sabato 16 agosto 2014


1894




Traduzioni.


  Balzac, Il capolavoro sconosciuto, in Giorgio Ohnet, Il canto del cigno. Romanzo. Prima versione italiana di Gius. Garibaldi Rocco, Napoli, Luigi D’Angelilli, Editore, 1894, pp. 149-181.[1]
  Un volume in 16°.

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  Il racconto filosofico balzachiano è inserito dall’editore napoletano come mero elemento riempitivo insieme ad altri testi che lo precedono e che seguono in successione la traduzione de Le chant du cygne di Georges Ohnet: La disgrazia di zia Orsola dello stesso Ohnet (pp. 51-97); Il fratello maggiore di Mauroy (pp. 101-110); Un matrimonio mondano di Gyp (pp. 113-123) e La graziosa casetta di Bonsergent (pp. 127-147).

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  Per quel che riguarda Il capolavoro sconosciuto, siamo di fronte ad un esempio di contraffazione editoriale che conferma, anche alle soglie del XX secolo (la medesima traduzione la ritroveremo compresa all’interno di una riedizione della stessa opera dell’Ohnet nel 1899), una consuetudine non nuova dell’industria tipografica meridionale. Tranne qualche variante formale, il testo pubblicato da Luigi D’Angelilli riproduce infatti la traduzione anonima del racconto di Balzac pubblicata a Torino, nel 1853, dalla Società editrice italiana e, successivamente, nel 1859, dalla Stamperia del Fibreno di Napoli.

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  Anche in questo caso, infatti, viene mantenuto lo stesso grossolano errore di stampa presente in apertura (1712 in luogo di 1612).

  Balzac, Eugenia Grandet, Napoli, Luigi d’Angelilli Editore, 1894.
  Opera segnalata da L. Carcereri (cfr. Editoria e critica balzachiana … cit., p. 493, nota 21) e rimasta, anche per noi, introvabile.

  Onorato di Balzac, Fisiologia del matrimonio o Meditazioni sulla felicità e la infelicità coniugale, Firenze, Adriano Salani, Editore, 18942 («Biblioteca Salani Illustrata», 20), pp. 255.[2]
  Un volume in 16°.
  Si tratta della prima ristampa del testo pubblicato, in prima edizione, nel 1885.



Studî e riferimenti critici.


  Risposte ai lettori. La scrittura d’uomini celebri, «Illustrazione Popolare. Giornale per le famiglie», Milano, Vol. XXXI, N. 4, 28 Gennaio 1894, p. 58.

 

  Alessandro Dumas figlio e Vittoriano Sardou sono fra i peggiori contemporanei in punto a scrittura; ma Balzac scriveva (persino!) peggio di loro. Un pensiero, da Balzac scritto a Milano sull’album d’una bella poetessa, pare la coda del diavolo in un momento di rabbia. E bravo chi vi capisce due linee sole! ...



  Fatti Varii. La storia di un abito, «L’Evangelista», Roma, Anno VI, Num. 6, 9 Febbraio 1894, p. 47.

 

  Un ammiratore di Balzac aveva mandato al romanziere, come regalo di capo d’anno, una magnifica veste da camera di velluto rosso ricamata in oro.

  Naturalmente, Balzac si guardò bene dall’indossare quell’abito da dentista. Egli lo regalò a un negoziante di abiti.

  Questi ne ornò la sua bottega per molto tempo, poi lo cedette in fitto, a’ tempi di carnevale, poi lo vendè nel 1875 a un industriale che insieme ad altre stoffe e ninnoli lo spedì al Dahomey.

  Il re del Dahomey trovò bellissimo l’abito, lo comperò e lo indossò sempre nelle funzioni solenni.

  Probabile che tra i trofei di guerra che il generale Dodds manderà in Francia dal Dahomey, or che re Behanzin si è sottomesso, figurerà anche codesta nuova forma di paludamento regale.


  Cronaca. Il gabinetto dell’avvocato, «Rivista penale di dottrina, legislazione e giurisprudenza», Roma, Anno III, Dispensa 108°, Marzo 1894, pp. 293-294.

  p. 294. Ecco ora l’uomo d’affari, un Mercadet qualunque, con l'abito stracciato, la faccia emaciata e che trasuda miseria da tutti i pori: egli non sa se e dove pranzerà la sera, e nondimeno vi parla con la più grande serietà di un affare che deve fruttargli dei milioni, e che dei rivali gelosi gli vogliono levar di mano.


  Notizie Letterarie. Lorenzo Salazar. – “Montecarlo” – Milano, 2.a edizione – Chiesa e Guindani, 1894, «La Favilla. Rivista Letteraria dell’Umbria e delle Marche», Perugia, Tipografia C. Guerra, Anno XVII, Fasc. I, Giugno 1894, pp. 38-39.
  p. 38. Il vero vi sta davanti, esposto con la semplicità di realisti del buon tempo antico, quando il realismo non era stato inventato: la semplicità umoristica di Rabelais e dei Contes drolatiques.

  Arti e Scienze. Il nuovo lavoro di Leoncavallo, «Gazzetta Piemontese», Torino, Anno XXVIII, N. 154, 5 Giugno 1894, p. 3.
  – Ci scrivono da Milano in data 4:
  «Ieri al teatro Pompeiano si è dato il terzo concerto con un programma recante i nomi di Beethoven, Berlioz, Brahms, ecc. Ma ciò che attirò il pubblico era il nuovo poema del maestro Leoncavallo, tolto da un romanzo filosofico di Balzac ed intitolato: Séraphîtus-Séraphîta.
  Séraphîtus-Séraphîta è, nel romanzo di Balzac, una nipote di Swedenborg, il visionario norvegese; è un essere oramai spiritualizzato, vincitore della materia e dei sensi, pronto a salire ad una vita superiore. Nella prima parte del romanzo esso appare ad una fanciulla, Minna, come un giovane bellissimo e delicato: esso la conduce sulle altezze vertiginose del Folberg, si mostra dolce ed affettuoso con lei, ma troppo superiore per amarla. Nella seconda parte Séraphîta, amata da un giovane, è sottoposta alle tentazioni dei demoni: Lucifero che le offre il potere e di Mammone che le offre la ricchezza ed il piacere. Nella terza ed ultima parte Séraphîta, vittoriosa, sale al cielo; ed il romanziere ha addensata intorno alla sua assunzione tutti gli splendori ed i colori della fantasia: il romanzo si chiude con un capitolo che rassomiglia ad un canto del Paradiso.
  Il Leoncavallo ha mantenuta questa disposizione degli episodi tessendo su questa trama magnifica un ricamo sempre vario ed elegante, e qua e là veramente bello di suoni. Ma il musicista non riesce, nonostante la ricchezza della sua tavolozza, a rispecchiare nella sua musica il quadro profondo e strano del romanziere filosofo; questo quadro è forse troppo astratto, è disegnato a linee troppo eteree perché possa avere un riflesso perfetto e compiuto nella musica: le raffinatezze, le delicatezze, le varietà dei suoni restano troppo lontane, sono impotenti davanti alle raffinatezze, alle profondità, alle combinazioni inesauribili del pensiero astratto. In questi casi la musica ha bisogno dell’aiuto del poema drammatico. La scelta del tema ha creato dunque al maestro difficoltà insuperabili che non potevano essere vinte dalla sua arte.
  A parte questa deficienza, questo nuovo lavoro del Leoncavallo, mentre ha il carattere di tutta la sua musica, della fusione cioè della melodia italiana con l’armonia wagneriana, ha, grazie ad un’istrumentazione abilissima, il pregio di una grande limpidità. Il pubblico mostrò di preferire la prima parte composta da una larga melodia ad archi; ma la seconda parte, che contiene uno scherzo sinfonico condotto con rigore e di ritmo originale, è forse superiore.
  Il pubblico salutò con applausi il lavoro e chiamò alla ribalta il maestro ed il direttore Vanzo, la cui esecuzione fu sapiente e vigorosa».

  Concerti. Nel Regno d’Italia, «Rivista Musicale Illustrata», Trieste, Anno I, Num. 8, Giugno 1894, pp. 142-145.

  p. 142. La novità più attesa nei concerti dell’esposizione milanese fu il poema sinfonico di Leoncavallo: Seraphitus-Seraphita (sic), diretto splendidamente dal Vanzo. Dallo strano e raffinato romanzo filosofico di Balzac, il compositore ha tratto con elaborata italica chiarezza, afforzata da severità wagneriana di tavolozza, tre grandi quadri, ove una melodica freschezza fluisce dall’amore spirituale che congiunge due anime sull’altezze vertiginose sottratte al fango della terra, — ove una ridda ardita di suoni, turba angosciosamente, la pace di silente, cameretta virginale, con sogni di potenza e di voluttà, — ove infine s’assiste ad una visione affascinante per concetto di spiritualità che ha splendori danteschi nell’assunzione paradisiaca, che è impo­tente la musica a colorire con mistica e raggiante sublimità, sebbene chiuda con imponente sonorità, osannante. Nel complesso non lasciò un’emozione profonda.


  All’Indice, «Fortunio. Cronaca illustrata della settimana», Napoli, Anno VII, N. 26, 29 giugno 1894, p. 4.

  Il nuovo romanzo di Zola: Lourdes, come è noto, è stato messo all’Indice.
  Nulla è più divertente della lettura dell’Index librorum prohibitorum, dalla sua fondazione sotto Paolo V ad oggi.
  Chi c’entra è sicuro di stare in buona compagnia.
  In questo secolo Victor Hugo e Balzac, Mamiani e Bonghi, Dumas ed Heine, Renan e Gioberti, Carducci e Taine, Mantegazza e la Sand, per non dir di cento altri illustri, sono stati colpiti dall’anatema.


  Note volanti, «L’Illustrazione Popolare. Giornale per le famiglie», Milano, Fratelli Treves, Editori, Volume XXXI, N. 30, 29 Luglio 1894, p. 475.

 

  La donna maritata è uno schiaro che bisogna saper mettere sopra di un trono. Balzac.


  Note volanti, «Illustrazione Popolare. Giornale per le famiglie», Milano, Vol. XXXI, N. 32, 12 Agosto 1894, p. 506.

 

  Nessuno è tenuto ad essere abile, ma non vi è nessuno che non sia tenuto ad essere buono.

Balzac


  Le avventure della veste da camera di Balzac, «Vittoria Colonna. Periodico scientifico, artistico, letterario per le donne italiane», Padova, Anno IV, Primo fascicolo, Settembre 1894, p. 570.

  Un fanatico di Balzac aveva inviato al grand’uomo come regalo di Capo d’anno, una magnifica veste da camera in velluto rosso, ricamata d’oro a tutte le cuciture. Naturalmente Balzac si guardò bene di indossare quel camuffamento da dentista foraneo. Egli si affrettò a farne dono al negoziante d’abiti più vicino. Costui ne fece ornamento nella sua vetrina. Poi la noleggiò e infine la vendè verso il 1875, a un industriale che raccoglieva degli scarti pel Dahomey.

  Il re negro trovò la veste da camera tanto di suo gusto che la comperò; nè di poi cessò di portarla!

  Possibile che i soldati francesi non abbiano ritrovata quella veste nei palazzi di Dahomey?


  La calligrafia dei grandi scrittori, «Vittoria Colonna. Periodico scientifico, artistico, letterario per le donne italiane», Padova, Anno IV, N. 19, Primo Fascicolo di Ottobre 1894, p. 594.

  Secondo le indagini fatte dal corrispon­dente londinese del Leeds Mercury, la grande maggioranza dei grandi scrittori ha una pessima calligrafia. […].

  Alessandro Dumas figlio e Vittorino Sardou hanno una cattivissima calligrafia, come l’avevano pure Balzac e Janin; quella del Bellini era indecifrabile […].


  Cronaca drammatica. “La Baraonda” di Gerolamo Rovetta al “Teatro Gerbino” di Torino, «Fanfulla della Domenica», Roma, Anno XVI, N. 42, 21 Ottobre 1894, p. 4.
  E la Gazzetta del Popolo così rendeva conto della prima rappresentazione: […] «Il carattere di Matteo Cantasirena – il protagonista della commedia, che fa ricorrere la mente al Mercadet di Balzac – spiegato minutamente nel romanzo, parve nella commedia esagerato.


  Teatri, Arti e Lettere, «L’Indipendente», Trieste, Anno XVIII, N. 6215, 15 Novembre 1894, p. 2.

  Il celebre scultore Rodin ha definitivamente accettato di fare il monumento a Balzac, che verrà eretto a Parigi.


  Corrispondenze italiane. Milano, «Il Proscenio. Giornale artistico-teatrale», Napoli, Anno II, Num. 31, 20 Novembre 1894, p. 2.
  Al Filodramamtico Emanuel si è attaccato al repertorio classico, ed abbiamo già avuto Il Mercante di Venezia, il Re Lear, Mercadet ecc. Il pubblico non accorre molto numeroso, ma al bravo attore non mancano i più entusiastici applausi.


  La iettatura d’un monumento, «L’Indipendente», Trieste, Anno XVIII, N. 6286, 28 Novembre 1894, p. 2.

  A Parigi un comitato aveva raccolto 42000 franchi per erigere un monumento a Balzac nel cervello del mondo. L'incari­co fu affidato allo scultore Chapu che ebbe un'antecipazione di 6000 franchi. Sventura volle che lo Chapu morisse po­co dopo.

  Si ricorse allo scultore Rodin. Questi domandò ed ebbe un’antecipazione di 10,000 franchi, si diede a studiare il soggetto, corse a Tours, patria di Balzac, a raccogliere documenti, fece parecchi progetti ma senza rimanere sodisfatto di alcuno. Così oggi la Società dei letterati si trova con soli 2600 franchi e senza monumento, con il solo conforto — magro invero — di fare un processo allo scultore Rodin.


  Aius Locutius, Leggendo e annotando, «Gazzetta Letteraria», Torino, L. Roux e C.ie, Anno XVIII, N. 32, 11 Agosto 1894, pp. 373-374.

 

La politica ed il teatro.

 

  p. 374. Ora quando un’arte si abbassa alle personalità diviene inferiore e facilmente spregevole. È uno scoglio che romanzieri o drammaturghi hanno sempre evitato. Chi poteva, più di Balzac, essere esposto a cadervi, poiché prendeva nella vita reale il tipo di ciascuno de’ suoi personaggi? E tuttavia in quella maravigliosa Comédie humaine egli ha inventato dei ministri, dei marescialli di Francia, dei letterati, dei medici, degli attori e delle attrici senza che alcuna critica abbia mai potuto indicare l’originale del suo ritratto. Ecco il più bel esempio che si possa proporre un autore drammatico.


  F. Alterocca, Pietro Thouar educatore e artista. Studio di F. Alterocca, Fabriano, Stab. Tip. Gentile, 1894.
  p. 53. Ma il Thouar non si prefigge questo racconto ordinato. Egli sa che lo studio della Storia così fatto non sarebbe adatto alle menti dei giovani perché le supporrebbe, quali non sono, fornite di molte altre cognizioni ed abituate alla meditazione delle leggi che regolano le vicende di ciò che Balzac chiamava Commedia umana; e queste cognizioni e queste attitudini riflesse non sono dei giovani pei quali il Thouar ha scritto i Racconti Storici.

  Raffaello Barbiera, Corrieri [Ciò che disse a Zola Giuseppe Giacosa – Osservazioni], «La Vita Italiana. Rivista illustrata diretta da Angelo De Gubernatis», Roma, Anno I, Volume I, Fascicolo 4, 25 Dicembre 1894, pp. 303-305.
  pp. 303-304. Il discorso del Giacosa, ch’ebbe momenti felici, fu applaudito assai; si risolse in un atto di giustizia verso Emilio Zola e in un atto d’ingiustizia verso altri grandi scrittori francesi. Non vedo il bisogno di disconoscere il merito degli uni per riconoscere solo quello del santo che si festeggia. Ma questo è l’uso; vi cadono involontariamente anche i migliori. Il Giacosa disse che, per più d’un secolo, la letteratura fu limitata ad una specie di casistica amorosa e che questo quadro, alla intellettuale natura d’atleta dello Zola, è sembrato troppo ristretto; egli ne è uscito, egli lo ha allargato a colpi d’ascia. Ma come è possibile dire che si ebbe un secolo di sola casistica amorosa, e un quadro ristretto, con tutti i pensatori della rivoluzione, con tutti gli ardimenti svariati dei romantici, con tutti i voli (e che voli!) per i più aperti orizzonti, di Victor Hugo? … E come si può dimenticare quell’altro colosso, lo storico universale della società moderna, il Balzac, dalla cui costola è nata, più sudicia, ma meno ricca di pensiero, l’arte di Emilio Zola? …

  Giacomo Barzellotti, «Le Origini della Francia contemporanea» del Taine, «Nuova Antologia di Scienze, Lettere ed Arti», Roma, Direzione della Nuova Antologia, Terza Serie, Volume Cinquantaquattresimo della Raccolta, Volume CXXXVIII, Fascicolo XXIII, 1 Dicembre 1894, pp. 401-426.
  p. 423. Nel primo e specie nel secondo volume di questa [Rivoluzione], ove, meglio che nelle altre parti dell’opera, la narrazione va di pari passo con la critica e con la psicologia, l’autore è riuscito in più luoghi a fare davvero della storia quello che voleva il Balzac: una pittura e una dimostrazione dell’anima motrice degli avvenimenti pubblici.


  P.[aolo] B.[ernasconi], Il prefetto della Senna senza domicilio, «Corriere della Sera», Milano, Anno XIX, Num. 86, 29-30 Marzo 1894, pp. 1-2.

  p. 1. Dicesi che il signor prefetto, sia in affido, sia ai pranzi e ai ricevimenti offi­ciali, e anche nel treno, strada facendo da Parigi a Carcassona e viceversa, sia un piazzista di primo ordine, e riesca sempre a collocare una, due, tre, dieci e più botti del suo vino, colla facondia e disinvoltura del Gaudissart di Balzac.


  P.[aolo] B.[ernasconi], Morte del generale Ferron, «Corriere della Sera», Milano, Anno XIX, Num. 127, 10-11 Maggio 1894, pp. 1-2.

  p. 1. Loches è una sottoprefettura del dipartimento d’Indre-et-Loire, in quella Turrena tanto van­tata dagli uni, spregiata dagli altri. Balzac, nel Giglio della (sic) Valle, l’amava comme un artiste aime l’art; Stendhal, percorrendola, chiedeva a tutti dove fosse il meraviglioso paese di Turrena, e non lo trovava mai.


  Guido Biagi, Adolfo Bartoli, «Nuova Antologia di Scienze, Lettere ed Arti», Roma, Direzione della Nuova Antologia, Terza Serie, Volume Cinquantaduesimo della Raccolta, Volume CXXXVI, Fascicolo XIII, 1 Luglio 1894, pp. 121-132.
  p. 128. Tra l’uomo ed il critico, stava l’insegnante, che in cattedra appariva severo, acuto, tutto armato d’una logica stringente che ti agghiacciava; e sceso dalla cattedra non mascherava l’indole propria, quella materna, che lo faceva caro agli amici, desiderato dai discepoli. Chi, leggendo i suoi volumi di storia, chi udendo raccomandare, lodare i pazienti studi sui manoscritti, le ricerche laboriose – spesso vuote e scarse di risultati – avrebbe sospettato nel Bartoli un divoratore appassionato di romanzi, un ammiratore fervente della Sand, del Balzac, dello Zola?


  R. Bonati, La Psicologia nel romanzo contemporaneo, «Vita Moderna. Giornale d’arte, scienza e letteratura», Milano, Anno III, N. 10, 11 Marzo 1894, pp. 75-77.

 

  p. 75. Due esempj, colti nella letteratura francese Stendhal e Balzac caratterizzano questi due generi di romanzi. [...].

  Onorato Balzac, sorto pochi anni dopo di lui, è anch’egli uno psicologo profondo, come ne fa ampia testimonianza il monumento letterario che ci ha lasciato: la «Comedia umana»; ma l’indagine di lui ha un substrato reale: l’uomo considerato nelle sue relazioni col mondo esteriore. L’individuo è una molecola nel grande organismo sociale, e ha in sè l’azione iniziale, che è reazione, perché determina atti coscienti, i quali ne formano il carattere.

  Nell’ingranaggio degli episodi, ogni fatto è l’effetto logico di fatti anteriori, ed è, a sua volta, la causa di altri episodj ad essi collegati, come altrettanti anelli di una medesima catena.

  La vita psichica circola nel tessuto dell’opera, come il sangue nelle vene; ed è sifattamente unita a quella, che qualsiasi atto morale o intellettivo diventa una espressione vitale di essa.

  L’opera del Balzac o è impersonale, e si manifesta con la voce delle cose; entra in communione immediata con l’anima nostra; o è subjettiva; ma questa subjettività è così temperata che noi ci sentiamo trascinati irresistibilmente dalla mano geniale dell’artista: «Eugénie Grandet» «Le lys dans la vallée» sono due mirabili esempj della personalità artistica di questo grande maestro.

  Le opere del Balzac e dello Stendhal provano, a mio avviso, che il romanzo psicologico non è una forma artistica; sì bene l’espressione di una tendenza più o meno accentuata in alcuni romanzieri a mettere in rilievo le più minute particolarità della vita psichica. Quando questa tendenza è eccessiva; quando, cioè, costituisce lo scopo unico dello scrittore, questi cade facilmente nell’inverosimile, e, non di rado, inceppa l’azione drammatica con evidente danno dell’opera.


  B. C., Corriere dell’Esposizione. […]. Seraphitus-Seraphita (sic), poema sinfonico del maestro Leoncavallo, «Corriere delle Puglie. Giornale quotidiano di Bari», Bari, Anno VIII, N. 157, 8 Giugno 1894, p. 1. 

  Una novità artistica si ebbe oggi al teatro Pompeiano delle esposizioni colla prima esecuzione del poema sinfonico Seraphitus-Seraphita che il maestro Leoncavallo ha composto espressamente per questo teatro.

  Il soggetto, concezione fantasiosa, è tolto da Balzac il grande filosofo.

  Nella prima parte Seraphitus lotta contro l’amore di sè e degli esseri (personificati da Minna e da Vilfrido) e mostra a Minna il fango in cui si agita la vita umana.

  Nella seconda sostiene la lotta colle tentazioni di Lucifero (Vilfrido per lei) e ne riporta vittoria.

  Nella terza si scioglie dalla vita terrestre l’anima sua, che prostrata dai combattimenti sostenuti vola a raccorre la ricompensa che le è balenata alla mente e dà un commovente addio al creato; e mentre Minna e Vilfrido la piangono e pregano per lei, Seraphitus-Seraphita (creazione ideale uomo e donna ad un tempo, anima mistica) si presenta loro fra una celeste falange che la accoglie nel cielo cantandola eternamente beata fra gli: Hosanna!!

  Sublime poema dell’amore di se (sic), dell’amore delle creature, dell’amore celeste! […].


  Felice Calvi, Il Castello Visconteo-Sforzesco nella Storia di Milano dalla sua fondazione al dì 22 marzo 1848. Governi – Sollevazioni – Feste – Costumanze – Aneddoti di Felice Calvi. Seconda edizione riveduta e notevolmente arricchita, Milano, Antonio Vallardi, Editore, 1894.
  p. 493, nota 1. I forestieri di garbo trovano lieta accoglienza presso le grandi famiglie, allora abituate a tenere casa aperta(1).
  (1) Balzac, il grande romanziere, nelle sue lettere descrive in agro dolce la società milanese, che l’accolse con entusiasmo, ed ebbe agio di conoscere, quando nel 1837, soggiornò nella nostra città parecchio tempo.

  Prof. Lorenzo Camerano, Michele Lessona. Notizie biografiche e bibliografiche, «Bollettino dei Musei di Zoologia ed Anatomia comparata della R. Università di Torino», Torino, Vol. IX, N. 188, 30 Ottobre 1894, pp. 1-72.
  Cfr. 1851.


  Giuseppe Campari, Giovanni Verga (A proposito di Don Candeloro e C.), «Vita Moderna. Giornale d’arte, scienza e letteratura», Milano, Anno III, N. 2, 14 Gennaio 1894, pp. 9-11.

 

  p. 10. Come si vede con queste novelle il Verga ha allargato ancora una volta la cerchia visuale, dentro cui si agitano i suoi personaggi. Sotto questo rispetto egli potrebbe rivendicare anche per sè il titolo che il Balzac aveva coniato per suo uso e consumo: di dottore in scienza sociale: e che lo Zola a sua volta gli ha invidiato.


  Luigi Capuana, Emilio Zola, «La Tribuna Illustrata», Roma, Anno V, Num. 11, Novembre 1894, pp. 347-351.
  pp. 348-350. Ho detto: egli è nato a buon punto quando il metodo positivo già cominciava a penetrare fin nella critica d’arte; e avrei dovuto aggiungere: e anche nell’arte.
  Il gran Balzac aveva avuto la chiara intuizione di quel che sarebbe divenuto il romanzo col traboccare dell’elemento scientifico positivo nel pensiero moderno. E quell’intuizione egli aveva cercato di attuarla, riannodando, rifondendo in una vasta unità tutta la sua enorme produzione, elevando, con immane sforzo, il gigantesco monumento della Comédie humaine.
  Nel Balzac, la messa in opera del metodo scientifico, applicato alla formazione dell’opera d’arte, era stata istintiva, quindi un po’ indecisa ed anche più libera. La classificazione dell’animale umano avveniva dopo, con rifacimenti e saldature, più esteriormente che interiormente; e il metodo non penetrava la concezione artistica nelle più intime profondità del suo organismo. Infatti l’artista, anzi che rimanere estraneo – fin dove si può – al proprio soggetto di studio, interveniva, discuteva, analizzava, giudicava appassionatamente, lasciava ancora grandissima libertà alla pura immaginazione. Faceva, forse, più opera d’artista in un certo senso; ma pregiudicava l’atteggiamento e il titolo di professore di scienze naturali, ch’egli si vantava voler assumere, secondo l’evoluzione presentita e, da pari suo, già da lui iniziata nel romanzo moderno.
  Emilio Zola, riprendendo, parecchi anni dopo, il metodo del Balzac, lo applicava con maggior vigore, lo portava alle sue ultime conseguenze. […].
  – Catalogo! Enumerazione! Inventario!
  E noia e sbadigli per di più – hanno soggiunto. Ma sono quegli stessi che chiamano noiosi Dante, Shakespeare, Balzac, Manzoni, Dickens e parecchi altri minori, e che non si sa quali opere trovino incapaci di destare il loro sapiente sbadiglio, di provocare la loro altissima noia.
  Si noti che io parlo di esagerazione da parte di certi critici, e da parte di quel pubblico che cerca nei romanzi qualche diversione alle preoccupazioni quotidiane. Non intendo mica affermare che i romanzi del Balzac, del Flaubert, de De Goncourt e dello Zola – tutti più o meno della stessa specie – riescano divertenti alla lettura. Dico, prima d’ogni cosa, che i loro autori non si sono proposti tale scopo: poi, che non è colpa loro.

  Giuseppe de Castro, Balzac in Milano (1837 e 1838), «La Nuova Rassegna. Periodico settimanale», Roma, Anno II, Num. 11, 18 marzo 1894, pp. 336-338.
  Cfr. 1893.

  Giorgio Cattellani, L’Ignobile. Seconda edizione, Napoli, Luigi D’Angelilli, 1894.

Dedica.

  p. 3.
A l’immortalità
di Honoré de Balzac
divino maestro
l’autore
dedica questo tentativo.

  Decio Cortesi, Tipi e salotti romani. Il duca Onorato Caetani, «La Vita italiana. Rivista illustrata diretta da Angelo De Gubernatis», Roma, Anno I, Volume I, Fascicolo IV, Dicembre 1894, pp. 451-453.
  p. 451. Questo giovine signore era il principe di Teano, figliuolo di quel Michel Angelo Caetani, Duca di Sermoneta, uomo di fama mondiale, al quale Balzac ha dedicato un romanzo, dantista esimio, e che nei tempi del più grande abbassamento intellettuale della città di Roma che è stato il pontificato di Gregorio XVI, tenne alta presso gli Italiani e gli stranieri la fama del nome romano.


  Criticus, Fra giornali e stampe. Note e appunti, «Corriere delle Puglie. Giornale quotidiano di Bari», Bari, Anno VIII, N. 347, 16 Dicembre 1894, p. 1. 

  Emilio Zola, tornato discepolo e trasformato in plagiario.

  No?! Si può giudicare da quel ch’egli scrive al suo amico Rondin (sic), a proposito della statua, che si deve elevare a Balzac.

  Zola scrisse, confessò, volle far credere d’esser, letterariamente, discepolo di Balzac dell’autore della Comédie Humaine. Ma quanta differenza fra questa esposizione analitica delle varie scene di Parigi, della provincia, d’ogni ceto, e quella così ristretta del Rougon Makark (sic).

  Ha sollecitato l’amico, perché non vi tardò più oltre, perché la sua immagine (di Balzac) regni in mezzo alla nostra immortale di Parigi.


  D., Arti e Scienze. A proposito del viaggio di Zola in Italia, «Gazzetta Piemontese», Torino, Anno XXVIII, N. 347, 16-17 Dicembre 1894, p. 3.
  Edoardo Scarfoglio nel Mattino di Napoli, fra gli altri, ed un misterioso doppio asterisco nel Corriere della Sera di Milano, più spietato il primo, più riguardoso il secondo, insorsero contro la zolamanìa di nuovo genere. Il ragionamento dell’articolista del Corriere si appoggia in massima parte sul verdetto dell’Accademia di Francia, che non accettò lo Zola fra i quaranta immortali. Questo verdetto per me ha un’importanza molto relativa, per non dir negativa: l’esclusione fa torto all’Accademia e non allo Zola. Onorato Balzac non fu dell’Accademia e pure è uno dei più grandi romanzieri del secolo. La questione, pare a me, va posta su un altro terreno.

  S. D. G., Piccola Biblioteca. “L’Ignobile” di Giorgio Cattellani, «Fortunio. Cronaca illustrata della settimana», Napoli, Anno VII, N. 50, 13 Dicembre 1894, p. 2.
  In testa al libro – con giovanile arditezza dedicato all’immortalità di H. de Balzac – l’A. riporta alcuni passi da Nos auteurs dramatiques di E. Zola.

  Giuseppe Depanis, Fra romanzieri e novellieri. “La Baraonda” di Gerolamo Rovetta, «Gazzetta Piemontese», Torino, Anno XXVIII, N. 164, 15 Giugno 1894, pp. 2-3.
  p. 3. Mano felice fu l’autore col banchiere Francesco Klose, una specie di satiro milionario, di lupo mannaro dell’usura e dell’erotismo, che fin nel modo di parlare e nella pronuncia esotica ricorda il banchiere degli antichi romanzi, il Nucingen del Balzac, ad esempio, divenuto così convenzionale.

  Giuseppe Depanis, Due volumi di memorie. “Il Diario dei Goncourt”, «Gazzetta Piemontese», Torino, Anno XXVIII, N. 202, 23-23 Luglio 1894, pp. 1-2.
  p. 2. Nel settimo volume del Diario siamo in cospetto di uno Zola superstizioso ed adiposo. […].
  Tratto tratto sgattaiolava per l’abbaino sui tetti, e dall’alto, simile ad un eroe del Balzac, contemplava l’immensa città che si distendeva ai suoi piedi e dintorno a lui, avido di conquistarla, fiducioso della propria tenacità laboriosa se non nel proprio ingegno.


  E. W. F., Domande. Due generali collezionisti, «Giornale di Erudizione. Corrispondenza Letteraria, Artistica e Scientifica», Firenze, Vol. V, Gennaio 1894, p. 66.

 

  Nel suo racconto, Les Marana, Balzac, parlando dell’ufficiale Diard, scrive queste parole: «il se disait artiste et ramassait, à l'imitation de deux généraux célèbres, les ouvrages dart, uniquement, assurait-il, afin de n’en pas priver la postérité» . Chi sono questi due generali celebri e raccoglitori ... con poca spesa?


  Giovanni Faldella, Commemorazione di Medoro Savini detta da Giovanni Faldella nell’inaugurane il busto all’Associazione della Stampa Periodica in Roma addì 24 giugno 1894, Roma, Tipografia V. Biccheri, 1894.
  pp. 28-29. [A proposito del romanzo del Savini: Tisi di cuore].
  […] è altresì la congerie spiccata di citazioni straniere, che il Savini aveva ammassate nelle sue peregrinazioni. […].
  Come se ciò non bastasse, segue il corteo di Thomson, che chiama l’azzardo il paggio della fortuna, e Balzac, e Montepin, Du Camp, e Carlo Dikens (sic), e Camoens e Gilbert, a cui è di grazia accoppiato il nostro Mario Pagano.

  Fédor, Nostre corrispondenze. Da Milano, «Amarazuntifass. Giornale di Società, Letteratura e Sport», Firenze, Anno II, Vol. II, N° 23, 1 Dicembre 1894, pp. 269-270.

  p. 269. Emanuel da dato un corso di rappresentazioni al Filodrammatico assai interessanti. Mercadet l’affarista di Balzac in cui egli è sommo, fu uno dei maggiori successi della stagione. Peccato che la Compagnia manchi di qualche buon elemento, specialmente femminile, e di completo affiatamento.


  Lino Ferriani, La psicologia dei romanzieri, «la Tavola Rotonda. Giornale Letterario Illust. Della Domenica», Napoli, Anno IV, N. 43, 23 Settembre 1894, p. 3.

 

  Balzac ha l’analisi dettagliata [...].


  Gemma Ferruggia, Autori ed Autrici, Conferenza tenuta la sera del giorno xxvii aprile mdccclxxxxiv al “Circolo degli Artisti” in Firenze, Milano, Carlo Aliprandi, Editore, 1894 («Biblioteca Preziosa», n. 14).
  pp. 35-36. Se la donna non sarà mai una grande artista, perché non possiede abbastanza egoismo per esserlo, meglio così. Ma che squisita artista è questa. Autrice quando, nella sua anima intelligente, più che il raggio del genio, passa il raggio di un’altra anima! Eccola, l’autrice d’oggi: come una cesellatrice del Rinascimento nel pensiero moderno: l’opera sua è quasi sempre un inno all’uomo che ama.
  Si abbandona al sentimento? Esagera? Va a caso? Ma che è dunque questo nostro vero cammino nella vita reale? Qui, è seguace inconsapevole di Balzac: «Le hasard est le plus grand romancier du monde, pour être fécond il n’y a qu’à l’étudier».
  Così scrive egli nella prefazione alla sua opera colossale.

  Leone Fortis, Vita romana, «La Vita italiana. Rivista illustrata diretta da Angelo De Gubernatis», Roma, Anno I, Volume I, Fascicoli I-II, Novembre 1894, pp. 105-110.
  p. 109. Che diamine! Nessuno dei celebri romanzieri di questo secolo – da Walter-Scott a Balzac, da Cooper e Dumas padre a Sue, da Bulwer a Manzoni nostro – ha mai sentito il bisogno di passare una parte della vita in prigione per descrivere minutamente l’ambiente di un carcere, e di frequentare per molti mesi gente di malaffare, briaconi e donnaccie di conio, per descrivere l’ambiente delle bische e dei postriboli, o di intraprendere addirittura dei viaggi di esplorazione in regioni ignote o di subire un periodo di domicilio coatto – sia pure di venti giorni – per raccogliere una serie di negative con le quali illustrare un loro romanzo.


 Leone Fortis, Il salotto della Contessa Maffei, «Natura ed Arte. Rassegna quindicinale illustrata italiana e straniera di Scienze, Lettere ed Arti», Milano, Casa editrice Dottor Francesco Vallardi, Fascicolo XIV, 1894, pp. 121-130.

 

 p. 127. Inoltre il Barbiera non può vincere certe sue predilezioni d’artista — e si ferma a colorire diligentemente certi ritratti, mentre per altri si appaga di delinearne, con le poche linee di uno schizzo affrettato e fuggevole, i soli contorni.

 E però lo vediamo dedicare un intero capitolo al Signor De Balzac, alle sue ubbie, alle sue fisime, alle sue pose, malgrado la poca benevolenza che egli ha sempre dimostrato per l’Italia in generale e per Milano in particolare [...].


  La Gazzetta Letteraria, Collecta. Le idee di Balzac sull’amore e sulla società, «Gazzetta Letteraria», Torino, Anno XVIII, Num. 15, 14 Aprile 1894, p. 170.


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  L’opera e la vita di Balzac furono ripiene di sentimento d’amore a tal segno che diventa interessante fare un esame particolare sul concetto d’amore dominante nella coscienza del grande romanziere. Per lui l’amore è passione-tipo, e le sue leggi sono parimenti quelle di ogni altra passione, la quale è un fatto mentale dipendente dal temperamento (eredità), dall’educazione (ambiente sociale) e dall’età (momento). In tutti i suoi romanzi il Balzac mette in piena luce la serie di questi elementi integranti della passione, con un vero lusso di particolari naturalisti, rivelandosi propriamente come un profondo filosofo determinista, come il filosofo delle cause. Ma egli seppe conservarsi insuperabile nella pittura delle grandi passioni, ed insuperabile nella fisiologia naturalista dell’amore.
  Di fronte alla concezione delle figure femminine ideali, egli sa mostrare la donna come un bel animale, di cui le carni solide e tonde fanno bollire il sangue dell’uomo, riassumendo tutto un poema di vitalità fisica. Quale ora dei romanzieri naturalisti, che derivano direttamente da lui, non escluso lo Zola, principe di tutti, sopra la piattaforma comune – la filosofia naturale, il modo di segnare l’origine ed i caratteri fisiologici della passione – seppe elevarsi con la squisitezza delicatissima dell’analisi, con quell’acutezza di visione interiore, ideale che noi possiamo sempre trovare nel grande romanziere? Chi più di Balzac conosceva le origini puramente animali dell’amore? Le ultime pagine di «Il giglio nella valle» difficilmente saranno superate in audacia, data la precedente preparazione sentimentale di Enrichetta di Mortsauf; ma per esse non scompare certo tutta la suprema bellezza delle passeggiate al braccio di Vandenesse, né la fiamma ardente della passione sublime.
  Balzac, insomma, conobbe l’amore sotto tre aspetti differenti: l’amore-passione, amor ideale, poetico, che ignora le sue origini misteriose; l’amore-fisico, termine opposto all’ideale; e fra questi due l’amore-sociale, transazione banale, imposta fatalmente da inevitabili circostanze della società, e riassunta dolorosamente nel matrimonio.
  Nelle «Memorie di due giovani sposi» (sic) si trova un curiosissimo parallelismo: l’amore-passione che si sviluppa nelle condizioni più romantiche, e l’amore-sociale che si produce più tardi, in virtù dei rapporti unicamente determinati dalle convenienze. Dopo tutto, anzi, prima di tutto Balzac vuole affermare la potenza, la superiorità ideale dell’uomo nel dominio della sentimentalità, come pure nell’ordine intellettuale.
  «Non credo, dice Paul Flat, falsare né puramente esagerare il suo pensiero, dicendo che egli attribuisce alle energie virili una incontestabile superiorità sentimentale, che lascia addietro, con le sue delicatissime sfumature, anche la più compiuta anima femminile».
  Si pensi perciò alla «Donna di trent’anni», a «Il giglio nella valle», alle «Memorie di due giovani sposi».
  Ma come la spiritualità sublime e la sensualità impulsiva sono i due lati estremi dell’istinto d’amore, Balzac è giustamente preoccupato della realtà, troppo sensibile alla ricerca di ciò che è, così non tralascia di dare una gran parte nell’opera sua alla riproduzione dei fatti della vita quotidiana, dipingendo, a lato dell’amore-passione e dell’amore-fisico, l’amore come fatto sociale.
  «La fisiologia del matrimonio» e le «Piccole miserie della vita coniugale» non hanno altro scopo. In questo tesoro di osservazioni, di massime filosofiche, di statistiche, di storia, di racconti, di novelle frammentarie noi possiamo eziandio trovare agevolmente una nuova qualità letteraria, d’umorismo, d’ironia, che ricorda certe pagine di Jonathan Swift o di Sterne.
  È curioso osservare che nelle «Piccole miserie ecc.» Balzac è più frequentemente ironista e nella «Fisiologia del matrimonio» piuttosto dogmatico; d’altronde l’idea cardinale è la stessa. Ma un altro fatto è ben più importante e degno di nota: è una esatta corrispondenza tra le sue opere di carattere generale e teorico e le opere di immaginazione pura, come i drammi della vita parigina. – Per necessità ineluttabile sociale, la vita abbassa al livello quotidiano il sogno dei più grandi sentimentali, creando il matrimonio, cioè la pratica morale che associa un uomo ad una donna. – Qui Balzac, con un procedimento da naturalista, come non dubita d’affermare egli stesso, prende la coppia umana come è congiunta, segue i due giovani sposi, studia i loro rapporti, le loro pose, le loro illusioni, le loro disillusioni, le loro ipocrisie, i loro dolori, aggiungendo furbescamente un grano di ironia che rialza e pimenta l’osservazione.
  Dopo, tutto sgorga, di più in più netta ed evidente, sotto l’arguzia dei tratti ironici, sotto la verve del libro, la conclusione pessimista, che nega la persistenza dello amore nell’adattamento sociale.
  Non è, invero, una tristissima lezione – dolorosa per noi, che la riceviamo, e per Balzac stesso, che ce la dà, - l’apprendere che la condizione prima della felicità sociale è la rinunzia alle nostre più alte aspirazioni, l’annientamento della parte della nostra anima a cui noi attacchiamo il più alto prezzo? – Tutto dipende da un fatto gravissimo: la società non è fatta per noi, ma per se stessa.
  Però, ad onta di tutte queste considerazioni, egli finisce per abbandonare il suo ideale d’arte e di filosofia. Le sue idee sociali sono sviluppate abbondantemente e con un entusiasmo grandissimo nei romanzi: Les paysans, Le curé de village e Le médecin de campagne. Qui egli condanna, con l’intuizione sicura e prudente del pensatore, una società fondata sull’esaltazione dell’individuo, ed afferma con energica eloquenza l’esistenza d’una delle più grandi forze umane, disprezzata da tutti, l’amore!
  Quanti entusiasmi, quanti slanci poeticamente sublimi verso un’organizzazione nuova, sana e potente, di cui non si trova nessun esempio nella società contemporanea?
  Balzac è un vero precursore, circondato da tutta la spontanea originalità del genio moderno. Egli rimprovera alla società sua d’essere divorata dall’individualismo, e di mancare a quella solidarietà che egli considera come la prima energia del corpo sociale.
  Questo odio contro l’individualismo penetra tutta la opera del Balzac. La divisione della proprietà gli pare un principio di morte, e sviluppa e sostiene questa idea nel Curé de village e nel Les paysans, non solo colla teoria ma coll’arte.
  Nella bocca di Luigi Lambert egli accumula tutto il tesoro delle sue concezioni filosofiche, che gli fanno dire che la società sua non gli ispira che paura e disgusto.
  Ma quale è il rimedio per questa società malvagia, per questa forma di governo, per questo regime costituzionale tanto maledetto? Strana cosa: il filosofo sognatore vorrebbe ricominciare in senso inverso le tappe della storia umana, che la natura non ripete giammai; con questa pretesa puerile si perde, fantasticando, nell’arcaismo.
  La Provvidenza: ecco la parola che domina tutte le concezioni sociali del Balzac! – Provvidenza divina e sociale.
  Il grande delitto sociale, secondo lui, è lo scatenamento dell’interesse personale e l’eccesso dell’individualismo. Rifugiamoci, dice, in una specie di chiostro di devozione e di abnegazione, di nobiltà, di filantropia, di carità. Sogno grande, poetico, sublime; ma niente più che un sogno.
  Il vero è che nell’anima e nel genio di Balzac l’arte e la vita furono sempre unite indissolubilmente.


  F. Genta, Logaritmi, «per l’Arte (Parma giovine)», Parma, Anno VI, N. 13, 6 Maggio 1894, pp. 100-101.

 

  p. 100. Wirchow sì che avrebbe spiatellata la sua brava diagnosi sulla creatura fine di secolo e, girata la posizione, proclamando i logaritmi impotenti ... Balzac, rincarando la dose l’avrebbe consigliata – cura omeopatica a pillole – ad un marito gagliardo.


  Glicofante, La Cronaca Mondana. L’albo della dama, «Corriere delle Puglie. Giornale quotidiano di Bari», Bari, Anno VIII, N. 193, 14 Luglio 1894, p. 1. 

  Un uomo – ha detto Balzac – non può ammogliarsi senz’avere studiato anatomia e disseccato almeno una donna.

 

  Glicofante, La Cronaca Mondana. La parola della moda, «Corriere delle Puglie. Giornale quotidiano di Bari», Bari, Anno VIII, N. 195, 16 Luglio 1894, pp. 1-2. 

  p. 1. Per le brune.

  La parola disperata dell’eroina di Balzac, nelle Mèmoires de deux jeunes mariès (sic), che ha commosso tanti cuori, il grido disperato: ci sono centomila modi di esser bionda e un solo di esser bruna, è assolutamente ingiusto o inesatto. Un osservatore e neanche profondo, vede bene che le brune sono brune di una quantità di maniere, che tutte le donne dai capelli castani sono brune e che vi sono, persino, delle bionde che sono brune. […].


  Il Corriere, Uomini e Cose. Leconte de Lisle, «Corriere delle Puglie. Giornale quotidiano di Bari», Bari, Anno VIII, N. 200, 21 Luglio 1894, p. 1. 

  Balzac nella sua prefazione alla Comédie Humaine scrive: «L’animal est un principe, qui prend sa forme extérieure, ou, pour parler plus exactement, les différences de sa forme, dans le milieu où il est appelé à se développer ... Je vis que la société ressemble à la nature ...». Leconte de Lisle, ricordando forse queste parole, volle essere e fu il più grande poeta impersonale della Francia.


  Il M., Notizie Artistiche. Il V.° Concerto all’Esposizione, «Corriere della Sera», Milano, Anno XIX, Num. 151, 3-4-5 Giugno 1894, p. 2.

  Il programma del V.° Concerto al Teatro Pompejano acquistava speciale interesse da una com­posizione nuovissima del signor Leoncavallo […].

  Nella serie degli Studi filosofici di Balzac il maestro Leoncavallo ha scelto quello che in uno a Louis Lambert contiene l'esposizione delle teorie fisiologiche e metafisiche del grande romanziere, nel quale vissero in connubio singolare materia­lismo e misticismo. Seraphitus-Seraphita (sic) pre­senta il destino umano come un seguito di vite ascendenti in cui l’anima guidata prima dall’ “amore di sé”, poi dall’“amore degli esseri” e infine dall’“amore del cielo„ attraversa l'un dopo l'altro il mondo naturale, il mondo spirituale e il mondo divino. V’è in esso tutta una teoria mistica dell'estasi: la fine di Serafita assomiglia a un canto di Dante: tutti gli splendori dell'allucina­zione e della poesia vengono a ricoprire d’un manto ricchissimo la dottrina un po’ confusa, il dogma che rimane in fondo essenzialmente cri­stiano.

  Non è compito nostro parlare del lavoro di Balzac: diremo solo con Taine che preferiamo anche noi una filosofia meno romantica o un romanzo meno filosofico, pur riconoscendo le qualità di que­sta smagliante, fantasia letteraria.

  Il maestro Leoncavallo ne ha cavato un poe­metto ch’è la sintesi dello studio filosofico di Balzac, mentre mette particolarmente in luce le idee alle quali s’è musicalmente ispirato.

  In pochi versetti biblici apprendiamo che Serafìta è la nipote del norvegiano Swedenborg, amata ad un tempo da Minna, la semplicetta figlia del pastore Becker e dal proscritto Wilfrido. La prima scorge in Serafita un seducente giovinetto, il se­condo una pudica fanciulla degna di essere ado­rata.

  Serafita nè può rispondere al primo, nè risponde al secondo amore. Essa aspira ad un affetto puro, alto, infinito che nulla ha di umano. Abituata sin da fanciulla alla contemplazione e alla preghiera, si ritiene come fidanzata ad un essere divino ed aspetta la fine come una ricompensa promessa.

  Nella I parte del poemetto adunque Serafita re­siste alle insistenze affettuose di Minna ch’ella ha condotta sull'alto del Falberg, per mostrarle quel lembo di fango ch’è la terra sottostante.

  Nella II parte combatte vittoriosamente le se­duzioni dei demoni, le tentazioni di Lucifero che le offre il potere, di Mammone che le offre il piacere.

  Nella III parte, già prostrata e prossima a morte, resiste ancora alla passione umana, all’amore di Wilfrido e rivolta alla natura dall’alto della roc­cia che domina il Sieg, dà l’ultimo addio ad ogni cosa creata.

  Il maestro ha conservato dall'originale quasi per intiero questo squarcio poetico.

  Finalmente Serafita muore ed allora, come in una visiono, a Wilfrido e a Minna che pregano lagrimando sulla sua salma, appare la falange vit­toriosa degli angeli mentre squillano le trombe e mille voci cantano: Hosanna!

* * *

  Non abbiamo grande tenerezza per quella che si chiama musica a programma ed ha ancora in Germania un numero ragguardevole di cultori. Il poema sinfonico come lo ha ideato Liszt, ch’è pre­cisamente il tipo al quale s’informano tutti questi tentativi più o meno riusciti di minuta descrizione metafisico-sinfonica, dovrebbe aver detto con Liszt stesso la sua ultima parola.

  La Serafita del maestro Leoncavallo è, giusta il suo titolo, un vero poema sinfonico in tre parti nel quale la parte corale è troppo poco rilevante perché se no possa tener conto. Non sapremmo va­lutare fin dove il musicista abbia fedelmente ser­vito il filosofo-poeta: ci sono delle cose talmente indescrivibili che rinunciamo di primo acchito a volerne apprezzare la descrizione.

  L’argomento che ha servito di traccia al mae­stro Leoncavallo è per natura sua poco musicabile, dato che un musicista voglia ispirarsi a quelle biz­zarre concezioni filosofiche: e d’altra parte ci sem­bra crudele ed inutile condurre il pubblico in un dedalo assai intricato per giovarsi soltanto o sopratutto di quel che offrirebbe senz’altro una trama più semplicemente ordita. Due scene d’amore e di seduzione ed una ridda fantastica son quanto mu­sicalmente risulta espresso con chiarezza nel poema Serafita: il rimanente consta di colori, di bei co­lori talvolta, per i quali un programma di testo meno faticoso a seguirsi sarebbe stato assai più gradito.

  Prescindendo dunque dal soggetto di Serafita e dallo sviluppo del poema sinfonico in ordine ad esso, diremo che il lavoro del maestro Leoncavallo è fatto di musica in qualche parte bella o in ogni sua parte elaborata — il che, dopo tutto, trattan­dosi di musica da concerto clic può essere giudi­cata indipendentemente da qualsiasi altra conside­razione, ci pare elogio non piccolo.

  Il compositore ha una tavolozza armonica wa­gneriana della quale si serve con molta abilità, mentre la sua vena melodica ha la stessa impronta che caratterizza tutta la giovane scuola italiana. Delle tre parti di Serafita ci parve particolar­mente riuscita la seconda, ch’è come uno scherzo sinfonico, ben condotto ed originalmente ritmato, con buoni episodi di contrasto quali l’apparizione di Mammone o le voci imploranti Serafita. Al pub­blico piacque invece sopratutto la prima parte del poema, forse, grazie ad una melodia, di effetto im­mediato, affidata ad archi. […].


 Leandro [Giustino Ferri], Gerolamo Rovetta, «Fanfulla», Roma, Anno XXV, N. 359, 31 Dicembre 1894, p. 1.

 

 I Paysans del grandissimo Balzac furono interrotti nella Presse di Emilio de Girardin, perché il capolavoro della Comédie humaine annoiava i lettori, i quali chiedevano invece gli immaginosi e prestigiosi racconti a braccio del primo Dumas, che stuzzicavano la loro curiosità coi mille episodi, con le inaspettate soluzioni di avvenimenti straordinari.

 E da quel tempo in poi la ricetta per un buon romanzo di appendice, variati alcuni ingredienti, è rimasta sostanzialmente la stessa per l’u so delle spezie e gli aromi più adatti a eccitare il palato, sempre più difficile e restio dei grandi divoratori di peripezie drammatiche e romanzesche.


  R.[uggero] Leoncavallo, Seraphitus Seraphita. Poema sinfonico tratto dallo studio filosofico di H. De Balzac da R. Leoncavallo, Milano, Edoardo Sonzogno, Editore, 1894, pp. 16.[3]

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  C.[esare] Lombroso, L’Uomo di genio in rapporto alla psichiatria, alla storia ed all’estetica. Sesta edizione completamente mutata. Con 20 tavole e 28 figure nel testo, Torino, Fratelli Bocca Librai di S. M. il Re d’Italia, 1894.[4]

Volume primo.
Parte prima.
Fisiologia e patologia del genio.
Capitolo II.
  Caratteri degenerativi del genio – Statura – Cranio – Cervello – Mancinismo – Precocità – Sterilità – Incoscienza dell’estro – Amnesia – Sonnambulismo – Genio nell’estro, pp. 37-106.
  p. 39. Famosi per piccola statura, oltre che per genio furono Orazio […], Balzac, Thiers, Louis Blanc […]. […].
  p. 54. Molti fanciulli, infatti, che appari tono in seguito genii, furono alle scuole tenuti in concetto di tristanzuoli o di sciocchi, ma la loro intelligenza si manifestò subito che l’occasione li favorì o per lo meno quando trovarono la via atta al loro genio particolare.
  Così accadde per Thiers, […] Balzac, Alfieri, Fresnel, Dumas padre, Humboldt, Sheridan, Boccaccio, Pietro Thouar, Volta, Linneo. […].
  p. 63. Balzac scriveva sempre di notte, e di giorno non si ricordava neanche di quello che aveva scritto.


Capitolo III.
  Forme fruste di nevrosi e di alienazione del genio – Alfieri, Pietro il Grande, Heine, Cavour, S. Mill, Dante, Renan, Rossini, Manzoni, V. Hugo, Carlyle, ecc., pp. 107-151.

  4. Megalomania.
  pp. 122-123. «Tutti sanno (scrive di Balzac la sua amica G. Sand, Hist. de ma vie, vol. IX) come la coscienza della sua grandezza traboccasse in lui, come amasse parlare delle sue opere, raccontarle. Ingenuo e buon uomo, chiedeva consigli ai bambini, ma poi non n’attendeva mai la risposta, o se ne serviva per combatterla coll’ostinazione della sua superiorità.
  Non insegnava mai nulla, parlava sempre di sé, di sé solo, ma benissimo.
  Una sera avendo un bel soprabito da camera nuovo, volle uscire così vestito, con un lume in mano, per la via per farlo ammirare al pubblico». […].

  8. Follia morale.
  pp. 142-143. Più frequente è nel genio un sintomo che è particolare alla così detta follia morale ed all’epilessia: la mancanza quasi completa d’affettività e di senso morale. […]
  Anche del genio si disse, come del pazzo, che nasce e muore solitario, freddo, insensibile agli affetti di famiglia e ai convegni sociali.
  «Le génie est une horrible maladie. Tout écrivain porte en son cœur un monstre qui, semblable au taenia dans l’estomac, y dévore les sentiments à mesure qu’ils y éclosent. Qui triomphera? la maladie de l’homme, ou l’homme de la maladie? Certes il faut ètre (sic) un grand homme pour tenir la balance entre son génie et son caractère. Le talent grandit, le cœur se déssèche (sic). A moins d’ètre un colosse, à moins d’avoir des épaules d’Hercule, on reste ou sans cœur, ou sans talente (sic)» (Balzac, Scènes de la vie de province, tom. II, pag. 126).[5]

Parte seconda.
  Eziologia del genio. Influenza delle meteore, del clima, della razza, della pazzia nei genitori e delle malattie cerebrali.
Capitolo VII.
I genii e la scuola, pp. 347-351.

  pp. 348-349. Chi può descrivere il martirio di uno spirito geniale, costretto a scervellarsi intorno ad una fitta di cose in cui tanto meno riesce, quanto più è attratto in altre direzioni?
  Egli vi si ribella; e allora incomincia la lotta sorda, feroce tra l’allievo geniale ed il professore, uomo medio, che non capisce la sua foga ed i suoi istinti li comprime e punisce.
  Balzac, che li ha provati – e fu cacciato da scuola – analizza minutamente in quel suo meraviglioso studio del «Louis Lambert» queste amarezze del collegio.
  Si sente un fremito pensando a quel fanciullo di così alta e serena intelligenza, disprezzato come stupido e pigro; ed a quel trattato geniale Della volontà che gli era costato tanta fatica, e che un rozzo maestro brucia senza neppur leggere. – E così Vallès.

Capitolo VIII.
La genialità nella donna, pp. 353-381.

  5. Donne geniali.
  pp. 361-362. Quindi, quando vi è la genialità, essa è scarsissima e sempre meno intensa che nei maschi. […].
  Ma fra queste scrittrici e scienziate di talento [Mary Sommerville, George Eliot, George Sand, Daniele Stern, la Staël […] ecc.], nessuna toccò alla sommità di Michelangelo, di Newton, di Balzac […]. […].

  6. Virilità nella genialità femminile.
  pp. 366-368. – E quando la genialità compare nella donna è sempre associata a grandi anomalie: e la più grande è la somiglianza coi maschi – la virilità. […]
  E tutte hanno calligrafia virile e soffrono di anomalie neurotiche.
  Basterebbero per tutte le confessioni di quella Mad. Bashkirtseff (Journal de Mad. Bashkirtseff, 1891), che fu veramente una pittrice di genio superiore e originalissima in arte.
  Nel suo giornale speso dice: «Non ho della donna che l’esterno; e quest’esterno è diabolicamente femminino; il resto è diabolicamente diverso» (pag. 26. II).
  A diciannove anni: «Io non credo d’aver provato mai un sentimento estraneo all’ambizione».
  E a venti:
  «Leggo Balzac a detrimento di me stessa, perché il tempo impiegato nel lavoro mi aiuterebbe a diventare un secondo Balzac in pittura».


Volume Secondo.
Parte quarta.
Sintesi. La Psicosi degenerativa (epilettoide) del genio.
Capitolo II.
Analogia di questi caratteri con quelli dei genii non alienati, pp. 349-356.

  pp. 349-350. L’orgoglio portato fino all’inverosimiglianza fu notato in Napoleone, in Hegel, in Dante, in Vittor Hugo, in Balzac, in Comte, e come vedremo, perfino nei talenti, senza genio, come nel Cagnoli. […].
  E i segni degenerativi abbondano negli uni e negli altri.
  Né manca in essi quell’invasione, o meglio invasamento del soggetto che trasforma la creazione fantastica in una vera allucinazione od in una autosuggestione.
  Flaubert scrive: «Le creazioni della mia fantasia mi colpiscono, mi perseguitano, o meglio sono io che di loro vivo. Quando descrivevo come Madame Bovary morisse avvelenata, sentivo il sapore dell’arsenico sulla lingua, anzi ero io stesso avvelenato fino a vomitare». Balzac dava agli amici notizie dei suoi personaggi come fossero vivi: più ancora, dopo che un amico gli aveva parlato di una sorella malata gravemente, l’interruppe: Torniamo alla realtà: il mio personaggio deve ammogliarsi, e seguitò a parlare delle sue creazioni di fantasia. Dickens provava dolore e compassione per casi dei suoi personaggi come se fossero figli suoi proprii.

Capitolo III.
Sulla natura epilettoide del genio, pp. 357-378.
  pp. 361-362. Codesta somiglianza dell’estro coll’accesso epilettico ci è segnalata da una prova più diretta, più intima, le confessioni stesse dei grandi epilettici, le quali ci mostrano come l’uno si confonda completamente coll’altro. […].
  Zola, pure, nel Roman naturaliste, ci dà questa nota sull’ispirazione di Balzac: «Egli lavorava sotto l’opera di certi impulsi che sono per noi un mistero; era la vittima di una forza capricciosa: a volte, per tutto l’oro del mondo non potrebbe scrivere una riga, o toccare un pennello; a volte, alla sera in mezzo alla strada, o al mattino durante un’orgia, un carbone ardente tocca la sua testa, le sue mani, la sua lingua; una parola ad un tratto gli risveglia delle idee, nascono, fermentano. Ecco l’artista umile strumento d’una volontà dispotica».


  Lucano, I Masnadieri, «Corriere delle Puglie. Giornale quotidiano di Bari», Bari, Anno V, N. 345, 14 Dicembre 1894, p. 1.

  Pure Balzac, il vero, il gran romanziere, ha scritto la vendetta corsa.


  Alberto Lumbroso, Ancelot (Mad.me V.e) « Les salons de Paris », foyers éteints (2. ediz., Paris, Tardieu, 1858, 1 volumetto di 245 pag.), in Saggio di una Bibliografia Ragionata per servire alla storia dell’Epoca Napoleonica. A-AZUNI, Modena, Tip.-Lit. Angelo Namias et C., 1894, p. 45.
  […] nel «Salon de la duch.sse d’Abrantès» si descrive la miseria della Junot e di Napoleone; si narra che Balzac «avait dressé chez lui, rue de Cassini, un petit autel surmonté d’une statue de Napoléon, avec cette inscription – «Ce qu’il avait commencé par l’épée, je l’achèverai par la plume». (Il quale amore di Balzac per Napoleone potrebbe far dire : «Souvent homme varie»).
  Balzac [père], p. 68.
  Adjoint au Maire de Tours (padre del celebre Hon. de Balzac). « Mémoire » sur deux grandes obligations à remplir par les Français (A Tours, de l’imprimerie Mame, 1809) – Mémoire sur les moyens de prévoir les vols et les assassinats (tours, gr. In -8°). Ambedue questi opuscoli sono rari.

  Alberto Lumbroso, Balzac (Honoré de). [1799-1850]. “La Comédie humaine” [edizioni collettive delle opere del romanziere], in Saggio di una Bibliografia Ragionata per servire alla storia dell’Epoca Napolenica. II. B-BARLOW, Modena, Tip.-Litografia Angelo Namias et C. ; Paris, Librairie Militaire Edmond Dubois, 1894, pp. 68-75.


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  Segnaliamo anzitutto uno scritto del Balzac che porta nel titolo stesso il nome di Napoleone: «Histoire de Napoléon, contée dans une grange par un vieux soldat» (Alla fine: Imp. De Baudoin, rue des Boucheries (sic) Saint Germain, 38, s. d. (1833), in 12.° 24 pp. compreso il titolo : sul quale è una vignetta che rappresenta Napoleone I° ; l’esemplare della Biblioth. Nat. di Parigi è stampato su carta rosa). Questa è l’edizione originale di un frammento del Médecin de campagne; essa fu fatta senza il consenso dell’autore e ledendo i suoi diritti. Il signor di Spoelberch di Lovenjoul ha trovata la prova di ciò in certe lettere inedite di Balzac, che parla di quest’edizione come di una contrefaçon. E ne esistono altre, di contraffazioni: per esempio questa, che mi è segnalata dal Sig. Henry Houssaye in una sua lettera del 21 Dicembre 1893: «Dialogue d’un vieux grenadier de la Garde impériale surnommé le Sans-Peur (Paris, Simon, Rue du Temple, N. 6, 1833, in -16.°, 20 pages) signé à la fin: De Balzac. C’est une édition de l’épisode du Médecin de campagne … Je crois que le dialogue précité, que j’ai dans ma bibliothèque, est à-peu-près unique, c’est pourquoi je vous le signale. Édition et titre inconnus à l’auteur de la Bibliographie de Balzac». Di questo esemplare fa anche parola il Vicaire, nel Manuel de l’amateur de Livres du XIXe. siècle, 1894, I, 194 : «Cet opuscule est imprimé sur du papier à chandelle ; c’est le seul exemplaire connu ; il appartient à M. Henry Houssaye» ; ma il Vicaire non s’accorda pienamente colla nota favoritami da H. Houssaye, giacchè dà per formato : in-24, e per numero di pagine: 30. Segnaliamo finalmente una 3a. edizione, il cui titolo differisce da quello di ambedue le citate: Histoire de l’Empereur, racontée dans une grange par un vieux soldat, et recueillie par M. de Balzac. Vignettes par Lorentz. Gravures par MM. Brevière et Novion (Paris. J. J. Dubochet et C., J. Hetzel et Paulin, Aubert et C., 1842, in -16°, couv. illustr.). Sulla copertina: Napoleone a cavallo; 104 pagine di testo compreso il titolo dell’introduzione (Les deux soldats) ed altre pagine non numerate. Il racconto, messo in bocca a un Goguelat, vecchio soldato della Guardia, descrive con vivezza di tratti e secondo il sentimento popllare francese i fatti del grande imperatore. Vi si trovano degli accenni curiosi al famoso Homme rouge (pag. 58, 76, 97, 98) sul quale si veda la canzone di Béranger, l’articolo di Loys Beueyre (Le petit Homme rouge, in: Revue des traditions populaires) e l’articolo Folk-lore napoleonico di Alberto Lumbroso (Archivio per lo studio delle tradizioni popolari, Palermo, Clausen, 1893). Dell’Histoire de l’empereur posseggo una prima versione italiana (con 12 litografie, Napoli, all’insegna di Aldo Manuzio, 1842, pagine 63), nella quale trovasi questa curiosa e prudente Nota dell’Editore: «Questo cenno istorico non può aversi, come ciascun vede, in altro conto, che di romanzo e come racconto di soldati, che presi da un vivo entusiasmo verso il loro generale, non sanno por mente che alla gloria delle armi. Nel resto obbliano o mostrano di obbliare le oppressioni, le stragi, gl’ingiusti assassinamenti, le usurpazioni, la frodo lenza, ed altre somiglianti tristezze che deturpano pur troppo la memoria di quest’uomo, e che per la propinquità degli avvenimenti vivono tuttora nella mente de’ popoli».
  – Scènes de la vie privée (Paris, Calmann Lévy; vedi, per le ediz. originali, il Vicaire, Manuel cit., p. 195-197). Napoleone figura nella Vendetta, nella Paix de ménage, nella Femme de trente ans, e finalmente nel Colonel Chabert. Il quale, lasciato per morto sul campo di battaglia di Eylau, ritorna in Francia, ove il suo atto di morte era stato legalizzato ed ove sua moglie era passata a nuove nozze; il colonnello non ha più stato civile, non esiste più davanti alla legge. La sua lotta per riconquistare, se non la moglie, almeno una modesta pensione, è piena di peripezie: Chabert, continuamente ingannato da quella donna, che quando sono soli lo riconosce, ma lo dichiara un pazzo quando si trovano in pubblico, muore di dolore e di miseria.1)
  – Scènes de la Vie Parisienne (Paris, Calmann-Lévy; vedi, per le edizioni originali, Vicaire, op. cit., pag. 198 e seg.). Gli accenni a Napoleone sono continui, e se ne trova ad ogni proposito; per esempio parlando di Esther la dice soprannominata la Torpille «parce qu’elle aurait engourdi l’empereur Napoléon lui-même». Nei Parents pauvres si nota il tipo del barone Hulot d’Ervy, che rappresenta uno dei grandi amministratori dell’impero, e che dall’amore per una cantante passa ad altri amori, per finire con quello per una cuoca, ch’egli fa baronessa (V. il lavoro di H. Taine su Balzac, in Nouveaux essais de critique et d’histoire, 1866, pagine 63-170). Curiosissimo è il romanzo Histoire des Treize, in cui si narra di tredici persone che formano una specie di carbonarismo fra uomini di mondo, e che perciò diventano potentissimi. L’opera incomincia appunto: «Il s’est rencontré, sous l’Empire et dans Paris, treize hommes également frappés du même sentiment». A proposito della Vie Parisienne, va citata qui una curiosa confutazione di un Italiano: voglio dire la Difesa dell’onore dell’armi Italiane oltraggiato dal signor di Balzac nelle sue Scene della Vita Parigina, e confutazione di molti errori della storia militare della guerra di Spagna fatta dagli Italiani, di Antonio Lissoni, antico ufficiale di cavalleria (2.a ediz. con aggiunte, Milano, Tip. e libr. di Felice Rusconi, 1837, in-8.°, 63 pagine). Autore di questo opuscolo è quel Lissoni, già ufficiale napoleonico, che tradusse molte opere tedesche e francesi (per esempio le Vite di Napoleone del Laurent de l’Ardèche e di E. Marco de Sant-Hilaire [sic]) e scrisse i «Fatti Storico-Militari dell’età nostra, ossia Descrizione delle imprese più gloriose e delle azioni di valore de’ soldati italiani dal 1800 al 1813»: un uomo, insomma, che si era occupato assai del primo Impero e della storia degli Italiani al servizio di Francia, ed al quale dovea riuscir facile il cogliere in errore di lesa storia il fecondo romanziere francese. Lo stile del Lissoni non è certo pieno di riguardi: «L’introduzione» scrive egli, «anzi il fondamento di questa sua leggenda o romanzo, che lo si voglia dire, è un monticello d’errori, e diciam pure una bella, una spiritosa ingiuria al nome italiano». Nello scritto La Marana, Balzac avea detto che «malgré la discipline que le maréchal Suchet avait introduite dans son corps d’armée, il ne put empêcher, lors de la prise de Tarragone, un premier moment de trouble et de désordre» … . E la causa di questo disordine sarebbe stato «un régiment presque entièrement composé d’Italiens». Il Lissoni comincia col rilevare che Suchet non era ancora maresciallo allorchè prese Tarragona; dimostra quindi l’ingiustizia degli apprezzamenti di Balzac riguardo agli Italiani, e pone in evidenza gli errori di storia commessi dall’autore della Comédie humaine.
  – Scènes de la vie politique (Paris, Calmann Lévy; vedi, per le ediz. originali, il Man. di G. Vicaire, p. 219 del t. I). Napoleone figura, in queste scènes, nell’Envers de l’histoire contemporaine e in Une ténébreuse affaire, e quest’ultima è certamente una delle più note opere di Balzac. Com’egli abbia intuito una quantità di verità, e come abbia giudicata giustamente l’epoca napoleonica, lo prova Albert Sorel3) (Lectures historiques, 1894) paragonando qua e là (p. 111, 138, 139) i libri storici di Pingaud e La Sicotière al romanzo di Balzac.
  La Comédie humaine è un documento che non va trascurato da chi studi la leggenda napoleonica nella letteratura, e Balzac è certamente uno degli uomini che più hanno meditato su Napoleone e che più spesso lo citano nei propri lavori; lo si vede nei minimi particolari: per esempio nella dedica di Catherine de Médicis (Études philosophiques), lì dove dichiara che Annibale passò le Alpi «selon l’opinion de quelques gens d’esprit, par Gênes, la Bochetta et la Scrivia, opinion que je partage, et que Napoléon avait adoptée».
  Recentissimamente (1 febbrajo 1894) la Revue de Paris pubblicava delle lettere inedite di Balzac a colei che doveva essere di poi sua moglie; in quella della fine di gennajo 1833, B. scrive: «La Bataille est un livre impossibile? Là, j’entreprends de vous initier à toutes les horreurs, à toutes les beautés d’un champ de bataille ; ma bataille, c’est Essling. Essling avec toutes ses conséquences. Il faut que, dans son fauteuil, un homme froid voie la campagne, les accidents de terrain, les masses d’hommes, les événements stratégiques, le Danube, les ponts, admire les détails et l’ensemble de cette lutte, entende l’artillerie, s’intéresse à ces mouvements d’échiquier, voie tout, sente, dans chaque articulation de ce grand corps, Napoléon, que je ne montrerai pas ou que je laisserai voir, le soir, traversant dans une barque le Danube ! Pas une tête de femme ; des canons, des chevaux, deux armées, des uniformes. À la première page le canon gronde, il se tait à la dernière. Vous lirez à travers la fumée, et, le livre fermé, vous devez avoir tout vu intuitivement et vous rappeler la bataille comme si vous y aviez assisté. Voici trois mois que je me mesure avec cette œuvre, cette ode en deux volumes …». Fuvvi un’epoca, anzi, in cui Balzac ebbe per Napoleone un’ammirazione analoga a quella dei settari napoleonisti russi di cui parla Hepworth Dixon [cfr. Fernand Giraudeau, La légende napoléonienne à l’étranger, nella Revue Britannique d’Aprile 1894]; Balzac avea infatti innalzato in casa sua, rue de Cassini, un piccolo altare sul quale avea posta la statua dell’Imperatore, con quest’iscrizione: «Ce qu’il avait commencé par l’épée, je l’achèverai par la plume». Così narra, almeno, Madama Ancelot nei Salons de Paris. E la smania di Balzac pare fosse quella di avere nel secolo XIX.° un’importanza uguale, se non analoga, a quella avuta da Bonaparte: «Quattro uomini avranno», diceva egli in una lettera rimasta a lungo ignorata (vedi Don Chisciotte, Roma, 21 maggio 1891) «in questo mezzo secolo, un’influenza straordinaria: Napoleone, Cuvier, O’ Connel; (sic) io vorrei essere il quarto. Il primo ha vissuto del sangue d’Europa, s’è inoculato di eserciti; il secondo ha sposato il globo; il terzo ha incarnato un popolo; io, avrei portato una società intera entro il mio cervello!». Ma per comprendere bene il concetto o meglio i varî concetti che di Napoleone si venne facendo il Balzac, bisogna conoscere a fondo tutto ciò che su di lui fu scritto. Io, limitandomi qui a riferire soltanto la frase in cui Balzac definisce i bonapartisti, «une des particularités du caractère bonapartiste, c’est la foi dans la puissance du sabre, la certitude de la prééminence du militaire sur le civil», frase che il Larousse riferisce per dare la definizione della voce Bonapartiste, darò alcune indicazioni di studî sul Balzac, rinviando poi chi volesse maggiori ragguagli alla lunga lista data dal Visconte de Spoelberch de Lovenjoul nell’Histoire des oeuvres de Balzac (3a. ediz., p. 351-406 e 471-496). Si veda: Barrière (Marcel), L’oeuvre de H. de Balzac (Par., 1890); Baschet (Armand), 1851, Variétés littéraires e Les Physionomies littéraires de ce temps (Par., 1852); Cerfbeer et Christophe, Répertoire de la «Comédie humaine» avec une introd. de Paul Bourget (Par., 1887) ; Champfleury, Doc. pour servir à la Biographie de B. (Par., 1985-1879) ; Desnoiresterres, M. de Balzac (Par., 1851) ; Gautier (Théoph.), H. de B., sa vie, ses œuvres (Par., 1858) ; Lamartine, Balzac et ses œuvres (Par., 1866) ; Mme Surville, née Balzac, Balzac, sa vie, ses œuvres (Par., 1858) ; Edm. Werdet, Portraits intimes de Balzac (Par., 1859). Vedansi anche gli scritti sul Balzac contenuti nei volumi di studî letterarî di Gozlan, Lecomte, E. de Mirecourt, Parran, Pelletan, A. de Pontmartin, C. A. Sainte-Beuve, Edm. Scherer, H. Taine, M. Topin etc. etc. (cfr. Vicaire, op. cit., pag. 252-256). Nella Gazzetta Letteraria del 14 aprile 1894 v’è un articolo anonimo su Le idee di Balzac sull’amore e sulla società, ed or ora (1894) si pubblica in Parigi Honoré de Balzac di Gabriel Hanotaux e Georges Vicaire, in cui si trovano cenni importanti sulla stamperia di Balzac e sui libri editi dal romanziere.
  1) Le Colonel Chabert è il tema svolto in due atti da Jacques Amago e Louis Lurine, ed in 5 atti da De Faulquemont e Fayre.
  2) La storia dei Tredici fu esposta in cinque atti (Les Treize) da F. Dugné e dal Peaucellier. Il nome di Balzac non ha però mai figurato sui cartelloni dei teatri, per quanto gli autori drammatici abbiano tolti i loro canovacci dalle opere di lui. Solo in quest’anno (1891) l’adaptation d’Emile Blavet e Pierre Berton: Les Chouans, fu posta sotto il patronato di quel nome illustre. Si noti che «Les Chouans ont été déjà l’objet de deux adaptations, l’une, en 3 actes, par Anicet Bourgeois et Francis Cornu ; l’autre, en 4 actes, par Antony Bernaud, sous le titre de Le Gars» (Parisis, Balzac au théâtre, nel Figaro di Lunedì 9 aprile 1891).
  3) Sui Chouans, «Balzac, dans ses courts séjours à Alençon, et dans le Cotentin, a recueilli les lambeaux de cette histoire» scrive il Sorel, a proposito di Louis de Frotte. «Son génie a ressuscité l’époque et le milieu avec une puissance d’évocation et une profondeur d’intelligence qu’aucun historien n’a égalées. Voir Les Chouans, Une ténébreuse affaire, l’Envers de madame de La Chanterie, voir La Sicotière, Louis de Frotte (1793-1832) t. II, pag. 669 et suiv.». (Sorel, Lectures historiques, Par., Plon, 1891, p. 111). Intorno al Chouans, Balzac lavorò di molto. «Je les ai réécrits en entier, et la deuxième édition, qui va paraître, a encore bien des tâches», scriveva egli alla signora Hanska nel gennajo 1833 (Revue de Paris, 1891, pag. 7, Lettres à l’«Étrangère»). Dei Chouans fu fatta nel 1890 (Paris, Testard) una splendida edizione in 8°., con illustrazioni di J. Le Blanc e prefazione di J. Simon. «Nulle part le génie de Balzac ne s’est affirmé à un plus haut degré que dans ce récit», scrive Ernest Daudet, «où, avec une connaissance merveilleuese des contrées, des habitants et des mœurs, il a mis aux prises la police de Fouché et les chouans» (Daudet, Les Chouans (a proposito del dramma di Blavet e Berton), nel Gaulois di Parigi, 12 Aprile 1891). Nel 1827, scrive Gabriel Ferry, «se sentant harassé de coups d’esprit, le futur auteur de la Comédie humaine alla faire un séjour chez des amis de sa famille à Fougères, en Bretagne … A cette époque, dans ce coin de Bretagne, les souvenirs de la chouannerie restaient encore très vivants ; les voyageurs, les touristes rencontraient encore l’ (sic) anciens combattants, des témoins des luttes passées qui racontaient volontiers les prouesses des chouans et les représailles des Bleus. La circonstance inspira à Balzac l’idée, le sujet des Chouans. Il recueillit ses documents sur place et écrivit même à Fougères les premières pages de son roman» (G. Ferry, Les années de détresse de Balzac, 1825-1830. A propos du drame «Les Chouans» nel Figaro, Suppl. littéraire, 14 aprile 1891). Per l’intreccio del dramma, rappresentato per la prima volta all’Ambigu di Parigi la sera del 12 Aprile 1894, vedi l’articolo di Henry Fouquier nel Figaro di Venerdì 13 Aprile 1894.

  G. M. Lupini, La psiche e l’arte, in Pro-Modernitate (Conversazioni critiche), Roma, Tipografia Agostiniana, 1894, pp. 130-137.
  pp. 132-133. Onorato Balzac, sòrto pochi anni dopo di lui [Stendhal], è anch’egli uno psicologo profondo, come ne fa ampia testimonianza il monumento letterario che ci ha lasciato: la «Commedia umana»; ma l’indagine di lui ha un substrato reale. Egli considera l’uomo nelle sue relazioni col mondo esteriore. L’individuo è la molecola nel grande organismo sociale, ed ha in sé l’azione primitiva e principale che è reazione, perché determina atti coscienti i quali ne formano il carattere.
  Nell’ingranaggio degli episodî, ogni fatto è l’effetto logico di fatti anteriori, ed è, a sua volta, la causa di altri episodî ad essi collegati, come altrettanti anelli di una medesima catena.
  La vita psichica circola nel tessuto dell’opera, precisamente come il sangue nelle vene, ed è siffattamente unita a quella, che qualsiasi atto – morale o intellettivo – diventa una espressione vitale di essa.
  L’opera del Balzac o è impersonale, e si manifesta con la voce delle cose ed entra allora in communione immediata con l’anima nostra; o è subiettiva; e allora questa subiettività è così temperata che noi ci sentiamo trascinati irresistibilmente dalla mano geniale dell’artista: – «Eugenie (sic) Grandet» e «Le Lys dans la vallée» sono due mirabili esempî della personalità artistica di questo grande maestro.
  Ed è per tutto ciò che io credo che il romanzo psicologico non sia una forma d’arte vera e propria, bensì una manifestazione transigente e transitoria, un’esigenza del secolo.
  La psicologia a buon diritto può essere considerata come elemento artistico, ma fino a quando essa ne fa scaturire l’azione e non l’annulla.


  A. S. M., Bollettino bibliografico. De Coster Chaples, “Légendes flamandes”, précédées d’une préface par Émile Deschanel, Bruxelles, Paul Lacomblez éditeur, 1894, pag. 227, «La Cultura. Rivista critica ebdomadaria», Roma, Nuova Serie, Anno IV, V. 1-2, 1-8-15 Gennaio 1894, pp. 23-24.

 

  p. 24. Qualche cosa di simile tentò il Balzac nei suoi Contes drôlatiques, ma commise una quantità enorme di spropositi, lasciando a divedere che conosceva assai male la lingua e l’ortografia antica.



  Olindo Malagodi, Zola a Roma, «Vita Moderna. Giornale d’arte, scienza e letteratura», Milano, Anno III, N. 45, 11 Novembre 1894, pp. 353-355.

 

  p. 354. Balzac (altro esempio) ha, per esperienza e per passione intuito il grande fenomeno moderno della speculazione. Egli ha scritta l’epopea della speculazione, perché la febbre della speculazione gli bruciava nel sangue. Speculatore audace e fallito, ha risentito il delirio della caccia dell’oro, le sue ebbrezze ed i suoi trionfi; le rovine e le disillusioni brutali. E questa grande intuizione passionata ha formato il midollo della sua opera gigantesca.

  p. 355. Aggiungiamo infine che in tutta la voluminosa produzione dello Zola, è impossibile trovare qualche cosa di suo e di nuovo portato nell’arte. Egli non ha portato niente di nuovo nello stile e nella composizione del romanzo, niente di quel proprio e personale che vi hanno portato Balzac, Flaubert, i De Goncourt, e perfino Daudet.


  Paolo Mantegazza, Il marito scienziato, in L’Arte di prender Marito di Paolo Mantegazza per far seguito a L’Arte di prender Moglie, Milano, Fratelli Treves, Editori, 1894.
  p. 50. Questo marito è stato sempre un prezioso zimbello tra le mani dei romanzieri e degli scrittori di commedie. Anche il sommo Balzac lo classificava tra i predestinati.

  Guido Mazzoni, Alessandro Dumas (padre), in Il Teatro della Rivoluzione. La vita di Molière e altri scritti di letteratura francese, Bologna, Ditta Nicola Zanichelli Editore, 1894, pp. 277-294.
  p. 294. La lode gli è stata confermata da quanti hanno scritto di lui; e di recente il De Pontmartin istituì, anzi, a tal proposito, un curioso raffronto tra lui e il Balzac.

  G. Miranda, Il romanzo ed il teatro, «Il Proscenio. Giornale artistico-teatrale», Napoli, Anno II, Num. 3, 30 Gennaio 1894, pp. 1-2.
  p. 1. In un articolo del Regolamento del Concorso drammatico Nazionale – che si ostina ancora a voler rinnovare, fra lo stupore e la confusione delle turbe degl’increduli, il biblico miracolo di Lazzaro, risuscitando quell’illustre cadavere ch’è il teatro italiano – è detto, tra molte altre cose, che sono esclusi dal concorso quegli autori, i quali abbiano tratto l’argomento del loro dramma o della loro commedia da un romanzo o da una novella loro o di altri.
  Ciò farebbe almeno supporre che vi sia e vi possa essere, anche lontanamente, una certa analogia tra la forma drammatica e quella narrativa. Ma quale è, di grazia? Io, francamente, non ne vedo proprio alcuna. Queste espressioni d’arte mi sono sempre parse di natura sì intimamente diversa, che, per convincersi della distanza che le separa, dovrebbe bastare il fatto: che quasi tutti i grandi romanzieri sono stati e sono mediocrissimi commediografi, e viceversa. Zola, Daudet, de Goncourt, Flaubert, Turghneff hanno avuto successi teatrali assai discutibili. Lo stesso Balzac, il gran padre del romanzo moderno, malgrado il suo Mercadet, non era tagliato pel teatro: tanto ciò è vero che il successo di Mercadet non lo consigliò a ritentare la prova. Per contrario chi legge i primi romanzi di Sardou e di Augier, e chi preferisce i romanzi alle commedie di Dumas figlio? […].
  E detto ciò, a sgravio di coscienza, mi limito a far notare la grande differenza che separa il teatro dal romanzo, specialmente ora che la sociologia e la psicologia hanno invaso il campo del romanziere, mettendovi molte radici. Da Balzac e da Stendhal a Flaubert, a Zola, a Daudet, a Goncourt, a Maupassant, a Bourget che lungo e glorioso cammino ha percorso il romanzo in Francia, in pochi anni!

  Federico Musso, Ostrowski, «Il Proscenio. Giornale artistico-teatrale», Napoli, Anno II, Num. 22, 20 Agosto 1894, p. 1.
  Anzitutto è ammirevole in lui lo spirito d’universalità dal quale non si sono mai distaccate le sue investigazioni psicologiche: come tutti i grandi creatori come Shakspeare (sic), Balzac, Tolstoi, Ostrowski s’interessa al meccanismo complicato dell’anima umana, al movimento delle sue innumerevoli ruote ed ai misteri delle sue stupefacenti contraddizioni, senza curarsi dell’ambiente sociale in mezzo a cui vive l’individuo ch’egli ha voluto studiare.


 N. Nanni, Note in Margine. Il visconte di Spoelberch, «Fanfulla», Roma, Anno XXV, Numero 243, 5 Settembre 1894, p. 1.

 

 Il visconte di Spoelberch di Lovenjoul è stato nominato ufficiale della Legion d’onore. Egli, che è un eminente bibliofilo belga, ha elevato a Bruxelles un tempio a Balzac. La sua raccolta contiene documenti rarissimi appartenuti o che hanno relazione con l’autore della Comedia umana: questi documenti da un quarto di secolo sono classificati e annotati dal visconte di Spoelberch con metodo scrupoloso. Vi si trovano dalle bozze di stampa corrette, o rifatte intere da Balzac grandissimo, agli articoli di giornali o di rivista che lo riguardano. Oltre quanto riguarda Balzac, il visconte di Spoelberch ha raccolto anche documenti importanti su Teofilo Gautier, Giorgio Sand, Sainte-Beuve, Alfredo di Vigny, Baudelaire. A cauto ai manoscritti, una parte importante della collezione del bibliofilo belga è rappresentata dalle lettere priva te di Balzac; esse raggiungono una cifra considerevole, e si dovrà rinunziare a pubblicarle complete. Quando morì la signora de Balzac, e le carte di Balzac cominciarono a sparpagliarsi, a vendersi a peso nelle botteghe de’ dintorni, il visconte di Spoelberch accorse, ai stabilì in permanenza presso la casa devastata dai servi, e riuscì a ricomprare dal fruttivendolo, dal droghiere e dal ciabattino le tremila pagine di corrispondenza amorosa che la Revue de Paris ha pubblicate col titolo: Lettres à l’étrangère. [...].



 N. Nanni, Note in Margine. La mano di Balzac, «Fanfulla», Roma, Anno XXV, N. 358, 30 Dicembre 1894, p. 1.

 

 La chiromanzia si è occupata della mano di Balzac studiandola sulla riproduzione in gesso della quale si serve per modello lo scultore Rodin che lavora alla statua di Balzac. Esaminando questa mano ecco che cosa ne risulta. L’anulare (Apollo, l’Arte; sono i nomi dati dalla chiromanzia alle dita e alle linee) è più lungo, più sviluppato dell’indice (Giove, gli umori); e la linea apollonia (idee), arditamente tracciata. La linea d’intuizione (mercuriana) è maravigliosa per forza; è divisa in tre tronchi ineguali, con tre righe caratteristiche sul primo tronco. La linea del cuore (generosità, devozione, passione) circonda i tre monti con larghezza. La linea di testa (volontà, attività) taglia nettamente la palma ed è splendida per franchezza. Ma la linea devia, s’interrompe troppo presto; è frammista a complicazioni. Tutto il dramma terrestre del gigante letterario è là, riassunto — dice la chiromanzia — concentrato in quella mano suggestiva, breve, fine, grassa e nervosa, che la malattia non riuscì a deformare né a scarnare, si leggono le tendenze intellettuali, o facoltà d’inventare di idealizzare, le modificazioni di esistenza, i presagi della morte, i dolori morali, la coscienza ferrea in sè. [...].



  Gaetano Negri, Un amore patologico, in Rumori mondani, Milano, Ulrico Hoepli Editore-Libraio della Real Casa, 1894, pp. 171-184.

 

  p. 175. Un amore che si esplica, vive e si consuma guardando sè stesso, non è che il frutto di una disposizione malata. Oh, chi ci ridarà la realtà vera, quella realtà di cui son fatti i grandi romanzi inglesi, e alla quale s’ispirava quel Balzac di cui questi autori si dicono seguaci!

 

  L’idea della religione in Paul Bourget e in Pierre Loti, pp. 187-210.

 

  p. 190. Voi non negherete che Balzac fosse il più ardito dei vostri scrittori moderni, e devo essere io, un ignorante, che cito a voi la frase che domina tutta la sua opera: il pensiero, principio dei mali e dei beni, non può essere preparato, domato, diretto che dalla religione.


  Max Nordau, Degenerazione. Versione autorizzata sulla prima edizione tedesca, per G. Oberosler. Volume secondo. L’egotismo, il realismo, il secolo ventesimo, Milano, Fratelli Dumolard Editori, 1894 (Tip. Lombardi).
  Le citazioni riportate sono tratte dalla seconda edizione dell’opera pubblicata nel 1896.

Libro terzo. L’egotismo. IV. L’ibsenismo, pp. 368-446.
  p. 444, nota 2. Krafft-Ebing [Psychopatia sexualis] spiega il suo vocabolo così: «Sotto la denominazione di masochismo intendo un particolare pervertimento della vita sexualis psichica, il quale consiste in ciò che un individuo, affetto da tale malattia, è dominato, nel suo sentimento e nel suo pensiero sessuale, dall’idea di essere sottomesso affatto ed assolutamente alla volontà di una persona dell’altro sesso, di venir da questa trattato da schiavo avvilito e maltrattato». […] Non mi sembra felice il vocabolo. Krafft-Ebing, dimostra anche che Zola e, molto prima di lui, Rousseau – e avrebbe potuto aggiungere anche Balzac nel barone Hulot – hanno raffigurata tale condizione al pari di Sacher-Masoch.

Libro quarto. Il realismo. I. Zola e le scuole zoliane, pp. 507-540.
  pp. 521-523. Cos’è la teoria del milieu? È l’osservazione sostenuta dallo scrittore essere la particolarità e il modo di agire dell’uomo una conseguenza delle influenze su lui esercitate dalle cose vive e morte che lo circondano, è la premura dello scrittore di scoprire tali influenze e il modo con cui agiscono sull’uomo. […]. Nell’epoca nostra fu compresa chiaramente e motivata da Taine, e molto prima di Zola, Balzac e Flaubert tentarono di applicarla nei loro romanzi. E tuttavia questa teoria, la quale è assai feconda nell’antropologia e nella sociologia […] – nell’arte letteraria non è che un pervertimento, una confusione delle specie, derivante da un modo oscuro di ragionare. […].
  Se ad onta di ciò sembra che Balzac e Flaubert abbiano creato opere eccellenti a base della teoria del milieu, è una illusione ottica. Essi hanno dedicato all’entourage dei loro personaggi (specialmente Flaubert nella Madame Bovary) una grande attenzione ed una dettagliata descrizione, motivo per cui chi legge superficialmente riceve l’impressione che sia dimostrata una relazione causale fra l’ambiente e i personaggi; poiché è una delle particolarità originarie e più persistenti del pensiero umano quella di attribuire una connessione causale fra gli effetti che si mostrano susseguentemente e assieme. Questa particolarità è una delle fonti più ricche di false deduzioni, e non si può evitarla che mediante una osservazione molto attenta e spesso mediante l’ausilio di analisi. Nei romanzi di Balzac e di Flaubert in cui il milieu rappresenta una parte importante, questo stesso milieu non spiega effettivamente nulla. Poiché tutte le persone che si muovono in quell’ambiente in senso retroattivo e nel modo particolare ad essa proprio. Tale particolarità deve quindi rappresentare la cosa persistente, e non già il risultato dell’ambiente. Quest’ultimo può tutt’al più avere l’importanza di una causa prossima, immediata, riferentesi a qualche azione; ma le cause remote in questa stessa azione stanno nelle particolarità della persona, laddove l’ambiente descrittoci dallo scrittore non ci fornisce su di esse veruna spiegazione effettiva.


  Giorgio Ohnet, Il Romanzo d’un’attrice (Lisa Fleuron) di Giorgio Ohnet, «Illustrazione Popolare. Giornale per le famiglie», Milano, Vol. XXXI, N. 6, 11 Febbraio 1894, pp. 90-94.

 

  p. 92. Sfruttò [Claudio] in tal guisa per la sua istruzione tutte le ricchezze filosofiche del diciasettesimo secolo; si assimilò le memorie storiche; studiò il teatro dalla sua creazione coi grandi maestri classici tino al suo aprirsi cogli scrittori contemporanei; lesse tutti i romanzieri, e fece dell’opera di Balzac il suo breviario.


  Enrico Panzacchi, Cantores, in I miei racconti. Quarta edizione aumentata, Bologna, Ditta Nicola Zanichelli, 1894, pp. 235-245.
  pp. 241-243. Nel giorno dell’Ascensione i cantori della Cappella Sistina scendono in San Pietro e prendono parte alla celebrazione della festa. […]. Finalmente ho intesa la voce del soprano. […].
  Sì quella voce eccezionale e quasi sorvolante agli orizzonti della vita, è fatta per esprimere slanci di preghiera e puri rapimenti di estasi religiosa; non è fatta per disposarsi alle torbide passioni del dramma umano né per concorrere, profanandosi, al divertimento scenico. Nella scena essa doveva perdere il suo prestigio mistico senza acquistare il vigore, la pieghevolezza e la verità dolorosa del dramma […]. Però, se comprendo l’ammirazione dei nostri nonni elevata al più alto grado, trovo impossibile e ridicola la passione. L’amore di Sarazine per Zambinella e la sanguinosa avventura a cui riesce, per quanto magistralmente narrati da Balzac, mi lasciano freddo ed incredulo. Meglio comprendo gli epigrammi scritti dal popolo napoletano sulla casa costrutta da Cafariello …

  Caterina Pegorini-Beri, Riccardo Castelvecchio, «Fanfulla della Domenica», Roma, Anno XVI, N. 26, 1 Luglio 1894, p. 1.
  Avere la conoscenza della scena come Castelvecchio e il culto dell’arte come Paolo Ferrari, oppure saper dire e fare come Scribe e scrutare il cuore umano come Balzac, certo sarebbe l’ideale dell’autore drammatico.

  Emilio Penco, Cesare Cantù. Gloria della Patria. Discorso. Letto la sera del 10 febbraio 1894 all’Associazione Letteraria Scientifica “Cristoforo Colombo” Dal Socio Onorario Prof. Emilio Penco, in Mons. Isidoro Carini, E. de Marchi, Giovanni Pazzi, Emilio Penco, Cesare Cantù educatore – cittadino – storico – letterato – filosofo. Giudizi di Mons. Isidoro Carini, E. de Marchi, Giovanni Pazzi, Emilio Penco, «Encyclopédie Biographique du XIXe Siècle», Torino, Unione Tipografico-Editrice, 1894, pp. 51-62.
  pp. 58-59. Spettacolo commovente, o Signori, che fa batter il cuore e inumidir la pupilla, e che noi ci auguriamo di vedersi ripetere ancora per molti anni, là, in Milano, in quel modesto pianterreno di via Morigi, addobbato con isquisito gusto artistico, riboccante di doni e ricordi venuti da ogni parte a confermare l’ammirazione mondiale di cui gode l’illustre Uomo che lo abita, e dove penetrarono riverenti ad ossequiarlo Montalembert e Thiers, Gioberti e Rosmini, Döllinger e Dupanloup, Litz (sic) e Ponchielli, Balbo e Stoppani, Alimonda e Lavigerie, Balzac, l’imperatore del Brasile, Dupré, Luigia Collet, il Padre Agostino da Montefeltro, e cento e cent’altri italiani e forestieri eminenti, che, giunti a Milano, non vollero rinunziare all’onore d’aver veduto, salutato, baciato il principe degli storici moderni.


  Mario Pilo, Contributo allo studio dei fenomeni sinestesici, «Il Pensiero Italiano. Repertorio mensile di studi applicati alla prosperità e coltura sociale», Milano, Stabilimento Tipografico Insubria dell’Editore Carlo Aliprandi, Anno IV, Volume decimo, Febbraio 1894, pp. 139-158.

 

  p. 149. Balzac gira per tutta una giornata, sotto la pioggia, il dedalo delle vie di Parigi, per cercarne uno che gli convenga, tra la miriade che ne portano i manifesti le insegne sui muri e sulle botteghe [...].



 Mario Pratesi, Il mondo di Dolcetta. Racconto, «Nuova Antologia di Scienze, Lettere ed Arti», Roma, Volume LIV, Fascicolo XXIV, 15 Dicembre 1894, pp. 674-694.

 

 pp. 686-687. La contessa dunque aveva trionfato della rivale, e il signor Giulio che v’aveva indirettamente contribuito, d’allora in poi fu sempre simpatico alla contessa. Ella provava ora quella dolce tranquillità che si prova quando dall’inquietudine dell’inerzia si passa a uno stato d’operosa espansione. Per quella soave docilità degl’innamorati così propizia a persuadere la virtù fino all’eroismo, o il male fino al delitto, la contessa faceva sue tutte le idee del dottor Ignazio. Egli, molto segretamente, le aveva confidato d’essere un liberale, e divenne subito una liberale anche lei; non solo perché sentì anche lei d’amare la patria, ma perché anche con quelle opinioni politiche s’avvicinava tanto all’amante, quanto scostavasi dal marito, che era l’estremo del codinismo. Veduto che le piacevano assai i romanzi, il dottore le diede a leggere le Lys dans la vallée, che lui, avverso ad ogni letteratura, non aveva letto, ma gliel’aveva molto lodato una sua cliente. Costanza vide subito in quel romanzo la storia della sua vita: in Felice di Vaudresse (sic) vide subito il dottor Ignazio, in madama di Mortsauf vide tutta sè stessa, e nel marito avaro e tiranno, vide tutto il proprio marito, il conte Bonaventura. Questo, che non sapeva d’aver dei rivali anche nei romanzi, non poteva capacitarsi come sua moglie si dilettasse tanto di leggerli, interessandosi al racconto di cose che infine, egli diceva, non erano mai accadute. Il dottore, che dal momento che gli aveva salva la vita, ora divenuto non solo il medico, ma anche l'amico di casa, gli dava pienamente ragione. E il conte soggiungeva che il solo romanzo che meritasse, a parer suo, d’esser letto, la Battaglia di Montaperti, era per l’appunto quello che sua moglie non era riuscita mai a arrivare in fondo. [...]. E la contessa trovava più bello, fino a piangerci, le Lys dans la vallée: quale stravaganza anche questa, seconde il conte!


  Saverio Procida, Contro la cronaca, «Fortunio. Cronaca illustrata della settimana», Napoli, Anno VII, N. 31, 3 Agosto 1894, pp. 1-2.
  p. 2. Che importa a me se la Gervasia di Zola sia stata raccolta in un cabaret parigino o l’Eugenio di Rastignac conosciuto da Balzac in un salotto elegante? Quando que’ due caratteri saranno vivi dinanzi a me, scaturenti per esplosiva virtù di analisi e di rappresentazione, e mi forzeranno a constatare da quale studio largo e geniale della società essi conquistino il loro stato civile e come, con quell’indole, in quell’ambiente, con quelle passioni, non si possa giungere che a quell’azione, il personaggio apparterrà già alla realtà – poco importa se della vita o dell’arte.

  Rastignac [Vincenzo Morello], Sempre in tempo, «Il Don Chisciotte di Roma», Roma, Anno II, n. 287, 18 ottobre 1894, p. 1.
  Emilio Zola è un grande lavoratore, ma il suo lavoro è limitato; è un grande romanziere, ma il suo romanzo è come il verso romantico, che suona e che non crea; è un gran ribelle, ma della parte formale della letteratura, cioè a dire della parte retorica. E in verità, venendo dopo Balzac, egli aveva poco da rintracciare di nuovo e da riedificare nel romanzo della borghesia. Balzac ha esaurito il secolo.


  Reseda, Un po’ di tutto, «Corriere dei ragazzi e delle giovinette», Milano, Anno IV, N. 4, 9 dicembre 1894, pp. 3-4.

 

  p. 4. Un biografo di Balzac narra l’aneddoto seguente:

  Il celebre romanziere nel suo viaggio in Polonia nel 1835 (sic) era stato invitato a passare la sera in una famiglia dell’aristocrazia. Qualche momento dopo il suo arrivo, la padrona di casa disse alla figlia sua che stava servendo il the:

  Figlia mia, offri una tazza di the al signor De Balzac.

  A questo nome di Balzac, la leggiadra Ebe polacca ebbe un grande trasalto, e si lasciò sfuggire la tazza che avea in mano, indi confusa e arrossendo si scusò, e sparve.

  Balzac si compiaceva nel rammentare questo tratto gentile soggiungendo:

  Quel giorno io conobbi la gloria!



  Giuseppe Roberti, Una dinastia di esecutori di giustizia. I Sanson (1685-1847), «Gazzetta Letteraria», Torino, L. Roux e C.ie, Anno XVIII, N. 2, 13 Gennaio 1894, pp. 18-19.

 

  p. 18. L’idea prima di tale pubblicazione veramente originale venne al Balzac, che collaborò nel 1829 ai Mémoires pour servir à l’histoire de la Révolution, par Sanson, exécuteur de hautes œuvres. Era un lavoro quasi tutto d’immaginazione, di cui inserì poi qualche brano nelle Scènes de la vie politique et de la vie militaire.


  Federico de Roberto, Lettera di Federico de Roberto a Neera, in Neera [Anna Radius Zuccari], Lydia, Milano, Galli, [1888] 1894.
  Cfr. 1888.

  Saladino, La settimana parigina, «Il Proscenio. Giornale artistico-teatrale», Napoli, Anno II, Num. 11, 20 Aprile 1894, p. 2.
  L’ottimo successo teatrale e impresiariesco più che altro, cioè relativo all’Antico Comique per le cui scene è stato montato con isfarzo lo spettacolo, è costituito da Les Chouans, gran dramma storico in 3 atti e 8 quadri che i signori E. Bayet e P. Berton han tratto dal noto romanzo del Balzac. Dramma del genere emozionante, a largo intreccio, e che farà la sua stagione altrettanto ricca che quella di «Gigolette» dalle 280 e più repliche.

  Orazio Sechi, Della separazione giudiziale. II. – Delle cause legittime di separazione personale, in La Separazione personale dei coniugi nella legislazione italiana, Torino-Roma, L. Roux e C., 1894, pp. 15-53.
  pp. 21-22. Si dice pure che nell’adulterio della donna vi è una corruzione quasi totale d’ogni virtù; che il pudore e la castità sono le primarie virtù della donna; che la depravazione in quelle che le perdono è spinta ad un grado maggiore di quel che non sia negli uomini; che la donna che violò le leggi del pudore si dà ben presto in preda ad altri misfatti; che l’adulterio è spesso il primo passo che mena all’assassinio; che la donna adultera ergo venefica.
  Non v’ha, io credo, alcuno che, giudicando spassionatamente, non veda quanta esagerazione sia negli argomenti più sopra citati a difesa del principio di differenza sancito nel nostro Codice tra l’adulterio del marito e quello della moglie, per ciò che riguarda il diritto alla separazione. Anche ammettendo vi sia qualche esagerazione nel motto, credo, di Honoré de Balzac, il quale diceva che la moglie è quel che il marito la fa, sicchè non sempre si possa questo ripetere con giustizia, bisogna però convenire che, in molti casi, l’adulterio della donna è più sensibile che quello dell’uomo; che v’hanno delle donne, cadute in un momento d’incosciente ebbrezza, degne di rispetto al pari, se non più, di certi uomini lascivi e corrotti che, dimentichi di ogni ritegno, passano le giornate e le notti in continue orgie e deboscie, lasciando la famiglia loro priva, fors’anco, del necessario.

  [Carlo Segré], Due romanzieri al mare, «Il Secolo illustrato della domenica», Milano, Edoardo Sonzogno Editore, Anno VI, N. 267, 4 Novembre 1894, pp. 350-351.
  [Su Cooper e Loti].
  p. 351. Più che questo, ha giovato al Loti l’esser divenuto per fatto proprio e degli altri uno dei campioni più aperti del movimento contro il naturalismo. Quando egli cominciò a comporre, erano i tempi in cui Zola spadroneggiava.
  La scuola fu proclamata falsa nei proprî criteri, nei proprî intendimenti. Si capì che quello che si chiamava vero non era che un modo incasto di considerare le cose di quaggiù. Non era tanto negli oggetti, su cui il nuovo indirizzo si posava, che stava la fonte della corruzione: la fantasia di Balzac, il genio stesso di Shakspeare (sic) non erano rifuggiti da essi. La corruzione sorgeva da come erano trattati; dalla simpatia che gli scrittori mostravano per essi, simpatia che conteneva uno stimolo penetrante, dalla compiacenza contagiosa con cui venivano cullati nelle finzioni del loro pensiero. La reazione principiò timida, poi continuò fatta d’un tratto veemente ed ardimentosa. Di essa il vessillifero designato, voluto, fu Pierre Loti.

  Carlo Segré, Cooper e Loti, in Saggi critici di letterature straniere di Carlo Segré, Firenze, Successori Le Monnier, 1894, pp. 245-286.
  pp. 284-285. Cfr. scheda precedente.


  Matilde Serao, La lettura dei romanzi (di Matilde Serao), «Illustrazione Popolare. Giornale per le famiglie», Milano, Vol. XXXI, N. 13, 1° Aprile 1894, pp. 198-199.

 

  p. 199. Voi avrete orrore di Balzac, un maledetto, che con la scusa dell’arte, scrive romanzi così diabolicamente affascinanti da pervertirvi in un’ora sola; orrore, orrore della Giorgio Sand, la quale ha inventato la sublime idealità del peccato, la poesia che cerca redimere la colpa. In quanto ai romanzi di Dumas, quello sciagurato finge di amare gli interessi delle donne e le induce al peccato.

   La scuola francese è l’obbrobrio allo spirito.


  Scipio Sighele, Le teoriche giuridiche sulla complicità, in La Teorica positiva della complicità. 2a Edizione interamente rifatta, Torino, Fratelli Bocca Librai di S. M. il Re d’Italia, 1894, pp. 49-83.
  pp. 52-53. P. 53, nota 1. Da ciò dipende – che la scienza del giure sia diventata un complesso di dottrine intricate ed astruse – che si impongono e spaventano il profano, - mentre dovrebbe essere una semplice funzione di difesa – che tutti comprendono(1).
  (1) Il n’y a rien de moins connu – diceva Balzac – que ce que tout le monde doit savoir: la loi. [Citazione tratta da Illusions perdues].

  Vittorio de Simone, Petronio Arbitro. Riflessioni e commenti sul «Satyricon» con una traduzione annotata della «Cena di Trimalcione», Napoli, R. Tipografia Francesco Giannini & Figli, 1894.
  pp. 18-19. Qui finisce la «Cena». Ora domando: quale verista dei nostri tempi, non escluso lo Zola, potrebbe vantarsi di far di meglio? Io prego gli eruditi e gli artisti di rileggere quel romanzo, e poi dire se è giusto che Petronio Arbitro non sia tenuto in quel conto, che merita. Né i poeti greci dell’epoca alessandrina, né tutti i novellatori, che vennero di poi in tutte le epoche ed in tutti i paesi, superarono il poeta latino, finchè non sorse sull’orizzonte artistico quel genio che fu il Balzac, il quale spinse la descrizione del vero fino ad essere un documento. E allora non si parlava di naturalismo; eppure Petronio è stato il precursore dei romanzieri francesi, inglesi, russi ed italiani, che tanta vita hanno infusa nel romanzo. […].
  p. 34. Come vedete, la commedia [il Satyricon] è impostata. (Linguaggio tecnico).
  Quello che facciano questi quattro scapati in Crotone non si lascia che intravedere; ma, da quel poco che resta, giurerei che la narrazione non è per nulla fantastica, tanto gli avvenimenti sono veri ed umani. Ed a rendere più attraenti queste avventure, vi s’intreccia una storiella d’amore. Pare di leggere uno di quei racconti birbi di O. de Balzac. […].
  p. 37. Come caratterista [Petronio Arbitro] può stare alla pari con Balzac, Zola, Ben Jonson. Trimalcione è un modello del come si debbano rendere i tipi.

  Gallieno Sinimberghi, Emilio Zola autore drammatico, «Fanfulla della Domenica», Roma, Anno XVI, N. 47, 25 Novembre 1894, pp. 2-3.
  p. 2. Egli ha tratto l’argomento di questa arguta commedia dal Frère d’armes dei Contes drolatiques del Balzac; ma come idea prima soltanto, togliendo, aggiungendo, trasformando, creando, così che il Bouton de rose non è né plagio, né imitazione.

  Prof. Pietro Sitta, La Donna e il lavoro, «Rivista della Beneficenza Pubblica e di igiene sociale», Roma, Uffici della Rivista, Anno XXII, N. 12, 31 Dicembre 1894, pp. 937-972.
  p. 960. Vi è però un altro ramo di occupazioni da cui si tennero lontane le donne, senza che nessuna esigenza sociale, nessuna legge morale potesse giustificarlo, vale a dire le professioni liberali. Vi sono degli spiriti impressionabili ed ostinatamente attaccati al passato che riscontrano in questa partecipazione delle donne ad occupazioni che fino ad oggi furono riservate agli uomini il principio di una corruzione di costumi e di una demoralizzazione sociale. Che la donna possa al pari dell’uomo occuparsi di studi severi abbiamo già visto. Dice Balzac, non certo sospetto di tenerezza per il sesso femminile “che la donna che ha ricevuto una coltura maschile, possiede effettivamente le qualità più splendide ed efficaci per la felicità propria e per quella di suo marito”. E aggiunge Goethe, che non si vollero “soffrire le donne istruite, probabilmente perché si ritenne di fare arrossire tanti uomini ignoranti”.

  Biagio Sole, Il Divorzio. Saggio critico, Potenza, Stabilimento Tip. e Lit. Arcangelo Pomarici, 1894.
  Nel Capitolo I: Il problema, l’A. riprende un riferimento a Balzac contenuto nel saggio di C. F. Gabba (Il Divorzio nella legislazione italiana), in cui si afferma: «bisogna proprio avere la mente aliena e dissueta da ogni men che superficiale considerazione, ignara affatto delle leggi fondamentali del vivere civile e della stessa umana natura, per non iscorgere nel matrimonio niente altro che un affare individuale, un oggetto della contrattuale libertà. Di questo immenso contratto, come giustamente lo chiama Balzac, le cui ultime ragioni stanno addentro riposte nella umana psicologia e nella sociologia, in queste scienze sovrane della speculazione contemporanea, non è lecito ragionare e dogmatizzare […]».

  Edoardo Sonzogno, Lettera a Ruggiero Leoncavallo, Napoli, 25 aprile 1894.
  Lettera manoscritta presente nel “Fondo Leoncavallo” di Locarno (Segnatura: Co 62/26; Num. documento: B/080026; Num. microfilm: B/08).
  [Séraphîta] l’interessantissimo lavoro dello Scrittore francese.

  Alessandro Stella, Il Socialismo nell’arte, «La Tribuna Illustrata», Roma, Anno V, Num. 11, Novembre 1894, pp. 352-355.
  p. 353. Per mantenerci nelle altissime sfere della gerarchia artistica, ricordiamo che Bernier, in uno studio sul socialismo in Onorato Balzac, rilevò, che il grande dottore di scienze sociali, monarchico, cattolico, aristocratico e gerarchico, nel 1830, quando manifestò le proprie idee sulla monarchia, reclamò a favore del popolo l’educazione integrale, ch’è uno dei capisaldi del programma socialista. Balzac disse: – «La massa delle leggi, il loro spirito deve tendere ad illuminare il più possibile il popolo, i nullatenenti, i proletarii … allo scopo di far arrivare il maggior numero d’uomini allo stato d’agiatezza che distingue le masse intermedie».
  Questo è un socialismo platonico, cattedratico, possibilista; ma è socialismo! …
  In quello studio dell’idea e della passionalità socialista, nei romanzi di Balzac, Bernier conclude: – «Colui che agisce e lotta in conformità ai diritti sociali, che combatte per la giustizia e per la verità, è virtualmente socialista, ne prenda o no il nome ed i titoli.
  Balzac ha pensato anch’esso ad un mondo ideale di alte virtù, di grandiosa equità sociale, destinate a ricompensare, a riparare ai disastri causati dalle passioni malvagie e nocevoli».
  L’arte di Balzac è dunque virtualmente socialista, come lo è tutta l’arte che illustra, realizza, diffonde l’aspirazione per un mondo di grandiosa equità sociale.
  L’arte virtualmente socialista, come l’abbiamo riscontrata in Manzoni, Hugo, Goethe e Balzac, e potremo riscontrarla nei capolavori dell’attività estetica contemporanea, è la sola arte che, in rapporto alle dottrine socialiste, abbia rispettate le leggi immutabili della concezione e della produzione artistica.
  Questa verità viene ampiamente illustrata dagli stessi, ormai troppo frequenti, insuccessi dell’arte intenzionalmente socialista.

  Francesco Torraca, Capitolo XI. F. de Roberto, “Processi verbali” e “L’Albero della Scienza”, in Nuove rassegne, Livorno, Tipografia di Raff. Giusti Editore-Libraio, 1894.
  p. 307. Cfr. 1891.

  L’uomo dal frac rosso, Spigolature di Società, «Amarazuntifass. Giornale di Società, Letteratura e Sport», Firenze, Anno II, Vol. II, N° 5, 3 Marzo 1894, pp. 49-52.

  p. 50. Dopo il ballo dato nel teatrino, ed al quale assisteva tutta Parigi, l’Imperatore mandò per le dame, e si congratulò moltissimo con loro […]. Peraltro egli era dell’opinione di Balzac che diceva: L’esprit de la danseuse est dans ses jambes, et je n’aime pas les femmes bêtes.


  L’uomo dal frac rosso, Spigolature di Società, «Amarazuntifass. Giornale di Società, Letteratura e Sport», Firenze, Anno II, Vol. II, N° 7, 7 Aprile 1894, pp. 73-75.

  p. 74. Ho nominato il Café Riche, che ora è chiuso, e che sarà trasformato, almeno dicesi, in una brasserie. Il Cafè Riche era il caffè prediletto di Balzac, come il Cafè de Paris era il ritrovo proferito di Dumas, Sue, Veron ed altri celebri scrittori. Mi rammento una sera di essermi trovato al Cafè Riche in compagnia di Lurine. che stava pubblicando il bellissimo libro intitolato: «Les Rues de Paris». Lurine propose a Balzac di scrivere un articolo sulla Rue de Richelieu; il celebre scrittore chiese subito 5000 lire, cioè circa seicento lire la pagina di seicento parole. Laurine diè un grido e si mise a fischiare.

  – Che volete, disse Balzac, se io devo descrivere la Rue de Richelieu, bisogna che la consideri dal suo lato commerciale, e come volete che faccia ciò senza prima visitare ad uno ad uno gli stabilimenti che essa contiene? Supponiamo che io cominci dal Boulevard des Italiens, bisogna che faccia déjeuner al Cafè Cardinal, bisogna che mi fermi a comprare dei pezzi di musica, da Brandus, un fucile dall’armaiuolo accanto, qualche gioiello alla bottega che viene appresso, e così via via!

  — No, no, fermatevi, esclamò Lurine, non entrate nelle botteghe della Compagnie des Indes, giacche gli scialli indiani costano troppo, adesso.

  Lurine poi incaricò Guenot Lacointe dell’articolo, ed egli lo scrisse senza far acquisto nemmeno d’un paio di guanti.

  Ma la poca testa ch’egli aveva per gli affari trassero spessissimo il povero Balzac a trovarsi alle prese col Tribunal de Commerce, anzi l’illustre uomo passava i suoi giorni e le sue notti studiando il miglior mezzo per eludere i sicari dei suoi creditori e le autorità della guardia nazionale. L’autore di Louis Lambert disprez­zava ed odiava questi pseudo guerrieri, e dobbiamo a quest’odio molti dei suoi tipi più riusciti, ad esempio il Crevel nella Cousine Bette, ed egli perciò quando rice­veva un’intimazione d’andare a servire il suo turno, cercava di nascondersi, e sotto mentite spoglie andava ad abitare qualche remota stanza nei sobborghi. Una di queste volte, per esempio, egli si era rifugiato nella casa di una certa Madama Dupont, e Léon Gozlan, che aveva scoperto il suo nascondiglio, gli indirizzò una lettera: «A Madame Dupont nèe (sic) Balzac».

  Finalmente le autorità della guardia nazionale si de­cisero di procedere all’incarcerazione dell’autore reni­tente, e venne incaricato dell’arresto un furier mag­giore, che caso volle fosse di professione profumiere. Ora dovete sapere che tutti i profumieri parigini ave­vano giurato:

«Vendetta, vendetta tremenda»

  del povero Balzac, che gli aveva offesi tutti delineando il famoso carattere di Cesare Birotteau.

  Il furier maggiore profumiere, dunque, essendo alfine, dopo inauditi sforzi, riuscito a stanare Balzac, si diè a pensare ... Era necessario, secondo le leggi, che Balzac uscisse di casa acciocché lo si potesse arrestare, e Balzac non usciva mai.

  Un giorno si presenta a Balzac un facchino dicendo ch’egli è stato incaricato di consegnargli un vaso etru­sco venuto dall’Italia, ma che era necessario ch’egli scendesse e testimoniasse personalmente che il vaso era stato consegnato in buono stato, giacché la cassa non entrava nell’angusta porta d’ingresso. Balzac innocen­temente cadde nella trappola, e a quattro a quattro scese le scale per vedere il prezioso dono che gli era stato inviato, e che il suo occhio artistico desiderava di ammirare. Appena in strada naturalmente egli venne arrestato dal furiere profumiere, e mentre il carro se ne andava da una parte, Balzac nel suo abito da frate (quando scriveva sempre indossava la cappa dei monaci) se ne andava via in mezzo a due angiolini a dimorare al famosissimo Hôtel des Haricots, dove ebbe a compa­gno Adolphe Adam, il maestro che compose Le Postillon de Longjumeau.


  Ghino Valenti, Il riordinamento delle Borse di commercio, «Giornale degli Economisti. Rivista mensile degli interessi italiani», Roma, Anno IV, Vol. IX, Serie Seconda, Novembre 1894, pp. 443-468.
  pp. 466-467. Oramai nessuno può non vedere che la funzione economica della Borsa non è quale dovrebbe essere e che il commercio produttivo trae più danni che vantaggi dalla sua esistenza. […] Ogni sorta di mezzi […] come contratti di Borsa fittizi, relazioni menzognere sul valore dei titoli, articoli ingannatori sui giornali, di cui ottiensi l’inserzione, mediante corruzione, frode o negligenza, viene adoperata per raggiungere lo scopo, che è quello di conseguire senza pena il massimo lucro a spese dei capitali gonzi, come argutamente si esprimeva il Balzac.

  Casimiro Varese, Enrico Heine nella vita e negli scritti per Casimiro Varese. Seconda edizione riveduta e ampliata, Milano, Casa Editrice Galli di C. Chiesa e F. Guindani, 1894.
  p. 6. […] abbiamo avuto a lamentar la mancanza d’un contributo prezioso, quale sarebbe stata la sua corrispondenza con tanti scrittori e notabili personaggi francesi, ch’ebbero con lui relazioni più o meno confidenziali: Georges (sic) Sand, Saint-René Taillandier, Gérard de Nerval, Théophil (sic) Gautier, François Mignet, Michel Chevalier, Léon Gozlan, Balzac, Thiers, Guizot, Michelet, Béranger, Alphons (sic) Royer, Eugène Sue, Hector Berlioz, Alexandre Dumas ecc. […].
  p. 169. Scriveva a Federico Lassalle, di cui avea contratto da poco l’amicizia, che passava le lunghe ore in piacevoli ciarle con la sua spiritosa sorella, e che a giorni le dava un pranzo, a cui avrebbe invitato il Roger, il Balzac, il Gautier, il Gozlan, e altri. […].
  pp. 238-239. Noi uomini a volte mentiamo; le donne, come tutte le nature passive, possono di rado inventare, ma le cose trovate sanno sfigurare in guisa, che nocciono a noi molto più sicuramente con questo mezzo che non con risolute menzogne. Io credo in verità che il mio amico Balzac avesse ragione, quando un giorno in un tono assai lamentoso mi disse: «La femme est un être dangereux».
  Sì, le donne sono pericolose; ma io però devo aggiungere l’osservazione, che le belle non sono tanto pericolose, quanto le altre, in cui i pregi dello spirito avanzano quelli del corpo.


  Luigi Alberto Villanis, L’occultismo dei numeri, «Gazzetta Letteraria», Torino, L. Roux e C.ie, Anno XVIII, N. 27, 7 Luglio 1894, pp. 320-321.

 

  p. 320. Balzac, l’arguto e bizzarro scrittore, in Louis Lambert, si indugia ancora sull’occultismo delle cifre.


  P. Villari, E. De Amicis ed i suoi critici, in Scritti vari di P. Villari, Bologna, Nicola Zanichelli Editore, 1894, pp. 297-319.
  p. 298. Ma l’arte è creazione, e il De Amicis non ha una fantasia che crea. Nelle sue narrazioni non riesce mai a trovare un vero conflitto di passioni; i suoi personaggi sono ombre che camminano. Quale de’ suoi caratteri vive davvero nel mondo dell’arte, come quelli del Walter Scott, del Balzac, del Manzoni, di tanti altri?



   [1] Questo volume è presente presso la Biblioteca Nazionale ‘Sagarriga Visconti-Volpi’ di Bari.
   [2] L’opera è presente nelle seguenti Biblioteche italiane: Archivio Biblioteca Museo Civico di Altamura; Biblioteca della Fondazione ‘Gaetano Ricchetti’ di Bari; Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze; Biblioteca Comunale ‘Don Giovanni Verità’ di Modigliana (FC); Biblioteca Municipale ‘A. Panizzi’ di Reggio Emilia; Biblioteca dell’Accademia Nazionale dei Lincei e Corsiniana di Roma; Biblioteca Comunale di Sesto Fiorentino; Biblioteca Comunale di Siracusa.
   [3] Un pregevole studio sul poema sinfonico di R. Leoncavallo ispirato al racconto filosofico balzachiano è quello di Max Andréoli, Battista Acquaviva, Adaptation musicale d’une oeuvre littéraire. “Séraphitus-Séraphita”, poème symphonique de Ruggiero Leoncavallo, «L’Année balzacienne», 2011, Troisième série, 11, Paris, Presses Universitaires de France 2012, pp. 401-425.
  Il documento, qui in parte riprodotto, ci è stato cortesemente fornito dalla Biblioteca Cantonale di Locarno.
   [4] Le citazioni e la relativa indicazione delle pagine si riferiscono all’edizione dell’opera di C. Lombroso pubblicata a Roma da Napoleone Editore nel 1971 in 2 volumi.
   [5] Citazione tratta da Illusions perdues. Un grand home de province à Paris.

Marco Stupazzoni

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