giovedì 11 agosto 2016


1910

 

 

Estratti in lingua francese.

  Honoré de Balzac, Une revue aux Tuileries sous le premier Empire, in M.[ario] Roques, G.[uido] Biagi, Trois siècles de littérature française. Morceaux choisis de poésie et de prose à l’usage des écoles d’Italie. XIXe siècle. Volume premier, Florence, G. C. Sansoni – Éditeur, 1910, pp. 144-147. [da: La Femme de trente ans].



Traduzioni.


  Onorato di Balzac [In copertina: O. Balzac], Aforismi su l’amore e sul matrimonio e Statistica coniugale. Traduzione di Tullio Panteo, Milano-Sesto San Giovanni, Società Editoriale Milanese (Milano, Tipografia E. Zerboni), 1910 («La Biblioteca per tutti», 53), pp. 64.

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  Siamo di fronte alla traduzione – parziale, lacunosa, nonché piuttosto libera e disinvolta – dell’Introduction e della Méditation II: Statistique conjugale (Première partie. Considérations générales) tratte dalla Physiologie du mariage: Introduzione, pp. 7-21; Statistica coniugale, pp. 47-64. Il modello di riferimento è quello dell’edizione Furne (1846).

  All’inizio del volumetto, è tradotta, con il titolo di: Avvertenza (p. 5), la Dédicace, mentre la sezione centrale, intitolata: Aforismi. Su l’amore e sul Matrimonio (pp. 23-45), raccoglie, suddivisi in quattro parti, un centinaio di pensieri e di aforismi inseriti all’interno dello studio analitico balzachiano a partire dalla Méditation I: Le sujet: Perché l’uomo si ammoglia (pp. 23-24 e 25-32, fino all’aforisma LIX); Teorema (pp. 33-40, fino all’aforisma XCII); Osservazioni minotauriche (pp. 41-45) e Ultimi assiomi (p. 45, fino all’aforisma XCIV).


  Appendice dell’”Avanti”. Onorato Balzac, Il capolavoro sconosciuto. Novella di Onorato Balzac. Traduzione di Teresa Castellucci-Gauttieri, «Avanti! Giornale socialista», Roma, Anno XIV, Numeri […]-187-88-89-90, 7, 8, 9, 10 […] Luglio 1910, p. 4/5.


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    Il modello di questa traduzione, nel complesso corretta, che Teresa Castellucci-Gauttieri fornisce dello studio filosofico balzachiano è quello dell’edizione Furne del 1846.


  Onorato Balzac, La Fata delle Perle, Napoli, Società Editrice Partenopea, s. d. [1910?] («Libro economico. Serie: Racconti di fate», 33), 18° migliaio, pp. 123.

  Onorato Balzac, L’Ultima Fata, Napoli, Società Editrice Partenopea (Tipografia Giuseppe Canone), s. d. [1910?] («Libro economico. Serie: Racconti di fate», 34), pp. 124-241.


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  È la traduzione – pubblicata in due volumi rispettivamente con i titoli di: La Fata delle Perle e L’Ultima Fata – della seconda edizione rivista, corretta ed ampliata di La Dernière Fée, ou la Nouvelle Lampe Merveilleuse datata 1825 e pubblicata da Delongchamps in tre volumi suddivisi in 20 capitoli.

  Rispetto alla prima edizione del romanzo (registrata nella Bibliographie de France il 31 maggio 1823), in questa seconda edizione, ci informa André Lorant, «l’histoire du mariage d’Abel et de sa fée se termine mal; c’est Catherine, entrée au service d’Abel sous le déguisement du valet Justin, qui sauve le jeune homme de la folie».[1]

  Nel complesso, la versione che questo anonimo compilatore napoletano fornisce di questo romanzo giovanile balzachiano ci pare corretta.


  Hon. de Balzac, La Fisiologia dell’Ammogliato, Trieste, Tipografia Italiana, 1910, pp. 80.


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  Cfr. 1901.


  O. di Balzac, Fisiologia del matrimonio o meditazioni di filosofia eclettica sulla felicità e la infelicità coniugale di O. di Balzac, Milano, Società Editrice Sonzogno (Stab. della Società Editrice Sonzogno), 1910 («Biblioteca Universale», N° 64-65), pp. 268.

  Cfr. le numerose ristampe dell’opera pubblicate dopo il 1883 (prima edizione).


  Onorato di Balzac, Giovanna la pallida. Romanzo di Onorato di Balzac. Traduzione di Elio Jona, Milano, Fratelli Treves Editori (Tip. Treves), 1910 («Biblioteca Amena», N. 786), pp. 326.


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  Questa traduzione di Jane la Pâle, versione rivista, corretta e censurata di Wann-Chlore (1825) ha come modello di riferimento quello dell’edizione del romanzo pubblicata in due volumi (t. IX e t. X) all’interno delle Oeuvres complètes de Horace de Saint-Aubin (Souverain, 1836).

  Se si eccettua, in alcune parti dell’opera, la resa discutibile e arbitraria di alcune sequenze testuali, la traduzione che Elio Jona fornisce di questo testo giovanile balzachiano può ritenersi, nel complesso, corretta.


Appendice dell’”Avanti”. Onorato Balzac, La Grenadière. Novella di Onorato Balzac. Traduzione di Teresa Castellucci-Gauttieri, «Avanti! Giornale socialista», Roma, Anno XIV, Numeri 191-92-93-94-95 […]; 11, 12, 13, 14, 15 […] Luglio 1910, p. 4/5.


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  Esemplata sul modello dell’edizione originale Furne (1842) in cui è ancora presente la dedica del racconto a Caroline Marbouty, questa traduzione di La Grenadière può considerarsi, nel suo insieme, adeguata. 


  Balzac, L’ultima incarnazione di Vautrin. Un principe della “bohème”. Un agente d’affari. - Gaudissart II. Traduzione di Galeazzo Falconi, Milano, Fratelli Treves Editori (Tip. Treves), 1910 («Biblioteca Amena», N. 787), pp. 302.

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  Struttura dell’opera:

  L’ultima incarnazione di Vautrin, pp. 1-206;

  Un principe della bohème, pp. 207-257;

  Un agente d’affari, pp. 258-286;

  Gaudissart II, pp. 287-302.

  Questa traduzione di Galeazzo Falconi di La dernière incarnation de Vautrin, quarta ed ultima parte di Splendeurs et misères des courtisanes può considerarsi, nonostante alcune importanti omissioni testuali, nel complesso, fedele e corretta. Essa è condotta sul testo dell’edizione originale Chlendoswski, pubblicata in tre volumi nel 1848.

  Riportiamo le note al testo redatte dal traduttore:

p. 47, nota 1). Sull’arresto di Vautrin nella Pension Vauquer nel 1819: 1) V. Papà Goriot, Fratelli Treves, Milano.

  p. 48, nota 1): «La Biffe è una specie di pietra preziosa falsa; in senso figurativo, nella lingua francese, si adopera questa parola per esprimere una donna dall’apparenza ingannatrice, di falso aspetto».

  p. 48, nota 2). Il Falconi giustifica la sua scelta di non tradurre la lunga digressione di Balzac sull’argot in questi termini:[2] «Qui, abbiamo nel testo una digressione specialmente sul linguaggio (argof [sic]) dei ladri e degli ergastolani, che ci è sembrato inutile tradurre, data poi anche la difficoltà grande, se non la impossibilità di rendere con precisione in italiano la parola di gergo e la sua versione nella lingua comune».

  La stessa esigenza da parte del Falconi è ribadita a p. 59, nota 1): «Da questo momento – anche per maggior chiarezza e per il più regolare procedimento della narrazione – crediamo utile sopprimere senz’altro, a meno di qualche forzata eccezione, le frasi in gergo, il quale, del resto, necessariamente, nella versione italiana, perde tutto il significato e l’efficacia che ha nel testo francese».

  Corrette e aderenti ai rispettivi modelli originali possono ritenersi anche le traduzioni relative a: Un prince de la bohème, Un homme d’affaires e Gaudissart II.

  Un principe della “bohème”.

  Il testo di riferimento per la traduzione è quello dell’edizione Furne (1846). È presente la dedica “Ad Heine”. Nel testo, sono presenti alcune note del Falconi che trascriviamo integralmente:

  p. 208, nota 1). A proposito del termine’patito’, scrive il traduttore: Si chiamavano così allora in Francia, con parola italiana, gli zerbinotti, i cavalieri serventi del tempo».

  p. 211, nota 1): «i conti della Palferine […] hanno avuto due uffici della corona e un governo». 1) Divisione militare francese prima del 1789.

  p. 238, nota 1). In merito all’espressone: «se donner assez de ballon», il Falconi osserva: «Si diceva di una ballerina quando univa la flessibilità alla leggierezza, si inalzava con facilità ad una grande altezza per ricadere a terra ed inalzarsi ancora più in alto. La frase viene da Ballon, celebre ballerino dell’Opéra nella fine del secolo decimo settimo».

  Un agente d’affari.

  Il testo di riferimento è quello dell’ultima edizione del racconto (Furne corrigé, 1846); è presente la dedica a James de Rothschild. Nonostante qualche rifuso tipografico, la traduzione può ritenersi, nel complesso, corretta. Trascriviamo alcune note al testo del traduttore:

  p. 258, nota 1). Il Falconi giustifica la sua scelta di non tradurre in italiano il termine ‘Lorette’ con queste parole: «Abbiamo lasciata la parola nel testo originale, non solo perché è difficile trovare una parola italiana che ne renda il senso reale (mantenuta, ecc. – come indicano comunemente i vocabolari, corrispondono poco), ma specialmente perché, qui, traducendola, ne veniva perduta l’etimologia, e snaturato quindi il significato, in ordine a quanto vien dopo».

  p. 260, nota 1). Si precisa che Clichy è una «Prigione adibita allora esclusivamente per i debitori».

  p. 274, nota 1). In riferimento alla traduzione di: «Vous me prêtez des livres, mais je vous rendrais bien des francs …», in: «Voi mi prestate dei libri, ma io vi renderei volentieri dei franchi …», il Falconi osserva: «Come si vede, il giuoco di parole, bellissimo nel testo fra livres libri e livres lire, si perde completamente nella versione italiana».

  p. 285, nota 1): “madras”: «Sorta di stoffa indiana di seta e di cotone».

  Gaudissart II.

  È riportata la dedica del racconto “Alla signora principessa di Belgiojoso nata Trivulzio” (nell’edizione ‘Furne corrigé’, Balzac inserirà anche il nome proprio ‘Cristina’].

  A proposito del titolo, il traduttore nota che (p. 287, nota 1): «Vedi a proposito di Felice Gaudissart, Splendori e miserie delle cortigiane, il Cugino Pons, Cesare Birottò. – Editori Fratelli Treves, Milano». 



Studî e riferimenti critici.


  Notizie, libri e recenti pubblicazioni. Francia, «Nuova Antologia di Lettere, Scienze ed Arti», Roma, Direzione della «Nuova Antologia», Quinta Serie, Volume CXLV – Della Raccolta CCXXIX, Fascicolo 914, 16 gennaio 1910, pp. 377-378.

p. 377. È uscito presso Plon uno studio interessante della signora Geneviève Ruxton, intitolato: La Dilecta de Balzac – Balzac et M.me de Berny (1820-36), che lumeggia l’opera del poeta. [Cfr. 1909].


  Cronaca, «La Cultura. Rivista critica fondata da Ruggero Bonghi», Roma, Serie Terza (quindicinale), Anno XXIX, N. 3, 1° Febbraio 1910, pp. 90-96.

p. 94. Zeitschrift für vergleichende Litteratur Bd. XIII, […] J. Haas, Balzac’s École des Ménages [è un lavoro si questa opera drammatica di Balzac nota solo da pochi anni agli studiosi].[3]


  Emilio Zola artista e cittadino, «La Bohème», Trani, Anno VIII, Num. 7, 13 febbraio 1910, pp. 2-3.

  p. 2. Più di 1200 sono i personaggi creati dalla mente possente; egli sta da presso all’immenso Balzac, con questo enorme poliedro della vita da lui rap­presentato. 


  Marginalia. I letterati uomini d’affari, «Il Marzocco», Firenze, Anno XV, N. 9, 27 Febbraio 1910, p. 6.

  Beaumarchais fu il prototipo dei letterati uomini d’affari. […] scrisse e trafficò. Così fece, come tutti sanno, anche Balzac, che però – scrive Jules Claretie nel Je sais tout [4]– fu molto più ingenuo nelle sue imprese commerciali e non riuscì mai, nemmeno quando si fece tipografo, a condurli a buon porto. Una volta Balzac sognò perfino di aprire una grande bottega da speziale che egli avrebbe voluto dirigere associandosi a Giorgio Sand! La Sand sarebbe stata al banco, mentre lui, Balzac, avrebbe scritto l’articolo … commerciale! Pazzie. Ma per farsi pagar bene i suoi manoscritti Balzac sapeva trovarne di belline. Un giorno domandò ad un suo vecchio editore: «Trovate voi che io ho più ingegno di Alessandro Dumas?» – «Ma certamente, signor di Balzac!» rispose l’editore. E Balzac: «Di Federico Soulié? Ammettete che la Peau de Chagrin valga più delle Memoires (sic) du Diable?» – «Ma sicuro, caro Balzac!» – «E, malgrado il successo dei Mystères de Paris, ditemi francamente, ammettete che i romanzi di Eugène Sue siano più belli dei miei?» – «Ma nemmeno per sogno!» – «Allora, concluse Balzac, voi dovete pagarmi il doppio di Soulié, di Sue, di Dumas! Avete riconosciuta voi stesso la mia superiorità, non discutiamo più e combiniamo!» L’editore dovette ubbidire e far nuovi patti. Léon Gozlan, amicissimo di Balzac, era uno che di affari se ne intendeva e sapeva far bene i suoi. […].


  Giornali e riviste, «La Stampa», Torino, Anno XLIV, Num. 58, 27 Febbraio 1910, p. 3.

  Cfr. scheda precedente.


  In Memoriam. Edoardo Rod, «Nuova Antologia di Lettere, Scienze ed Arti», Roma, Direzione della «Nuova Antologia», Quinta Serie, Volume CXLVI – Della Raccolta CCXXX, Fascicolo 917, 1° marzo 1910, pp. 154-163.

  p. 162. Dal romanzo realista al romanzo filosofico, dal romanzo filosofico al romanzo animato da preoccupazioni morali, questa fu l’evoluzione del Rod, secondo il Faguet:

  Il avait fini, en effet, par se placer en haut lieu dans la lignée de nos romanciers moralistes qui commence par Mme de La Fayette et qui, se continuant par Le Sage, par Rousseau, par Mme de Staël, par Balzac, partiellement par George Sand, partiellement par Flaubert et aussi par le fin et spiritual Victor Cherbuliez, est une des dynasties littéraires dont nous avons le plus lieu d’être fiers.


  Notizie, libri e recenti pubblicazioni. Francia, «Nuova Antologia di Lettere, Scienze ed Arti», Roma, Direzione della «Nuova Antologia», Quinta Serie, Volume CXLVI – Della Raccolta CCXXX, Fascicolo 917, 1° marzo 1910, pp. 185-186.

  p. 185. Si è venduta a Parigi la biblioteca del marchese Bellenava, una preziosa raccolta di libri moderni […]. Alcuni di questi libri raggiunsero nella vendita prezzi considerevoli specialmente […] un volume di La femme de trente ans di Balzac, illustrato dal Rebaudi come pure dal Mercie […].


  Marginalia. [I drammi di Balzac], «Il Marzocco», Firenze, Anno XV, N. 14, 3 Aprile 1910, p. 5.

  I drammi di Balzac hanno tutti, si può dire, una storia curiosissima. Quello ripreso in questi giorni all’Odéon L’Ecole des ménages fu scritto nel 1838, letto al Teatro francese nel 1839 e bocciato. Balzac, secondo il costume allora in voga, ne aveva fatti stampare trenta esemplari. Stizzito, li gettò tutti sul fuoco; ma se ne dimenticò uno fra un monte di carte ed è l’esemplare che ha permesso la rappresentazione recentissima ed applaudita. Balzac non era, del resto, uomo da restar vittima di una delusione. Lavorava vertiginosamente anche dopo una sconfitta. Teofilo Gautier – ricorda a questo proposito il Lenotre (sic) nel Monde illustré [5]– un giorno del febbraio 1848 ricevette una lettera urgentissima in cui Balzac lo pregava di recarsi immediatamente da lui. Tutto affannato Gautier accorse e trovò Balzac che gridò vedendolo: «Finalmente eccovi, infingardo, tardigrafo! … Sbrigatevi, dovreste esser qui da un’ora … Io leggo domani ad Harel (il direttore del teatro della Porta St. Martin) un gran dramma in cinque atti». Teofilo s’accomodò su una poltrona come un uomo che si prepara ad ascoltare una lunga lettura. Vedendolo tutto orecchie, Balzac soggiunse: «Questo dramma non è ancor fatto …» «Diavolo! – disse Gautier – bisogna rimandarne la lettura di sei settimane!» «Ma che, facciamolo subito! La scadenza non può attendere!» «Ma da qui a domani è impossibile. Non si avrebbe nemmeno il tempo di ricopiare!» Nemmeno questo argomento potè raffreddare Balzac. «Ecco – egli disse – come ho accomodato le cose: voi farete un atto, Ourliac un altro, Laurent-Jan il terzo, Du Belloy il quarto ed io il quinto e lo leggerò a mezzogiorno come è stabilito. Un atto non ha più di cinquecento righe. Si possono scrivere cinquecento righe di dialogo in un giorno e una notte». Davanti ad un uomo simile non c’era da replicare. Malgrado tutto il suo stupore Gautier acconsentì. «Raccontatemi il soggetto – disse – indicatemi il piano, disegnatemi in poche parole i personaggi e mi metterò al lavoro». «Oh! – gridò Balzac con un’aria di accasciamento superbo e di magnifico sdegno – se è necessario raccontarvi il soggetto non avremo mai finito!» Questo lavoro drammatico era Vautrin. Non fu terminato all’indomani, com’è naturale, ma fu ammesso alle prove prima della fine del mese e fu rappresentato il quattordici marzo. I collegiali che sognano la gloria del teatro e scrivono delle tragedie fra l’uno e l’atro (sic) compito di latino non credano che i capolavori s’imbastiscono così. È raro che una commedia scritta in una notte abbia avuto un successo simile. Balzac era innamorato dell’impossibile ed era, d’altra parte, un lavoratore accanito, formidabile, pazzesco …, non bisogna dimenticarlo!


  Riviste e giornali, «Corriere della Sera», Milano, Anno 35, Num. 82, 3 Aprile 1910, p. 3.

  Cfr. scheda precedente.


  Giornali e riviste, «La Stampa», Torino, Anno XLIV, Num. 103, 14 Aprile 1910, p. 3.

  Cfr. l’articolo del «Marzocco» del 3 aprile.


  Giornali e riviste, «La Stampa», Torino, Anno XLIV, Num. 109, 20 Aprile 1910, p. 3.

  Sono imminenti le elezioni a Parigi, e a questo proposito il Petit Journal[6] ricorda il risultato delle elezioni dell’aprile 1848 riguardo ai letterati. Se Victor Hugo, Beranger (sic) ed alcuni altri pochi furono eletti, molti altri rimasero sconfitti con votazioni quasi ridicole. Balzac non ottenne che qualche centinaio di voti: non raggiunse nemmeno i mille. Non ne fu molto accorato; scriveva allora infatti al suo editore Gosselin: «Il vulcano si riscalda … l’emozione non tarderà molto. Preferisco non esserci in mezzo». Un amico di Proudhon domandò allora al celebre socialista se aveva votato per Balzac: «Io, rispose egli, non ho mai letto romanzi, e di Balzac non conosco una linea!» Alessandro Dumas raccolse 226 voti e Paul Féval non giunse che a 41 voti. Chateaubriand ebbe i suoi 13 voti, che egli certamente non aveva sollecitato, perché non si era presentato.


  Ultime notizie. Marcel Prévost ricevuto all’Accademia. L’elogio di Vittoriano Sardou, «La Stampa», Torino, Anno XLIV, Num. 111, 22 Aprile 1910, p. 5.

  «Un romanziere che voi accogliete, ha due motivi di ringraziarvi, mentre altri non ne hanno che uno». Egli pensa che sta per sedersi a lato dei più illustri romanzieri del suo tempo, ma pensa anche che né Balzac né Flaubert, questi due creatori del romanzo moderno, non parlarono sotto queste volte.


  Giornali e riviste, «La Stampa», Torino, Anno XLIV, Num. 121, 3 Maggio 1910, p. 3.

  Giovanni Grasso, da marionettista, superò il padre. Nel suo teatrino c’era un caleidoscopio di personaggi bizzarri, degni della penna di Balzac.


  Le lagrime e la vergogna della ricca signorina infanticida innanzi ai giurati bolognesi, «La Stampa», Torino, Anno XLIV, Num. 135, 17 Maggio 1910, p. 3.

  [Lo chauffeur della signorina Sani] Ha un volto acceso, con due occhi inquieti e vivi: non ha la bellezza del paggio del racconto di Balzac, non ha la presenza del palafreniero del re di Catalogna.


  Marginalia. Vidocq e Balzac, «Il Marzocco», Firenze, Anno XV, N. 22, 29 Maggio 1910, p. 5.


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  Vidocq, il famoso poliziotto che Emilio Bergerat con tanto successo ha posto in scena in un suo dramma storico in questi giorni, ha veramente vissuto. Leone Gozlan lo incontrò un giorno a casa nientemeno, che di Balzac, ed egli ce ne ha lasciato un ritratto che gli (sic) Annales riproducono.[7] Balzac aveva di fronte a lui un uomo dalla figura bovina, dalla fronte larga, dalla corporatura bestiale, solida, inquietante, d’un carattere strano; da i capelli, una volta di certo rossi, ora tra bianco e biondo, e sguardi una volta azzurri, oggi d’un grigio invernale. Era calmo – aggiunge il Gozlan – ma di una calma temibile, paurosa come quella delle sfingi egiziane. Pareva che dovesse avere degli artigli. Sembrava un Ercole, ma curvo dopo le dodici fatiche. Aveva delle bellissime mani che a volte quasi poneva in mostra con compiacenza femminile, a volte lasciava ricadere con indifferenza. Si sentiva che egli riempiva lo spazio d’una potenza translucida e dava la sensazione di una forza preponderante. Affondando i denti in una grossa pesca e designando con uno sguardo il personaggio che era in sua compagnia, Balzac fece semplicemente la presentazione: «Vi presento il signor Vidocq!» Il mestiere di poliziotto non arricchì questo signor Vidocq; gli procurò soltanto una modesta agiatezza. Divenuto vecchio, mezzo a riposo, egli si annoiava e soffriva di viver solo. Domandò consiglio agli amici inviando una lettera circolare curiosissima. Diceva in questa lettera: Vedovo da parecchi anni, son troppo vecchio per pensare al matrimonio, ma muoio di noia nel mio isolamento e vorrei uscirne ad ogni costo e trovare, a Parigi o in provincia, una coppia di domestici d’una certa età o una donna anziana e non troppo brutta che potesse accogliermi convenientemente (ci tengo a che non prenda tabacco). Benchè molto avanzato in età, non sono né podagroso, né disgustoso, non ho alcuna infermità; ho, come tutti, i miei difetti. Desidero le piccole cure, i riguardi; sono un po’ vivace ed esigente in quanto alla pulizia ecc. ecc. ma sono un buon diavolo … Se non trovassi questa donna prenderei una buona domestica dai trenta ai quarant’anni, al corrente del servizio, pulita, saggia, molto sedentaria, che sapesse cucinare e cucire … Volete sapere quanto Vidocq avrebbe pagato questa domestica? Duecento franchi di stipendio, con biancheria e cibo. Se poi fosse restata con lui sino alla sua morte, le avrebbe lasciato tante volte trecento franchi quanti anni di servizio avesse prestato, più la sua camera bene ammobiliata e … un vestito a lutto. Non si sa se Vidocq riuscì a trovare la perla di domestica che desiderava.


  Cronaca, «Rivista Teatrale Italiana», Firenze, Anno IX, Vol. 14, Fasc. 3, Maggio-Giugno 1910, p. 188.

 

  Teatro Metastasio: Comp. del «Teatro Minimo», diretta da Nino Martoglio: Un episodio sotto il terrore, dr. 1 a. di Nozière: 24 febbr.: successo.

  Tolto da una novella di Balzac. — Un incognito narra l’esecuzione capitale di Luigi XVI: partito, si scopre che il narratore altri non era che il carnefice Samson. 


  Documenti inediti di Balzac, «Le Cronache letterarie», Firenze, Anno I, N. 7, 5 Giugno 1910, p. 4.


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  Giacomo Crepet pubblica su «La Revue de Paris» l’interessante prefazione a un Volume di scritti inediti di Balzac.[8] E’ notorio come, appena morto l’illustre scrittore, un’orda di uscieri invase l’appartamento di via Fortunée. Fu una scena di sacrilegio barbaro, senza riscontro. Cinque o sei casse, colme di manoscritti autografi, note volanti, taccuini, furono manomesse, saccheggiate, buttate all’aria, malgrado l’intervento del visconte de Spoelberch e del cameriere fedele. La stessa moglie di Balzac, a chi le domandò cosa doversi fare di una quantità di carte giacenti nel salottino, rispondeva: «Bruciate tutto». A quel saccheggio contribuirono anche molti degli ammiratori di Balzac, e forse nelle tasche di taluno di essi uscì l’album che verrà fra breve stampato dal Blaizot.[9] In questi album sono notevoli, più che i «Frammenti, i pensieri e le pagine» inedite, i brani ove il Balzac rivela indicazioni preziose per stabilire la data di qualche sua opera celebre, o le circostanze in cui nacque, o la esatta significazione che l’autore volle darvi. Vediamo, «Séraphita» conosciuta viaggiando domenica 16 novembre (1833) le «Séraphin de Bra».

  «La Peau de chagrin», l’espressione pura e semplice della vita umana in quanto è vita e in quanto è meccanismo, la formula esatta della macchina umana, infine l’individuo descritto e giudicato, ma praticamente.

  «Le Livre des douleurs» è uno studio destinato a provare che esiste un punto d’appoggio materiale nel pensiero per sopportare i più gravi dolori, e che ciò non è un soccorso che venga dall’alto. Si osservi l’idea religiosa cristiana, e si prendano tre esempi autentici: Beatrice Cenci, il sarto di Enrico II o un altro martire protestante, e un regicida: Chatel o Damiens.

  «Marciole»: cinque atti. Una capo-ufficio d’amministrazione in un magazzino. Tartufo in erba. Suo fratello cassiere. Due ragazze. Un amante. Il padre e la madre. Dramma orribile e grande. (Questa è l’idea originale, il piano primitivo della «Scuola del matrimonio»).

  Così pure nei frammenti si trovano gli abbozzi della concezione del romanzo «La Bataille», de «Les Vendéens», del «Giudice di Pace». Tra l’altro dà anche una ricetta teatrale: «Inspirarsi a Molière, a Beaumarchais, a lord Byron e fondere il tutto». Troviamo che la concezione della commedia «L’Artista» risale al 6 settembre 1830, da modellarsi sul «Misantropo» di Molière; troviamo due progetti: «La fine del mondo» e «Le Pére (sic)», il primo non fu mai eseguito, il secondo fu abbandonato per il «Pére Guyot» (sic). Troviamo anche note di contratti: «Devo raccogliere 130,000 lire con gli (sic) «Études de moeurs» nel 1835 – Per il mio affare ho una via d’uscita con un mirabile libro da fare, con «Il medico di campagna». – Devo aver finito il «tal libro per il 1833». Troviamo una frase magnifica: «Sono sulla strada di diventare un genio! …» Questo album, che uscirà fra breve, è davvero il gran parco delle idee di Balzac, lo specchio fedele del suo carattere.


  Giornali e riviste, «La Stampa», Torino, Anno XLIV, Num. 155, 6 Giugno 1910, p. 3.

  Cfr. scheda precedente.


  Giornali e riviste, «La Stampa», Torino, Anno XLIV, Num. 160, 11 Giugno 1910, p. 3.

  A proposito di un articolo di Henry Bordeaux («Annales politiques et littéraires») sull’amore di Berlioz per Estella Gautier, si legge:

  E’ l’amore romantico, che valica i confini della realtà. Così Balzac amò la signora di Hanska, nel tempo ch’ella era in Russia. Ma quest’amore romantico, quando viene a contatto con la realtà, perde ogni magnificenza: esso diviene terribilmente infelice: Berlioz, fortunatamente per lui, non ebbe a far la triste esperienza di questa verità, che si rivelò invece a Balzac, dopo il suo matrimonio: Balzac, più disgraziato di Berlioz, imparò a sue spese che non si sposa impunemente una donna che si è amata da lungo, sognando e fantasticando, per una ventina d’anni. 


  Onorato de Balzac – “Massime e Pensieri” raccolti e ordinati da “G. Barbey d’Aurevilly” – versione di “Ubaldo Scotti”, «Antologia periodica di Letteratura e d’Arte ad uso dei Seminari e delle Scuole Cattoliche», Firenze, Tip. Domenicana, Anno VII, N. 6, 20 Giugno 1910, pp. 43-44.

  Sono una rivelazione. Chi credette e persevera a credere che Balzac sia stato un grande scrittore ma esclusivamente naturalista e che nella foresta selvaggia della Comedia Umana non siano che vipere velenose e fiori nauseabondi, bisogna che rinunzii al suo pregiudizio e si persuada della nobiltà di pensiero del Maestro del romanzo sperimentale e ammetta che nella boscaglia dell’opera sua cantano i rusignuoli e fioriscono i ciclami. Alcuni di quei canti e di quei fiori raccolse da tutti i libri di Balzac Barbey d’Aurevilly e li dispose in 2 serie – Religione e Politica – perché apparisse come le parole più profonde e le intuizioni più alte intorno ai problemi capitali della vita nel tempo e nell’eternità si trovassero, proprio nelle pagine che lo scandalo spesso farisaico e la critica spesso affrettata, a volte, superficiale, a volte anche aprioristicamente negativa aveano stigmatizzate col marchio d’infamia.

  Saremmo tentati di riprodurre a diecine gli splendidi aforismi, anta ne è la suggestiva potenza e la novità originale. Eccone alcuni: «Dio ci ha dato due ali: la semplicità e la purità». «No: noi cristiano non moriamo: la nostra tomba è la culla dell’anima nostra». «La religione è la grande consolatrice della verginità». «La religione cattolica ha siffattamente nobilitato l’amore che in questo ha congiunto per così dire, con vincolo indissolubile, la stima e la gentilezza».

  E circa la Politica: «Se la stampa non esistesse, bisognerebbe non inventarla». «Quante imbecillità umane nel boccale che porta l’etichetta: libertà!»

  E ora basta chè, altrimenti, non finiremmo più. Non possiamo però non esprimere all’amico Scotti i più vivi ringraziamenti: colla elegante versione degli aforismi di Balzac e’ non ha solo contribuito alla completa intelligenza del genio e dello spirito di Balzac ma ha tesoreggiato per l’Italia una ghirlanda preziosa di pensieri e di sentenze che dovrebbero divenire patrimonio della cultura di tutti.

  Noi ci auguriamo che il volumetto, edito con signorile semplicità dal Lumachi al tenue prezzo di una lira, incontri i più lusinghieri favori del pubblico italiano.


  Balzac e la signora De Girardin, «Le Cronache letterarie», Firenze, Anno I, N. 10, 26 Giugno 1910, p. 4.


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  Léon Séché pubblica sul «Mercure de France» un manipolo di documenti inediti sulle relazioni intercedute fra Onorato di Balzac e la De Girardin.[10] E’ notorio come il domicilio dell’autore della Commedia Umana fosse un mistero profondo, e ciò a causa degli innumerevoli debiti dello scrittore. Ecco una lettera inedita di Lamartine alla signora Delfina de Girardin che lo conferma: «Voici Balzac qui me demande réponse sans me donner l’adresse. J’ai recours à vous, vous qui savez tout, même où se cache un homme de génie …». A proposito è da rammentarsi, che, durante le prove all’«Odéon» de Les Ressources, avendogli Lireaux (sic) domandato dove indirizzargli l’avviso delle prove, Balzac rispose:

  – Avete un giovanotto intelligente e discreto nel teatro?

  – Sicuro.

  – Allora, ecco ciò che dovrà fare. Venga con l’avviso delle prove, ogni mattina, ai Campi Elisi.

  – Ai Campi Elisi? – urlò Lireaux.

  – Sì, verso l’Arco della Stella, al centesimo albero a sinistra, al di là del rond; egli vedrà un uomo che farà mostra di cercare un merlo fra le ramaglie.

  – Un merlo?

  – Un merlo o un altro uccello! Allora il vostro giovinotto gli si avvicinerà e gli dirà: «Io l’ho!». L’uomo gli risponderà: «Poiché l’avete, che cosa aspettate?». A questa risposta, consegni l’avviso e se ne vada.

  Questa era una delle tante astuzie per sfuggire alle ricerche. Balzac faceva anche indirizzarsi la corrispondenza al nome del suo servo M. A. de Pril, o della vedova Durand. Come dicevamo la de Girardin era uno degli eletti a sapere i rifugi del grande scrittore. Nei rapporti del Balzac col marito di lei, direttore de la Mode e del Voleur, Emilio de Girardin, era sempre la signora Delfina, che nei frequenti contrasti fra i due uomini, prendeva le parti dal (sic) Balzac. E questa difesa si spingeva anche a scusare alcune delle debolezze dello scrittore, come quella, ad esempio, di andar sempre armato di un bastone colossale, monstre, con un pomo enorme brillante di turchesi, d’oro e di cesellature meravigliose simile in tutto ad una mazza da tamburro-maggiore. Si disse che il mastodontico bastone servisse per meglio richiamare su Balzac l’attenzione del pubblico; la signora de Girardin fa intendere che vi si nascondesse dietro per non lasciarsi scorgere dai creditori. – I rapporti amichevoli ed onesti fra i due non si interruppero mai; e furono sì legati che, allorchè seppe la morte di Balzac, la signora Delfina de Girardin svenne e pianse a lungo, amaramente.


  Cronaca. «La Cultura. Rivista critica fondata da Ruggero Bonghi», Roma, Serie Terza (quindicinale), Anno XXIX, N. 13, 1° Luglio 1910, pp. 411-416.

  p. 411. Letterature moderne. Nel Mercure de France del 1° giugno notiamo: […] L. Séché, Balzac et M.me de Girardin, per la cui intercessione tornò sempre la pace più volte rotta, per ragion d’affari, tra il grande romanziere e Émile de Girardin.


  Rassegna della stampa. Se n’è perduta la stirpe!, «Il Fascio dei partiti popolari», Taranto, Anno II, N. X, 10 Luglio 1910, p. 3.

  Ci ha insegnato Balzac che «quando l’anima è richiamata al suo dovere tutt’in­terno da simboli esteriori, è meno facile che vi venga meno».


  Il Museo Balzac, «La Stampa», Torino, Anno XLIV, Num. 197, 18 Luglio 1910, p. 3.


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  Il «Museo Balzac», inauguratosi ieri a Parigi, non è altro che la casa che il grande romanziere abitò per otto anni a Parigi, segnata col N. 47 nella Rue Raynouard, nel tranquillo quartiere di Passy. Lo stile della scala ci ricorda subito che la casa fu costruita all’epoca di Luigi XV; sappiamo di più che fu costruita da un munifico amico di attori e di attrici per procurar loro un angolo di riposo fra le verdure.

  Ma gettiamo subito uno sguardo nella casa che l’amore e la dottrina e la tenacia del signor De Royaumont hanno elevato al grado più solenne sebbene forse alquanto più freddo di Museo.

  Essa si presenta sul cortiletto che le sta innanzi coi suoi muri bassi, il suo tetto quasi piatto, il suo padiglioncino d’angolo dalla veranda di un’apparenza piuttosto banale. Entriamo. Tre stanze si succedono, poco alte di soffitto, e ultima, la più remota, la più al riparo contro l’importuno, il seccatore e … il creditore, il suo studio. Le loro finestre e «porte-fenêtres» s’aprono sul giardino. Non ingombro di mobili, ma ci si arresta pensierosi dinanzi a quella poltrona stile Luigi XIII, dinanzi a quella tavola dai piedi contorti che furono, testimoni mute di tanto e così superbo lavoro, e così disparato; lavoro accanito e brutale di forzato, a un tanto la linea, e lavoro giocondo e geniale quando, spirante il nume, si dava libero sfogo una delle più felici menti creatrici dei tempi moderni. E dai muri ci guardano, suscitando in noi i sentimenti più vari, in originale e in fac-simile, i documenti preziosi per il futuro commentario dell’opera superbamente folta del maestro: dei ritratti di Balzac, gli uni idealizzati da un’arte convenzionale, gli altri d’un realismo goffo ed ingenuo, ma curioso, si mostrano più o meno fedelmente i lineamenti di quella testa possente e le sue attitudini favorite, dei cimeli commoventi sui quali vogliam sorvolare per indugiarci invece davanti a questo vero ed unico ritratto di Balzac, il dagherrotipo, dove si vedono, senza la trasposizione operata da un pittore o da uno scultore, riprodotti nella docile creta la capellatura abbondante e arruffata, la fronte magnifica di forza e di volontà, gli occhi ardenti, pensosi, ma un po’ troppo fissi, incavati profondamente sotto le folte sopracciglia, il naso dalle forti narici aperte, il mento forte e quelle povere guancie già un po’ gonfie dalla malattia che doveva rapidamente troncar una vita così preziosa soli cinquant’anni. E tu, povero pezzo di veste da camera, gelosamente conservato dalla sorella del maestro, M.me de Surville, tu ci fai pensare alle innumeri notti in cui quella piccola stanza da studio, nel suo quieto silenzio, ben si può immaginare simile alla rumorosa fucina dello statuario, se il cervello di Balzac lavorava alle figure che dovevano popolare la Commedia Umana.

  La porta finestra dà sul giardino, un giardino incolto dove l’erba folta e gli arbusti che si aggrovigliano dànno una sensazione di aperta campagna. E’ in questo giardino che all’alba il grande romanziere, alzandosi finalmente dal tavolino ingombro di cartelle usciva a sgranchirsi le membra; a respirare a larghi polmoni l’aria cha saliva dalla Senna, i profumi silvestri che la brezza portava dai poggi boscosi di Suresne e di Saint-Cloud: forse a meditare, allo spettacolo dell’eterna vicenda delle tenebre e della luce, sull’eternità del mondo e sulla vanità dell’uomo che a questo mondo s’affaccia, si getta nella lotta, carpisce alla vita eterna la sua piccola parte di gioia, e passa. Ma egli, il genio, aveva creato qualche cosa di non passeggero, egli aveva fermato in quelle cartelle che si ammucchiavano, il sul tavolino della sua fucina, qualche figura che avrebbe vissuto oltre la vita d’un uomo. Egli sarebbe passato, sì, ma qualcheduna delle sue creature sarebbe restata per molti e molti anni ancora vivente, forse per sempre, forse imperitura nel mondo, imperitura come quel radioso sole che in quel momento nasceva, in un nembo d’oro …


  Giornali e riviste, «La Stampa», Torino, Anno XLIV, Num. 198, 19 Luglio 1910, p. 3.

  E’ famosa la mazza da passeggio di Balzac: è tanto famosa che esiste sull’argomento un piccolo romanzo bizzarro di Delfina Gay (poi Mme de Girardin), che tenne uno dei più celebrati salotti parigini del tempo, intitolato appunto La canne de M. Balzac. Questa mazza illustre ha fatto la meraviglia di tutti i contemporanei. Era un giunco colossale, tagliato per la mano d’un tambur-maggiore, e ornato di pietre preziose più che il gilet di un principe indiano. «Come mai (ci si domandava) un uomo di tanto ingegno ha una mazza così brutta? Ci dev’essere sotto qualche mistero». La signora Girardin, nel suo romanzo, aveva immaginato che quell’oggetto così strano avesse la proprietà di rendere invisibile il suo proprietario, il che sarebbe stato lavoro molto utile per chi, come lui, era sempre perseguitato dai creditori. Ma la spiegazione vera ci giunge ora col volume che il signor Séché ha consacrato a Delphine Gay e di cui fanno cenno i Débats.[11] Essa è molto più semplice e più umana. La mazza (e mai questo termine toscano un po’ enfatico per indicare fra i tanti bastoni più precisamente quello da passeggio, fu più appropriato), la mazza di Balzac, dunque, era a doppio uso: articolo di réclame e reliquario d’amore. Si ha un bell’essere uomini di genio: ognuno ha le sue debolezze. Così al nostro scrittore non dispiaceva troppo di essere notato. Quando, per esempio, all’Opéra egli si faceva al parapetto di un palco colla sua mazza maestosa e risplendente come un faro, tutto il teatro aveva gli occhi su di lui, il che lusingava ad un tempo la sua vanità ingenua e le sue illusioni di signorilità. Si raccontava che Balzac adoperasse ad ornare la sua mazza tutti i gioielli che le sue ammiratrici gli mandavano da ogni parte. Invece (ed ecco il secondo uso) questi gioielli non erano altro che quelli di una collana, la collana della giovane figlia della sua grande amica M.me Hanska. Tale collier era arrotolato attorno al pomo, su cui troneggiava un gruppo di scimmiotti. Ma c’era dell’altro. Dissimulato nel pomo, sotto il gruppo degli scimmiotti, c’era un ritratto in miniatura della signora Hanska, la più vera e maggiore; era un ritratto così … scollato, che Balzac un giorno, avendo smarrito la mazza, si mostrò irritatissimo. Questa mazza esiste sempre: essa appartiene oggi alla contessa di Fontenay, figlia di un dottore, a cui la signora Hanska la offrì alla morte del suo illustre amico, non senza essersi prima ripresa la sua miniatura. Non si sa se la baronessa intenda disfarsene per farne un graditissimo dono al Museo di Balzac, inauguratosi ieri l’altro, con una cerimonia semplice e commovente nella casa dove furono concepiti il Père Goriot e la Cousine Bette.


  Il museo Balzac, «Avanti! Giornale del Partito socialista», Roma, Anno XIV, Numero 201, 21 Luglio 1910, p. 1.

  Il museo Balzac, che come annunziammo è stato inaugurato a Parigi, contiene molti disegni e schizzi per la Commedia Umana; ritratti e busti del Balzac; la sua tavola di lavoro; la sua poltrona Luigi XIII; la lampada alla luce della quale scriveva; il calamaio, in forma di catenaccio; la caffettiera con la quale Balzac fabbricava il moka prediletto; una bizzarra dagherrotipia del 1842 che rappresenta Balzac mentre salta dal letto; una quantità enorme di manoscritti, delle bozze di stampa corrette dal Balzac; e, sotto una campana di vetro, il modello della sua mano destra, piccola e grassoccia.


  Il nuovo museo Balzac, a Parigi, «La Domenica del Corriere. Supplemento illustrato del “Corriere della Sera”», Milano, Anno XII, N. 30, 24-31 Luglio 1910, p. 8.

  Nell’umile casa dove poveramente visse e dove torturò il grandissimo ingegno per costringerlo ad intensificar la propria produzione, Rue Raynouard, venne giorni fa inaugurato a Passy il museo Balzac. La casa stessa, cioè, con le suppellettili che conteneva, con la stanza da studio, con lo scrittoio, la poltrona a lui cara, tutto fu destinato alla conservazione ed alla visita del pubblico e degli ammiratori del magnifico artista, che sono innumeri. Nato a Tours nel 1799, Onorato di Balzac morì a Parigi nel 1850 dopo un lavoro assiduo, ostinato, stupefacente. Basti pensare che fra il ’30 e il ’40 pubblicò una quarantina di romanzi, oltre a varie commedie e a tre diecine dei Cent Contes drolatiques. Pur angustiato da bisogni di denaro, poiché in varie speculazioni sbagliate erasi indebitato fin sopra i capelli, non cessò mai di pensare e di scrivere. Il periodo più glorioso del suo ingegno è quello che produsse i romanzi e le novelle formanti la Comédie humaine: una serie di opere meravigliose, vive oggi come sessant’anni fa e tali da onorare non pur un uomo ma tutto un pese, tutta una età.


  Marginalia. Le chimere di Balzac, «Il Marzocco», Firenze, Anno XV, N. 31, 31 Luglio 1910, p. 6.


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  Parigi ha ormai il «Museo di Balzac». Questo Museo non è che la piccola casa dove il romanziere abitò dal 1840 al 1847, dove, perseguitato dai creditori, stremato di risorse, Balzac cercò un rifugio al suo lavoro ossessionato. Il grand’uomo era oberato di debiti – raccontano gli (sic) Annales[12] – ed egli, pieno sempre d’ottimismo, inventava tutti i giorni chimerici affari, portentosi negozi che avrebbero dovuto fargli guadagnare milioni su milioni. I progetti di Balzac sono innumerevoli e colossali. Un giorno sognava di andare in Sardegna a strappare alle rovine, mal sfruttate dai romani, dei minerali preziosi; un altro giorno annunziava la sua prossima partenza per l’Asia … Fra l’una e l’altra di queste spedizioni lontane faceva progetti su Parigi, progetti che si formavano nella sua testa in ebollizione a motivo d’una parola, d’una notizia giornalistica, di un nulla. Gli accadde un giorno, col «vaudevilliste» Siraudin, una piacevole avventura poco nota. Verso il 1841, Siraudin aveva fatto rappresentare al teatro delle «Variétés» un dramma intitolato Vendetta. L’autore stava compiacendosi del bel successo ottenuto e dei molti decimi che avrebbe certo intascati, quando si vide giungere la seguente lettera: «Signore, voi avete fatto rappresentare ieri un dramma: La Vendetta. Questo titolo essendo quello d’una delle mie novelle, vogliate, vi prego, farmi iscrivere come avente diritto ad un terzo dei diritti d’autore … Vostro collaboratore, Honoré de Balzac». La lettera gettò Siraudin in una profonda stupefazione. Egli si sapeva innocente: non aveva neppur letto la novella di Balzac. Andò a trovare un suo collega, Dumanoir, e concertò con lui un bel tiro contro l’importuno guastafeste. Poi venne a battere alla porta di Balzac che lo fece sedere, irritatissimo. «È un bel pezzo che mi rubano i miei romanzi per sceneggiarli senza la mia autorizzazione e senza ricordarsi di me per i decimi. Ciò non può durare; fino ad ora non ho detto nulla, ma ora tengo voi e la pagherete per tutti». Siraudin fece rispettosamente osservare a Balzac che i due lavori non avevano di comune altro che il titolo: «Che importa – riprese il romanziere – hanno la stessa etichetta, e basta. Se vi rifiutate alle mie legittime esigenze, vi trascinerò davanti ai giudici». «Quando è così – esclamò il povero drammaturgo – vi presento da parte del signor Dumanoir questa carta. Voi avete pubblicato nel 1838 un romanzo intitolato: Una figlia d’Eva? Ebbene, Dumanoir nel 1833 aveva fatto rappresentare alle “Variétés” un suo lavoro col titolo: Una figlia d’Eva. Voi l’avete spogliato ed egli m’incarica di chiedervi ventimila franchi di danni ed interessi». Balzac si calmò come per incanto. Si mise a ridere ed invitò a pranzo il Siraudin. Parlarono di teatro e di letteratura e Balzac propose al nuovo amico un affare lucroso. Avrebbero scritto insieme un lavoro al mese per i quattro teatri buoni di prosa. Balzac avrebbe dato gli argomenti; Siraudin avrebbe sceneggiati i lavori. Sommato tutto, avrebbero guadagnato ognuno trecentomila franchi all’anno … Ottimo affare; ottimo affare, ma Balzac il giorno dopo non ci pensava più …


  Giornali e riviste, «La Stampa», Torino, Anno XLIV, Num. 210, 31 Luglio 1910, p. 3.

  Cfr. scheda precedente.


  Riviste e giornali, «Corriere della Sera», Milano, Anno 35, 1 Agosto 1910, p. 3.

  È riprodotta, pressoché integralmente, la nota pubblicata ne «Il Marzocco» il 31 luglio.


  Giornali e riviste, «La Stampa», Torino, Anno XLIV, Num. 229, 19 Agosto 1910, p. 3.

  Gli studiosi di Balzac, gli spigolatori della sua esistenza agiata, sono invitati a risolvere un rebus insoluto tra le carte del grande romanziere da Eugenio Sue. Si tratta di un curioso documento donato or ora alla «Maison de Balzac» dal signor Giorgio Decaux, amico editore, e più precisamente di una copia del romanzo «marittimo» Salamandra del Sue e da lui rimessa al Balzac. Sul primo volume, l’autore scrisse: «Al mio amico Balzac che mi parla troppo di virtù: Eugenio Sue». Sul secondo volume si legge: «Al mio amico Balzac che mi parla troppo di vizio: E. Sue». Sarebbe interessante – osserva il Figaro – conoscere il riposto significato di queste due dediche curiose.


  Giornali e riviste, «La Stampa», Torino, Anno XLIV, Num. 252, 11 Settembre 1910, p. 3.

  […] Quel povero Balzac veramente non ha fortuna … Perseguitato dagli uscieri finchè ha vissuto, non ha pace nemmeno ora che è morto … La storiella, che pare incredibile, è narrata dal Journal e dal Figaro … E chi lo perseguita è ancora il fisco. Sembra che il disgraziato non abbia pagato le tasse. Un certo Balzac, perfettamente ignoto all’amministrazione, alla legge e al governo – tradeità infernali dell’Olimpo contemporaneo – è indicato come dimorante in via Raynouard, in un così detto Museo … Museo Balzac … dunque è proprio lui. E bisogna che paghi le tasse come gli altri, in ragione del fatto dello stabile che occupa. E siccome non ha un soldo, essendo da qualche tempo … morto – cosa che il fisco non ha l’obbligo di sapere – gli si è mandato una citazione da pagare, che sarà regolarmente seguita dal sequestro degli oggetti che si ritengono suoi, dal momento che sono rinchiusi nel suo domicilio. Per modo che se qualcuno o qualche cosa interviene si metteranno all’asta i ricordi, le reliquie del grande artista, raccolti da amici e ammiratori con tanti sforzi e tante fatiche allo scopo di ricuperare l’ammontare della imposta che anche il genio deve allo Stato, in virtù dell’immutabile principio della santa eguaglianza … Pandora non conosce che la consegna e il fisco della civilizzazione non fa lacuna differenza fra la Commedia Umana e l’assortimento di generi di un pizzicagnolo … Tutto ciò del resto è logico: tutti eguali nei doveri e nei diritti … Veramente del diritto di essere stupidi il tempo nostro abusa un po’ troppo …


  Giornali e riviste, «La Stampa», Torino, Anno XLIV, Num. 255, 14 Settembre 1910, p. 3.

  Aldo Sorani, in un articolo sul Marzocco [cfr., più oltre, A. Sorani, Una Musa romantica], rievoca la figura di Delphine Gay, poetessa, romanziera, giornalista ed autrice drammatica. Delphine era anche bellissima. Théophile Gautier ne era entusiasta di lei: «il collo, le spalle, le braccia e quel che del petto lasciava vedere il vestito di velluto nero, suo abbigliamento favorito delle sere di ricevimento, erano di una perfezione che il tempo non potè alterare … La sua anima era felice d’abitare un bel corpo». […] Uno, invece [al contrario di Gautier e di Vigny], che non la cantò, non la corteggiò, ma le fuggì sempre di mano fu Balzac. Ma ci fu un tempo che Delphine fu una delle pochissime persone a Parigi a saper notizie precise di Balzac, il quale si nascondeva per far perder le sue tracce ai creditori. Ella non teneva le chiavi del suo essere, ma quelle della sua casa: sapeva il suo vero indirizzo. Come una belva inseguita, Balzac sfuggiva i creditori instancabili in tutte le tane che gli riuscivan più comode. Nemmeno Lireux, il direttore dell’Odéon, dove si recitava un suo lavoro, sapeva in che via egli abitasse, e il Séché narra a questo proposito una storiella che passava allora di bocca in bocca e definiva magnificamente e sarcasticamente le condizioni in cui Balzac si trovava. Lireux domandò un giorno a Balzac dove avrebbe potuto indirizzargli il bollettino delle recite e Balzac gli rispose: – Avete un giovane intelligente e discreto? – Perfettamente. – Ebbene, ecco che cosa dovrà fare questo giovanotto: munito del bollettino, si recherà tutte le mattine ai Campi Elisi. – Ai Campi Elisi? – Sì, verso l’Arco della Stella e al ventesimo albero a sinistra, vedrà un uomo che farà finta di cercare un merlo tra i rami. – Un merlo? – U merlo o un altro uccello qualunque … Allora il vostro giovane s’avvicinerà a quest’uomo e dirà: «Ce l’ho!». Quest’uomo risponderà: «Poiché l’avete, che cosa aspettate?» A codesta risposta il giovane consegnerà il bollettino …


  Marginalia. Hugo in casa di Balzac, «Il Marzocco», Firenze, Anno XV, N. 40, 2 Ottobre 1910, p. 4.

  Il grande romanziere Balzac s’era stabilito alle Jardies, che egli aveva ammobiliato con delle … iscrizioni come queste: «Qui un marmo di Paro – qui un caminetto di marmo – qui un affresco di Eugène Delacroix – qui un arazzo d’Aubusson …»; meraviglie naturalmente non mai realizzate. Le Jardies – celebri perché vi morì Gambetta – offrivano un terreno scosceso ed arido, privo d’alberi, senz’ombra; ma Balzac credeva di essere in un impero e, incredibilmente privo di buon senso, per render fertili certi viali del giardino, li aveva fatti coprir d’asfalto! … Balzac riceveva alle Jardies tutti i suoi amici, ma subito dopo il dessert li abbandonava per andare a letto sino alla mezzanotte, ora in cui si levava per lavorare fino all’indomani. Victor Hugo venne alle Jardies una volta sola e malgrado l’indifferenza un po’ sdegnosa che Balzac ostentava per gli scrittori del suo tempo vi mise qualche amor proprio nel ricevere degnamente il poeta, suo rivale in celebrità. La visita doveva riuscir tanto più caratteristica in quanto che – ricorda il Gaulois [13]– Balzac non aveva che mediocri entusiasmi per la poesia e a quella di Hugo preferiva … la prosa di Stendhal. Il poeta delle Orientales venne dunque a passare un giorno intero nella bicocca di Balzac. Per un incidente ferroviario accadutogli, si fece un po’ aspettare. Balzac era sulle spine. Andava e veniva dalla terrazza al cancello in attesa che l’ospite desiderato giungesse. Finalmente giunse, e Balzac, rasserenato, gli corse incontro con effusione facendo mostra di un inverosimile vestito e di una barba lunga di cinque giorni. Prima del pasto i due scrittori fecero una passeggiata in giardino. Ma Hugo non si espandeva in tutti quei complimenti di cui Balzac era ansiosamente desideroso. Si scorgeva che il poeta faceva tutti gli sforzi del mondo per non ridere dell’asfalto. Dopo la passeggiata, il pranzo. Si parlò, com’era naturale, di letteratura e Balzac ascoltò con una meraviglia mista d’invidia il racconto che Hugo faceva dei suoi successi teatrali. In certe sere, Victor Hugo aveva guadagnato quattrocento lire, seicento lire! Il povero Balzac, che non aveva mai tentato il teatro, ammirava l’uomo ch’era riuscito a far tanti guadagni … Si sa che poi per tutta la vita il grande romanziere ebbe l’ossessione del teatro, che a lui non procurò che dispiaceri e delusioni! Dopo mangiato, Balzac offrì sulla terrazza una delle sue famose tazze di caffè. La terrazza era ombreggiata da un noce. – Finalmente vedo un albero – esclamò Balzac irriverente …


  Riviste e giornali, «Corriere della Sera», Milano, Anno 35, Num. 273, 2 Ottobre 1910, p. 3.

  È riprodotta, quasi integralmente, la nota pubblicata ne «Il Marzocco» segnalata nella scheda precedente.


  Riviste e giornali, «Corriere della Sera», Milano, Anno 35, 13 Ottobre 1910, p. 3.

  In questi giorni si dà a Parigi, ridotto per le scene, César Birotteau, tolto dal romanzo di Balzac che già il 3 aprile 1838, pochissimi mesi dopo la sua comparsa, era stato ridotto a dramma vaudeville da Eugenio Connon (sic; lege: Cormon)[14]. Balzac creò il suo personaggio tipico prendendo a modello un certo Caron, morto a 87 anni nel 1831, proprietario di una bottega di profumeria la cui casa era servita a ritrovo di cospiratori realisti. Alcuni di essi furono arrestati e lo stesso Caron soffrì dieci mesi di detenzione. Avvenuta la Restaurazione, Caron in compenso dei servizi resi fu però nominato messaggero di Stato, ufficio, che consisteva nell’accompagnare, nell’interno del Palazzo Borbone, il presidente della Camera, dall’ingresso all’aula delle sedute fino al seggio presidenziale. Balzac ebbe 20,000 lire dal Figaro per consegnare il romanzo pel 10 dicembre 1837, volendo esso darlo in premio ai suoi lettori. Un anno dopo, il gran romanziere narrava d’averlo in ventidue giorni rifatto diciassette volte. Nel Figaro del 13 dicembre 1837, è spiegato tutto lo sforzo compiuto dall’autore e dai tipografi, essendo il libro stato promesso ai lettori pel 15 dicembre mentre l’autore s’era messo a scriverlo il 17 novembre. Il 22 mandava alla tipografia duecento fogli, scritti in cinque notti di lavoro febbrile, ma la stamperia fu presa da grande orgasmo, perché la scrittura di Balzac era fatta di geroglifici. Inoltre le bozze all’autore furono poi mandate sette volte di seguito, perché le correzioni erano eseguite da altri manoscritti. L’articolo del Figaro concludeva dicendo che quando tutta l’opera in due volumi fu definitivamente stampata i compositori si gettarono commossi l’uno nelle braccia dell’altro. Così il Mattino.


  Corriere parigino. Un gentiluomo del Secondo Impero. L’album di Balzac. I modelli dei personaggi da romanzo, «Corriere della Sera», Milano, Anno 35, Num. 296, 25 Ottobre 1910, p. 3.

  In un vecchio e sgualcito portafogli di ministro, venne trovato tempo fa, fra gli altri ricordi del ministro, un album, le cui pagine sono imbrattate da disegni quasi infantili e da note pressoché indecifrabili. L’album ha un pregio inestimabile, perché gli scarabocchi furono sgorbiati da Balzac e la persona che ne era venuta in possesso consentì a cederlo a un editore soltanto vicino alla morte. Ora l’editore sta per darlo alla luce, corredato da ampissimi commenti.[15] E’ un ammasso informe di note, di progetti, frammenti che si alternano con note, indirizzi, calcoli e ritagli di giornali. Balzac ci appare in tutto il suo disordine privato e in tutto il fervore della sua attività portentosa. Una pagina contiene l’elenco di dodici romanzi che Balzac si proponeva di scrivere in un anno. Ve ne è uno sulla fine del mondo [La fin du monde], che doveva riuscire una satira amara della Commedia Umana.

  «La fine del mondo – dice il manoscritto – è annunziata a scadenza fissa. Che cosa accade? Quelli che hanno firmato cambiali per un’epoca posteriore alla fine preannunciata, se ne rallegrano. Le giovani si abbandonano, le donne sono rovinate dalla concorrenza, le relazioni sociali sono sconvolte. I tisici si burlano degli uomini sani, non vi sono più maschere: orgia generale».

  Il libro magistrale che Balzac avrebbe potuto scrivere non uscì da questo embrione. Il povero romanziere dovette così abbandonare altri progetti seducenti. Era sospinto dalla necessità continua di calmare i creditori. La sua ombra non saprebbe darsi pace se potesse rendersi conto degli incassi lautissimi che fanno i romanzieri moderni.

  Anche il poeta De Musset, che in vita fu sempre alle prese coi creditori, deve provare un postumo rammarico all’idea che ieri sera per festeggiare il centenario della sua nascita, la vastissima sala del Trocadero era gremita di migliaia di spettatori. Non gli era mai accaduto di adunare un così gran numero di ammiratori in teatro.


  Notizie, libri e recenti pubblicazioni. Francia, «Nuova Antologia di Lettere, Scienze ed Arti», Roma, Direzione della «Nuova Antologia», Quinta Serie, Volume CL – Della Raccolta CCXXXIV, Fascicolo 933, 1° novembre 1910, pp. 186-187.

  p. 187. César Birotteau, il conosciuto romanzo di Balzac, è stato adattato per le scene da Emile Fabre e la prima rappresentazione ebbe luogo a Parigi in principio d’ottobre.[16]


  Notizie, libri e recenti pubblicazioni. Francia, «Nuova Antologia di Lettere, Scienze ed Arti», Roma, Direzione della «Nuova Antologia», Quinta Serie, Volume CL – Della Raccolta CCXXXIV, Fascicolo 933, 1° novembre 1910, p. 365.

  Henry de Brisay e Henry Vernot hanno terminato una commedia in quattro atti, il cui argomento è tolto dal volume Balzachiano: Splendori e miserie delle cortigiane. Il lavoro ha per titolo; Trompe la mort.


  Marginalia. Le memorie dell’attore Got, «Il Marzocco», Firenze, Anno XV, N. 45, 6 Novembre 1910, p. 5.

  Sono state pubblicate le memorie dell’attore Got […]. La Revue Hebdomadaire se ne intrattiene[17]. […] Nel suo giornale troviamo anche un Balzac utilitario e dispotico. Got passeggiando con Hetzel incontra l’autore d’Eugénie Grandet. Subito è conquistato dalla foga e dalla verve del romanziere, malgrado i molti paradossi che egli esibisce. Hetzel lo presenta: «Guardate, caro Balzac, poiché siete curioso del teatro e delle quinte, confessate Got, egli vi informerà!». Ed ecco Balzac precipitarsi sull’attore come sopra una preda. Egli voleva sapere. «Ero inebriato – racconta Got – e parlavo e parlavo mentre i suoi piccoli occhi mi scendevano in fondo all’anima. Avremo fatto venti volte, andando e vendendo, il Boulevard des Italiens. Tutti i caffè s’erano chiusi. Erano le due del mattino. La stanchezza ed il sonno cominciavano a pesare perfino sul mio entusiasmo … Balzac allora mi ha abbandonato sull’asfalto come un limone spremuto, guardandomi con una profonda pietà … Mi sono sentito schiacciato e mi ci son voluti cinque minuti per riavermi!». Balzac gli aveva preso tutto, lo aveva vuotato della sua personalità! Balzac si documentava così, consumando gli altri … […].


  Giornali e riviste, «La Stampa», Torino, Anno XLIV, Num. 311, 9 Novembre 1910, p. 3.

  Cfr. scheda precedente.


  Altre nostre interviste con senatori, «Corriere della Sera», Milano, Anno 35°, Num. 316, 14 Novembre 1910, p. 1.

  [Sulla proposta di rendere elettiva la nomina dei senatori provenienti dall’alta cultura].

  — Usciamo dai confini d’Italia — ha det­to il prof. Barzellotti — per non fare esem­plificazioni irriverenti; vediamo in Fran­cia: Balzac e Zola, la fama dei quali è sparsa in tutto il mondo civile e tra noi come quella di grandi scrittori, non furo­no accolti dall’Accademia degli Immortali.


  La potenza dei nomi, «Il Marzocco», Firenze, Anno XV, N. 47, 20 Novembre 1910, p. 5.

  Che i nomi abbiano un fascino singolare ed un’importanza di evocazione non si può certo negare. […] Balzac – ricorda l’Atlantic Monthly in un suo articolo – aveva anch’egli la fortuna, non tanto d’inventare, quanto di scoprire dei bei nomi. L’aver veduto scritto «Z. Marcas» sopra una strada, gli inspirò la trama di un racconto. I nomi eran per lui pregni di sogno e di storia. […].


  Giornali e riviste, «La Stampa», Torino, Anno XLIV, Num. 322, 20 Novembre 1910, p. 3.

  Cfr. scheda precedente.


  I giudizî sull’opera del Grande scomparso. Dal Bourget. L’anima di Tolstoi secondo Bourget, «Corriere della Sera», Milano, Anno 35°, Num. 324, 22 Novembre 1910, p. 3.

  Paolo Bourget consacra nell’Echo de Paris un lungo e magistrale articolo a Tolstoi. […].

  L’individuo è funzione della società. E’ a questa conclusione che giunsero i geni come Balzac, come Molière, come Scott, come Giorgio Elliot, che hanno avuto il senso delle cose.


  Giornali e riviste, «La Stampa», Torino, Anno XLIV, Num. 333, 1° Dicembre 1910, p. 3.

  L’ideale femminile va continuamente cambiando d’età. Quando Balzac proclamò nella donna di trent’anni il diritto all’amore, i suoi contemporanei ne provarono sgomento: fu quasi uno scandalo. Ora, il Finot studia sulla Revue le modificazioni che in questi ultimi anni ha subito la concezione dell’uomo sull’eterno femminile. Ai tempi di Balzac, un uomo a quarantacinque anni passava come un vecchio decrepito. […] Oggi è il contrario. La donna trentenne è per noi […] ancora nel pieno fiore della sua giovinezza.


  Balzac … e il padrone di casa, «La Stampa», Torino, Anno XLIV, Num. 337, 5 Dicembre 1910, p. 4.

Parigi, 4 mattino.

  «Ancora una volta Balzac, benché morto, ha delle beghe col padrone di casa». Qualcosa di simile diceva ieri ad un giornalista il conservatore della casa di Balzac. Tutti i ricordi del grande maestro sono minacciati di andare dispersi, in seguito a richieste del proprietario dello stabile che si lamenta di non essere pagato e non si contenta dell’onore di ricoverare le reliquie di Balzac.

  «Fin qui, ha detto il conservatore della casa, noi siamo vissuti alla meglio di sovvenzioni forniteci da ammiratori di Balzac, ma le somme raccolte non sono sufficienti, e la nostra situazione è sempre precaria. Accade spesso che ci si facciano promesse, che certuni si iscrivano per una certa somma che poi non si riscuote mai. Solo la devozione del nostro tesoriere, che peraltro è un tesoriere senza tesoro, ma pieno di generosità, ci ha permesso di resistere finora. Lo spettacolo di gala che fu dato recentemente per raccogliere fondi ci ha fruttato qualcosa, perciò si spera che anche questa volta le reliquie così a stento ammucchiate non si debbano deplorevolmente disperdere; ma il padrone di casa si mostra inflessibile».


  Raffaello Barbiera, Edoardo Rod (Al domani della morte), in Grandi e piccole memorie (Pagine di letteratura, d’arte e di storia), Firenze, Successori Le Monnier, 1910, pp. 315-324.

 

  p. 316. Edoardo Rod aveva, peraltro, troppo buon gusto per insistere sulle brutalità. Vedeva bene che il regno del romanzo sentimentale di George Sand e del Feuillet era finito, e che baldanzosi, sicuri del domani (come s’ingannavano!) ormai imperavano i naturalisti e i documentarii, cominciati col Balzac, l’olimpico capo orchestra, con lo Champfleury, col Sue, col Flaubert e guerreggianti con lo Zola; ma un’altra alba di regno inargentava gli orizzonti della letteratura francese: quella dei psicologi. […].

 

  p. 324. Edoardo Rod non vi [all’Accademia Francese] potè penetrare; ma poteva consolarsene, pensando al Balzac e a Emilio Zola, che ne furono esclusi, e a Victor Hugo, che vi entrò per il buco della chiave.

 

Leone Tolstoi (Nel suo 80.° anno, ottobre 1908), pp. 325-336.

 

  p. 331. Ma il Tolstoi ha il merito d’aver messo nella sua letteratura tutti gli aspetti della vita russa; e in questo ha rassomiglianza col Balzac, citato molto e letto poco […].

 

Un’amica di Adolfo Thiers: La contessa Emilia Taverna, pp. 361-371.

 

  p. 365. Ella fuggì, non già per seguire un amante, come qualche altra signora di quel tempo, nel quale i romanzi del Balzac e della Sand avevano diffuso così bene il discredito sul settimo sacramento.

 

La vita a Milano nell’anno in cui morì il Romagnosi (1835), pp. 391-409.

 

  pp. 399-400. Le traduzioni del Balzac, Cooper, Dumas .... si susseguono. È una pioggia fitta di traduzioni; e talora sono traduzioni di traduzioni: immaginarsi perciò che fedeltà da moglie di Cesare!


  Paolo Bellezza, Gli «sportsmen» della critica, «La Cultura. Rivista critica fondata da Ruggero Bonghi», Roma, Serie Terza (quindicinale), Anno XXIX, N. 23, 1° Dicembre 1910, pp. 724-729.

  pp. 726-727. Recentemente gli (sic) Annales rievocano una curiosa avventura toccata a Balzac. Il vaudevilliste Siraudin aveva fatto rappresentare con buon esito un dramma intitolato «Vendetta». Il romanziere, sempre a corto di danaro, ricordando che una delle sue novelle portava lo stesso titolo, lo fulminò con una lettera in cui, per quel semplice fatto, rivendicava un terzo dei diritti di autore. Il Siraudin si sentiva sicuro e tranquillo, poiché nemmeno aveva letto la novella, tuttavia si recò dal romanziere, il quale lo ricevette irritatissimo, dicendo: «È un pezzo che si rubano i miei romanzi per metterli in scena senza il mio consenso, e senza ricordarsi di me per i decimi; è ora di finirla. Fino ad ora non ho detto nulla; ma ora tengo voi, e la pagherete per tutti». Siraudin fece osservare che i due lavori non avevano in comune altro che il titolo: Balzac replicò che avevano la stessa etichetta, e ciò bastava. Allora il vaudevilliste, che prima di recarsi dal romanziere s’era consultato e concertato sul da farsi col suo collega Dumanoir, porgendo una carta a Balzac, gli disse: «Vi presento questa da parte del signor Dumanoir. Voi avete pubblicato nel 1838 il romanzo «Una figlia di Eva» che ha lo stesso titolo di un suo lavoro fatto rappresentare cinque anni prima. Voi l’avete dunque spogliato, ed egli mi incarica di chiedervi ventimila franchi di danni e interessi».

  Balzac si calmò come per incanto e invitò a pranzo il Siraudin.

  Ebbene: a procedimenti analoghi s’attengono troppo spesso i critici di cui parliamo. Anch’essi s’accontentano che le «etichette» si corrispondano; anch’essi, tormentando una scrittura per iscovarne a ogni costo le derivazioni e le fonti, v’appongono qua e là, se non i ritratti, i nomi dei vari autori a cui non par loro vero di far risalire il tal concetto o la tal frase; anch’essi scorgono a tutto pasto, se non plagi, almeno reminiscenze e riscontri nelle sentenze più ovvie e comuni.


  Bergeret, La Monarchia e la virtù, «La Stampa», Torino, Anno XLIV, Num. 122, 4 Maggio 1910, p. 3.

  Udite ciò che scriveva Balzac, non il grande, il poeta epico dell’avvento borghese, ma Balzac il piccolo, il verseggiatore del secolo decimo settimo […].


  Paolo Bernasconi, Come divenni giornalista, Milano, “S.E.L.G.A.” Società Editrice “La Grande Attualità”, 1910.

  p. 29. Il primo libro da me letto fu l’Ivanhoe di Walter Scott […]. Lessi poi la Piccola Fadette della Sand; l’Ettore Fieramosca di Massimo d’Azeglio; l’Eugenia Grandet di Balzac, in un’edizione illustrata, e l’Angelo Pitout di Dumas padre […].

  pp. 65-66. L’autunno e l’inverno furono da me quasi interamente dedicati alla letteratura francese: lessi le opere più note di Voltaire, Rousseau, Diderot e Châteaubriand; le Confessioni di A. de Musset; parecchi romanzi della Sand, di Balzac, di Dumas […].

  p. 74. La lettura del Télémaque pareva troppo puerile a me che avevo già divorato tanti libri francesi, tra cui le Confessioni di Rousseau e i romanzi di Balzac […].


  Giovanni Boglietti, Arsène Houssaye e le sue confessioni, in Scritti storici e letterari con appunti biografici di Giacomo Faldella, Torino, S. Lattes & C. – Editori, 1910, pp. 58-84.

  Cfr. 1886.


  G.[iuseppe] A.[ntonio] Borgese, La Vita e il Libro. Saggi di letteratura e di cultura contemporanee. 1909-1910 […], Torino, Fratelli Bocca, Editori, 1910.


  Anatole France, pp. 13-29.

  Giacomo Girarrosto.

  [Su: Les contes de Jacques Tournebroche].

  p. 19. Leggete queste ultime novelle: non vi si scorge neppure una traccia di modernità. Il narratore vive tutto sepolto nei suoi tempi, che non sono i nostri. Perciò narra cose perfettissime e poverissime, gocce d’acqua d’immacolata scipitezza. Manca l’impeto gagliardo e tempestoso di quei Contes drôlatiques, nei quali il Balzac violentava lo stile e la materia del tardo medioevo francese, per infondergli dentro uno stupendo soffio di modernità negatrice e rivoluzionaria. Lì era antica la forma e nuovo lo spirito, qui la parola è recente, ma lo spirito sa di muffa e di pergamena esumata.


  Enrico Nencioni, pp. 303-310.

  p. 305. Sulla prefazione di F. Martini ai Nuovi saggi critici di letterature straniere del Nencioni. Cfr. 1909.


  Due utopie.

  La Sacra di Filippo Ottavo (Charles Maurras), pp. 344-354.

  pp. 350 e 353. Cfr. 1909.


  G. A. Borgese, Cronache letterarie. Un romanzo calabrese, «La Stampa», Torino, Anno XLIV, Num. 195, 16 Luglio 1910, p. 3.

  [Su: Luigi Siciliani: Fràncica].

  Certo i grandi narratori: Omero, Ariosto, Cervantes, Balzac, non furono mai troppo meticolosi e non predilessero gli organismi rigidamente e nudamente architettonici. Le pieghe dei loro racconti cadono con fiocca abbondanza; il filo della narrazione non cala a perpendicolo come un filo a piombo, ma s’insinua per meandri e labirinti, si smarrisce in parentesi, s’assottiglia talora fino quasi a spezzarsi e poi si confonde in un diabolico groviglio; ma di tutto quel caos il grande narratore, Ariosto o Balzac, è sorridente signore, alla confusione si diverte, e, quando è stanco, scioglie con un solo dito il complicatissimo nodo, e svela senza sforzo l’unità occulta. Ma Siciliani qualche volta si perde egli medesimo nell’intrico dei casi che espone e nella folla dei personaggi che raffigura.


  G. A. Borgese, Jean-Christophe a Parigi, «La Stampa», Torino, Anno XLIV, Num. 249, 8 Settembre 1910, p. 3.

  […] mentre Rolland ci narra la catastrofe di una famiglia benestante in provincia e l’emigrazione dei superstiti a Parigi, come difficilmente resistiamo alla tentazione di paragonarlo ad un Balzac!


  G. A. Borgese, Cronache letterarie. Due romanzi di Grazia Deledda, «La Stampa», Torino, Anno XLIV, Num. 260, 19 Settembre 1910, p. 3.

  [Su: Sino al confine; Il nostro padrone].

  Di tanto in tanto la foschia è rotta da un episodio giocoso esposto con una violenza incendiaria di sarcasmo che farebbe tremar di commozione artisti della statura di un Folengo, di un Rabelais, di uno Shakspeare (sic), di un Balzac.


  G. A. Borgese, Cronache letterarie. “Leila” di Antonio Fogazzaro, «La Stampa», Torino, Anno XLIV, Num. 312, 10 Novembre 1910, p. 3.

  I fatti e gli uomini dei suoi vari romanzi non si connettono per una eroica potenza di costruttore, come in un Balzac o in uno Zola, ma nemmeno per una vanitosa velleità architettonica come nei cicli narrativi delle minores gentes. Si susseguono automaticamente, con lievi variazioni […].


  Cajo, Divagazioni autunnali. Gamologia, «Corriere delle Puglie», Bari, Anno XXIV, N. 305, 3 Novembre 1910, p. 3. 

  Ci credete? Sono più propensi nella gamologia coloro che sono rimasti vedovi una o due volte o più volte ancora! Avete letto la Fisiologia del matrimonio del Balzac?? Eppure monsieur Honoré non ha avuto neanche mezza moglie!


  Silo Carpani, Gli sgomberi (San Martino), «Touring Club Italiano. Rivista mensile», Milano, Anno XVI, N. 11, Novembre 1910, pp. 595-600.

 

  p. 596. Onorato Balzac, il gran mago che vide e descrisse l’intimità privata di tutto un popolo e la cui facoltà di documentazione non doveva al postutto eccedere i limiti dell’umano, ha certo dovuto provare le proprie mirabili facoltà d’induzione in simili circostanze. Vi sono dei segreti che gli uomini sanno conservare gelosamente, ma che i mobili possono tradire.


  Emilio Cecchi, Il “William Shakespeare” di Vittore Hugo, «Nuova Antologia di Lettere, Scienze ed Arti», Roma, Direzione della «Nuova Antologia», Quinta Serie, Volume CXLVIII – Della Raccolta CCXXXII, Fascicolo 925, 1° luglio 1910, pp. 45-59.

  p. 59. A quella schietta affermazione della cosa, verso la quale l’Hugo ed il Flaubert si sforzavano di giungere attraverso il vocabolario, la Pléjade, la Grecia, ecc., c’era giunto Balzac e si preparava a tornare lo Zola.


  G. A. Cesareo, Tolstoi scrittore, «Nuova Antologia di Lettere, Scienze ed Arti», Roma, Direzione della «Nuova Antologia», Quinta Serie, Volume CL – Della Raccolta CCXXXIV, Fascicolo 935, 1° dicembre 1910, pp. 507-514.

  p. 511. […] non credo che Leone Tolstoi, come creatore di forme viventi, possa paragonarsi, non dico allo Shakespeare, ma né pure al Balzac, al Dostojewsky, al Manzoni. Non c’è nulla ne’ romanzi del primo che abbia la verità, la coerenza, lo stacco, la libera e palpitante unità, che dia la straordinaria illusione d’un’altra realtà più intensa e più nota della realtà circostante, come Luciano di Rubempré, papà Goriot, il barone di Nucingen e quel meraviglioso Vautrin […].


  Cini, Reati e pene. Il pomo, «La Stampa», Torino, Anno XLIV, Num. 306, 4 Novembre 1910, p. 2.

  A dove più vi piace … […] vivevano due buone sorelle, che si amavano come difficilmente due donne, e tanto meno sorelle, sanno amarsi. […].

  Dice Balzac che le donne si amano con tutta la sincerità che è loro possibile quando le loro età non le mettono più di fronte e in concorrenza sul medesimo terreno delle loro pretese e delle loro vanità … Appunto perché l’una forse con frettoloso sconforto si confessava d’essere ormai fuori dal pur largo raggio d’azione delle concupiscenze degli uomini, e perché l’altra, forse con eccessiva ingenuità, non credeva d’esservi ancora entrata, le due buone sorelle di … dove vi piace, che facevano del vero Balzac senza nemmeno averlo letto, si amavano con cordialità tenera ed intensa, tanto che pareva non dover mai fallire …

  E invece, mio Dio, tutto al mondo finisce in un doloroso fallimento! D’altronde, il signor Honoré de Balzac, che ai limiti di questo affetto tra donne pose i venti ed i quarant’anni, ha mancato in questo punto alla sua fama di aver conosciuto molto il mondo e le donne e gli uomini che vi frullano dentro, mossi dal turbinio delle loro passioni. Ha usurpato la sua fama, come la sua nobiltà, a meno che al suo tempo le donne rinunziassero assai più presto che non era alle vanità del mondo per dedicare il rammarico del passato, l’amarezza del presente e la rassegnazione dell’avvenire a quel buon Dio, pel quale tutte le donne sogliono serbare quello che gli uomini non hanno voluto. […].

  La storia, che non è lunga potrebbe anche finire qui, se non avesse altro scopo che dimostrare come nessun affetto tra due donne può durare perché, al contrario di quanto dice il signor De Balzac, le donne non rinunziano mai a quelle ch’egli chiama vanità.


  Antonio Cojazzi, La Morale cattolica, in Alessandro Manzoni, Osservazioni sulla morale cattolica. Parte I e II (Postuma) e pensieri religiosi. Studi introduttivi – Commenti e Appendice di Antonio Cojazzi, Torino, Società Editrice Internazionale, 1910, pp. 78-119.

  pp. 84-85. Un giorno il Manzoni, già vecchio, ebbe la visita di Onorato Balzac, il celebre romanziere francese (1799 † 1850). Dopo aver parlato di varie cose, lo scrittore francese si vantò di aver tentato anche il genere religioso, confessando però di non averne ottenuto il successo sperato e pari alle altre opere. Lo Stampa che riferisce il fatto continua: «Dopo partito il Balzac, mi ricordo che il Manzoni osservava, che per aver un successo nel genere religioso non bisognava tentarlo come una speculazione letteraria qualunque, ma esserne profondamente persuasi». (1).

  [Nota].

  (1) Op. cit. [Alessandro Manzoni, la sua famiglia, i suoi amici […], 1885], pag. 252-53.


  Arduino Colasanti, L’Esposizione internazionale d’arte in Roma, «Emporium. Rivista mensile illustrata d’arte letteratura scienze e varietà», Bergamo, Istituto Italiano d’Arti Grafiche, Vol. XXXI, N. 185, Maggio 1910, pp. 375-393.

  p. 383. Ma d un pittore che è al principio della sua carriera [Carena], assai più della espressione dell’entusiasmo compiacente, giova additare i pericoli di un indirizzo il quale ci fa ripensare a quel capolavoro di cui parla Balzac, e che, salito al cervello dell’artista che l’aveva creato, aveva finito col naufragare nell’indecifrabile lasciando salvo solo un piede, mirabilmente dipinto, documento di quel che doveva essere l’intiera figura prima che l’ebbrezza della propria pittura sconvolgesse il criterio dell’artista.


  Corradino Corradini, L’aeronauta dell’America, «La Stampa sportiva», Torino, Anno IX, N. 44, 30 Ottobre 1910, pp. 6-8.

  pp. 6-7. Da un anno e più si diceva imminente la dipartita del dirigibile America per la traversata dell’Atlantico.

  [Wellmann] Mostrò d’esser molto commosso delle dimostrazioni che la folla gli riserbò al suo approdo al Sandy Hock. Molto commosso …

  In fatto di psiche, Balzac ha lasciato scritto che gli esseri sensibili non sono affatto degli esseri sensati …

  Infatti Wellmann ha dichiarato che è disposto a fare un altro tentativo della traversata transatlantica appena sarà riuscito ad avere i mezzi necessari …


  Faledro, Ritagli e scampoli. Una citazione postuma a Balzac, «Corriere delle Puglie», Bari, Anno XXIV, N. 277, 6 Ottobre 1910, p. 3. 

  Come si sa dopo il rogo non vive ira nemica. Questo che è vero per il comune dei mortali non lo è per il fisco ... Quel povero Balzac veramente non ha fortuna ... Perseguitato dagli uscieri finché ha vissuto, non ha pace nemmeno ora che è morto.

  La storiella, che pare incredibile è narrata dal «Journal» e dal «Figaro». E chi lo perseguita ancora è il fisco. Sembra che il disgraziato non abbia pagato le tasse. Un certo Balzac, perfettamente ignoto all’amministrazione, alla legge e al governo – tre deità infernali dell’Olimpo contemporaneo — è indicato come dimorante in via Raymonard (sic), in una casa detto Museo ... Museo Balzac ... dunque è proprio lui.

  E bisogna che paghi le tasse come gli altri, in ragione del fitto dello stabile che occupa. E siccome non ha un soldo, essendo da qualche tempo ... morto — cosa che il fisco non ha obbligo di sapere — gli si è mandato una citazione a pagare che sarà regolarmente seguita dal sequestro degli oggetti che si ritengono suoi, dal momento che sono rinchiusi nel suo domicilio.

  Per modo che se qualcuno o qualche cosa non interviene, si metteranno, all’asta i ricordi, le reliquie del grande artista, raccolti da amici e ammiratori con tanti sforzi e tante fatiche, allo scopo di ricuperare l’ammontare della imposta che anche il genio deve allo Stato, in virtù dell’immutabile principio della santa eguaglianza ... Pandora non conosce che la consegna e il fisco della civilizzazione non fa alcuna differenza fra la «Commedia Umana» e l’assortimento di generi di un pizzicagnolo ...

  Tutto ciò del resto è logico: tutti uguali nei doveri e nei diritti. Veramente del diritto di essere stupidi il tempo nostro abusa un po’ troppo.


  Pietro Fiorani, Note Letterarie. Lo spirito ed il carattere della letteratura francese, «L’Italia Centrale», Reggio Emilia, Anno XLVIII, N. 194, 20 Luglio 1910, pp. 1-2.

  p. 2. Leggete, per esempio, (fra i moderni) Balzac e voi vedrete come dopo il piacere vivo e magnifico che vi danno i suoi romanzi così ben quadrati e tratteggiati, dopo l’incanto delle sue descrizioni e delle sue analisi sicure e fedelissime di cose e di persone, balzi fuori aspro e severo il monito sui doveri della vita e sulla fallacia di quelle brevi illusioni che sono l’amore, la gioia, il piacere.

  È Balzac che nelle sue «Scènes de la vie de province» dopo aver descritto i piaceri e le gioie di Parigi, ne addita il fondo che è fatto di lavoro e di dolore, e mettendo in questo contrasto un giovane venuto di provincia pieno di illusioni fallaci, lo, lo fa passare di disinganno in disinganno fra stupende pitture d’ambiente. Parigi è la città della vita e della gioia, ma per questo, (anzi e sopratutto per questo) un giovane deve conoscere integre le sue forze e le sue virtù, e filar dritta la sua via per aprirsi un varco!

  Guai a chi cede per la breve gioia dell’ora: domani la città mostruosa lo stritolerà per vendicarsi come essa si vendica degli illusi; dei deboli e degli inetti. Quanti inneggiamenti nei libri di questo scrittore che così s’avvicina al carattere letterario francese classico, il quale carattere lo si può definire terminando colle parole stesse del Brunetieré (sic):

  «La letteratura francese, facendo suo obietto l’uomo universale ha riunito, trasformandoli, diversi elementi letterarii di varie nazionalità per il continuo progresso delle idee universali, di giustizia, di uguaglianza e di umanità».


  Fortunio, Ritagli e scampoli. Il mio amico Balzac, «Corriere delle Puglie», Bari, Anno XXIV, N. 77, 18 Marzo 1910, p. 3. 

  A Parigi sarà rappresentata l’Ecole de Ménages (sic), lavoro inedito di Balzac. Il direttore del secondo teatro nazionale, Antoine, ha realizzato per la messa in scena del dramma delle vere meraviglie.

  Il signor Royaumont, conservatore della «Casa di Balzac», incaricato di fare la conferenza che precederà la rappresentazione, ha narrato che l’Ecole de Ménages doveva essere rappresentata nel 1839 al teatro de la «Renaissence» (sic). Ma per un imprevisto mutamento nella direzione di quello stabilimento, il lavoro fu rifiutato. Balzac ne fu così indispettito che stracciò le bozze che egli aveva fatto tirare. Un solo pacchetto di bozze fu dimenticato in fondo ad una valigia e venne rintracciato ora dal signor Crepet che ringrazio vivamente ed al quale vorrei stringere la mano. Siamo in così pochi a voler bene al capocomico della Commedia Umana

 

  Fortunio, Ritagli e scampoli. Grafologia, «Corriere delle Puglie», Bari, Anno XXIV, N. 124, 6 Maggio 1910, p. 3. 

  Molte signorine mi scrivono sempre chiedendomi dei giudizii grafologici. Io le servo, naturalmente come meglio posso ...

  Ma, a proposito, anche perché un’assidua si è lagnata di un mio giudizio sul suo carattere, ecco un gustoso aneddoto che riguarda precisamente il mio amico Onorato Balzac il quale aveva la velleità di credersi il primo grafologo di Francia.

  Una signora gli portò, un giorno, il quaderno di uno scolaro.

  Vuol dirmi, amato maestro, l’avvenire ch’è serbato al fanciullo che scrisse queste pagine?

  Balzac esaminò il quaderno, poi domandò:

                   E’ lei la madre del fanciullo? oppure parente?

                   No, signore.

                   Al ora, voglio dirle tutto, francamente.

  Il fanciullo è un po’ cretino e non promette niente di buono.

  La signora si mise a ridere.

                   Ma. signor Balzac! Non riconosce lei la scrittura? Se questo è un quaderno dei suoi quando andava a scuola!

 

  Fortunio, Ritagli e scampoli. Il mio amico Balzac, «Corriere delle Puglie», Bari, Anno XXIV, N. 143, 25 Maggio 1910, p. 3. 

  Pare che l’affascinante «Dilecta» di Balzac, sia stata finalmente identificata, «Dilecta», l’amore giovanile, forse il solo vero amore della vita del grande scrittore, si sapeva che era una giovane donna, abitante a Ville de Paris (Seine-et-Oise) quando il giovane Balzac vi passò due anni sotto la severa tutela della famiglia. Ora si sono ricostruite le circostanze nelle quali Balzac conobbe Maria Antonietta Laura de Berny. Egli aveva 22 anni; lei ne contava già 43. Ella ebbe nella vita sentimentale del giovare una parte alquanto analoga a quella che Madame de Warrens ebbe nella vita di Rousseau. Bella, buona, ella fu una dolce «mamma», per quel giovane cuore. La rivide dopo molti anni, al suo letto di morte. Morta, egli disse: «La donna che ho perduta fu per me più madre che amica. Essa per me fu il tutto, l’anima della mia anima».

 

  Fortunio, Ritagli e scampoli. Il mio amico Balzac, «Corriere delle Puglie», Bari, Anno XXIV, N. 165, 16 Giugno 1910, p. 3. 

  Il mio amico Balzac aveva, come tutti i veri forti, un’alta stima di sé e lo manifestava apertamente. Un giorno ad un pranzo un giovane scrittore disse: «Noialtri letterati ...». Balzac si mise a ridere ed esclamò: «Voi o signore, osate dire di essere un letterato. La vostra è una strana pretesa, ed una pazza presunzione. Voi osate di paragonarvi a noi! Ignorate, o signore che avete l’onore di pranzare con i marescialli della letteratura! ...».

  Balzac pretendeva di discendere dalla grande famiglia dei Balzac di Entraques, imparentati con sangue reale di Francia. Questa sua pretesa fu combattuta con tale ostilità che alla fine il grand’uomo perdette la pazienza ed esclamò:

  «Voi sostenete che io non discendo dai Balzac di Entraques? Ebbene ... tanto peggio per loro!».

 

  Fortunio, Ritagli e scampoli. Balzac, «Corriere delle Puglie», Bari, Anno XXIV, N. 205, 26 Luglio 1910, p. 3. 

  Eppure fu una gran bell’epoca letteraria quella di cui rivivono in questi giorni, in occasione di centenarii, di cinquantenarii di monumenti o di musei, una dopo l’altra, tutte le illustri e grandi figure! Giorni or sono inauguravano una statua per Alfredo de Musset. La stessa sera commemoravano nobilmente un altro poeta, Alfonso Lamartine. L’ indomani i fedeli ammiratori di Balzac si riunivano nella sua vecchia casa ritrovata e trasformata in museo balzacchiano, in quella la piccola vecchia casa in cui il grande romanziere visse anni ed anni. Visse: il che vuol dire scrisse senza tregua e senza riposo, creò senza stanchezza capolavori.

  Credo che quella piccola casa diventerà per molti la metà (sic) d’un devoto e fervido pellegrinaggio. Sarà dolce ai felici balzacchiani chiudersi un’ora in quel quieto asilo di pensatore e di poeta. Sarà dolce e melanconico insieme, sedersi in quello studiolo grande come la palma d’una mano, quello studiolo da cui volarono via per il mondo tante pagine grandi, tanti pensieri profondi, quello studiolo in cui il grande scrittore trascorreva nel tuo immenso, formidabile lavoro tutta la sua giornata, meditando, rifacendo, improvvisando le sue pagine meravigliose al ritmo degli uccelli che cantavano, cantavano, cantavano nel giardinetto verde e fiorito. Sarà commovente vedere la porticina segreta dalla quale, interrompendo improvvisamente il lavoro, doveva scappare il grand’uomo quando sentiva la scampanellata d’un creditore inesorabile. Sarà commovente bere in quel piccolo museo nella tazza stessa di Balzac il caffè fatto con la sua caffettiera, quel caffè che lo sosteneva nelle lunghe notti di veglia feconda.

  E in quella modesta colletta di Balzac sorgerà naturalmente nel nostro spirito il confronto coi sontuosi studi riscaldati col termosifone, ammobigliati in marocchino, coi sontuosi e pomposi studi in cui i nostri gloriosi contemporanei elaborano faticosamente le loro opere che durano una stagione e che passano e scompaiono come passa e scompare la moda. Il cielo divide equamente la fortuna del destino. A Balzac il genio, l’immortalità e la povertà. A molti suoi colleghi della posterità la ricchezza, i lauti guadagni, la rinomanza che passa, l’ingegno scarso e l’arte di farlo valere. La piccola cella di Balzac diventa gloriosa ed è consacrata come un museo. I sontuosi studi dei molti grandi scrittori contemporanei finiscono all’asta pubblica quando passata la moda, la gente s’accorge che non erano affatto grandi e che forse non erano neppure scrittori. 

 

  Fortunio, Ritagli e scampoli. Un bastone, «Corriere delle Puglie», Bari, Anno XXIV, N. 208, 29 Luglio 1910, p. 3. 

  La signora Di Girardin scrisse un intero breve romanzo sul «Bastone del sig. Di Balzac».

  Questo bastone illustre fu la meraviglia di tutti i contemporanei del grande romanziere. Era un giunco colossale, tagliato per le mani di un tamburo maggioro e adorno di pietre preziose. Come mai un uomo di unto spirito va in giro con un così brutto bastone? Dev’esserci sotto qualche mistero. — La signora di Girardin immaginò che quello strano oggetto avesse il privilegio di rendere invisibile il suo proprietario, privilegio che sarebbe stato molto utile al grand’uomo, perseguitato senza tregua, durante tutta la sua vita dai suoi creditori. Ma, in un recente volume consacrato a Delphine Gay, un giovano scrittore francese dà un'altra spiegazione a questo mistero. Il bastone di Balzac rispondeva a due fini: era un articolo di réclame e un reliquiario d’amore. Si ha un bell’essere un uomo di genio, ognuno ha le sue piccinerie. Il grande scrittoio non era affatto seccato se la gente lo riconosceva e lo notava. Quando egli metteva in vista sul davanzale di un palco quel suo bastone mostruoso e splendente come un faro, l’intiera Opéra si volgeva a guardare e a fissare il grande romanziere. Ciò che lusingava in pari tempo la sua ingenua vanità e le sue illusioni di eleganza. Si narra che Balzac si servisse, per adornare questo suo bastone, dei gioielli che gli spediva da ogni parte l’ammirazione delle sue lettrici. In realtà, questi gioielli si riducevano a una collana che aveva da ragazza la signora Hauska (sic) che Balzac amò per diecine di anni e che poi sposò. La collana era avvolta attorno al grossissimo pomo, costituito da un gruppo di scimmie. Una scatolina nascosta nel pomo celava il ritratto in miniatura della signora Hauska, ritratto talmente décolleté che Balzac fu semplicemente atterrito il giorno in cui credette di avere smarrito il suo bastone. Nacquart, al quale fu offerto dalla signora la baronessa De Fontenay, figlia del dottor. Questo bastone esiste ancora: appartiene all’Hauska dopo la morte di Balzac. Inutile avvertire che, prima di regalare al dottore il bastone del grande romanziere, la signora Hauska aveva aperto lo scatolino del pomo ed aveva prudentemente soppressa la miniatura che la riproduceva in un décolleté veramente eccessivo ...

 

  Fortunio, Ritagli e scampoli. Balzac e il ladro, «Corriere delle Puglie», Bari, Anno XXIV, N. 226, 16 Agosto 1910, p. 3. 

  Mentre il romanziere giaceva insonne nel letto, un ladro entrò nella sua camera e tirò pian piano il cassetto dello scrittoio per ghermire il denaro.

  Balzac che lo aveva sentito, si mise a ridere smascellatamente; e allora il ladro, meravigliato piuttosto che atterrito, gli domandò perché ridesse. «Rido» disse tranquillamente il gran romanziere, «nel vedere un minchione quale tu sei esporsi allegramente alla galera, per andare cercando di notte il denaro in un luogo dove io non ne posso mai trovar di giorno!».

 

  G., Corriere di Roma. Le scale di Balzac, «Corriere delle Puglie», Bari, Anno XXIV, N. 278, 7 Ottobre 1910, p. 4. 

  […] ma il peggio è che se non è pronta l’esposizione, non sono ancora cominciati i lavori per le vie che debbono condurci. E questo mi pare il caso di Balzac quando fabbricò la sua famosa villa alle Jardies. Balzac volle essere egli stesso l’architetto della sua villa; e in ogni ambiente segnava a matita sul muro quella tale decorazione che credeva in buona fede poter dopo mettere a posto: «qui un rivestimento di cedro del Libano – qua un quadro di Raffaello – qua un lampadario di Corinto – etc. Questo – stando nel paragone, sarebbe l’esposizione. Poi ché c'è l’affare della viabilità. Quando, dunque Balzac terminò di costruire la villa, condusse alle Jardies un mio grande amico Leone di Gozlan, il quale, appena giunto, notò con grande sorpresa, che la villa mancava … di scale. Chiese allora stupefatto al maestro. Il quale per un momento restò sorpreso anch’egli. Ma Balzac non era uomo da perdersi per così poco. Rispose semplicemente: «Voilà»; esse m’impacciavano e le ho messe ... alla porta E’ a sperare che il paragone non regga.


  Giulio Gandi, Rodin nel 20 anniversario della sua nascita, «L’Italia Centrale», Reggio Emilia, Anno XLVIII, N. 316, 22-23 Novembre 1910, pp. 1-2.

  p. 2. Nel colosso di Balzac, e fu veramente un colosso, ha tradotto tutta la sua forza, pare che l’opera dell’autore francese si richiuda in questo blocco, da cui spicca la testa che investiga e cerca nel dedalo di questa Parigi i tipi che si agitano nella Commedia Umana.


  Rosa Genoni, Trionfi e miserie della parigina, «Il Marzocco», Firenze, Anno XV, N. 43, 23 Ottobre 1910, p. 5.

  A Parigi c’è un’Accademia di Belle Arti, ma non c’è un’Accademia di Belle Mode, perché i segreti delle leggi dell’eleganza non s’imparano in alcuna accademia ufficiale. La parigina per questo non ha bisogno d’andare a scuola, «ci sono – scriveva Balzac –, dei movimenti di gonna, che meritano il premio Monthyon. Forse che si trovano soltanto nelle milionarie? Sovente sarà la mano, istintivamente artista, d’una donna povera ma squisitamente elegante, che avrà saputo infondere nella veste quell’armonia di pieghe e di ritmo, da renderla degna del premio Monthyon dell’eleganza»[18].


  E. S. Kingswan, Libri e riviste estere, «Rassegna Nazionale», Firenze, Anno XXXII, Volume CLXXI, Gennaio-Febbraio 1910.

 

  p. 97. Di un lavoro di G. Ruxton (1) sulla prima amica di Balzac ne ha parlato L. Cappelletti nell’ultimo numero della Rivista Bibliografica. Non ci sembra dunque il caso di darne un nuovo sunto. Osserveremo solo, che la Ruxton in questo suo lavoro, davvero pregevole, si è compiaciuta assai più nel parlarci di Balzac, che della Dilecta. Difatti la figura di M.me de Berny, la Dilecta del grande romanziere. francese, resta quasi sempre nell’ombra lasciando campeggiare quella dell’amico, che l’apprezzò certo di più dopo la morte, che in vita. Se i particolari non mancano su Balzac, mancano invece quelli sulla vita che condusse la Dilecta, quando era per Onorato amica, maestra e madre. È certo però, che la gentile autrice ha un’ammirazione così comunicativa per Balzac, da far venir la voglia di leggere tutti i lavori che compongono La Comédie humaine. Di questo fatto la Dilecta ne avrebbe esultato e ne sarebbe stata profondamente grata alla Ruxton, dalla quale ci auguriamo di aver presto un altro lavoro così interessante come questo.

  (1) La Dilecta di Balzac.


  Prof. Felice La Torre, La Musica al Tribunale d’Igea, Torino, Fratelli Bocca, Editori, 1910.

 

Che cosa è la musica e quale la sua origine.

 

  p. 40. Il Balzac dice che la musica «est une autre vie dans la vie»; capace quindi di procurarci gioie e dolori, ebbrezze e godimenti senza fine, alterazioni e sconcerti organici che avvelenano l'esistenza.


  C.[esare] d.[e] L.[ollis], Geneviève Ruxton. – “La Dilecta de Balzac”. – Paris, Plon, s. d., (pp. VIII-270), Fr. 3., «La Cultura. Rivista critica fondata da Ruggero Bonghi», Roma, Serie Terza (quindicinale), Anno XXIX, N. 12, 15 Giugno 1910, p. 362.

  La donna che già matura d’anni e d’esperienza si dà allo scrittore non ancor glorioso, anzi non ancor certo e sicuro della propria vita; e si fa poi da parte per cedere il passo ad altre donne, la duchessa di Castries, Maria – che per un anno d’amore promise tutta una vita d’amore –, M.me Hanska, la futura e per soli cinque mesi signora Balzac; che sulle peripezie di codesti altri amori e su quelle della scomposta operosità del Balzac veglia maternamente, pure avendo dei propri e bene amati figliuoli da vegliare; ecco M.me de Berny, la Dilecta di Balzac, i cui tratti si ritrovano in più suoi romanzi e specialmente nel Le lys de la (sic) Vallée e dei cui benefici influssi profondamente si risentì la produzione balzachiana.

  Che romantica coppia! ma per quanto differente da quelle ufficialmente romantiche di Rousseau e M.me de Warens, B. Constant e M.me de Staël, Musset e G. Sand! Meglio forse ricorda la coppia Goethe-M.me de Stein.

  Ma, comunque, ringraziamo la signora Ruxton di averla rimessa così bene in vista, con un’arte che vien dal cuore e perciò monda di fronzoli di qualsiasi specie.


  Paola Lombroso, Due che s’incontrano, «Il Secolo XX», Milano, Anno IX, N. 3, Marzo 1910, pp. 193-197.

 

  p. 193. Dallo stesso sentimento di bontà, dallo stesso ottimismo sano è uscita questa novella, un tenue bozzetto, un semplice studio dal vero, uno di quei piccoli capolavori che Balzac diceva costruiti sulla punta di uno spillo.


  Maffio Maffii, Il romanzo e il teatro di G. Rovetta, «Il Marzocco», Firenze, Anno XV, N. 20, 15 Maggio 1910, p. 2.

  Un romanzo di Balzac ha ancora le radici attanagliate ai nostri nervi, alle nostre vene, alla nostra coscienza; un romanzo di Rovetta che leggemmo appena qualche anno fa, una commedia di Rovetta che appena vedemmo poche sere or sono, par diventata estranea alla nostra vita per il solo fatto che l’autore è scomparso dal mondo dei suoi contemporanei. Egli è già nel passato […].

  Dov’era arrivato il Manzoni, bisognava ripassarci e proprio di lì prender lena per andare innanzi; per continuare l’opera dello Zola e liberarsi dalle pastoie ch’essa tendeva agli incauti, bisognava che l’Italia avesse rifatto per proprio conto tutta la strada che dal romanticismo di Victor Hugo portava al così detto verismo di Balzac, di Flaubert e di Maupassant. […].

  Un Balzac avrebbe dato un gran colpo di spalle a tutti i ruderi crollanti, avrebbe fatto piazza pulita e vi avrebbe riedificato sopra, pezzo a pezzo, con fatica dura, l’edificio del suo mondo fantastico e della sua verità. Rovetta, che non aveva le spalle di Balzac, credé che verità suscettibile di creazione artistica fosse solamente il mondo dei ruderi che si vedeva d’intorno.


  Pietro Massari, Fuochi di bivacco, «La Democrazia. Politico – amministrativo – commerciale – letterario», Lecce, Anno XI, N. 9, 6 Marzo 1910, p. 1.

  Mi passa per la mente Balzac, e vedo il sobborgo di S. Germano, della Francia del secolo XVIII, splendido delle più ricercate bellezze femminili, allegro di tutte le vivacità, un po’ scandalose, della gioventù canzo­natoria e ...!

  Vedo e penso che il tempo ha la vita mimica degli specchi: riflette ciò che avviene nel mondo senza mutarsi o turbarsi.

  Intanto Rastignac, dal salotto è pas­sato nel circolo! ... così! ...


  Catullo Mendès, L’arte di amare di Catullo Mendès (Prima versione italiana di Federigo Verdinois), in Ovidio e C. Mendès, L’Arte d’amare. Fisiologia comparata degli amori degli antichi romani e dei parigini moderni con prefazione di Paolo Mantegazza. Versione italiana di F. Verdinois, Napoli, Società Editrice Partenopea, 1910, pp. 79-167.

 

  p. 163. Invano, per la inculcata persuasione di un’impareggiabile astuzia voi vi sforzate di essere astute; invano, dopo essere state fanciulle ingenue a dispetto dei libri letti di soppiatto e dei bisbigli nel cortile del convento, voi credete divenire quelle perverse mondane che la cronaca odierna divinizza, o peggio ancora quelle terribili Marneffe che inventò il grande Balzac: sterile speranza! leggenda! chimera!


  V.[incenzo] Morello, Balzac e Napoleone, «Le Cronache letterarie», Firenze, Anno I, N. 18, 21 Agosto 1910, p. 1.


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  L’arguto autore dello scritto De l’influence de Balzac[19] dice che, sebbene il pensiero di Napoleone domini tutta la Comedia umana e vanti tipi che hanno come il riflesso più o meno lontano del grande imperatore, pure Balzac ha poco parlato di Napoleone, peut-être à cause des opinions politiques qu’il professait, car il était ou croyait être legittimiste (sic). Ciò che potrebbe far supporre che l’incommensurabile spirito dell’autore della Comedia umana avesse posto il freno politico alla sua libera espressione nell’arte, come un piccolo spirito settario di niente altro curante che del credito e delle glorie del suo partito e della sua fazione: ciò che non è vero; e il vero, invece, è il contrario. Perché non solo Balzac ebbe il culto di Napoleone, ma ne fece grande pompa, con tutti i segni esteriori dei quali si serve la Chiesa per la glorificazione dei suoi santi; e non solo il riflesso di Napoleone è in molti tipi di finanzieri, di giornalisti, di uomini politici, di uomini di affare, ma, a un certo punto, è lui stesso, il grande imperatore in persona, che apparisce, e occupa della sua figura tutto l’orizzonte della Comedia Umana – Vedremo fra poco, come e dove.

  L’influenza di Napoleone sui grandi scrittori francesi del secolo XIX fu enorme. «Je suis destiné à être la pâture des écrivains – egli [Napoleone] aveva detto – mais je ne crains pas d’être leur victime. Quand ils voudront être beaux, ils me vanterons (sic)». Le più belle pagine di Stendhal e di Victor Hugo sono, infatti, quelle su Napoleone. – Ricordate, nella Légende des siècles, Le retour de l’empereur?

  Sire, en ce moment-là, vous aurez pour royaume

Tous les fronts, tous les cœurs qui battront sous

le ciel :

Les nations feront asseoir votre fantôme

Au trône universel.

Les poètes divins, élite agenouillée,

Vous proclameront grand, vénérable, immortel,

Et de votre mémoire, injustement souillée,

Redoreront l’autel.

  Per suo conto, più che ridorare, Balzac elevò nella sua casa, in via Cassini, un suo nuovo altare alla memoria dell’imperatore, con su la statua, che portava questa iscrizione alla base: Ce qu’il avait commencé par l’épée, je l’achèverait (sic) par la plume.

  (Per la storia delle idee, noto che il culto di Napoleone ebbe il suo momento iconoclastico dopo Sedan, per opera specialmente di Leone Gambetta, che nel discorso pronunziato il 15 aprile 1870, al banchetto de la jeunesse des écoles, diede il segno della distruzione, contro la leggenda del martire di Sant’Elena, che inoculò nelle vene della Francia ce virus de corruption et de mort qu’on appelle le culte de Napoleon (sic). E’ vero che, passato quel momento, il culto è risorto più splendido, nel mondo intellettuale, e la letteratura napoleonica si può dir la più ricca e la più attraente del ventennio). Chiudo la parentesi e ritorno a Balzac.

  Egli, dunque, fu uno dei più ardenti fautori del culto napoleonico; e si proponeva di esserne l’evangelista, col libro che, secondo lui, sarebbe stato le plus beau livre de l’époque, delle Memorie e dei Pensieri raccolti dalle Memorie di Sant’Elena e dalla Corrispondenza. «Agli occhi del popolo – egli diceva – questo libro sarà come un’apparizione: l’anima dell’imperatore passerà tutta intera dinnanzi agli occhi dei lettori. Ma per gli spiriti eletti, sarà la sua storia scritta in forma algebrica: e rivelerà l’uomo astratto, l’Idea, invece del fatto. Quest’opera sarà per Napoleone quel che è l’Evangelo per Gesù». In Balzac, voi sapete, erano due uomini, egualmente grandi: l’osservatore freddo e impassibile della realtà, e il frenetico, l’esaltato, il sognatore ad occhi aperti. E anche sapete che la vita di Balzac è il romanzo più balzacchiano della Comedia Umana. Infatti, dopo che ebbe raccolte cinquecento tra Massime e Pensieri di Napoleone, vendette il volume a un piccolo bottegaio di cuffie e berretti arricchito, che desiderava un titolo per la Legion d’onore. Il bottegaio infatti dedicò il Vangelo di Napoleone a Luigi Filippo, e ottenne la Legion d’onore. Pare un episodio inventato. Ma, al solito, il vero è che nessun artista ha la fantasia della vita.

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  Ma non solo Balzac studiava Napoleone nella storia scritta: lo studiava più e meglio nella storia parlata, nei superstiti della grande epopea napoleonica, ai quali egli si legava come i bambini fantasiosi alle nonne che raccontano le favole che non fanno dormire. E’ nota la sua amicizia per la duchessa d’Abrantès, che, come moglie del maresciallo Juart, aveva conosciuto i fati dell’impero e seguito da vicino la gloria dell’imperatore. «Questa donna – egli diceva a M.me Ancelot – ha visto Napoleone giovane ancora oscuro, poi l’ha visto elevarsi, diventare grande, occupare il mondo nel suo nome. Ella è per me come un essere beato, che venga a sedermisi accanto, dopo aver vissuto in cielo vicino a Dio». E dalle Memorie di lei, che egli potè leggere manoscritte, ed alle quali cercò e procurò l’editore, trasse gli elementi di più d’uno dei suoi romanzi. Un (sic) ténébreuse affaire, per esempio, ha le sue origini nell’affare, narrato appunto in quelle «Memorie», del rapimento del senatore Clemente de Ris, avvenuto, sotto il Consolato, per un errore commesso dagli agenti mascherati di Fouché. Così l’Envers de l’histoire contemporaine ha le sue origini nell’affare Chevalier, narrato anche in quelle Memorie: affare che risale al 1807, e n’è protagonista una dama Aguet, invasata dall’odio legittimista contro Napoleone, istigatrice di Chevalier e della sua banda nel furto delle somme spedite a Coen (sic) dai ricevitori di Argenteau e di Alençon, e quindi condannata a morte. Anche Une vendette (sic) deriva da un capitolo di quelle Memorie, nel quale sono descritti gli odii corsi di Napoleone e di Salicetti. Altri romanzi, poi, come la Femme de trente ans, La Paix du Ménage, Le colonel Chabert, la Rabouilleuse, Cousine Bette, trattano di uomini e di cose che si riferiscono all’impero e all’imperatore, sebbene l’imperatore non apparisca mai di fronte e si senta più che non si veda, da quel Dio ch’egli era nella fantasia di Balzac. Anche, nella Battaglia, il gran romanzo militare che la morte troncò in sogno, Napoleone non si sarebbe visto: e nella gigantesca concezione balzacchiana il lettore avrebbe dovuto sentire in ogni articolazione dell’esercito combattente Napoleone – dans chaque articulation de ce grand corps Napleon, que je ne montrerais (sic) pas, ou que je laisserai voir, le soir, traversant le Danube dans une barque.[20]

  Ma vi è un romanzo, in cui finalmente, l’imperatore appare in tutta la sua storia e in tutta la sua gloria, nel racconto di un vecchio legionario, in un impeto epico prodigioso, che avvicina, a un tratto, l’autore della Comedia umana, il fondatore del realismo nell’arte, agli antichi rapsodi erranti nelle terre di Grecia a cantare le gesta del Pelide Achille e a creare nel loro canto l’epopea.

  Il romanzo è Le Mèdecin (sic) de campagne. La scena, nella quale il rapsodo imperiale racconta il suo imperatore, è una capanna. Un contadino aveva finito di narrare la storia della Gobba coraggiosa, quando uno degli astanti dice al vecchio legionario: E raccontateci ora l’Imperatore! – Allora il granatiere si levò dal suo giaciglio di fieno, girò intorno lo sguardo pieno di miseria, di visioni e di dolore, proprio dei vecchi soldati, e dopo aver rigettato i suoi capelli grigi tutti da una parte della fronte, volse la testa al cielo per mettersi all’altezza dell’uomo del quale cominciava a raccontare la storia …».

  E la storia di Napoleone, nel linguaggio ora violento, ora triviale, ora mistico, ora minaccioso, ora ingenuo, ora vendicatore, del vecchio legionario altro che il dialogo tra Flambert (sic) e Marmont nell’«Aiglon!» passa trasfigurata in leggenda: storia vera, io dico, perché la storia vivente: la storia che si fa nella coscienza popolare, che diventa di generazione in generazione il patrimonio inalienabile della fantasia nazionale; mentre quell’altra, quella che si fa sui documenti, resta oscuro patrimonio degli archivi e delle biblioteche.

  Nel romanzo, pubblicato nel settembre 1833, il capitolo porta il titolo: Le Napoleon du peuple. Ma, prima che nel romanzo, quel capitolo fu pubblicato tre mesi prima, 19 giugno 1833, nell’Europe littéraire, e poi, nel 1842, a parte, in un estratto, col titolo: Histoire de l’empereur racontée dans une grange par un vieux soldat: e il successo fu enorme, tanto nel giugno che nel settembre 1833, quanto nel 1842. E del successo di Balzac dava notizia, con la sua solita gioia intellettuale a M.me Hanska e M.me Carraud, in due lettere del I.o e del 3 agosto 1833. A M.me Hanska scriveva: «Voi leggerete in un giorno questo gigantesco pezzo, che fa piangere i più insensibili e che cento giornali hanno riprodotto. Gli amici miei dicono che, da un capo all’altro della Francia, è tutto un grido di ammirazione». – E a M.me Carraud: «M.me d’Abrantès, che piange raramente, si è fusa in lacrime al disastro della Beresina nella Vita di Napoleone raccontata da un soldato …».

  E mi pare non sia altro da aggiungere alla dimostrazione, che volevo fare, cioè: che le opinioni politiche legittimiste non hanno mai impedito a Balzac di glorificare Napoleone nell’arte.

  Delle opinioni politiche di Balzac, della loro formazione e della loro influenza nella Comedia umana potremo parlare un’altra volta.


  V.[incenzo] Morello, Goffredo Bellonci, Una grande polemica. Anche un po’ di Balzac!, «Il Giornale d’Italia», Roma, Anno X, N. 357, 24 Dicembre 1910, p. 3.


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    A Goffredo Bellonci,

  Ho tardato ventiquattro ore, egregio amico e collega, a indirizzarvi questa lettera, perché ho voluto, innanzi tutto, chiedere a Firenze spiegazioni intorno a certe allusioni di ordine martirologico contenute nella perorazione del vostro articolo. Io non sono un filosofo idealista, che possa mettere a conto dell’ideale, i suoi errori di fatto; e, modesto positivista, ho il dovere di mettere a base del giudizio il dato di fatto sicuro e preciso. Ma parliamo prima di Balzac.

  Vi era bisogno di tirare in ballo anche Balzac, in questa polemica? Pare di sì, giacchè voi lo tirate. Ma io domando un po’ di pietà per il povero Carducci. Egli è morto, e non può più rispondere agli esami di licenza ginnasiale ai quali, giorno per giorno, noi lo sottoponiamo al cospetto del pubblico dei teatri e dei caffè, che si diletta a leggere i nostri fogli. E Baudelaire? e Alfredo Oriani? e Ippolito Nievo? e Balzac? Ma queste, mio caro amico, sono domande da far tremare le vene e i polsi di tutto un popolo di Pico della Mirandola: figurarsi di un igorantello, come Giosuè Carducci! […]

  «La mente critica di Carducci – voi dite, bontà vostra – è assai piccola, non vide il Balzac, non conobbe il Baudelaire, rimase sordo innanzi alla poesia francese contemporanea …». Mi pare strano, in verità, che il Carducci non conoscesse tutte queste cose che non è dattilografa o telefonista del regno che ormai non conosca, e fino al 22 dicembre, data del vostro articolo[21], tutti coloro i quali hanno conosciuto il Carducci da vicino, hanno sempre asserito che della letteratura francese antica e moderna, come della storia, egli avesse la stessa minuta ed estesa e profonda conoscenza che della letteratura italiana. Ma evidentemente quelli erano male informati. Questo, tuttavia, io posso assicurarvi, di scienza personale, quanto al Balzac: ch’egli conosceva la «Commedia Umana» quanto, per esempio, il visconte di Lovenjoul. Ma di che scienza personale io parlo? Le sue opere sono la testimonianza vivente. Non ricordate, dunque, quello ch’è scritto a pag. 285 del vol. XII? «I romanzi di Balzac hanno ingenerato il verismo: pure anche dei romanzi di Balzac si discorre e si scrive più che non si leggano»[22]. E a pag. 297, discorrendo della varia efficacia dei romanzi sul pubblico e sugli scrittori: «I «Promessi Sposi» hanno mai riscaldato o turbato gli animi degli stranieri, come i romanzi di Balzac riscaldarono i russi?» Via, siamo buoni! E diamo anche l’«accessit» in letteratura francese a Giosuè Carducci. Non basta averlo bocciato in filosofia? […]

  Questo è il vostro stile mentale: più teologico, in verità, che filosofico. «Non ricordate con quanta cura il Morello ha sottratto al genio di Onorato Balzac lo spiritualismo che pur ebbe?» Non so se altri ricordi, ma io non ricordo di essermi fatto mai reo di una così indebita sottrazione. In un mio studio, che, bene o male, ha anticipato di qualche anno gli studî balzacchiani di Francia intorno allo stesso argomento[23], io mi sono sforzato di dimostrare che il grandissimo autore della «Commedia Umana» era stato un precursore dell’antropologia criminale, e prima che questa avesse determinati scientificamente i caratteri interni ed esterni del delinquente, egli li aveva osservati, divinati, scoperti e organizzati in tipi viventi nei suoi romanzi. Che volete, mio caro amico?, colui che scriveva «à la lueur de deux vérités éternelles, la Religion et la Monarchie», aveva di queste stranezze. Non ostante fosse di principî politici legittimista, adorava Napoleone; e non ostante fosse spiritualista, spiritista, swedemborghiano, in arte era positivista. Ciò che spiega l’esclamazione di Flaubert, alla lettura della «Correspondance»: «Et il était catholique, légitimiste et propriétaire!» Che farci? Era così; e non l’ho io fatto così, ma l’eterna genitrice. In odio al positivismo voi vorreste che fosse diverso da quello che è. In nome della «libertà idealistica» createvi pure un Balzac a modo vostro. Chi può impedirvelo? Ma, credete pure, non arriverete mai a farlo così bello e possente come lo hanno fatto le forze della Natura. […].

  Ecco, di seguito, l’immediata e puntigliosa risposta del Bellonci alla lettera del Morello:

  Illustre amico e collega, vedo alle quattordici e trenta la Vostra lettera; e Vi rispondo alle quattordici e trentacinque. I Vostri argomenti son questi:

  I° non c’è dattilografa o telefonista del regno che oramai non conosca la poesia francese contemporanea, il Balzac, il Baudelaire, ecc.; […].

  3° ed è riprova di ciò [della profonda conoscenza della letteratura francese da parte del Carducci] l’affermazione del Carducci «avere i romanzi del Balzac ingenerato il verismo e riscaldato gli animi dei russi»;

  4° ed il Balzac infatti in arte era verista e positivista, se bene fosse spiritualista, spiritista e swedemborghiano;

  5° ma è chiaro che il Bellonci nega queste verità perché odia il positivismo, avendo la mente teologale; […].

  Ecco, più in dettaglio, le repliche del Bellonci ai rilievi del Morello:

  I° infatti tutte le dattilografe e le telefoniste del Regno […] conoscono qualche verso del Baudelaire, qualche romanzo del Balzac, e certamente anche la Vostra «Energia letteraria» […]. Ci vuol altro a conoscere una letteratura e alcuni autori: ci vuole senso di continuità storica, penetrazione e comprensione dei singoli spiriti degli scrittori, perfetta scienza dei particolari, e sicura facoltà di sintesi; […].

  3° […] I romanzi del Balzac ingenerarono il verismo? Oh! dove? In Francia? Ma se, a voler ritrovare la tradizione balzacchiana ci bisogna fare un bel salto sino a Giuseppe Péladan e a Maurizio Barrès – i quali sono spiritualisti e di che sorta –; ma se su la scuola dei veristi hanno avuta più influenza lo Stendhal e persino Choderlos de Laclos, come tutti gli storici della letteratura francese riconoscono; ma se nemmeno nello Zola è palese una parentela non superficiale e formale, ma intima e sostanziale con il Balzac! … la Russia? C’è da cascar dalle nuvole; poi che ogni mediocre scrittorello di gazzette sa benissimo che l’autore francese ha meglio indirizzate e suscitate le forze della letteratura russa, non è stato Balzac, ma … Giorgio Sand.

  4° E il Balzac non fu positivista. Voi stesso riconoscete che fu spiritualista, spiritista e swedenborghiano; ma dite che – non ostante ciò – fu positivista in arte. Non in «Seraphita» (sic) certo, dove lo spiritualismo, lo spiritismo e lo swedenborgismo cantano il loro più alto e forte canto; non nel «Giglio della valle» (sic); non … Ma è inutile sminuzzar in tal modo l’opera di un autore: dire, codesto è buono, codesto è cattivo; codesto è dello spirito, codesto è della materia; codesto romanzo è bello perché è positivista, e codesto è brutto perché è spiritualista. E’ stato, Voi dite, un precursore dell’antropologia criminale: e sia pur anche; ma Vi par che basti, a esser positivista, «organizzare in tipi viventi i caratteri esterni ed interni del delinquente»? Un positivista Vi avrebbe spiegato il mondo con questi caratteri; la qual cosa non ha fatto il Balzac. A comprendere il Balzac ci bisogna studiar tutta la sua opera, e tutte le diverse energie del suo spirito, e vedere in qual modo codeste diverse energie si sieno composte nelle sue opere. Ed è strana la Vostra volontà di tagliar a fette l’anima di Onorato di Balzac, e di buttar le fette che non vi piacciono.

  5° Però, dimentico di ogni discussione filosofica, Vi domando non il rispetto dello spiritualismo o dell’idealismo; ma dell’unità dello spirito di Onorato di Balzac. […].


  Neera [Anna Zuccari Radius], Vecchia Parigi, «Il Marzocco», Firenze, Anno XV, N. 27, 3 Luglio 1910, p. 1.

  Giù il piccone su tutte queste vecchie bicocche! – dice qualcuno attraversando il quartiere dell’antico Marais dove ancora occhieggiano i pignons sur rue delle costruzioni arcaiche; e via ne fuggono i personaggi di Balzac, come fuggiranno da via Visconti insieme alla grande figura di Racine le leggiadre immagini della Lecouvreur e della Clairon quando avranno abbattuto anche quella angusta straduzza.


  Neera, Una passione. Romanzo. Nuova edizione riveduta, Milano, Fratelli Treves, Editori, 1910 («Biblioteca Amena», N. 779).

 

  p. 8. — Su queste pietre camminarono Ugo Foscolo e Parini. Come noi essi vissero in una notte d’inverno pari a questa, fra queste case velate. Qui venivano a passeggiare due stranieri grandi ammiratori di Milano: Stendhal e Balzac. Balzac, lontano, invidiava ancora l’amico che poteva aggirarsi lungo il marciapiede di questo bel Corso dove abitava la donna amata ... Vi narro tali particolari perché siete poeta, chè del resto non ne varrebbe la pena.

 

  p. 231. È venuto il tempo ili rovistare nella biblioteca della contessa. Sapessi quanti libri ho trovato di Balzac di Chateaubriand, di Musset, tutti autori vecchiotti che conoscevo di nome ma dei quali non avevo mai letta una sola parola.


  Nemi [Alfredo Grilli], Tra libri e riviste. Le donne di Shakespeare, «Nuova Antologia di Lettere, Scienze ed Arti», Roma, Direzione della «Nuova Antologia», Quinta Serie, Volume CXLVI – Della Raccolta CCXXX, Fascicolo 919, 1° aprile 1910, pp. 555-558.

  pp. 555 e 556. George Moore, il noto romanziere inglese […], ha tenuto a Parigi una conferenza sull’argomento Shakespeare et Balzac […].

  Fino qual punto si somigliano e si differenziano? Il Moore trova molte rassomiglianze.


  Nemi, Tra libri e riviste. Balzac e Mme de Girardin, «Nuova Antologia di Lettere, Scienze ed Arti», Roma, Direzione della «Nuova Antologia», Quinta Serie, Volume CXLVIII – Della Raccolta CCXXXII, Fascicolo 926, 16 luglio 1910, pp. 376-377.

  Balzac fu per molto tempo in rapporti d’affari con Emilio de Girardin.

  Erano entrambi uomini troppo violenti ed autoritarii per poter andare facilmente d’accordo. Balzac, quantunque sempre in cerca di denaro, avrebbe creduto disonorarsi piegando la sua arte a questioni mercantili; De Girardin stimava la letteratura per quel tanto d’utile che portava al suo commercio. Fra i due interveniva a metter pace la signora De Girardin.

  La prima lite rimonta al 1834 quando Balzac, che non scriveva più per la Mode, aveva dato a riprodurre altrove articoli già pubblicati in quel giornale. Emilio reclamava la sua proprietà; Balzac non gliene voleva riconoscere il diritto; si infuriarono fino a dirsi tali cose per le quali ordinariamente si ricorre al duello. Delfina, da donna di spirito quale era, diede torto a tutti e due, e quando stimò svanita la collera, quindici giorni dopo, scrisse a Balzac invitandolo a pranzo per il giorno di Pasqua.

  Era troppo presto. Il romanziere non accettò l’invito. Delfina non si dette per vinta: approfittò di una assenza del marito per invitare l’amico a colazione: «Vous trouverez – gli diceva – de beaux yeux noirs qui vous feront mille agaceries délicieuses». Erano quelli di Mme O’ Donnell. Anche questa volta Balzac rispose no. «Les regrets que j’éprouve sont causés autant par les yeux bleus et les blonds cheveux d’une personne qui, je crois, est votre meilleure amie, et dont je ferais volontiers la mienne, que par ces yeux noirs coquets que vous me rappelez, et qui, en effet, m’ont impressioné (sic): mais je ne puis».[24]

  E la pace fu conclusa soltanto quando Delfina ebbe composto un piccolo romanzo, una fantasia intitolata La Canne de M. Balzac, intessuta da aneddoti cari al romanziere, il quale ci teneva il suo enorme bastone ornato di braccialetto, vero «bâton de maréchal des lettres». Balzac gustò lo scherzo e si rappacificò.

  Nella lettera che subito gli (sic) mandò gli elogi non mancano: «Vous êtes au moins aussi forte en prose qu’en poésie, ce qui, dans notre époque, n’a été donné qu’à Victor Hugo».[25]

  Poco tempo dopo la scrittrice tenuta in così alta considerazione da Balzac, assunse lo pseudonimo di Visconte Charles de Launay per improvvisarsi chroniqueur nella Presse e creò quel genere nuovo dove rimase senza rivali.

  Fu fatta così la pace tra Balzac e Emilio de Girardin, il quale per gareggiare di magnanimità gli permise di dare scritti anche al Figaro quando voleva.

  Delfina era felice d’aver riconquistato il suo grande amico, che per conto suo tornò volentieri in casa di lei soffermandosi a contemplare gli occhi neri della Donnell e gli occhi azzurri della Girardin, che facevano a gara nel sorridergli.

  Fu un moneto di pace per Balzac, al quale anche Lamartine, che abitava nella stessa via dei Girardin, faceva festa, sì che voleva anche farlo entrar all’Accademia e poi attrarlo nella politica. Balzac non abboccò, essendo impegnato a fondo in molti lavori ai quali non bastavano la sua prodigiosa pertinacia e fecondità.

  Ma i rapporti fra l’editore esigente e l’autore non potevano rimanere a lungo tranquilli: risorgevano i dissapori e i litigi: invano Delfina metteva in opera tutto il suo tatto e si moltiplicava prodigiosamente per vincere la collera dell’uno, per calmare la suscettibilità dell’altro: venne il giorno in cui dovè cedere alla forza degli avvenimenti e la bella amicizia fu spezzata per sempre. – Era nel 1847.

  Balzac che aveva dato al giornale fin dal dicembre 1844 la prima parte del suo romanzo Les Paysans, non poteva decidersi a scrivere il resto: egli non aveva più fede in questo suo lavoro. Esso d’altronde non aveva avuto fortuna, avendo suscitato delle proteste da parte della clientela della Presse, sì che il Girardin aveva fatto annunziare che dopo pubblicata la prima parte dei Paysans avrebbe incominciato la pubblicazione della Reine Margot di Dumas padre.

  Ciò spiacque grandemente a Balzac, ch’era geloso del fervore goduto dall’autore dei Tre Moschettieri. Ma neanche egli seppe dare al tempo convenuto il resto dei Paysans, sicchè il Girardin ne lo sollecitò con una lettera vivace. Balzac gli mandò in cambio La dernière incarnation de Vautrin. Al giornalista non piacque, sicchè gli scrisse: «Se potete senza vostro incomodo rimborsar la Presse della somma anticipata, rinunzio volentieri ai Paysans».

  Questo colpo fece reagire Balzac, il quale protestò di non voler più avere alcun rapporto col Girardin e di volerlo rimborsare al più presto. Il che fece e tutto fu finito tra i due.

  Un particolare finanziario ci è dato dal Séché. Nel 1839, Balzac aveva dalla Presse cento franchi per appendice di 240 linee, più tardi ebbe una più forte somma, senza però mai raggiungere, né in questo né in altro giornale, i prezzi di Dumas e di Eugenio Sue.

  Anche l’amicizia per Delfina finì, malgrado tutta la fatica durata da lei nel mantener la pace fra suo marito e il grande scrittore: già dal 1841 gli occhi di Mme O’Donnell si erano spenti e quel po’ di charme che rimaneva agli occhi azzurri, svanì dopo questo malaugurato incidente.

  Il fatto è però che, quando Balzac morì, Delfina svenne udendone la triste novella.


  Nemi, Tra libri e riviste. I busti di Rodin, «Nuova Antologia di Lettere, Scienze ed Arti», Roma, Direzione della «Nuova Antologia», Quinta Serie, Volume CXLVIII – Della Raccolta CCXXXII, Fascicolo 928, 16 agosto 1910, pp. 730-732.

  pp. 731-732. Ammirabile è la serenità e la benevolenza con cui Rodin parla dei suoi contemporanei. Si ricorda il caso in cui il suo «Balzac» fu rifiutato dalla «Société des Gens de Lettres» che lo aveva incaricato del monumento. Fu chiamato ad eseguirlo Falguière.

  «Falguière, à qui la commande fut alors confiée, tint à me témoigner par son amitié qu’il n’approuvait nullement mes détracteurs. Par réciprocité de sympathie, je lui demandai de faire son buste. Il le trouva d’ailleurs fort réussi quand il fut achevé ; il le défendit même, je le sais, contre ceux qui le critiquaient en sa présence ; et, à son tour, il exécuta le mien qui est très beau».


  Nemi, Tra libri e riviste. La «Maison de Balzac», «Nuova Antologia di Lettere, Scienze ed Arti», Roma, Direzione della «Nuova Antologia», Quinta Serie, Volume CXLIX – Della Raccolta CCXXXIII, Fascicolo 931, 1° ottobre 1910, pp. 521-522.

  Rue Raynouard, a Passy. Al tempo in cui Balzac l’abitava, dal 1840 al 1848 essa era Rue Basse, senza ragione d’altronde poiché essa è situata lungo la sommità della collina di Passy. La casa non è visibile dalla strada, né vi si accede direttamente. Bisogna discendere due piani, traversare un cortile, e là si può sonare il campanello. Senza attardarci dapprima nelle camere dei ricordi, entriamo nel giardino. Un busto di marmo, scolpito da Falguière, si affaccia e vi guarda con l’aria di pensare intensamente ad un’altra cosa. Sul collo deforme la testa è leggermente inchinata a destra turgida e un poco torta, le sopraciglia contratte. Vi si scorge l’espressione di un uomo che pensa e si getta immediatamente nell’azione.

  Si giunge poi sulla terrazzina da cui s’intravede, traverso un fogliame già scarso e tremolante in una luce rosea anch’essa tremolante, la città immensa.

  La vicina di Balzac era Parigi. Come egli ha vissuto la vita della città! Come ha detto il turbine grandioso delle passioni che l’agitano: l’ambizione, l’amore, il danaro. Ahimè! sopratutto il danaro.

  Certo, egli l’ha vista ignobile nei particolari, ma nell’insieme come bella e grande!

  Dopo ciò, che cosa possono ancora darci la tavola e il calamaio del grand’uomo? Si guardano distrattamente i ritratti, i busti, che non cancellano più l’imagine di quello di Falguière, e le illustrazioni dei libri ch’egli scrisse qui: la Cousine Bette, le Cousin Pons, Une Ténébreuse affaire, Mercadet, la Rabouilleuse. Se voi cercate bene, vi trovate forse fra le pagine un ricordo della Rue Basse a Passy.

  «Ma che dire di questa camera qualsiasi, scura, con un camino di marmo nero, e due indecenti finestre colorate con carta trasparente? – si domanda un visitatore che scrive nel Journal de Genève. – Vi manca decisamente un ritratto della contessa Hanska: ma il museo è sorto recentemente e penso che ciò verrà.

  Nella sala vicina, senza pietà adornata di stampe picchiettate ai lati trovo in una vetrina alta, fra alcuni libri, una caffettiera e una tazza, particella vibrante di vita, un calco in gesso della mano di Balzac. Una mano tipica, corta, grassa, rotonda, coperta di rughe minute, con le dita rigonfie e affusolate.

  Giungo alla terza sala più scura, ove un pezzo di carta bianca forma una macchia vistosa nel mezzo di un terso specchio, e vi leggo queste parole di una lettera a M.me Hanska.

  «En somme, voici le jeu que je joue : quatre hommes auront eu en ce siècle une influence immense : Napoléon, Cuvier, O’Connell. Je voudrais être le quatrième. Le premier a vécu du sang de l’Europe, il s’est inoculé des armées : le second a épousé le globe, le troisième s’est incarné un peuple. Mais j’aurais porté une société entière dans ma tête. Autant vivre ainsi, que de dire tous les soirs pique à tout cœur».

  Vi si riconosce l’uomo com’egli fu, di una grande presunzione, che non gli aliena gli amici, e la folle grandezza dei suoi progetti che seppe realizzare in sì gran misura».

  Balzac lasciò la sua casa di Passy nel 1848 per andarsene in Russia a sposare M.me Hanska, ritornare in Francia e morirvi. Adunque là, al n. 47 di via Raynouard, la Società degli «Amis de Balzac» volle riunire le reliquie del grand’uomo. Scrivendo alla Società si può ottenere l’onore di esserne membro, insieme ai più illustri letterati francesi.

  Il conservatore, M. de Royaumont, al quale si deve se la casa fu salvata dalla speculazione e consacrata al suo grande inquilino di pochi anni, accoglie i visitatori con vera gentilezza e fa gli onori del suo museo, manifestando il gran desiderio ch’egli ha di vederlo crescere e completarsi.


  Enrico Nencioni, Saggi critici di letteratura inglese di Enrico Nencioni con prefazione di Giosuè Carducci. Seconda impressione, Firenze, Successori Le Monnier, 1910.


  Roberto Browning, pp. 1-18.

  p. 7. Cfr. 1867.

  L’anello e il libro, poema di Roberto Browning, pp. 19-35.

  p. 33. Cfr. dicembre 1885.

  Aurora Leigh, poema di Elisabetta Barret Browning, pp. 54-76.

  p. 54. Cfr. 1884.

  I poeti americani, pp. 99-126.

  pp. 124-125. Cfr. Agosto 1885.

  Nel primo centenario di Percy Bysshe Shelley (1 Agosto 1892), pp. 251-268.

  pp. 259; 267. Cfr. 1892.

  Lettere inedite di Thackeray e Dickens, pp. 343-346.

  p. 344. Cfr. 1887.

  Marzials, Vita di Dickens, pp. 370-380.

  pp. 377; 379. Cfr. 1888.

  Wedmore, O. Balzac, pp. 428-435.

  Cfr. 1890.


  Alfredo Niceforo, Le Roman policier (I), «La Revue (Ancienne “Revue des Revues”)», Paris, XXIe Année, Vol. LXXXV, VIe série, N° 8, 15 Avril 1910, pp. 433-449.


Le détective dans le roman.

  pp. 434-435. Le roman policier a créé une foule de grands détectives : ils peuvent cependant se grouper en un nombre bien limité de types.

  Le type, d’abord, de l’homme rusé, diabolique, sachant entourer de toute sorte de pièges l’individu auquel il donne la chasse : c’est le type de l’agent Corentin, de Balzac. […].

  Mais il y a finalement le type qui connaît les ruses et les stratagèmes de Corentin ; qui sait, en même temps se servir de ses prodigieuses facultés de logiques ainsi qu’un Dupin [E. A. Poe] ; […] c’est le type créé par Gaboriau [l’agent Lecoq] dans ses romans […].

  p. 447. Ni le Corentin de Balzac, ni le Dupin de Poe […], ni Mylord […] n’ont jamais donné preuve de l’habileté des agents de Gaboriau – Lecoq et Tabaret – dans les recherches, l’analyse, et l’interprétation de différentes traces, – les traces négligeables – trouvées sur le théâtre du crime.


  Ugo Ojetti, [Sala] 7. – Mostra individuale di Gustave Courbet, in AA.VV., IX. Esposizione Internazionale d’Arte della città di Venezia 1910. Catalogo. Terza edizione, Venezia, Premiato Stabilimento Carlo Ferrari, 1910, pp. 42-46.

  p. 43. Quelle sue [di G. Courbet, «pittore della verità vera»] non annunciavano una nuova tecnica, un nuovo modo di vedere o di dipingere: le sole novità che in pittura valgano e meritino d’aver seguaci. Esse predicavano soltanto un soggetto di pittura abbastanza nuovo nel 1850 – la società contemporanea – e lo predicavano quando Balzac aveva già scritto la Comédie Humaine e quando già da molti anni Corot e Rousseau avevano insegnato che significasse dipingere dal vero.


  Domenico Oliva, Cronaca di Politica, «Rivista di Roma», Roma, Anno XIV, Fascicolo I, 10 di Gennaio del 1910, pp. 25-29.

 

  p. 27. Il Balzac, profeta di tutto, fa dire da uno dei suoi personaggi, nel Mercadet: «Monsieur, je suis socialiste». E Mercadet si chiede: «Quelque nouvelle est reprise?».


  Domenico Oliva, Gerolamo Rovetta, «La Lettura. Rivista mensile del Corriere della Sera», Milano, Anno X, N. 7, Luglio 1910, pp. 577-588.

  p. 582. Ma soprattutto si curava dei suoi tipi, e soprattutto del portinaio Pompeo Barbetta […]. Aveva finito per credere alla verità storica dell’episodio! Così, se il paragone è lecito, il Balzac: «Eh, maintenenat, cher ami, revenons à la réalité, parlons d’Eugènie (sic) Grandet. Vous savez cette demoiselle …».

  E a proposito del Balzac: in quel tempo il Rovetta leggeva tutti i romanzi che gli venivano sottomano, antichi e moderni, celebri e dimenticati […]. […]

  Da molti anni si predicava: Verità, verità! […] in Francia strepitavano i successori del Balzac e fondavano il naturalismo e la critica s’era chiamata Sainte-Beuve e si chiamava Taine […].


  Il Traduttore [Tullio Panteo], [Prefazione], in Onorato di Balzac, Aforismi sull’amore … cit., [p. 3].

  Di Balzac è già stato detto nel volumetto ventesimo di questa istessa biblioteca.[26] Inutile ricordare ch’egli fu il più grande romanziere francese, più di Victor Hugo che pur trovò l’opera Balzacchiana ormai gigantesca, più di Zola che da quell’opera è partito per costruire il mirabile ciclo dei Rougon-Marquart (sic), più di Maupassant e di Flaubert. Si può dire che Egli sia stato il grande geografo delle passioni, nelle quali penetrò impavido e sicuro compiendo uno sforzo critico spaventoso.

  L’editore Flouspiaux di Parigi [?] ha pubblicato un’edizione completa che forma 120 volumi. Un ammiratore ha calcolato a 5009 i personaggi animati dal genio di Onorato di Balzac. E questo volumetto, fra i suoi minori, è certo il più significativo, perché comprende tutto il materiale profondo e novissimo sul quale, più tardi, l’autore costrusse quel capolavoro che è la «Fisiologia del matrimonio».


  Giuseppe Sebastiano Pelczar, Pio IX e il suo pontificato sullo sfondo delle vicende della Chiesa nel secolo XIX. Ritratti di Giuseppe Sebastiano Pelczar [...]. Versione italiana sulla seconda edizione polacca. Volume II, Torino, Libreria G. B. Berruti, 1910.

 

  p. 422. [...] Balzac, i due Dumas, Paolo de Coq (sic), Eug. Sue, Vittorio Hugo, Zola ecc. proclamavano l’emancipazione del corpo e l’apoteosi delle passioni. Questi furono che prepararono la caduta della Francia.


  Concetto Pettinato, Libri, Editori ed Autori. […] I nipoti di Balzac, «La Lettura. Rivista mensile del Corriere della Sera», Milano, Anno X, N. 10, Ottobre 1910, pp. 924-930.

  pp. 929-930. Nell’Italia più «evoluta» si preferiscono invece i romanzi moderni e sensazionali, con morti che risuscitano e fatali amori. Solo a leggerne i titoli, all’onesto acquirente dovrebbe accapponarsi la pelle. E’ il famoso «petit frisson». Ghirlanda insanguinata, Il molino della morte, La mano del defunto, La testa del Cardinale, La vedova dai 100 milioni, Amore mortale, Amor proibito, Lagrime di sangue: resme tragico, su cui imperano Carlo Méreouvel e Carolina Invernizio, nipoti di Balzac, per parte di Giovanni [?] Vautrin. […].

  Capisco: i letterati – chiamiamoli tutti letterati, in blocco, a dispetto della fisima di cui sopra, anche quelli che discendono da Vautrin e anche quelli che compilano: Re dei cuochi – hanno il torto di mettere al mondo cotesti altri 900 rampolli.


  G. Attilio Piovano, Su la storia della coltura greca. Divagazioni, «Luceria. Pagine mensili di storia, lettere ed arti», Lucera, Anno I, N. 7-8, Agosto-Settembre 1910, pp. 179-192.

  p. 180. Dal momento che tutta intera la letteratura francese non fini­reste di leggere mai, non leggetene niente, neanche un romanzo di Balzac.


  Marco Praga, La biondina. Romanzo, Milano, Fratelli Treves, Editori, 1910 (1893) («Biblioteca Amena», N. 735).

  Io già, lo confesso, son per la nuova scuola naturalistica. […] Amo un po’ meno gli impressionisti […]. Aborro i simbolisti […]. Ai romantici poi, non ò mai fatto l’onore di riceverli in casa mia. […] Della roba vecchia poco o nulla: un po’ di Balzac e un po’ di Flaubert, perché è roba vecchia che è sempre nuova. E basta!


  Ernesto Regazzoni, Idee colorate, A zonzo traverso 10.000 mq. di pittura, «La Stampa», Torino, Anno XLIV, Num. 146, 28 Maggio 1910, p. 3.

  E quanti piccoli drammi di famiglia, quante singolari scenette domestiche, quanti eleganti déshabillés ed … ultra déshabillés ci sarebbero stati per sempre sconosciuti senza il curioso occhio di questi pittori, ai quali non manca che l’anima di Balzac, per darci, corrispondente in colori, il grande romanzo della Commedia Umana.


  Rodolfo Reiner, Scorrendo il carteggio dello Stendhal, in Svaghi critici di Rodolfo Reiner, Bari, Gius. Laterza & Figli Tipografi-Editori-Librai, 1910 («Biblioteca di cultura moderna», 39), pp. 301-324.[27]

  pp. 320-321. Vivente, il Beyle non ebbe fortuna con le sue opere d’arte. Appena negli ultimi anni venne ad inebbriarlo l’elogio esageratissimo del Balzac, in seguito al quale stava per concludere un contratto lucroso con la Revue des deux mondes, quando, pochi giorni dopo, il 23 marzo 1842, lo coglieva la morte. […].

  L’elogio sperticato che della Chartreuse de Parme fece il Balzac, conciliò al Beyle le simpatie dei veristi, ultimo dei quali scese in campo ad esaltarlo, ma con più criterio e più moderazione del Balzac, lo Zola.


  Sante Roberti, La base psicologica della questione meridionale, «Scintilla ... giudiziaria-settimanale-illustrata», Napoli, Anno V, N. 213, 21 Luglio 1910, p. [8].

 

  Su: Umberto Fiore, La base psicologica della questione meridionale, Roma, Ascoli, 1910.

 

  Egli ha sentito che un personaggio di Balzac vive ed è logico, perché si muove accompagnato, seguito, quasi spinto dalle generazioni, che lo hanno preceduto e da quella di cui è partecipe, e che i creatori dei tipi che agitano e palpitano nei libri non hanno mai trascurato l’elemento storico nel plasmare la loro psicologia.


   F.[ederico] de Roberto, Il giglio della valle. Balzac e la signora di Berny, «Il Giornale d’Italia», Roma, Anno X, N.3, 3 Gennaio 1910, p. 3.


GIORNALE D'ITALIA 03-01-1910


  «L'amore ha i suoi genii ignorati, come la guerra ha i suoi Napoleoni, come la poesia ha i suoi Chénier, come la filosofia ha i suoi Descartes ...». Chi scrisse questa sentenza? Un genio dell’amore, precisamente; ma non ignorato, celebre anzi, e glorioso, ed immortale; un genio dell’amore e dell’in­telligenza e della fantasia e di tutto le fa­coltà dello spirito; il più profondo ricerca­tore della realtà, il più formidabile creatore di anime, il più fedele storiografo del cuore umano: Balzac. Un desiderio, una speranza, un bisogno occupò tutta la sua vita, dall’a­dolescenza alla gioventù ed alla maturità non alla vecchiaia, che gli fu risparmia­ta —: il desiderio, la speranza, il bisogno di amare. A venti anni come a quaranta od a cinquanta, un grido proruppe dall’anima sua: «Essere amato! Essere amato! ...». Disperando di ottenere l’appagamento dell’ardentissima brama, la morte gli parve, preferibile; «Oh, sentirsi nato per amare, per rendere felice una donna, e non averne tro­vata nessuna! ... Portare tesori con sè, e non poter incontrare una fanciulla a cui farli ammirare! ... Ho voluto uccidermi dalla disperazione ... Ho voluto conquistare la gloria e lavorare in silenzio per l’amante che speravo d'avere un giorno ... La mia vocazione su questa terra è amare, anche senza speranza ... C’è in me il culto della donna ed un bisogno d’amore che non è stato mai interamente soddisfatto ... Consacrarmi alla felicità di una donna è per me un assiduo sogno, che mi dispero di non potere raggiun­gere ... Non vi saranno dunque donne per me?....».

  Ve ne furono parecchie. Ma quali? Ahimè! ...

***

  L’intima vita del grande scrittore è nota nelle sue grandi linee. Genoveffa Ruxton non fa tuttavia opera inutile narrandola oggi ancora una volta in un libro particolarmente dedicato alla «Diletta di Balzac», alla straordinaria creatura che consolò la giovinezza, che assicurò la gloria del roman­ziere. Fra le duchesse di Castries e le contesse Hanska, fra le Caroline e le Luise, fra le donne fredde e vanitose, stupide e ma­ligne, Balzac ebbe la singolare ventura di incontrare prima d’ogni altra questa Laura di Berny che fu per lui «qualche cosa di più che tutto quanto una creatura umana può essere per un’altra creatura umana»; che lo sostenne «con la parola, con l’azione, con la devozione, durante le maggiori tempeste»; cui potè dare i titoli di «anima della mia vita», e di «mio sole morale».

Pensate: il giovane artista che porta tutto un mondo nel cervello vulcanico, ma che il mondo reale ignora, ha fallito alle prime prove: invano ha vegliato le sue notti, nella fredda e nuda soffitta, dinanzi alla metro­poli fervida d’una vita alla quale si strugge di partecipare, che si sente anzi capace di dominare; con un secreto terrore ha visto appressarsi il termine assegnatogli dalla famiglia per riuscire nelle lettere o per ri­nunziare ad ogni altro tentativo e tornare agli scartafacci del leguleio; giunta la sca­denza fatale, ha provato il fascino della morte, ha pensato di darsela, l’ha vista guadagnargli il cuore ed il pensiero; con le ro­vine dei suoi sogni e con l’orrore della sua disperazione si è ridotto nella solitudine di Villeparisis, si è chiuso nella vecchia e ca­dente e triste casa patema, accanto al ge­nitore che non lo intende, senza più il con­forto della dolce sorella andata a marito. Tutto gli manca — ed ecco che a un tratto egli tutto ottiene, ottenendo l’amore d’una donna che è la grazia e la saggezza, l’ispirazione e l’abnegazione, l’ebbrezza dei sensi e la gioia dell’anima; d’una donna che sostie­ne la sua volontà vacillante, che sprona le sue energie fiaccate, che gli addita l’altissima meta, che gli infonde nuovo desiderio e nuova capacità di raggiungerla. Per amore di lei si rimette al lavoro, guidato e soste­nuto da lei rientra nel mondo, confortato da lei inizia l'impresa tipografica per farsi una posizione indipendente; visitato ogni gior­no da lei, per due buone ore, in mezzo ai torchi, nell'aria viziata dello stabilimento, fra la carta sporca e i discorsi volgari e i conti che non tornano, resiste alla fatica, alla nausea ed allo scoraggiamento; quando l’impresa minaccia rovina è lei quella che vi mette dentro nuovi capitali; al fallimento, è ancora lei, è soltanto lei che gli resta a fianco, che lo salva ancora una volta, che lo restituisce all'arte, che discute i piani dei suoi romanzi, che corregge finanche le sue bozze di stampa. Tutto, tutto, ella è realmen­te tutto per lui: ispiratrice, collaboratrice, giudice, socia, segretaria, amica, amante, sorella, madre ... Madre, anche — e pur troppo!

***

  Il nome di Laura di Berny appare la pri­ma volta nell’epistolario di Balzac quando egli annunzia che una figlia di lei, moglie del signor Michelin, ha partorito. Questa amante è avola! Ha quarantatré anni, quan­do egli ne ha ventuno! Qui è l’insidia tesa dal destino. Concede esso bensì all’assetato la fonte a cui potrà dissetarsi; ma quando la sete sarà ancora ardentissima, la ve­na si disseccherà. Questo amore che dura dodici anni, durerebbe tutta la vita se la donna non volgesse al tramonto quando il giovane non è ancora al meriggio.

  Ange plein de beauté, connaissez-vous les rides

  Et la peur de vieillir, et ce hideux tourment

  De lire la secrète horreur du dévouement

  Dans des yeux où longtemps burent nos yeux avides ?

  Ange plein de beauté, connaissez-vous les rides ? …

  [Citazione tratta da Ch. Baudelaire, Réversibilité].

  La prima ad affrontare la catastrofe è la creatura apparentemente più debole. L’anima grande e forte vibrante nella forma de­licata e soave accetta la sorte inevitabile con un coraggio straordinario, con un biso­gno d’immolazione. Sarà mai possibile che ella faccia pesare la propria vecchiezza sul giovane a cui ha voluto spianare tutte le vie, a cui ha voluto assicurare tutte le fortune? ... Il suo ufficio è finito. Ma no: ve n’è ancor un altro, terribile. Sparire non sarebbe grave, restargli a fianco per continuare a consigliarlo, come un’amica, come un amico, sarebbe quasi dolce. Bisogna invece es­sere spettatrice e confidente delle sue nuo­ve passioni: bisogna esortarlo a trovarsi un’altra donna che prenda il posto suo proprio. Si può immaginare strazio maggiore per una amante coi capelli canuti, ma tutta ardore nell’anima?

  E la pena dell’uomo è appena minore. Quando egli ha giurato a costei: «Et nunc et semper», non ha detto per dire, con una restrizione mentale, aspettando di liberarsi. Se tale fosse stata la sua intenzione, non gli sarebbe mancato il tempo di effettuarla du­rante i dodici anni che passano fra il qua­rantatreesimo e il cinquantesimoquinto natalizio della Diletta. Egli non può esserle rimasto tanto a lungo esemplarmente fede­le, non può aver continuato a vederla, vec­chia di oltre mezzo secolo, quale gli appar­ve la prima volta, senza una profondità, una sincerità, una santità di sentimento che ha pochi esempii, se pure ne ha. Il giovane che chiedeva un amore unico ed eterno a venti anni non è divenuto, con l’età, capriccioso, volubile, libertino; è anzi più serio e grave che mai, tutto assorto nel lavoro titanico, capace di lunghissime castità, bisognoso di credere all'immortalità dell’amore. L’amo­re suo primo è durato dodici anni, il nuovo ne durerà diciannove, finirà con la stessa vita. La sua opinione è che «un amore du­raturo forma la miglior lode degli amanti, e fornisce la prova più evidente d’una superiorità secreta, ma destinata a procurare i migliori piaceri; quelli del cuore, che rias­sumono tutti gli altri e portano fino all’e­stasi ed alla conoscenza di Dio».

  Se un giorno, pertanto mentre si crede sicuro di non aver più nulla da chiedere al­la vita, si ritrova ad un tratto – perché la prodigiosa conservazione della signora di Berny finisce in una quasi improvvisa rivin­cita della natura e del tempo lungamente ingannati — se egli si ritrova dinanzi ad una donna che non è più donna, ad un es­sere senza sesso, ad una povera, vecchia ver­gognosa della sua vecchiezza, ne soffre con lei, come lei, quanto lei. E non la lascia. Ella stessa gli si sottrae. E’ lei quella che lo costringe a riconoscere la necessità della separazione, che quasi lo spinge in braccio ad altre donne ... Senza dubbio, egli ha il genio dell’amore; ma nell'amore ella porta qualche cosa di meglio che il genio: porta l’eroismo. Ciò che sacrifica all’uomo amato è qualche cosa di più che la vita stessa: è l’amor proprio. Ella reprime la gelosia, nasconde la mortificazione, soffoca l’urlo del dolore, per compiacersi dei nuovi trionfi – maternamente.

***

  E qualche cosa dispiace nel contegno di lui. Diciamolo noi, poiché Genoveffa Ruxton non ha voluto dirlo. Esaltando con un lin­guaggio altamente poetico le due impareg­giabili anime, ella ha forse voluto rispar­miare a Balzac qualunque critica per non essere sospettata di obbedire ad interessi di sesso. Chi è stato accusato di aver attribui­to agli uomini le migliori qualità nelle coppie amanti, ha il dovere di additare le ecce­zioni. Vi sono eccezioni; vi sono donne, co­me Laura di Berny, alla cui altezza sentimentale e morale non arriva neppure un Balzac.

  La vita ha i suoi diritti, è vero, a trentatré anni, con lo spirito fervido ed il cuore sensibile che la natura gli ha dati, con la stessa necessità di sentire per ideare, l’autore della «Commedia umana» non può chiu­dersi in un romitaggio a piangere sulla vec­chiezza della sua donna. E’ tanto più diffi­cile fargli una colpa d'avere accolto un nuo­vo sentimento, quanto che, sul punto di con­fessarlo a colei che lo ha ispirato, egli le dichiara la forza dell’amore antico. Ma non potrebbe egli fare qualche altra cosa anco­ra — diciamolo più precisamente: non dovrebbe nascondere alla sciagurata questa sua nuova passione? Una secreta voce non gli dice che, nonostante il sacrificio da lei compito, l’anima memore nel corpo disfatto non può rassegnarsi senza uno spasimo atro­ce alla dura necessità, quantunque ricono­sciuta, comunque accettata? La sua scienza del cuore non lo avverte che Laura di Berny deve sentirsi morire quando egli le confida che Eva di Hanska personifica il suo nuovo sogno di amore? ... Ella sta ad udirlo con un sorriso di compiacimento; ma una voce di protesta le sale alle pallide labbra: «No, tu t'inganni; no, tu non ritroverai più, mai più, ciò che io ti diedi ... Ella soffoca la voce, per non menomare il merito del sacri­fizio, per non togliere all'adorato il conforto dell’illusione, per la certezza altresì che un giorno egli stesso le renderà giustizia ...

  C’è una giustizia. Egli che non ha rispar­miato la tragica vittima del tempo inesora­bile, si vede e si sente invecchiare a sua volta quando più vorrebbe esser certo di poter sedurre la nuova amante: i suoi capel­li cadono a ciocche e incanutiscono, il suo corpo si sforma nella pinguedine, tutta la sua persona fisica perde quel poco di grazia che ebbe in gioventù — senza che l’amante nuova dissipi le sue paure. Chi lo rassicura, chi lo consola delle pene che costei comin­cia troppo presto ad infliggergli, è ancora l'altra, è ancora Laura. «Sii la mia Beatri­ce! grida egli ad Eva; ma Eva fa troppo onore al suo nome e gli procura disinganni tali che lo fanno pensare a darsi la morte. Chi lo salva è ancora l’altra, la prima, la sola. «Il mio amore» — sono parole di lui — «è stato compreso da una sola donna  l’«Est nunc et semper» della dedica di «Lui­gi Lambert». Nodo eterno, e nodo in­franto! …».

***

  Per buona sorte egli ripara l’errore, da par suo. Dopo che il nodo è infranto, quan­do la mano della morte si stende sulla di­letta, mentre quel povero cuore sfiancato dai palpiti troppo frequenti e troppo violenti si torce nelle convulsioni dell’agonia, il genio dello scrittore gli infonde la vita eterna del­l’arte. Più e più volte, in «Luigi Lambert», nella «Peau de chagrin», in «Madame Firmiani», altrove ancora, quando ha dovuto rappresentare una creatura d’elezione, egli ha tratto l’ispirazione da lei, ha abbozzato il suo divino profilo. Ma non gli basta; sen­te di non averla ancora messa nello splendo­re che le conviene. Ed ecco il prodigio com­pirsi. «Fiore di solitudine» ha egli chiamato un giorno la Diletta; negli ultimi gior­ni di lei l’immagine si fa più precisa: ella diventa il «Giglio della valle». Tutta la gioia, tutto il dolore, tutta la tenerezza, tutta la pietà che egli ha provato per virtù sua sono fermati in questo libro, per sempre. Affinchè non si dubiti dell’identità della pro­tagonista, egli attesta in una lettera ad Eva di Hanska che il personaggio di Madame de Mortsauf è un «pallido ritratto» della sua prima ispiratrice.

  E la Diletta ha questo supremo conforto: di poter leggere il libro prima di chiudere gli occhi. L'ultima lettera che gli scrive ri­vela il senso d’orgoglio, di felicità, di trionfo provato alla lettura del capolavoro. Smorta, morente, distrutta dagli anni e dal male, ella vi si è potuta riminare quale fu una volta, quale apparve al giovane estasiato. Che può il tempo contro questa figura ideale? La sua bellezza non sfiorirà mai, sfolgorerà eternamente, incorrotta, incorruttibile.

  E per una estrema civetteria di agonizzante, ella ricusa di ricevere l’amante dei giorni lontani. «Non venite», gli risponde, quando egli sollecita il permesso di andarla a trovare; «non venite, faccio paura, aspettate che un’illusione di salute mi sia restituita». Ma, in verità, per suo conto, non aspetta nulla. Ora può morire, ora l’aneurisma può arrestare il moto del suo gran cuore. La gloria del suo romanziere è assicurata, la memoria dell’amor loro è tramandata alle generazioni più tarde. Esalando l’estremo respiro, ella può ripetere a sua volta, con la Paolina di «Luigi Lambert»: «Io ebbi il suo cuore; vada il suo genio a Dio …».


  F.[ederico] de Roberto, La Messa di nozze, «Nuova Antologia di Lettere, Scienze ed Arti», Roma, Direzione della «Nuova Antologia», Quinta Serie, Volume CL – Della Raccolta CCXXXIV, Fascicolo 934, 16 novembre 1910, pp. 193-212.

  p. 196. Sai che lo ha detto anche Napoleone: il matrimonio non è istituzione fondata su leggi di natura, e Balzac lo ha scritto in fronte alla sua Fisiologia.


  M.[ario] Roques, G.[uido] Biagi, Honoré de Balzac. 1799-1851 (sic), in Trois siècles de littératures française … cit., p. 144.

  Né à Tours, clerc de notaire, puis imprimeur, malheureux dans ses affaires, Balzac a travaillé toute sa vie pour payer ses dettes, et ces préoccupations pécuniaires devenues une sorte d’idée fixe, se retrouvent à chaque pas dans ses ouvrages. De ce labeur écrasant, qui a abrégé sa vie, est sortie une œuvre colossale, la Comédie humaine (Scènes de la vie privée, de la vie provinciale [sic], de la vie parisienne, de la vie de campagne, de la vie politique, de la vie militaire, études philosophiques) ; c’est un tableau de la société étudiée dans ses types les plus expressifs de toutes les conditions. Balzac veut peindre les hommes de son temps tels qu’ils sont, en naturaliste plutôt qu’en romancier. Il est vraiment le père du réalisme, et comme tel, il excelle à peindre les laideurs et les bassesses humaines plus que les âmes qui font honneur à notre nature.

  Mais il donne à ses peintures un relief étonnant. Qu’elles incarnent l’avarice comme Grandet, ou la folie de l’amour paternel comme le Père Goriot, ce sont des figures inoubliables. Balzac est doué de l’imagination créatrice qui fait vivre les personnages d’une vie intense, et il les place dans leur milieu, étudié et décrit avec une exactitude plus que minutieuse.

  Les délicats qui aiment un style pur et châtié ne peuvent souffrir celui de cet écrivain lourd, pénible, obscur et incorrect. Les mêmes le jugent souvent vulgaire de sentiment et d’esprit. Mais il n’en est pas moins vrai que son œuvre est un monument de la langue, et qu’elle laisse au lecteur une impression de puissance et de vigueur surprenantes.

  Le Tourangeau Balzac s’est souvenu qu’il était compatriote de Rabelais, en écrivant les Contes Drolatiques, pastiche du français du XVe siècle. Il a aussi donné quelques pièces de Théâtre, dont la meilleure est Mercadet ou le Faiseur, c’est-à-dire le type du brasseur d’affaires intelligent et sans scrupules.


  F. Ruffini, Un errore famigliare e un errore politico del Conte di Cavour nel 1840 per la questione d’Oriente, «Il Risorgimento Italiano. Rivista storica», Torino, Fratelli Bocca, Editori, Anno III, N° 4, Agosto 1910, pp. 694-725.

  p. 696. I diversi viaggi del Conte di Cavour a Parigi durante gli anni della giovinezza ebbero […] un qualche intento preminente e un loro carattere peculiare. […] Quella del 1840 fu invece un viaggio di affari e di divertimento. Dice al riguardo il meglio informato dei suoi biografi: “[…] L’élasticité de sa nature ne fut jamais mise à une plus rude épreuve que lorsque, passant de la politique aux affaires, des affaires aux sciences sociales, des sciences sociales à l’industrie, homme à la fois de salon et de club, il mena de haute main la vie du monde, et ce grand train que Balzac en appelle l’envers» (2).

  [Nota].

  (2) W. de la Rive, Le Comte de Cavour. Récits et souvenirs. Paris, 1862, pag. 177 e segg.

  pp. 718-719. In Francis, cotesta esplosione del patriottismo germanico di contro alla minaccia strombazzante dei giornali nazionalisti di voler portare la guerra sul Reno, […] non valse che a provocare le ironiche repliche atroci dei maggiori poeti, come ad esempio del De Musset, che in un quarto d’ora, eccitatovi dal Gauthier (sic) e dal Balzac, improvvisò il suo non meno celebre [rispetto al canto del Becker] Rhin allemand […].


  Scipio Sighele, Eva moderna, Milano, Fratelli Treves, Editori, 1910.

  p. 31. Ella [la donna] non chiede pluralità d’amanti e non ha sete di sensualità: ella chiede semplicemente amore nel significato più umano e più poetico di questa parola. – “Les femmes – diceva Balzac – abandonneront les bénéfices de toutes les nuits de Messaline pour vivre avec un être qui leur prodiguera ces caresses d’âme dont elles sont si friandes, et qui ne coûtent rien aux hommes si ce n’est un peu d’attention …”.[28]

  p. 39. La teoria è una cosa, la pratica è un’altra. Balzac stesso che nella sua Fisiologia del matrimonio ha dato fondo a quasi tutti i problemi dell’amore, non ha voluto risolvere il problema dei gigli. Egli ha scritto bensì che “il pregiudizio sulla verginità delle fanciulle è il più stupido di tutti quelli che ci rimangono”, ma, dopo aver affermato questo principio in teoria, si è ben guardato dallo svilupparne le pratiche conseguenze. E molto abilmente e molto spiritosamente ha suggerito: “tale discussione ci allontanerebbe troppo dal nostro tema, ed è soltanto per coquetterie che noi l’abbiamo sfiorato, né per mostrare che l’avevamo intravista, né per lasciare un problema di più da risolvere ai nostri posteri …”.

  I posteri che non hanno avuto la furba prudenza di Balzac, credettero di risolvere il problema o colla teoria di Leone Blum, il quale vuol conservare il matrimonio ma come l’ultima tappa di un divertente viaggio amoroso compiuto dalla fanciulla insieme a molti compagni, o colla teoria dei partigiani assoluti del libero amore, i quali vogliono addirittura l’abolizione del matrimonio.

  p. 40. Veramente quando si scrive, come del resto quando si parla, si esagera sempre. […].

  Diceva Balzac che l’esagerazione è la menzogna delle anime buone. Io credo che l’esagerazione sia la menzogna inconscia di tutti coloro che scrivono.

  p. 62. Un’altra verità … inverosimile è che gli uomini che sembran più freddi, più cinici, più insensibili, sono quelli che hanno saputo coltivare nel cuore una passione unica e ardente, – mentre gli uomini che, per il loro temperamento e per la natura del loro genio, sembrano creati per sentire, oltre che per descrivere, tutte le debolezze e tutte le frenesie dell’amore, sono in realtà poco sensibili, poco costanti, e molto egoisti. Balzac, e sopratutto Goethe – conoscitori profondi del cuore umano e rivelatori insuperabili di ogni mistero sentimentale, – amarono meno e meno bene di D’Alembert, il grande matematico che pare dovess’essere devoto soltanto al fascino della scienza dei numeri, e di Bismarck, il più arido, il più brutale, il più selvaggio dei genî politici.

  p. 64. Il terzo sesso è rappresentato da quel tipo di degenerato contro natura, che nel gergo dei delinquenti francesi si chiama la tante. Lascio a Balzac di spiegar meglio le caratteristiche di questo strano individuo. Nella Dernière incarnation de Vautrin egli scrive: “pour donner une vague idée du personnage que les reclus, les argousins et les surveillants appellent une tante, il suffira de rapporter ce mot magnifique du directeur d’une des maisons centrales au feu lord Durham, qui visita toutes les prisons pendant son séjour à Paris. Le directeur, après avoir montré toute la prison, les préaux, les ateliers, les cachots, désigna di doigt un local, en faisant un geste de dégoût. – « Je ne mène pas là Votre Seigneurie, – dit-il – car c’est le quartier des tantes … » - « Hao ! – fit lord Durham – et qu’est-ce ? – « C’est le troisième sexe, milord !”.

  p. 80. Diceva Balzac: “un cuoco o una cuoca non sono altro che dei ladri domestici che noi abbiamo l’ingenuità di ricompensare con un salario. Fra la tavola da pranzo e il mercato, essi hanno stabilito un’imposta; e nessun municipio di nessuna città è così abile a far valere i suoi diritti di dazio, come essi lo sono su tutto ciò che dalle botteghe dei fornitori entra nella casa del padrone”.[29]

  p. 111. La nostra società muore per la debolezza e l’incertezza morale dei suoi figli, per l’abulia della volontà. Noi non abbiamo quasi più – e la politica ne è l’indice eloquente – di quegli uomini che Balzac chiamava uomini-quercia e ch’eran la gloria d’un tempo: noi abbiamo troppi uomini-arbusti che si piegano dalla parte d’onde spira il vento.


  Scipio Sighele, L’amore e la morte nell’opera di Maurizio Barrès, «Nuova Antologia di Lettere, Scienze ed Arti», Roma, Direzione della «Nuova Antologia», Quinta Serie, Volume CXLV – Della Raccolta CCXXIX, Fascicolo 914, 16 gennaio 1910, pp. 222-232.

  p. 223. Maurizio Barrès non è un autore come Balzac che crea un mondo e nasconde sé stesso. Egli parla sempre o quasi sempre in prima persona.


  Aldo Sorani, Parla il segretario di Sainte-Beuve, «Il Marzocco», Firenze, Anno XV, N. 30, 24 Luglio 1910, pp. 2-3.

  p. 2. Ma torniamo alla tavola di Sainte-Beuve. […] Il buon segretario [Jules Troubat] rimaneva entusiasmato e stupito delle belle cose che udiva. Udiva Fromentin gridare che dopo la Cena di Paolo Veronese non si sarebbe dovuto più dipingere e Gavarni difendere Balzac contro Sainte-Beuve che non amava affatto il magnifico autore della Comédie umaine (sic) […].


  Aldo Sorani, Una Musa romantica, «Il Marzocco», Firenze, Anno XV, N. 37, 11 Settembre 1910, pp. 2-3.

  [Su Delphine de Girardin].

  p. 3. Balzac, egli non la cantò, non la corteggiò: le sfuggì sempre di mano. Ma vi fu un tempo che Delphine de Girardin fu una delle pochissime persone a Parigi a saper notizie precise su Balzac, il quale si nascondeva per far perdere le sue tracce ai creditori. Ella non teneva le chiavi del suo cuore; ma quelle della sua casa: sapeva il suo vero indirizzo.

  Come belva inseguita, Balzac sfuggiva ai creditori instancabili in tutte le tane che gli riuscivan più comode. Nemmeno Lireux, il direttore dell’Odéon dove si recitava un suo lavoro, sapeva in che via egli abitasse e il Séché narra a questo proposito una storiella che passava allora di bocca in bocca e definiva magnificamente e sarcasticamente le condizioni in cui Balzac si trovava. Lireux domandò un giorno a Balzac dove avrebbe potuto indirizzargli il bollettino delle recite e Balzac gli rispose: Avete un giovine intelligente e discreto? – Perfettamente. – Ebbene, ecco che cosa dovrà fare questo giovanotto: munito del bollettino si recherà tutte le mattine ai Campi Elisi … – Ai Campi Elisi? – Sì, verso l’Arco della Stella e al ventesimo albero, a sinistra, vedrà un uomo che farà finta di cercare un merlo fra i rami. – Un merlo? – Un merlo, o un altro uccello qualunque. … . Allora il vostro giovane s’avvicinerà a quest’uomo e dirà: «Ce l’ho!». Quest’uomo risponderà: «Poiché l’avete, che cosa aspettate?». A questa risposta il giovane consegnerà il bollettino …

  Storiella amena, ma significativa della più reale realtà! Il povero grande Balzac collaborò molto alla Presse, ma per le sue disgrazie finanziarie, per la molteplicità dei suoi impegni letterari non riuscì mai a star d’accordo col de Girardin che aveva più riguardi pel suo giornale, che per lui. Delphine dovette adoperare tutta l’avvedutezza, la bontà, la simpatia di cui era capace per metter d’accordo il marito con l’autore della Commedia Umana. Le relazioni di Delphine con Balzac non sono, si può dire, quasi altro che una serie di pacificazioni tra il marito di Delphine e Balzac. Ma la rottura tante volte impedita, doveva per forza avvenire. Il De Girardin osò persino, all’ultimo, querelare Balzac per ottener da lui settecentoventun franchi! Gli affari avevan fatto dileguar l’amicizia e Delphine non osò più invitar nel suo salotto con moine e lettere gentili il gran romanziere, il gran debitore. Ella svenne quando le fu portata la notizia che Balzac era morto …

  Balzac, Victor Hugo, Lamartine! Delphine De Girardin passò per queste tre vite gloriose senza potervi profondamente mescolare la sua.


  A. T.[alamini], Balzac abbandonato, «Avanti! Giornale del Partito socialista», Roma, Anno XIV, Numero 349, 17 Dicembre 1910, p. 1.

  Balzac è abbandonato ... E abbandonato alla sua sorte dai poteri pubblici. Si sa che la casa nella quale egli lottò contro i creditori e scrisse i suoi immortali capolavori, doveva esser conservata dagli ammiratori che l’avevan trasformata in una specie di Museo ...

  Ma un Museo Balzac non poteva aver fortuna. Per mancanza di fondi infatti il comitato degli amministratori ha dimenticato da due anni di pagar l'affitto. Ed ora siamo al pianto degli amici ed allo stridor di denti del proprietario.

  Poteva lo Stato intervenire? Il ministro dell’istruzione Faure ha studiata la questione. E s'è accorto che la Casa di Balzac non è un «monumento storico» e non ha nessun diritto giustificabile ad esser soccorsa. Nessun capitolo del bilancio permette d'aiutarla.

  Il ministro si limiterà dunque per forza a patrocinare una beneficiata teatrale che avrà la sorte delle altre ... Zero più zero uguale attivo della Casa di Balzac.


  Achille Tanfani, Fulgidi astri su l’orizzonte medianico, «Luce e Ombra. Rivista Mensile Illustrata di Scienze Spiritualiste», Milano, Anno X, Fascicolo 12, Dicembre 1910, pp. 630-636.

 

  p. 635. Tali fenomeni, si dirà, contraddicono ai dogmi della scienza, dunque sono impossibili. Ma la contradizione è soltanto apparente e dipende dalla deficienza delle nostre cognizioni delle leggi che li governano. E poi le così dette, leggi naturali altro non sono che ingegnose teoriche immaginate per spiegare serie di fatti altrimenti inesplicabili; laonde la scienza e in realtà un grande romanzo, il quale sta alla verità come i romanzi degli scrittori di genio stanno alla vita. Newton fu il Victor Hugo dell’astronomia allo stesso modo che Balzac stato, più tardi, il Newton della vita sociale.


  Nicolò Vidacovich, Letteratura scandinava, «Nuova Antologia di Lettere, Scienze ed Arti», Roma, Direzione della «Nuova Antologia», Quinta Serie, Volume CXLVIII – Della Raccolta CCXXXII, Fascicolo 927, 1° agosto 1910, pp. 434-452.

  p. 442. Tutta la storia politica e letteraria è falsificata dalla galanteria […]. Il grande Balzac visse mezzo ignorato, mentre la piccola George Sand veniva incoronata ogni giorno sui boulevards.


  Alberto Viviani, Emilio Zola e la sua morale, «La Difesa dell’Arte. Periodico di critica», Firenze, Anno II, Num. 26-27, 17-24 Luglio 1910, p. 2.

  E Zola è morto come Balzac, senza aver conosciuto alcun confine.


  Norma-Giovanna Zampollo, Étude. “Eugénie Grandet” de Balzac, in Etudes Littéraires par Mlle Norma-Giovanna Zampollo Professeur de Français, Grenoble, Typographie et Lytographie Gabriel Dupont, 1910, pp. 29-45.

  Celui qui a lu l’admirable roman de Balzac ne peut s’empêcher de déplorer le perpétuel besoin d’argent qui a poursuivi, opprimé, tué enfin son auteur. L’argent qui joue un rôle si vaste dans ses drames, l’a obligé à une production hâtive et désordonnée, l’a poussé à écrire pour le gros public, à plier son art au mauvais goût de la foule. S’il avait pu méditer et soigner davantage ses livres, donner une forme définitive à ces gigantesques ébauches, il aurait sans doute ajouté d’autres chefs-d’œuvres à César Birotteau, au Médecin de campagne, à Eugénie Grandet, etc.

  Par sa correspondance nous savons que Balzac a écrit et corrigé ce dernier roman en cinq mois, tout en composant sept autres livres et tandis qu’il se débattait dans les plus cruels embarras d’argent. De pareils détails ne peuvent nous surprendre : ce cyclope des lettres a usé sa forte santé à un travail acharné, presque exclusivement nocturne, dans la fièvre duquel tout un monde de personnages, de scènes de fantaisies prenait vie sans cesse. Cependant il est probable que l’histoire d’Eugénie a été le fruit d’une longue méditation.

  Son attention était-elle frappée par une figure singulière, par une légende oubliée, par la solitude d’une vieille rue, par un costume pittoresque ?

  Tout de suite, avec une puissance qu’il possédait dès sa jeunesse, il vivait dans ces milieux, il s’identifiait avec ces inconnus et se passionnait aux qualités et aux hasards que leur prêtait son ardente imagination. Dès lors, ces fantômes hantaient ses rêves, interrompaient ses travaux, venaient se jeter entre lui et les êtres familiers jusqu’au jour où il pouvait les rendre, vrais et vivants, dans son œuvre.

  Des parodies, des fragments, des pages entières se formaient peu à peu dans sa pensée, y séjournaient longuement.

  Le chapitre : l’Ascension de Seraphita (sic) au ciel, écrit en une nuit devant vingt-cinq ouvriers réunis dans une imprimerie, était dans sa tête depuis deux ans (Werdet-Balzac intime). Rien ne pouvait le distraire de son travail intérieur. «Il racontait les nouvelles du monde de la Comédie humaine comme on raconte celle du monde véritable. Savez-vous qui Félix de Vandenesse épouse ? Une demoiselle de Grandville. C’est un excellent mariage qu’il fait là, les Grandville sont riches malgré ce que Mlle de Bellefeuille a coûté à cette famille. (Mme Surville, Balzac)». Tout cela est bien, mon ami, répondait-il un jour à Jules Sandeau qui l’entretenait de sa sœur malade, mais revenons à la réalité, parlons d’Eugénie Grandet».


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Filmografia.

 

 

  La Stanza segreta [da La Grande Bretèche]. Sceneggiatura di Arrigo Frusta. Regia di Luigi Maggi e Giuseppe Gary. Interpreti: Clementina Gay, Oreste Grandi, Giuseppe Gary, Torino, Società Anonima Ambrosio, 1910.

 

  Sceneggiatura rielaborata di Spergiura! (1909) tratto da La Grande Bretèche.



Adattamenti teatrali.


  Un episodio sotto il terrore, dr. 1 a. di Nozière. Compagnia del «Teatro Minimo», diretta da Nino Martoglio, 1910.



 [1] Cfr. André Lorant, “La Dernière Fée”. Évolution du texte, in H. de Balzac, Premiers romans. 1822-1825. Édition établie par André Lorant, Paris, Laffont, 1999 («Bouquins»), t. II, p. 977.

[2] Nel testo del romanzo curato da Pierre Citron per la collana della ‘Nouvelle Pléaide’ (t. VI, 1977), la lunga sequenza testuale per la quale viene omessa la traduzione è la seguente: «Une digression est ici nécessaire […] est regardée comme une femme sans coeur! …» (pp. 828-834).

[3] Vol. XVII, NN. 5-6, 1909, pp. 414-420.

[4] Cfr. Jules Claretie, Les Hommes de Lettres Hommes d’Affaires, «Je sais tout», 6e année, 1er semestre 1910, pp. 123-130.

[5] Cfr. G. Lenôtre, Pauvre Balzac, «Le Monde illustré», 10 juin 1899 [ ?].

[6] Cfr. Félix Duquesnel, Chronique du Lundi. […] Balzac candidat. […], «Le Petit Journal», 18 Avril 1910, p. 2.

[7] Cfr. Léon Gozlan, Vidocq et Balzac, «Les Annales politiques et littéraires», Paris, 28e Année, N° 1404, 22 Mai 1910, pp. 519-520 ; già nel 1858, il Gozlan pubblicò alcuni aneddoti su Balzac e Vidocq in: Souvenirs anecdotiques sur Balzac: H. Vidocq chez l’auteur de Vautrin, «Revue contemporaine», Vol. XXXVIII, 31 Mars 1858, pp. 354-371 e in Balzac chez lui. Souvenirs des Jardies, Paris, Michel Lévy, 1862.

[8] Cfr. Jacques Crepet, Un ‘garde-manger’ de Balzac, «Revue de Paris», II, Vol. XVII, 15 Mai 1910, pp. 341-368 e, successivamente, in : Balzac, Pensées, Sujets, Fragmens, Paris, Blaizot, 1910.

[9] Cfr. nota precedente.

[10] Cfr. Léon Séché, Balzac et Mme de Girardin, d’après des documents inédits, «Mercure de France», Vol. LXXXV, 1 Juin 1910, pp. 449-466 e in «Les Annales romantiques», Vol. VII, Mai-Juin 1910, pp. 161-178.

[11] Cfr. Léon Séché, Muses romantiques. Delphine Gay Mme de Girardin, Paris, Mercure de France, 1910.

[12] Cfr. Le Bonhomme Chrysale, Les Chimères de Balzac, «Annales politiques et littéraires», 18e Année, N. 1413, 24 Juillet 1910, pp. 73-74.

[13] Cfr. Tout-Paris, Bloc-Notes Parisien. Une journée de Victor Hugo aux Jardies, «Le Gaulois», 25 Septembre 1910, p. 1.

[14] Cfr. Eugène Cormon [Pierre-Étienne Piestre], César Birotteau. Drame-vaudeville en trois actes [Paris, Théâtre du Panthéon, 4 Avril 1838], Paris, Michaud, 1838.

[15] Cfr. H. de Balzac, Pensées, sujets, fragmens. Édition originale avec une préface et des notes de Jacques Crepet […], Paris, A. Blaizot, Libraire-Éditeur, 1910.

[16] Cfr. Émile Fabre, César Birotteau. Pièce en cinq actes, d’après Balzac [Paris, Théâtre Antoine, 7 Octobre 1910], Paris, Supplément à «L’Illustration théâtrale», 29 Octobre 1910, pp. 36.

[17] Cfr. Henry Bordeaux, La Vie au Théâtre, «La Revue Hebdomadaire», Dix-neuvième année, Tome X, Octobre 1910, pp. 662-690. [Su Balzac, p. 684].

[18] Citazione (tradotta) tratta dalla Pathologie de la vie sociale.

[19] Cfr. Émile FAaguet, Propos littéraires: 3e série, Paris, Société française d’imprimerie et de librairie, 1905.

[20] Citazione tratta da Pensées, sujets, fragments.

[21] Cfr. G. Bellonci, La libertà della critica e la dogmatica positivista, «Il Giornale d’Italia», 22 Dicembre 1910.

[22] Cfr. G. Carducci, Colloqui manzoniani, 1885.

[23] Cfr. V. Morello, Balzac e l’antropologia criminale, 1901.

[24] Cfr. [Lettre] À Madame Émile de Girardin, juillet 1834.

[25] Lettera alla stessa, 27 mai 1836.

[26] Cfr. Onorato Balzac, Il Colonnello Chabert, Milano, Società Editrice Milanese, 1909. A smentita di quanto affermato dal Panteo, in questo volumetto non è presente alcuna nota critica riguardante Balzac o la sua opera.

[27] Già pubblicato in «Fanfulla della Domenica», 14 giugno 1908.

[28] Citazione tratta dalla Physiologie du mariage.

[29] Citazione (tradotta) estratta da La Cousine Bette.



Marco Stupazzoni

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