’ingegno di Giovanni Emanuel vada a sentirlo nel Mercadet. [...].

  Egli evita così di cader nel grottesco, e fa del personaggio di Balzac, non un eroe da farsa, non un briccone volgare, ma quelle che l’autore volle: un carattere. [...].


  Marco Donati, Analisi delle accuse, in Gli Avvocati. Conferenza tenuta in Padova dall’Avvocato Marco Donati nella sera del 6 aprile 1886 a beneficio dei Giardini Froebelliani, Padova, Premiata Tipografia F. Sacchetto, 1886, pp. 23-29.
  p. 27. Infine, non è colpa degli Avvocati, come dice Balzac nel suo Codice delle persone oneste, se Temi, di cui essi sono i gran Dignitari, scontenta sempre una persona sopra due, e se su mille cause che vengono giudicate, debbono quindi esservi necessariamente i mille che soccombono, i quali divengono altrettanti detrattori dell’onorevole casta.

  Giovanni Faldella, Da che pulpiti!, «Gazzetta Letteraria Artistica e Scientifica», Torino, Roux e Favale, Anno X, N. 12, 20 marzo 1886, pp. 89-90.
  [Su: Paolo Mantegazza, Gli Amori degli uomini].
  p. 89. Il saggio del Mantegazza è un lavoro crudamente tecnico. Invano si cercano in esso le solite pagine affascinanti, liriche, oratorie da poeta o da cavadenti. E ciò, che costituisce un difetto riguardo l’artista, è un merito per lo scienziato.
  Emilio Zola (il cui verismo è dal Mantegazza con soverchia leggerezza chiamato nauseoso e stanco) nel suo studio critico de la moralité dans la littérature forse sbalestrò col sentenziare che Walter Scott aveva sulla coscienza più peccatrici che non Balzac. Galeotto fu il libro e chi lo scrisse, venne però detto dalla dannata Francesca ad un romanzo di avventure straordinarie.

  Forficula, Chiacchiere e Letture, «Corriere dell’Arno. Giornale politico amministrativo», Pisa, Anno XIV, Num. 47, 15 Agosto 1886, pp. 2-3.
  p. 2. Finora, sì terribile malattia fu ribelle a tutti i rimedi che suggerì la scienza, tanto più che non è così facile il diagnosticarla poiché di frequente è accusata dalle donnine un po’ capricciose.
  Balzac scrisse:
  «O emicrania protettrice degli amori! imposta coniugale! è egli mai possibile che gli amanti non l’abbiano ancora celebrata, divinizzata, personificata! O portentosa emicrania! O fallace emicrania, sia lodato il cervello che primo ti conobbe! Onta al medico che troverà per te un preservativo! Tu sei il solo male del quale le donne non si rammarichino gran fatto perché riconoscenti del bene che loro dispensa».

  Fortunio, In platea, «La Commedia Umana. Giornale-Opuscolo settimanale», Milano, E. Sonzogno, Editore, Anno II, Punt.a N. 67, 28 Marzo 1886, pp. 1-9.
  p. 3. Ed oggi al povero giornalista si chiede un bozzetto; come si fa a scrivere dopo quelli di Balzac, di Teofilo Gautier, di Zola, dopo i cento volumi dei geniali narratori italiani, che da Boccaccio a Gozzi hanno riempito il mondo delle loro gaie corbellerie?

  Fortunio, In platea. […] – Matrimonio e divorzio, «La Commedia Umana. Giornale-Opuscolo settimanale», Milano, E. Sonzogno, Editore, Anno II, Punt.a N. 68, 4 Aprile 1886, p. 5 [pp. 1-7].
  Dunque anche il duchino di Braganza, erede presuntivo del trono di Portogallo, avrà finalmente la sua sposina. Coi giorni che corrono il pigliar moglie è il meglio che si possa fare, checché ne abbia pensato Balzac, ch’ebbe la sventura di vivere in tempi nei quali il divorzio era all’ostracismo.
  Anche in Portogallo il divorzio, come in Italia, finirà per essere adottato, però nulla che leghi meno del matrimonio in queste vigilie felici in attesa del gran giorno.

  Fortunio, In platea, «La Commedia Umana. Giornale-Opuscolo settimanale», Milano, E. Sonzogno, Editore, Anno II, Punt.a N. 103, 5 Dicembre 1886, pp. 1-10.
  p. 8. Bando ai romanzi, che per quanto un po’ … un po’ arrischiati, non escono dalle convenienze … mi darò alla traduzione dei Contes Drolatiques di Balzac; ai collaboratori farò calde raccomandazioni di attenersi all’erotismo più snaturatamente naturalista.

  Fortunio, In platea. […] – Luoghi comuni, «La Commedia Umana. Giornale-Opuscolo settimanale», Milano, E. Sonzogno, Editore, Anno II, Punt.a N. 104, 12 Dicembre 1886, p. 2 [pp. 1-10].
  Si amava, sedici anni sono, come si è sempre amato, in Italia e dappertutto; ma, le apparenze erano abbastanza rispettate, tanto che Balzac, se fosse ritornato fra noi, avrebbe – novello Passaglia – sconfessata la sua Fisiologia del matrimonio.
  Eravamo ancora all’età dell’oro degli affetti matrimoniali, senza troppe privazioni per i poveri scapoli, costretti a seminare e mietere, qualche volta a spigolare soltanto, nei campi altrui.

  Annibale Gabrielli, Morosophia, «Gazzetta Letteraria Artistica e Scientifica», Torino, Roux e Favale, Anno X, N. 48, 27 novembre 1886, pp. 386-387.
  p. 386. L’Elogio della pazzia è il trastullo d’un grande ingegno, è il benevolo sorriso dell’uomo che sa vivere e sa compatire, è la Commedia umana di Balzac, anticipata di tre secoli.

  Raffaele Giovanoli, A proposito di verismo e di naturalismo, «La Favilla. Rivista di Letteratura e di Educazione», Perugia, Tip. Umbra, Anno X, Fasc. IX-X, 30 nov. e 31 decemb. 1886, pp. 265-275.
  p. 273. Ma crede ella, proprio, in buona fede, sulla scorta di quattro ragazzi, generalmente bocciati al Liceo e che scrivono delle porcherie in pessimi versi e che vociano e cianciano e cinguettano pei tavolini dei caffè e su per le pagine giallognole degli elzeviri, di scuola nuova e di scuola del vero, di realismo e di naturalismo, e ne vanno a pescare gli esempii in Rabelais, in Lesage, in Balzac e in Zola, credendo di scoprire l’America; ma crede, proprio, ella, in buona fede, che queste le sian cose di moderna invenzione? …

  Achille Guberti, La giunta. Spettacolo popolare sacro di Caltagirone, «Archivio per lo studio delle tradizioni popolari. Rivista trimestrale», Palermo, Luigi Pedone Lauriel, Editore, Volume Quinto, Fascicolo I, Gennaio-Marzo 1886, pp. 355-357

 

  p. 355.

Gentilissimo D.r Pitrè,

 

  In un certo senso si potrebbe dire di Lei quello che fu detto di Balzac: essere egli, cioè, il più indefesso e il più illustre raccoglitore di documenti che riguardano la vita nelle sue svariatissime manifestazioni.


  Luigi F.sco Guerra, Per un fatto personale, in Studj critici, Vol. Unico, Bari, Stab. Tipografico Cannone, 1886, pp. 141-149.
  p. 142. Che cosa da me vuole cotesto stuolo di donnine, che m’ha trascinato alla presenza vostra, o giurati, perché mi discolpi? […].
  Esse, insomma condannano l’arte mia, come l’arte di colui che ammira Balzac, Flaubert, Zola e via via.
  Esse dicono che io faccio la propaganda del malcostume.
  Che cosa è il mal costume? Se potrò sperare che voi, signori giurati, aspettiate la conchiusione del mio dire, prima di arricciarmi il naso, io mi farò lecito domandare alle mie accusatrici perché sia mal costume quello di Zola, di Balzac etc. e non sia parimenti mal costume udire a teatri i casi di Mirra e di Giocasta incestuose, le mostruosità di Fedra, l’adulterio classico di Clitennestra! […].
  pp. 147-148. I Romanzieri cominciano a burlarsi di quell’archeologo medioevale di Walter Scott; ma volta e rivolta, gira e rigira, siamo sempre là: l’idolo si chiama adesso il realismo, il naturalismo: si chiama Balzac, come una volta si chiamava il romanticismo, il medio Evo, Walter-Scott. E a quest’idolo, come di regola, si attribuisce ciò che fa comodo ai sacerdoti, sicchè il Balzac, realista per davvero e nel significato più alto della parola, risica di passare per un realista sullo stampo del Belot, del Tronconi, che so io? … un Paul de Kock in grande.
  Niente di più falso. De Kock è scollacciato, mentre Balzac è il romanziere, che non attinge soltanto alla fonte della sua coscienza.
  Quest’ultimo metodo è un’utopia. Il bello è un prodotto della coscienza, ma non è la coscienza stessa. Il bello è il risultato della relazione della coscienza col mondo di fuori.

  Il Fanfulla della Domenica, Un giovane Novelliere francese, «Fanfulla della Domenica», Roma, Anno IX, N. 16, 17 aprile 1886, p. 3.
  [Su: R. de Vezeley, Madame de Presmes].
  Si dice da noi, e con ragione, che la mancanza di una scuola di romanzieri e di novellieri sia, per i giovani autori, che si arrischiano sulla spinosa via delle lettere, un ostacolo grave. […] Ma se da noi la mancanza di scuola dà ai giovani la titubanza, l’incertezza nel muovere i primi passi, in Francia l’abbondanza della scuola produce quasi lo stesso effetto: il giovane romanziere, incerto se debba seguire le orme di Balzac o della Sand, i due veri capistipite della letteratura francese moderna, oppure uno dei tanti loro discepoli, che a loro volta hanno fondato una scuola propria, per non sbagliare mette volontariamente o inconsciamente i piedi in due staffe, finchè un amico, un fanatico, un credente non lo prenda garbatamente per il braccio […].

  Il Saraceno [Luigi Lodi], Madama vedova Bizet, «capitan Fracassa», Roma, Anno VII, N. 278, 10 Ottobre 1886, p. 1.
  Ma, con ciò e ad onta di ciò, Daudet e Bizet rimangono due artisti originali.
  E l’originalità loro discende pure dall’uguaglianza del temperamento artistico e da molta somiglianza di forma.
  Non sono genii nessuno dei due: né Rossini né Balzac, né Wagner, né Walter Scott, non appartengono, insomma, alla grande schiera superiore degli inventori, dei creatori, dei maestri immortali.

  John., Profili milanesi. Giovanni Visconti-Venasta, «Corriere della Sera», Milano, Anno XI, Num. 67, 8-9 Marzo 1886, pp. 2-3.

  Visconti Venosta, se è scrittore verista, non è scrittore naturalista, che discende da Manzoni e da Giulio Carcano, piuttosto che da Balzac e per associazione di scuola da Zola.

***

  Il verismo — altra questione che qui non mi è dato risolvere — il verismo che renderà eterna l’arte di Omero, di Dante, di Shake­speare, di Molière e che ebbe nel Balzac la sua affermazione moderna, semplice e ardita­mente michelangiolesca nel tempo stesso nella sua curva artistica; questo verismo in Visconti Venosta, è satira umorista, la quale dà al per­sonaggio una efficacia un po’ forzata di colo­rito.


  John, Emilio Zola, «Conversazioni della domenica. Giornale d’amene letture letterario – artistico illustrato», Milano, Anno I, N. 15, 11 Aprile 1886, pp. 117-118.

 

  L’idealismo sensualmente, azzurro del romanticismo ortodosso, si era a poco a poco modificato in un idealismo vagamente verista, da cui si svolgeva una affermazione più moderna e sociale. L'alito vivificatore di Balzac aveva troppo sfrondato la leggenda medioevale [...].

  La teoria dell'ambiente, della fisiologia, della educazione, quali altrettanti fenomeni di contingenza politica e sociale, era già enrata (sic) nel campo della scienza e in parte dell’arte. Balzac e i de Goncourt avevano preceduto Zola. – Solo nell’orgia continua di Parigi, ogni rivoluzione logica dell’arte, rimaneva soffocata.

  I Rougon Macquart sono adunque la conseguenza di questa nuova formula dell’arte.

  Balzac, nella sua Comédie humaine, non aveva osato trarre una completa teoria del suo policrono intarsio. Il Père Goriot era un tipo – non un capo stipite.

  L’ambiente era sempre subordinato, più o meno, all’uomo. L’avvenimento non era mai assoluto – l’uomo lo poteva modificare; e nei drammi banali della borghesia il poema della vita, nella sua ultima reazione dell’irrequietezza dello spostato e del buon senso della coscienza onesta, assumeva la forza di un processo sociale.

  La tesi seguiva spontanea, non imponeva un concetto scientifico. L’idealismo perdurava nella letteratura; e per quanto l’opera del Balzac fosse colossale, l’arte sua non era seguita totalmente. Il fatalismo dei tipi sovrumani, le passioni poetiche, sublimi, piene di slancio e di abnegazioni melodrammatiche, allettavano la fibra nervosa del pubblico. A Mercadet si preferiva Antony [...].


  Giuseppe de Leonardis, L’Anima del Manzoni e la critica moderna. Studio di Giuseppe de Leonardis, Genova, Tipografia del R. Istituto Sordo-Muti, 1886.
  p. 87. Non nego che de’ Promessi Sposi ci siano traduzioni; ma anche i romanzi del Guerrazzi n’ebbero in tedesco e in inglese. Ma domando: i Promessi Sposi hanno esercitato l’efficacia letteraria che la Nuova Eloisa, per esempio, esercitò nella letteratura tedesca e inglese, su Goethe, su Schiller, su Byron? I Promessi Sposi hanno mai riscaldato o turbato gli animi degli stranieri, come i romanzi del Balzac riscaldarono i russi? I Promessi Sposi hanno mai avuto un lampo della popolarità che proseguì i Miserabili?

  Vincenzo Linares, Racconto XIV. Il matrimonio clandestino. 1. Il biglietto, in Racconti popolari di Vincenzo Linares, ora per la prima volta riuniti e ordinati, aggiuntavi la biografia dell’autore e note istoriche illustrative per cura di Carlo Somma, Palermo, Luigi Pedone Lauriel editore, 1886, pp. 413-415.[2]
  p. 414. Vedete l’altro che sta con gli occhiali inforcati sul naso, con sessant’anni circa sulle spalle, il viso bronzino, senza polpa, capelli castagni, tutto simmetrico come un mercante inglese, anzi quanto l’usuraio di Balzac. È il forense signor Roberto, un uomo di pasta antica, cioè nemico della moderna.

Racconto XXVI. Il geloso e lo sciocco, pp. 451-453.
  p. 451. – Diadestè, cosa è dunque questo arabo nome?
  – Avete detto bene a dire arabo, o Signora Marchesa – Se avreste (sic) letto il Balzac, forse forse sapreste …
  – Dio mi liberi! Amo di ridere e non di piangere. – In somma se quel diadestè è cosa luttuosa lasciatelo stare; non ne voglio sentir altro.
  – Al contrario, è da ridere …
  – Ve lo spiego io, mia cara Marchesa. Il diadestè è una parola, un giuoco, che consiste nel burlare, ossia nel togliere qualunque burla si volesse fare; dura ventiquattr’ore, ed anche mesi. Così per esempio – Si vuol dare ad intendere qualche classica sciocchezza? Si risponde diadestè, invece di dire non ci credo.

  Paolo Lioy, Costumi degl’insetti (Vespe e Ragni), «Nuova Antologia di Scienze, Lettere ed Arti», Roma, Direzione della Nuova Antologia, Terza Serie, Volume Secondo Della Raccolta, Volume LXXXVI, Fascicolo XVI, 16 Marzo 1886, pp. 278-285.
  p. 282. Balzac diceva d’una giovane sonatrice ch’elle agitait sur le clavier ses pattes d’araignée; e si veggono ogni giorno sonatori di pianoforte, valenti ma brutti, con occhi squarquoi, membra sgangherate, goffo aspetto di violoni rovesci, mani dalle dita lunghe somiglianti a zampe di ragni. Ma è vero che codesti industriosi tessitori amino la musica?

  Paolo Lioy, Divagazioni mentre piove, «Nuova Antologia di Scienze, Lettere ed Arti», Roma, Direzione della Nuova Antologia, Terza Serie, Volume Secondo Della Raccolta, Volume LXXXIX, Fascicolo XIX, 1 Ottobre 1886, pp. 462-472.
  p. 471. De Maistre ha scritto il viaggio intorno alla sua camera, Karr il viaggio in giardino, Lewes la fisiologia e Johnston la chimica della vita giornaliera; ma sono divagazioni su oggetti inanimati o su atti vitali che si compiono nell’organismo indipendentemente dalle condizioni dell’anima. I romanzi sperimentali pretendono rivelare l’intimo lavorìo della coscienza, ma spesso non sono che pretenziose analisi indicibilmente inferiori alle creazioni vive e vere di Balzac e di Dickens. Ciò che vi ha nome di verismo non vi è sovente rappresentato che dalla brutalità inutile con cui Goncourt alza le sottane a Chérie.

  L.[uigi] Lodi, Chiacchiere drammatiche (Come si recita), «La domenica del Fracassa», Roma, Tipografia Nazionale, Anno III, Num. 2, 10 Gennaio 1886, p. [1].
  La compagnia Nazionale a Venezia, prese le mosse dalla Fernanda del Sardou per ritornare subito ai Mariti del Torelli; la compagnia Maggi, a Milano, da una commedia del Feuillet, e quella diretta da Giovanni Emanuel da una più vecchia ancora del Balzac.

  Mario, Note fiorentine. I funerali della marchesa Ginori – Donet et imperatur – Chi sarà il nuovo sindaco? – L’affare Banti – Pierantoni, «Gazzetta Piemontese», Torino, Anno XX, Num. 36, 5 Febbraio 1886, p. 2.
  La Maschera di bronzo, di Oscar Pio (scrittore che non ha le pretensioni letterarie alla Balzac, ma che conosce ottimamente l’arte d’interessare il pubblico) ebbe un vero successo.

  Tullo Massarani, Carlo Tenca e il pensiero civile del suo tempo con una scelta di Poesie postume inedite e Ritratto, Milano, Ulrico Hoepli Editore-Librajo, 1886.

  Prime armi, pp. 1-27.
  p. 11. (Cfr. 1885).

La Patria nell’idioma, nelle lettere e nelle arti, pp. 159-225.
  pp. 182-183. Ma io m’accorgo che se non fo sforzo di remi non uscirò da queste troppo a me domestiche acque; e tralascio di ricordarvi la patetica odissea dell’Evangelina, raccontata a’ nostri lettori prima ancora nella sonante prosa del Cattaneo che negli armoniosi versi del traduttore; e il nostro veleggiare arditamente dall’una all’altra America, dalle liriche di Longfellow a quelle di Magalhaes; e l’amplissimo quadro della letteratura russa, del poema d’Igor, anteriore all’irruzione tartarica, giù fino al disperato scherno che rugge nell’Ode al pugnale di Puschkine; e i ritratti di tanti illustri concittadini d’oltralpe – li chiamo così perché tali me li fa rassembrar sempre, nonostante ogni disparità di opinioni, la prossimità della stirpe e la comunanza dell’ambiente – i ritratti di Chateaubriand, di Lamartine, di Balzac, di Georges (sic) Sand, di Mérimée, di Béranger e se più ce n’ha, frescati con rapido ma innamorato pennello sulle pareti del nostro Pecile; […].

  Domenico Milelli, Annotando, in Mescolanza, Roma, Casa Editrice C. Verdesi e C., 1886, pp.29-38.
 

 pp. 31-32. Homo! — Dice lo Scarfoglio che Comparatico, una delle novelle del Capuana, è meravigliosa e tale da stare gloriosamente anche nel Decamerone o tra le più perfette cose di Balzac […].


  Durando il colera, pp. 77-89.
  Cfr. 1884.

  Nicola Misasi, In un salotto, «La Scena Illustrata. Periodico quindicinale di letteratura, musica e drammatica», Firenze-Roma, Anno XXII, Numero 12, 15 Giugno 1886, pp. 2-3.
  Ecco la tesi. Fra un uomo e una donna è possibile un’amicizia schietta, continua, serena, senza struggimenti, senza gelosie, senza i guizzi caldi della passione, proprio come fra due uomini? Io credo di no … […].
  – Dunque ci condannate a non avere amici?
  – Sì, finché pesa su di voi la dolce condanna della beltà e della giovinezza. Ma francamente, dite, non vi sentireste umiliata nel vostro orgoglio di donna se un uomo giovane, forte, intelligente, seduto vicino a voi, nell’intimità calda e sicura di un salotto tappezzato di seta e fulgido di dorature; nella penombra che invita ai sogni e che incoraggia alle audacie; in un’atmosfera pregna di profumi delicati che si spandono pel cervello e con tocchi di velluto carezzano i nervi nella sicurezza di sentirsi soli, simpatici, compenetrati l’un l’altro, dite, non vi sentireste umiliata nel vostro orgoglio di donna se un tale uomo vicino a voi, bella, fiorente, morbida, bianca, come il Balzac vuole che sia la donna, scintillante di giovinezza negli occhi e nel sorriso, avvolta come in una nuvola da quel fluido invisibile eppur sensibilissimo che vapora da un fresco e sano corpo di donna; se quell’uomo tranquillo, apatico, indifferente vi parlasse dell’ultimo listino della Borsa e del prezzo dell’olio calcolato a botti ed a litri? Via, siate franca.
  – Ma tutto questo non c’entra …
  – Ma c’entra benissimo. Credetemi, potete per poco farvi illusione ma c’è un istante in cui la natura vi chiede imperiosamente conto della missione che vi ha imposto. Ecco, vo’ parlarvi quel che accadde ad un mio amico, molto intimo in conferma di quel che testé vi dicevo.
  - È la storia di una realtà?
  – Forse: di una verità certo. La realtà è il particolare, l’anormale, spesso l’inverosimile; la verità invece è l’universalità del sentimento, delle passioni. Sembra un paradosso; ma l’arte che è il vero, spesso è meno falsa della vita, che è il reale.
  – Fate della filosofia, disse la signora, che indispettita ed annoiata riaccendeva la sigaretta.
  – Sì, filosofia pratica, non studiata sui libri. Vera o reale la mia storia, torna a cappello in prova di quanto vi diceva. Dunque, il mio amico che era giovane, e pari agli eroi di tutte le storie, intelligente come un artista e colto come un professore, aveva conosciuto una donna.
  – Bella?
  – Tutte le donne che hanno una istoria son belle. Era una creatura gentilissima, delicata, piccolina, bianca, come, sempre secondo Balzac, deve essere una donna …
  – Siete poco galante con le altre …
  – Cito un’opinione di Balzac; io poi credo che la donna più bella sia quella che si ama. […].

  C. A.[ndrea] Mondello-Nestler, La Massoneria sotto il nome di giovine Europa, in La Massoneria, Roma, Tipografia Editrice Romana, 1886, pp. 64-93.
  pp. 71-72. Fondate dunque tutte le nazionalità massoniche affigliate alla gran madre con l’appellativo di Giovine Europa, esse d’allora in poi con tutta forza si misero a lavorare per la causa comune, cioè di abbattere ogni ordine religioso-politico-civile esistente; sostituendovi governi senza religione, senza morale alcuna, senza Papi e senza monarchi.
  In queste terribili falangi massoniche eranvi [riportiamo di seguito soltanto i nomi di letterati francesi citati dall’A.] Eugenio Sue […]. Thiers […], Balzac, Dumas, Victor Hugo, George Sand […], Renan […].

  V.[incenzo] Morello, Arte, in Leggendo, Napoli, Casa Editrice Artistico-Letteraria, 1886, pp. 139-152; 1887.
  [Su: Maometto del pittore Domenico Morelli, pp. 148-151].
  pp. 149-151. Ognuno di noi compie, poi, la tela a suo modo. Siccome non un sentimento determinato, fisso, ispira l’artista, ma invece indeterminato e indeterminante, così ognuno di noi, a suo modo, finisce e definisce. La nostra mania sentimentale arriverà fino al punto cui è arrivata quella di Frehofer nel Chef-d’oeuvre inconnu di Balzac, che vedeva tutto sulla tela bianca, senza pur averci messo nulla di colore. […].
  Noi ci sentiamo come gittati dalla mano possente dell’artista in mezzo a quella folla di preganti: sentiamo schiacciata la nostra superbia fattasi così rapidamente gigante nel folto dell’individualismo …
  Che l’artista abbia voluto appunto ottenere questo scopo? … Ah, ecco, Frenhofer riappare! sei tu pronto a dirmi, col tuo solito ingenuo sorriso.


  Moto Perpetuo, Commedia milanese, «La Commedia Umana. Giornale-Opuscolo settimanale», Milano, E. Sonzogno, Editore, Anno II, Punt.a N. 59, 31 Gennajo 1886, pp. 30-32.
  p. 30. Venga dunque l’Otello, sgorghi sino all’ultima nota dalla mente libera del sommo maestro, spaziante sempre e solo nei cieli delle armonie! Balzac scriveva le due possenti pagine coll’incubo incessante di scadenze prossime ed imminenti; ma si trattava di cambiali e da tempo l’autore della Comédie humaine ci aveva fatto il callo. Verdi detti, e il mondo aspetti la sua parola ultima.

  Enrico Nencioni, Poeti inglesi moderni. – Nuovi canti di Mary Robinson, «Nuova Antologia di Scienze, Lettere ed Arti», Roma, Direzione della Nuova Antologia, Terza Serie, Volume Terzo Della Raccolta, Volume LXXXVII, Fascicolo XII, 16 Giugno 1886, pp. 605-620.
  p. 617. L’uomo, ahimè, è originariamente e radicalmente malato nella sua volontà e nella sua sostanza; in ipsa substantia, come dice Hobbes, il terribile e logico osservatore. Questa natura umana adulata dai filosofi sentimentali e dai filosofi positivisti – dai Rousseau e dagli Spencer – è pur troppo quale la videro e la dipinsero Macchiavelli (sic), Larochefoucauld, Hobbes, Pascal, Saint-Simon, Shakespeare, Molière e Balzac: e chi ben s’addentra in questo spaventoso labirinto, in questo mistero di contraddizioni, in questo imperscrutabile abisso del cuore umano, sente tutta la importanza e la necessità di un soccorso dall’alto, del grande rimedio evangelico. Fuori di questo, non c’è cura radicale, né consolazione possibile. Non restan che tenebre ed illusioni più o meno speciose.


  G. P., Ancora della “Saffo”, «Corriere della Sera», Milano, Anno XI, Num. 26, 26-27 Gennaio 1886, pp. 2-3.

  p. 2. Io mi ricordo, quando apparvero i primi ro­manzi della scuola naturalista — e Balzac non era conosciuto che pel romanziere più noioso, fu una protesta generale contro la mancanza di intreccio, la monotonia, il peso dei nuovi volumi.


  G. P., Corriere teatrale. “Il Danaro” di Bulwer al Manzoni, «Corriere della Sera», Milano, Anno XI, Num. 68, 9-10 Marzo 1886, p. 3.

  Il Danaro non ha protagonista. Il Bulwer non ha incarnato il suo concetto e la sua morale in un tipo, come Balzac fece nel Mercadet; ma in­vece lo ha diluito in una complicazione di figure e di episodi che avrebbero potuto essere un buon fondo di quadro... se non mancasse la figura prin­cipale.


  E.[nrico] Panzacchi, Gustavo Doré, in Critica spicciola (A mezza macchia), Roma, Casa editrice C. Verdesi e C., 1886, pp. 157-167.

  Cfr. 1883. p. 160. Nelle tavole grottesche e bizzarre intercalate con ricchissima fantasia alle opere di Rabelais e ai Contes drôlatiques di Balzac, l’artista dissimula meglio i suoi difetti; nell’Inferno e in parecchie scene del Purgatorio egli ha campo di ad dimostrare meglio i suoi grandissimi pregi.

Felice Romani, pp. 317-329.
  p. 321. Che è accaduto di nuovo nel mondo? O piuttosto che c’era di diverso nel mondo mezzo secolo fa, quando Sthendal (sic) e Balzac leggevano nelle note del Mosè la grande epopea dell’Italia vinta per l’armi e pei trattati, ma vittoriosa per il genio de’ suoi maestri di musica?

  Emma Perodi, La Femminilità nel Romanzo, «Fanfulla della Domenica», Roma, Anno VIII, N. 22, 30 maggio 1886, p. 3.

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  […] E come del Goethe, si può dire lo stesso del Flaubert, del Balzac, per non citarne altri. […] E l’eroina stessa non ha nessuno dei difetti delle creazioni femminili; non è punto incompleta come le donne create dalle donne, che ruminano sempre il sentimento. È fatta di carne, d’ossa, d’ambizione, di vanità, di vizio, come una donna vera.
  Balzac, che è certo la mente maschile più vasta, ha infranto le barriere del romanzo, ha abbracciato tutta la società francese del suo tempo, di Parigi come della provincia, del villaggio come dei monti, e aggregando e disgregando i tipi da lui creati, ce li mostra sotto diversi aspetti, alle prese con le diverse passioni. Egli si compiace nel descriverli, li fa emergere sui tipi maschili, li dota di forza e nello stesso tempo di una debolezza affascinante, pone nelle dita bianche delle sue donne molti dei fili che fanno muovere i personaggi della «Commedia umana», ma per analizzarlo non le chiama in un cantuccio appartato della vita, non le fa parlare sempre e poi sempre d’amore, non le costringe a scrivere un giornale in cui sieno notate tutte le minime alternative del sentimento, come nel giornale di bordo di un ufficiale di rotta sono notati tutti i cambiamenti di vento. Le donne di Balzac amano, ma vivono pure, si muovono, e l’amore non produce in esse, come nelle donne create dalle donne, il curioso fenomeno di sospendere la vita, di cristallizzarla. […].
  Infatti gettiamo uno sguardo nella vita vera, guardiamo un momento le donne che ci circondano, Alcune le vedete divorate dall’ambizione. Esse sono ambiziose per sé, per il marito, per i figli e torturano l’intelligenza per spingerli sulla via degli onori, delle ricchezze; altre sono divorate dalla sete di dominio; dominano sulla famiglia, sui loro amici, dominano su tutti quanti le avvicinano, ora con mezzi diretti, ora con mezzi indiretti, pur di dominare; altre poi le vedete odiare, con maggior forza di un uomo, altre finalmente le vedete, come la Cibot di Balzac, divorate dalla sete del denaro. Perché dunque esse devono, nei romanzi femminili, soltanto amare e amare ipocritamente?

  Vittorio Pica, Un pittore della vita clericale. Ferdinando Fabre, «Napoli Letteraria», Napoli, Anno III (Nuova Serie), Num. III, 10 Gennaio 1886, pp. 2-3.
  p. 2. Il Sainte-Beuve, che, siccome ho già di sopra lo stimava grandemente, disse che egli era «un fort élève de Balzac». E l’illustre critico aveva proprio ragione, chè anzi io non mi periterei di affermare che il Fabre, pur rivelando in ciascuna sua opera una tutta particolare originalità, sia fra i romanzieri moderni francesi, quello che più si avvicina al geniale autore della Comédie humaine, quello che può riguardarsi come il suo più legittimo discendente […]. Sicchè io ripeto che il Fabre, che ha saputo conservarsi libero da ogni influenza direttamente od indirettamente romantica, che ha sempre studiata e riprodotta la vita con serenità ed amore, senza preoccuparsi di questa o di quella teorica letteraria, è l’unico scrittore che abbia, senza tentennamenti e senza esitazioni, proceduto per la larga via aperta dal Balzac, co, quale egli ha comune anche un grave difetto, poiché egli ha, come lui, uno stile pesante, disadorno, inabile ed a volte di un’enfasi pretenziosa e provinciale. Naturalmente il Fabre non possiede né la meravigliosa potenza di riproduzione, né la molteplice varietà di indagine del suo maestro, ma egli invece ha scelto un limitato ed inesplorato campo di osservazione, la vita del clero francese, e se ne è fatta una specialità, di modo che i nostri discendenti dovranno ricorrere ai suoi bellissimi libri, per conoscere bene ciò che essa sia stata in questo nostro secolo, a volte a volte libero pensatore e reazionario. […].
  Certo anche altri moderni romanzieri, Stendhal, Hugo, Balzac e Zola in ispecie, hanno fatto di alcuni tipi di prete delle creazioni altamente artistiche, ma, siccome bene osservava di recente il Levallois, costoro si sono sopra tutto preoccupati di mostrarci i preti nei loro rapporti con la società laica, nella loro influenza su di essa e nella conseguente reazione contro di loro, mentre il Fabre ci fa penetrare nella sacrestia, nel presbiterio, nel salotto del vescovo, nella cella del frate, dovunque infine il pubblico non entra; e ciò che egli sa, che egli riproduce, che egli analizza non sono soltanto gli atti, le parole, i movimenti, ma anche le idee, i sentimenti, le impressioni.


  Vittorio Pica, Rassegna letteraria. [...]. Joséphin Péladan: “Curieuse!” (A. Laurent), «Conversazioni della domenica. Giornale d’amene letture letterario – artistico illustrato», Milano, Anno I, N. 13, 28 Marzo 1886, pp. 100-101.

 

  p. 101. Barbey d’Aurevilly ha avuto ragione affermando che il Péladan discende dal Balzac, dal Balzac però dei Contes philosophiques e dell’Histoire des treize. Ma ciò che rende più affascinante questo libro è che, accanto a scene di un realismo feroce, s'incontrano pagine di un elevato misticismo, che spesso però ha sottigliezze filosofiche eccessive, rese anche più sibilline da un linguaggio un po’ troppo cabalistico.


  Vittorio Pica, Un romanziere cattolico. Joséphin Péladan, «Napoli Letteraria», Napoli, Anno I, N. 9, 23 Maggio 1886, pp. 3-5.
  p. 3. Ma Le Vice Suprême, questo primo strano ed originalissimo volume di una serie di romanzi, con la quale il giovine scrittore francese, seguendo gli esempi gloriosi di Balzac e di Zola, intende ritrarre a grandi linee la vita moderna del suo paese, doveva suscitare curiosità e scandali molto maggiori di quelli risvegliati dalle sue critiche d’arte. […]
  p. 4. [Péladan] che non crede al diavolo e lo stima come un simbolo, crede invece fermamente alla magia e cerca di conciliarla col cattolicismo. Però questo intervento della magia nel suo romanzo gli è stato acerbamente rimproverato da parecchi critici ed anche dal Barbey d’Aurevilly, che ha per Le Vice Suprême scritta una lunghissima prefazione nella quale assomiglia il Péladan nientemeno che a Balzac. […].
  p. 5. Leggendo i quindi capitoli [di Curieuse!], che il Péladan ha consacrati a descrivere con le più tragiche tinte i costumi corrotti e volgari di tutte le classi della odierna società parigina, segnalandone spietatamente le viziose aspirazioni, i bassi piaceri, lo sciocco cinismo, non si può fare a meno di riconoscere che il Barbey d’Aurevilly ha avuto ragione affermando che il Péladan discende dal Balzac, dal Balzac però dell’Histoire des treize, dei Contes philosophiques, di Louis Lambert. […].
  Ed in questa spietata requisitoria contro l’odierna società, non è risparmiato né il clero, né l’aristocrazia, né i pretendenti per diritto divino al trono di Francia. Il Péladan ne rivela l’abbiettezza, mostrando che essi partecipano alla generale decadenza latina, e nega l’eredità dei poteri e dei titoli, proclamando la necessità del trionfo dell’individualismo: «Je suis pour l’inégalité indéfinie», egli scrive, «seulement, je ne crois qu’au mérite individuel. […] La solidarité domine tout dans l’ordre religieux, dans l’ordre social l’individualisme doit tout dominer et le titre mourir avec celui qui l’a mérité. Voyez-vous un neveu de Balzac s’intitulant de la Comédie humaine, un titre qui contrepèse la couronne de Charlemagne ?».

  Vittorio Pica, Un romanziere cattolico. Joséphin Péladan, «Cronaca Azzurra. Giornale umoristico letterario», Firenze, Anno I, Num. 9, 23 Maggio 1886, pp. 3-5.
  Cfr. scheda precedente.

  Gian Leopoldo Piccardi, Francia, in Saggio di una storia sommaria della stampa periodica, Roma, Tipografia dei Fratelli Bencini, 1886, pp. 50-87.
  p. 83. Buloz ne divenne allora il redattore in capo, ed è unicamente ai suoi sforzi che la Revue des deux mondes deve il suo grande successo. Finallora essa era stata alimentata in gran parte di corrispondenze straniere. Senza escluderne questo elemento, Buloz volle farne anzitutto una raccolta letteraria e filosofica. Sainte-Beuve, Victor Hugo, Alfred de Vigny, Alfred de Musset, Georges (sic) Sand, Balzac e Alexandre Dumas furono i suoi primi collaboratori.

  G.[iuseppe] Pipitone-Federico, Il Naturalismo contemporaneo in letteratura. Impressioni e note, Palermo, Luigi Sandron, editore, 1886.

Esordio, pp. 5-11.
  p. 10. Necessario, dico, dal momento che vidi sostenuto codesto appellativo di materialismo essere «un sonaglietto messo in cima a un castelletto di carta per chiamar gente intorno a una teorichetta faticosa» dal momento che vidi affermato «il romanzo sperimentale raccogliere nelle ampie braccia del romanticismo Beniamino Constant, e Walter Scott, il Manzoni e la Staël, Balzac e la Sand, Zola e Dumas figlio, i fratelli Goncourt e Daudet, Richter e Rousseau, Goethe e Victor Hugo». […].

I.
  p. 18, nota (1). Enrico Nencioni, in un articolo, ch’io lessi sulla Nuova Antologia dello scorso febbraro, «L’Umorismo e gli Umoristi», parlando di Guglielmo Thakeray (sic), l’autore, non abbastanza conosciuto in Italia, di Vanity Fair, ha tra l’altro, queste gravi parole: «L’ideale dell’umanità gli è sempre presente; e le follie e i vizi son da lui sempre descritti in modo da far capire e sentire al lettore che sono anormalità e deviazioni: all’opposto del Balzac, del Flaubert e dello Zola, che, dipingendo la corruzione sociale, lo fanno, o almeno sembrano farlo, con un contagioso compiacimento. […].
II.
  pp. 82-83. Quanto ai naturalisti, costoro se, con giusto orgoglio, da Balzac in poi, si vantano dottori in scienze sociali, non si propongono – a dispetto delle dolci teleologiche di E. Zola – alcun fine prestabilito dal metodo sperimentale. […].
III.
  p. 90. [En Ménage]. C’è un comicissimo degno del Balzac (Phisiologie [sic] du mariage) nel bellissimo episodio di Andrea (le cocu) che sorprende in flagranti la moglie; […].

Guy de Maupassant, pp. 107-134.
  p. 110. Più volte mi è avvenuto di doverci insistere: dinanzi al magnifico sviluppo preso dalla novella in Francia dal de Balzac, e, più di recente, dal Flaubert in poi, mi sento come umiliato e rimpiccinito pei nomi miserrimi onde i nepoti del Boccaccio possono inorgoglire. […].
  pp. 110-111, nota (1). Convien si eccettuino, tra tanta robaccia, oltre ad alcun novelliere gentile e d’ingegno, i due spiccatissimi naturalisti italiani, entrambi di Sicilia, Luigi Capuana e Giovanni Verga. E tra quelli dei giovini che scrivono con qualche intendimento di arte, tenendosi anzi d’accosto, più d’uno, al metodo naturalista, cito – a ragion d’onore – il Ciampoli, il Fogazzaro, il D’Annunzio, lo Scarfoglio, il Misasi, la Serao.
  Ma troppi sono in tutti costoro gli elementi romantici, derivati forse da sedimenti atavistici, e troppo dissimili gl’ideali e i processi da quelli dei naturalisti francesi perché possa esserci lecito di accomunarli, così d’un tratto, agli scrittori francesi derivati dal De Balzac. […].
  p. 116. Così la letteratura francese contemporanea ha finito coll’elevare alla filosofia dello sconforto un monumento duraturo, e ad innalzarlo – chi più chi meno: dal Beyle De Stendhal e dal Balzac, al Flaubert e allo Zola – han contribuito i maggiori naturalisti. […].
  p. 125. Nell’Abbé Tolbiac, a dir vero, sarebbe stato desiderabile un tentativo di parsimonia: così com’è, il suo profilo rasenta la caricatura; la pannella non è arte, De Kock non è Balzac. [cfr. 1884].

Léon Hennique e Paul Alexis, pp. 151-168.
  p. 154. Il soffio di Balzac, ha ragione Zola, rivive nell’«Infortune de M. Fraque» [P. Alexis], gustosissima storiella d’un marito cocu e della moglie, che si fanno la guerra senza quartiere, jouant à qui mourra le premier. […] Né lo spirito di Balzac abbandona così presto l’Alexis, che deve aversela assimilata l’opera del gran papà del naturalismo; infatti un’altra nota comica, ma ancor più gaja e spigliata, sorride nelle «Femmes du père Lefevre» […].

VII, pp. 189-205.
  p. 191. A voler mostrarsi severi, però, si potrebbe alla lontana sorprendere nel Cazenove una specie di Deus ex machina, uno strumento del quale l’A. [Zola] intende servirsi per esprimere, senza ricorrere alle nojose digressioni del de Balzac, le proprie idee intorno allo scopo della vita, battendo in breccia il volgare pessimismo dei filosofastri odierni. […]
  p. 197. Anche qui non posso trovarmi d’accordo col Nencioni che, trattando dell’Umorismo sulla Nuova Antologia, affermava: «Il romanzo fisiologista, realista e naturalista francese non ha neppure l’ombra di vero umorismo: né Balzac, né Flaubert, né Emilio Zola. E quando questi tre potenti romanzieri ne hanno qualche velleità e vi si provano, diventano grotteschi. Il loro umorismo somiglia le grazie di un elefante. Della loro scuola il solo che talvolta ha un delicato profumo d’umorismo è Alfonso Daudet».

VIII, pp. 201-221.
  pp. 209-212. Tutti ricordano che roba da chiodi si dicesse, a’ suoi tempi, del Balzac e dei discepoli, quando un molto qualunque signor Chaudes-Aigues, un critico dello stampo de’ signori Sarcey, Brunetière, Pontmartin, Barbey d’Aurevilly … avea la faccia tosta di sostenere, tra l’accaneggiamento del pubblico pervertito, la sterilità degli sforzi di H. de Balzac. Che rumore, che scompiglio, che coro di superlative ammirazioni, sbrodolate e lascivette, tra il fuoco artificiale delle frasi e il luccicare smagliante degli aggettivi, all’indirizzo di Giorgio Sand – uno stilista non privo di pregi del resto – sino a qualche paio d’anni a dietro! […].
  Oggi i soli letterati leggono quelle pagine così rimpinzate d’ideale, mentre, se non la grande massa del pubblico, certo la parte più colta – poiché l’Arte, chi nol sa? è roba eminentemente aristocratica – lasciando a dormire gl’idilli della Sand, s’è rivolta con sete, ai capolavori del De Goncourt, del Daudet, di Gustavo Flaubert, il quale – tutto invaso com’era dall’odio alla democrazia nella società e nell’arte, – poteva ben scalmanarsi contro lo Champfleury e la sua scuola, senza cessare di essere per questo, quantunque inconsciamente, il perfezionatore del metodo di H. de Balzac(1).
  (1) […] E dire che proprio il Flaubert, l’artista che volea colla Bovary lanciare il guanto di sfida ai realisti li sorpassò, invece, decidendo – volente o no – della vittoria del naturalismo, col dargli quella forza di cui mancava: la perfezione marmorea della forma!
  Già Balzac non andava in solluchero, anche lui, a leggere i romanzi di Walter Scott!
  Povera volontà dell’uomo, ahi quanto deboluccia! … […].
  pp. 214-219. L’avvenire, disse Emilio Zola, è per la formola naturalista. E disse giusto. Quanti giovani di gagliardo e promettente ingegno si riannodano adesso in Francia alla tradizione del De Balzac, spastoiandosi dalla clorotica formola romantica, cui soltanto il genio superiore di Vittorio Hugo potè fare splendere colla «Lucrèce», col «Cromwell», «Le Roi s’amuse», col «Ruy Blas»! […].
  […] quel birbone del De Zerbi lo richiama, coll’ultimo suo romanzo [Avvelenatrice], alla realtà delle cose, e invece di un’opera geniale, libera d’ogni impaccio di scuole e di preconcetti «afferma di aver voluto scrivere altrettanti capitoli di biologia […] e, attraversato di corsa il peristilio della scienza, entra deliberato nel tempio, e col coltello anatomico scruta le viscere palpitanti dei suoi eroi e delle sue eroine».
  Lo stesso frasario scintillante, mutatis mutandis, dei romantici contro il De Balzac, quarant’anni a dietro. […].
  Posate la formola, osservavo parecchi anni a dietro, essa fu illustrata da uno stuolo di forti scrittori e di giovani baldi: Diderot, Stendhal, de Balzac, Flaubert, Edmond et Jules de Goncourt, Zola, Daudet, E. Rod, I. K. Huysmans, Ceard, Hennique, Fabre, Maupassant, Alexis …

IX.
  p. 228. […] nell’atto di creare, l’artista trovandosi in uno stato anormale, vede perciò le cose da un punto di vista che non è quello della media degli uomini: si chiami Zola, Balzac, o Victor Hugo, è necessario ch’egli ingrandisca o rimpicciolisca la realtà, esprimendola cioè tale e quale apparisce alla sua immaginazione sovreccitata.

  G.[iuseppe] Pipitone Federico, Il pessimismo nel Romanzo moderno(1), «Gazzetta Letteraria Artistica e Scientifica», Torino, Roux e Favale, Anno X, N. 27, 3 luglio 1886, pp. 217-218.
  p. 217. […] l’opera d’arte – niuno dovrebbe ignorarlo – è causa di dolori intensi; la creazione ha dei fenomeni non dissimili dall’allucinazione, dall’estasi; nell’atto di creare, l’artista, trovandosi in uno stato anormale, vede perciò le cose da un punto di vista che non è quello della media degli uomini: si chiami Zola, Balzac o Victor Hugo, è necessario che egli ingrandisca o rimpicciolisca la realtà, esprimendola cioè tale quale apparisce alla sua immaginazione.
  (1) Da un volume di saggi sul Naturalismo francese contemporaneo, che l’editore Luigi Sandron di Palermo pubblicherà a giorni.

  Alessandro Piumati, Vita di Alessandro Manzoni. Carattere fisico-morale, in La Vita e le opere di Alessandro Manzoni. Notizie ad uso delle Scuole secondarie di Alessandro Piumati, Torino-Roma-Milano-Firenze, Ditta G. B. Paravia e C. di I. Vigliardi Tipografi-Librai-Editori, 1886, pp. 1-12.
  p. 8. Il nobile vecchio era l’onore e l’amore di Milano e dell’Italia. Al suo passaggio molti si scoprivano il capo; i giovani si arrestavano a riguardarlo; i più grandi personaggi italiani e stranieri nel passare a Milano venivano ad inchinarlo. Fra gli altri lo visitarono Cavour, Mazzini, Garibaldi, Thiers, il Conte di Chambord, l’imperatore del Brasile, La Martine, Balzac, Luisa Collet, Walter Scott, ecc.


  Édouard Rod, Un nuovo libro di critica, «Gazzetta Letteraria Artistica e Scientifica», Torino, Roux e Favale, Anno X, N. 2, 9 gennaio 1886, pp. 10-11.
  [Su: Nouveaux essais de psychologie contemporaine, par Paul Bourget – Paris, A. Lemerre, éditeur].
  p. 11. Ho accennato il lato buono di tale metodo: debbo anche accennarne il lato cattivo.
  Anzitutto, lo scrittore che se ne vale si appiglierà ai suoi autori prediletti escludendo dall’ambito dei suoi studi quegli altri che, per ragioni letterarie, gli riescono meno simpatici: così varie figure importantissime mancano nella galleria del Bourget: Victor Hugo, Alfonso Lamartine, Onorato Balzac, Alfredo di Vigny hanno senza dubbio avuto sulla generazione attuale un’influenza diretta ed indiretta punto minore di quella del Baudelaire e dello Stendhal. […].
  Dal complesso poi di questi studi, dal loro raggruppamento, dalla scelta degli argomenti e delle idee emana una filosofia personale, un modo di sentire che, se non gli sono in tutto e per tutto particolari, egli ha saputo esplicare con singolare energia.
  “Balzac (egli scrive nella chiusa della sua prefazione), qui s’appelait volontiers un docteur ès-sciences sociales, cite quelque part ce mot d’un philosophe chrétien : les hommes n’ont pas besoin de maître pour douter. Cette superbe phrase serait la condamnation de ce livre, qui est un livre de recherche anxieuse, s’il n’y avait pas, dans le doute sincère, un principe de foi, comme il y a un principe de vérité dans toute erreur ingénue”.

  Giustino de Sanctis, Due Conferenze di Giustino De Sanctis, Milano, Tip. Whimant di G. Bonelli e C., 1886.
  p. 80. I francesi intanto dopo Beumarchais (sic), il quale può ben prendere per impresa del suo scudo il motto di Voltaire È lotta la mia vita ed il quale diede aspra battaglia col Matrimonio di Figaro che, pur essendo un assalto politico vigoroso, è rimasta eccellente commedia; dopo Beumarchais, ebbero il Delavigne padre di drammi parecchio lagrimosi, il De Musset creatore di quel genere tutto profumo chiamato proverbio abilmente imitato da Ferdinando Martini e da Francesco De Renzis; e poi Onorato Di Balzac cui basterebbe a dar fama di artista eminente lo stupendo Mercadet dal nostro Emanuel interpretato alla perfezione; e finalmente Scribe il quale, ad onta degli attacchi rivoltigli in questi ultimi tempi, ha dato commedie da tenersi quali modelli di intreccio, di spirito, di conoscenza scenica.

  Gian Martino Saragat, Max Nordau. II, «Gazzetta Letteraria Artistica e Scientifica», Torino, Roux e Favale, Anno X, N. 23, 5 giugno 1886, pp. 177-179.
  p. 178. In Parigi Repubblicana quattro grandi figure campeggiano: Jules Grévy, Leone Gambetta, Vittor Hugo, Emilio Zola. […].
  Eccoci ora a Emilio Zola. […] I Rougon-Macquart, come la Commedia umana di Balzac, allargano la forma del romanzo e dànno a questo genere di poesia un nuovo sviluppo col sostituire un eroe collettivo, l’ambiente, all’eroe unico del vecchio romanzo. […].
  Una parte di vero c’è, a mio avviso, negli appunti che il Nordau muove a Zola; credo anch’io che non valga la pena stillarsi il cervello a far delle teorie; come in Mes haines e nella République naturaliste, quando si sa scrivere dei romanzi immortali. Per altro, il critico tedesco ignora o vuole ignorare uno dei principali meriti del poeta Zola; anzi, l’unico merito che non abbia in comune con nessuno dei suoi predecessori, nemmeno con Balzac: ed è l’aver egli capito che la sola sicologia più non basta oggi, sa si vuole una concezione artistica della vita rispondente alle esigenze scientifiche del nostro tempo. […].
  L’analisi minuziosa dei caratteri e delle passioni umane che si adattano in modo mirabile all’ambiente esteriore tanto da formarne un tutto organico che ci crea l’illusione del vero e ci fa esclamare: Questa è la vita; così vanno le cose del mondo; – ecco il realismo di Balzac e di Zola. Non si tratta qui di maggiore o minor talento artistico; è questione di metodo nuovo richiesto da una naturale evoluzione dell’arte. La novità vera di Zola, a mio credere, sta nell’elemento fisiologico aggiunto all’analisi sicologica di Balzac.

  R. F. Savarese, Il Positivismo in arte, «Napoli Letteraria», Napoli, Anno terzo (Nuova serie), Numero XXXIII, 15 Agosto 1886, p. 1.
  Sceveriamo le opere e gli autori, se ciò può essere utile, guidati da altri concetti; ma procurando d’intendere, un poco più nobilmente anche nell’arte, il Positivismo, questa possente conquista della scienza moderna che ha rivelato noi a noi stessi. Accettiamo fiduciosi quest’arte che esso ha prodotta, poiché, oltre al nostro tempo, questa calunniata e vilipesa ci ha pur dato, appena all’inizio del suo sviluppo, La Comédie Humaine che, per un saggio, credo che possa contentare!

  Solitarius, Note per via …, ««La Commedia Umana. Giornale – Opuscolo settimanale», Milano, E. Sonzogno Editore, Anno II, Punt.a N. 73, 9 Maggio 1886, pp. 23-25.
  p. 24. Il Direttore mi porse una sigaretta, e sorridendo, in atto fatidico, a bruciapelo, decretò: «Primavera nova, vita nova: la materia rigurgita; Solitarius abbia un orizzonte sconfinato: la curée, settimanalmente, alle idee, alle sensazioni più disparate, sotto forme di note minime. Ma a patto di imprigionare la fantasia fervida e galoppante di incorreggibile e insaziabile flâneur, in due paginette, non una linea di più, matematicamente …
  – Mais flâner c’est vivre, o caro Bizzoni. – Lo ha detto Balzac; – c’est plonger ces regards …
  – Bravo! – Balzac e Bocconi: ecco una bandiera. Impressioni condensate, noterelle a scampoli vogliono essere: – il consommé dell’impressionismo e dell’osservazione.

  Solitarius, Note per via …, «La Commedia Umana. Giornale – Opuscolo settimanale», Milano, E. Sonzogno Editore, Anno II, Punt.a N. 96, 17 Ottobre 1886, pp. 25-27.
  p. 26. […] io mi sono gustato la deliziosa lettura di un libricino simpatico tanto, voglio dire La difesa di Tarascona, una grandissima raccolta di novelle stupende del Daudet, edita a Napoli da E. Pietrocola, come primo numero della piccola collezione amena che mensilmente verrà pubblicando quell’intelligente editore, nell’intento lodevole di far conoscere agli italiani, in traduzioni buone e coscienziose, come è appunto questo saggio del Daudet, romanzi e novelle di Zola, Tourgueneff (sic), Mendès, Gogol, Flaubert, Gautier, Dickens, Houff, Bourget, Balzac […] e di tutti che nelle letterature straniere assursero alla celebrità.

  Francesco Tanini, La Donna secondo il giudizio dei detti e dei proverbi di tutti i popoli, ovvero circa 2000 fra sentenze e proverbi, tre quarti dei quali con commenti e illustrazioni per cura del Cav. Francesco Tanini. Quarta edizione riveduta e raddoppiata, Prato, Gran Deposito presso gli Editori Banco e Filippo Fratelli Tanini, 1886. Roma, Perino, 1887.

  Cfr., per la prima edizione, molto meno ricca di citazioni e di riferimenti balzachiani, l’anno 1872. 
  p. 4. L’amore è la poesia dei sensi. Balzac. [citazione tratta da Physiologie du mariage].
  p. 79. Une maîtresse est reine, une femme est esclave. Proverbio francese.
  Il Rousseau scrisse: Se si potesse prolungare la felicità dell’amore nel matrimonio, si sarebbe trovato il paradiso; e Balzac asserì che la noia nacque, di sera, in un colloquio fra marito e moglie.
  pp. 103-104. Le donne innamorate son gelose. Proverbio toscano.
  Balzac disse:
  L’amour a si bien la conscience de son peu de durée, qu’on éprouve un invincible besoin de se demander: M’aimes-tu? M’aimeras-tu toujours?  [Citazione tratta da Autre étude de femme].
  pp. 370-371. L’amore fa della donna una donna nuova: quella d’oggi non è più quella d’ieri. Balzac [citazione tratta da Les Marana]
  L’amore è una delle cose più stupende di questo globo sublunare; l’amore è la carezza della vita; l’amore è una goccia divina che il cielo versa nel calice della vita per correggerne l’amarezza; ma non è senza i suoi pericoli e si suoi dolori.
  Questo potente e grazioso signore, che s’impadronisce con facilità del cuore della donna e che tutto lo sconvolge e lo rinnovella in pochi giorni, bisogna che sia guardato, e tenuto a dovere in tempo utile. […].
  p. 419. La donna maritata è una schiava, che bisogna saper collocare sul trono della famiglia. Balzac. [citazione tratta da Physiologie du mariage].
  p. 441. La donna virtuosa orna la casa, come il sole adorna il cielo. Proverbio tedesco.
  Il Balzac ha scritto che una donna virtuosa ha in petto una fibra più delle altre, o che nulla vi è di più soave e di più stupendo a paragone di quella.
  p. 481. Una donna che ha riso del proprio marito, non può più amarlo. Un marito deve esser per la propria moglie un essere pieno di forza, di grandezza e d’autorità. Balzac. [citazione tratta da Physiologie du mariage].
  p. 536. La donna è un delizioso strumento di piacere; ma bisogna conoscerne le frementi corde e studiarne le pose. Balzac. [citazione tratta da Physiologie du mariage].
  La donna, in amore, è come l’arpa; la quale rivela i suoi incantevoli segreti solo a colui, che la sa trattare.
  p. 591. La vita è un’opera, un mestiere, e bisogna darsi la pena d’impararlo. Quando la donna conosce la vita, mediante la prova dei dolori, allora la sua fibra acquista una certa elasticità, ed essa si rende capace di governare le emozioni.   Balzac. [citazione tratta da Gobseck].

  Teresio, La nuova Giacinta di Luigi Capuana (Continuazione e fine), «Corriere Ticinese. Giornale politico indipendente», Pavia, Anno II, N. 33, 18 Marzo 1886, p. 3.
  Il Capuana ci ha un vivissimo senso artistico per non ismarrirsi nei soliti interminabili, minutissimi inventari descrittivi, rimproverati alla moderna scuola, e specialmente al Balzac. Egli è sobrio, troppo sobrio. Ci si desidera la conoscenza della vita in tutte le sue gradazioni, la ricchezza e la fedeltà dei particolari. Ci si desidera quella genialità che crea e comunica a sé la vita piena e palpitante di un mondo che è nostro, che abbracciamo con lo sguardo sino alle intime latebre in tutta la sua unità.

  Virgilio, Cronaca milanese, «Asmodeo. Monitore artistico-teatrale con annessa agenzia», Milano, Anno XV, N. 3-4, 25 Gennajo 1886, pp. 2-3.

  p. 3. Da tre sere, al Filodrammatico, Emanuel replica Mercadet l’affarista di Balzac, e lo interpreta molto bene, ajutato con zelo da tutta la compagnia.


  Fanny Zampini Salazaro, Adelaide Anna Procter, «La Rassegna Italiana. Periodico mensile», Roma, Tipografia A. Befani, Anno VI, Vol. III, 1886, pp. 53-69.

 

  p. 63. «L’amore sarà purificato dal dolore, ed il dolore sarà calmato dall’amore nuovamente: sicchè facciamoci coraggio e andiamo innanzi animosamente fra la gioia ed il soffrire. Nessun cangiamento potrà apportarci il sole estivo, nè l’incostante cielo di primavera, nè il tempo burrascoso del triste inverno, perché tutto affronteremo, amore, insieme!».

  Il sentimento delle due ultime strofe è molto profondo e vi scorgo un’analogia di concetto col pensiero espresso dal Balzac in uno de’ suoi più belli romanzi:

  «La vera prova dell’amore è la sofferenza e la felicità. Quando dopo di avere traversato questa doppia prova della vita, due esseri vi hanno dispiegato i loro difetti e le loro qualità ed hanno potuto studiare i loro caratteri, allora essi possono andare innanzi fino alla tomba, tenendosi per mano».


  G.[iovanni] Zannoni, L’Albero degli errori (leggendo l’”Oeuvre”), «capitan Fracassa», Roma, Anno VII, N. 108, 19 Aprile 1886, pp. 1-2.
  p. 2. Ed è questo un altro contatto dello Zola col Balzac: in questa storia naturale e sociale d’una famiglia sotto il secondo impero, come in quella Commedia umana che il Lerminier chiamò una bricabracologie, ciascun romanzo da sé può stare. L’assurdo è di considerarli riuniti da un filo o scientifico o cronologico.

  Emilio Zola, Prefazione, in Alfonso Daudet, La difesa di Tarascona di Alfonso Daudet con Prefazione di Emilio Zola, Napoli, Casa Editrice E. Pietrocola, 1886 («Piccola Collezione Amena. Pubblicazione mensile diretta da C. Petitti e G. Miranda», N. 1), pp. 5-8. [Seconda edizione, 1888].
  p. 6. La prima operazione critica è di figurarsi Daudet in faccia agli esseri e alle cose, e di domandarsi come si regolerà. Prima di tutto egli è un poeta; ha la sensazione prolungata e vibrante, vede le folle e le campagne, che attraversa, con la semi-allucinazione delle immaginazioni vive. Tutto s’ingrandisce, si colora, si anima, prende una intensità. Non è né l’aridità di Stendhal, né la pesantezza epica di Balzac; piuttosto sarebbe la eccitazione nervosa di Dickens, una continua galoppata in mezzo alla realtà, con delle scappate brusche nei campi della fantasia.



Adattamenti teatrali.


  L. Iollo, Un nuovo ludro. Tratto dal Mercadet di Balzac, 1886.



  [1] L’opera è presente nelle seguenti Biblioteche italiane: Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze; Biblioteca Palagio di Parte Guelfa – Fondo dell’ex Università Popolare di Firenze; Biblioteca Universitaria Alessandrina di Roma.
  [2] Già pubblicato ne «Il Vapore» Palermo, Anno III, Vol. III, n. 11, 20 aprile 1836, pp. 86-88. Cfr. Raffaele de Cesare, La prima fortuna di Balzac … cit., Vol. I, p. 222.

Marco Stupazzoni

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