martedì 19 agosto 2014


1896




Traduzioni.


  Onorato di Balzac, Fisiologia del matrimonio o Meditazioni sulla felicità e la infelicità coniugale, Firenze, Adriano Salani, Editore, 18963 («Biblioteca Salani Illustrata», 20), pp. 255.[1]


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  Un volume in 16°.


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  Si tratta della seconda ristampa del volume pubblicato, in prima edizione, nel 1885.



Studî e riferimenti critici.


  Un pensiero al giorno, in Almanacco Italiano. Piccola enciclopedia popolare della vita pratica e Annuario diplomatico amministrativo e statistico, Anno II-1897, Firenze, R. Bemporad & Figlio, 1896, p. 31; 69.
  La pietà è una virtù femminile, che le donne sole sanno trasmettersi. (Balzac).
  Noi non ci affezioniamo in maniera durevole alle cose, che a seconda delle pene e dei desiderii, che ci sono costate. (Balzac).


  Gazzettino, «Il Morgagni. Giornale indirizzato al progresso della medicina», Milano, Anno XXXVIII, Parte Seconda – Riviste, 1896, pp. 319-320; «La Riforma medica», Napoli, Anno XII, Vol. I, N. 40, 1896, pp. 491-492.

 

  p. 320/ p. 492. Balzac, possessore di una veste da camera nuova, prova il bisogno di pavoneggiarsi per le strade con una lampada accesa in mano.


  Arti e Scienze. “L’Amante”. Commedia in un atto di Guglielmo Anastasi (Teatro Gerbino – 19 gennaio 1896), «La Stampa. Gazzetta Piemontese», Torino, Anno XXX, N. 20, 20 Gennaio 1896, p. 2.
  Le prime scene dell’Amante, se bene sia evidente in esso il tentativo dell’autore di riprodurre scenicamente l’osservazione dal vero, con quella certa espressione di amara ironia che nel Lutto, per esempio, del Balzac (sic) raggiunge maravigliosa efficacia di impressione, appaiono ancora manierate e poco sincere, per l’uso poco misurato di certi particolari descrittivi.

  Libri nuovi, «Fanfulla della Domenica», Roma, Anno XVIII, N. 16, 19 Aprile 1896, p. 4.
  Negli Apostoli [Ugo Valcarenghi, Gli Apostoli. Romanzo, Roma, Enrico Voghera, editore, 1896] i personaggi sono tre e formano i vertici del famoso triangolo balzachiano.


  Recentissime telegrafiche. Da Parigi. I funerali di Goncourt, «Corriere della Sera», Milano, Anno XXI, Num. 199, 21-22 Luglio 1896, p. 3.

  Dopo i funebri, celebrati nella chiesa d’Auteuil, il corteo s’avviò al cimitero di Montmartre, ove parlò Zola richiamando la memoria di Flaubert, deplorando l’assenza di Daudet, lodando i fratelli di Goncourt ed attribuendo loro con Stendhal, Balzac, e Flaubert, la creazione del romanzo mo­derno.


  Notizie di letteratura e d’arte. Edmond de Goncourt, «La Vita Italiana. Rivista illustrata», Roma, Società editrice Dante Alighieri, Nuova Serie, Volume I, Fascicolo V, 25 Luglio 1896, pp. 479-480.
  p. 479. Dopo la morte di Giulio, Edmondo di Goncourt utilizzò le note che avevano raccolte insieme per pubblicare La fille Elise, Chérie, La Faustine e Gavarni, curiosissimo ed interessante studio sul caricaturista-moralista che illustrò La fisiologia del matrimonio di Balzac e con il quale i due fratelli avevano collaborato al giornale Paris, splendida effemeride che ebbe corta vita forse perché non aveva nulla di mercantile.


  Corriere Milanese. Circolo Filologico, «Corriere della Sera», Milano, Anno XXI, Num. 308, 8-9 Novembre 1896, p. 2.

  […] possiamo dare oggi qualche notizia sul corso di lettura drammatica in questo secolo di Domenico Oliva […].

  La seconda, la terza, la quarta lettura avranno per tema la decadenza della forma classica e l'avvento della forma romantica. […].

  Entrato così nel cuore dell'argomento tratterà il periodo dell’egemonia francese, il teatro di Scribe, il dramma storico, il dramma borghese, il dramma d’arena, il teatro artistico di Alfredo De Musset, il tentativo realista di Balzac.


  I “tic” degli scrittori, «La Stampa. Gazzetta Piemontese», Torino, Anno XXX, N. 328, 25 Novembre 1896, pp. 1-2.
  Altri scrittori sono assolutamente incapaci di scrivere nettamente le loro idee.
  Essi sono la costernazione degli editori e dei compositori; correggono cinque o sei bozze, e quando credono di aver finito e di veder chiaramente svolto quanto volevano dire, tornano da capo con altre cinque o sei bozze piene di correzioni. Ad opera finita non sono contenti, e tornerebbero da capo.
  Questa fu la causa per la quale Balzac, invece di arricchirsi con la prodigiosa produzione del suo genio, visse nella miseria. Le correzioni gli sciupavano un tempo prezioso.

  I capricci dello scrivere, «L’Indipendente», Trieste, Anno XX, N. 6888, 27 Novembre 1896, pp. 1-2.
  [Su: Moulon, “Arte di scrivere un libro, di stamparlo e di pubblicarlo”].
  Alcuni scrittori sono assolutamente incapaci di scrivere nettamente le loro idee.
  Essi sono la costernazione degli editori e dei compositori; correggono cinque o sei bozze, e quando credono di aver finito e di veder chiaramente svolto quanto volevano dire, tornano da capo con altre cinque o sei bozze piene di correzioni. Ad opera finita non sono contenti, e ritornerebbero da capo.
  Questa fu la causa per la quale Balzac, invece di arricchirsi con la prodigiosa produzione del suo genio, visse nella miseria. Le correzioni gli sciupavano un tempo prezioso.

  Marginalia. Decadenza drammatica, «Il Marzocco. Periodico settimanale di letteratura e d’arte», Firenze, Anno I, N. 44, 29 Novembre 1896, p. 3.
  E così certi capolavori del teatro classico perché darli senza nessuna preparazione storica, non solo, ma neppur collo zelo che si mette in una pochade, con mezzucci da operette, con tagli orribili? Accade che nel pubblico i più si annoiano o si disgustano e qualche studentello di lettere può per esempio sentenziare che il Matrimonio di Figaro è una porcheria. Vero è che noi abbiamo sentiti disapprovare il Mercadet di Balzac, la Scuola della maldicenza di Sheridan, il Mercante di Venezia perfino!
  A Napoli intanto han fischiato Molière.
  È scemato il pregio a quei lavori o è cresciuta l’ignoranza del pubblico? E chi ha contribuito ad accrescerla?


  Intermezzo d’attualità. I “tic” degli scrittori, «Corriere delle Puglie. Giornale quotidiano di Bari», Bari, Anno X, N. 353, 24 Dicembre 1896, pp. 1-2. 

  p. 2. Altri scrittori sono assolutamente incapaci di scrivere nettamente le loro idee.

  Essi sono la costernazione degli editori e dei compositori; correggono cinque o sei bozze, e quando credono di aver finito e di veder chiaramente svolto quanto volevano dire, tornano da capo con altre cinque o sei bozze piene di correzioni. Ad opera finita non sono contenti e ritornerebbero da capo.

  Questa fa la causa per la quale Balzac, invece di arricchirsi con la prodigiosa produzione del suo genio, visse nella miseria. Le correzioni gli sciupavano un tempo prezioso.


  AA.VV., In morte di Cesare Cantù. A cura della Famiglia, Milano, XI Marzo 1896.
  p. 201. Firenze. – La Nazione: 12 marzo.
  … Un uomo che ebbe la riverenza dei Sovrani, dei Pontefici, l’amicizia di Alessandro Manzoni, l’ossequio di Gioberti e di Rosmini, di Stoppani e di Cesare Balbo, di Montalembert e di Thiers, del canonico Döllinger e di monsignor Dupanloup, di Balzac e di Padre Agostino, di Giosuè Carducci e di Giuseppe Verdi, non può sparire dalla vita senza essere salutato dall’Italia come una gloria …

  Adolfo Albertazzi, Il Simbolismo, «La Vita Italiana. Rivista illustrata», Roma, Società editrice Dante Alighieri, Nuova Serie, Volume I, Fascicolo VI, 10 Agosto 1896, pp. 490-492.
  p. 492. Chi negherebbe una efficacia simbolica al Don Chisciotte? E quante volte Balzac fu, senza volerlo, simbolista! Perché nessuno stenterebbe a riconoscere l’uomo, cioè l’umanità, dibattuto tra la virtù o la idealità, e il vizio o la sensualità, per esempio, nel Lys dans la Vallée?
  Per questo: ogni imagine profondamente umana artisticamente rappresentata diventa tipo; dal tipo la fantasia assorge alla qualità che l’impronta.

  Bernardino Alimena, Il sesso, in I limiti e i modificatori dell’imputabilità per l’Avvocato Bernardino Alimena Professore pareggiato di Diritto e Procedura penale nell’Università di Napoli. Volume Secondo, Torino, Fratelli Bocca, 1896, pp. 334-357.
  p. 351, nota 4. Mettiamo da parte tutto questo, perché la donna non è, né può essere altro che la femmina del genere homo.(4)
  (4) Tutto il bene e tutto il male, che fu detto della donna, tralasciando le opere scritte con intenzioni giornalistiche, si può argomentare da quel che si trova in Bourget, Physiologie de l’amour moderne, Paris, 1891; in Karr, Les femmes, Paris, 1879; in Mantegazza, Fisiologia della donna, Milano, 1893; in Darslay, Physiologie de l’amour, Pau (senza data), e nella Physiologie du mariage, di Balzac.

  Michele Amari, Carteggio di Michele Amari raccolto e postillato coll’elogio di Lui. Volume Primo, Torino, Roux Frassati e C° Editori, 1896.

LX. Michele Amari a Giovanni Notarbartolo di Sciara, pp. 81-84.

[Parigi, 19 gennaio 1843?].
  pp. 81-82, nota 1. La principessa di Belgioioso compose infatti un Essai sur la formation du dogme catholique, e lo pubblicò anonimo in 4 volumi a Parigi, nel 1846. L’illustre donna, per chi nol sapesse o nol ricordasse, era nata in Milano, ai 28 giugno 1808, da Girolamo Isidoro marchese Trivulzio. Sposò, nel 1824, Emilio Barbiano di Belgioioso e d’Este, principe del Sacro Romano Impero, elegante giovane e più che dilettante in fatto di musica. Espatriarono ambedue per insofferenza del giogo austriaco, e si recarono a Parigi, ove essa, giovane, bellissima, cultissima, ebbe festose accoglienze e regnò nei salons del tempo. Il Balzac assevera che lo Stendhal la raffigurasse nella Chartreuse de Parme, col nome di Duchessa di San Severino.

LXXXIX. Pietro Giordani a M. Amari, pp. 133-134.

[Parma, 11 dicembre 1843].
  p. 134. Per saper bene bisogna vedere da sé; e giustamente i Greci con un vocabolo significarono il sapere e il vedere.
  A questa regola possiamo giudicare il valore della politica e della filosofia teologiche di questo tempo. Ma tale o ipocrisia o goffaggine è sopratutti vergognosa al Thierry, che tanto degenera da se stesso. A me piace la nuova religiosità di un Balzac; a lui sta benissimo.


  Emma Bassi, De Stendhal (Henry Beyle), in Impressioni letterarie, Como, Tipografia Cooperativa Comense, 1896, pp. 47-58.

 

  p. 50. Quelli che vennero poi lo stimarono meglio; forse perché egli fu il caposcuola di un realismo meno spudorato di quello di Balzac [...].

  pp. 56-57. Balzac nelle Illusions perdues dice: «Non si può essere grandi uomini a buon mercato. Il talento è una creatura morale che ha un’infanzia soggetta a delle malattie». E le opere dello Stendhal, tutte il risultato delle sue osservazioni, non potevano essere frutto della sua vita giovanile. [...].

  Paul Bourget trova in lui il sentimento di cosmopolitismo, e perfino Balzac lo crede degno di rappresentare la Francia a Roma, e si meraviglia come mai non gli abbiano dato che la carica di console a Civitavecchia. (Forse Balzac non conosceva l’incarico di somma fiducia che Beyle ebbe nell’elezione papale del 1829).


  Pilade Beltrame, Balzac nell’intimità, «Cordelia. Giornale per le giovinette», Firenze, Anno XV, Num. 22, 22 Marzo 1896, pp. 258-260.


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  Due riviste francesi — la Revue Blanche e la Revue de Paris — hanno testé pubblicato alcune lettere inedite di Onorato di Balzac. Niente di più interessante che conoscere un grand’uomo nell’ intimità, spoglio di ogni pompa mondana; nè maggiore intimità può darsi di quella che trova il suo sfogo nelle lettere agli amici e alla donna amata, dove non c’è ombra di ipocrisia di frasi e finzioni di sentimenti, dove parla unica­mente il cuore, il cuore aperto su la mano. Ed infatti dalle lettere tanto opportunamente pubblicate dalle due Riviste parigine il grande romanziere balza fuori, vivo e parlante, col suo ardente desiderio d’imparar tutto e di dir tutto, co’ suoi ideali, i suoi progetti, il suo cuore puro e buono.

  Io ho tradotto – studiando di non tradire menoma­mente il pensiero dell’autore — una di codeste lettere, quella cioè che mi parve la migliore, e la presento alle lettrici della Cordelia. Ma prima voglio riferire una av­ventura toccata all’illustre uomo, poiché egli ne fa ap­punto un cenno fugace nella lettera da me tradotta, là dove dice d’essersi misurato con la «sciagura, uscendo­ne vincitore».

  Occupato in un lavoro diuturno, Onorato di Balzac non aveva sempre il tempo di rispondere alle tante lette­re di incognite ammiratrici. Un giorno però del settem­bre 1831, una lettera con questa firma misteriosa: «Una donna che non vuol farsi conoscere», lo colpì in modo particolare. Quella donna doveva appartenere a quell’alta società alla quale egli aveva sempre guardalo con desiderio e predilezione di artista. Balzac lo capì dal tono, dalla carta, dalla scrittura, dal modo stesso di suggellare la lettera. Rispose, e il commercio epistolare con l’incognita si prolungò tanto che Onorato di Balzac volle sapere assolutamente il suo nome: e seppe che la misteriosa corrispondente era la duchessa di Castries, pa­rente dei Montmorency, una stella del firmamento aristocratico. La signora dalla chioma d’oro faceva strage di cuori. Balzac stesso non potè sfuggire alla seduzione che quella strega esercitava su quanti l’avvicinavano. Inco­minciò dal correggere la negligenza del suo modo di ve­stire: vennero fuori panciotti bianchi, soprabiti turchini a bottoni dorati, bastoni col pomo adorno di turchesi; poi volle arricchire la sua abitazione di oggetti d'arte e di storie, e infine pur lottando co’ suoi inesorabili credi­tori s’immaginò di prendere due servitori, di com­prare cavalli e carrozze Ma per potersi mantenere con tanto lusso, Balzac era costretto a lavorare, lavorare, lavorare. Si alzava infatti alle cinque e lavorava sino a se­ra, interrompendo solo un istante in tutta la giornata il lavoro per far colazione con uova e caffè. Alte sei corre­va dalla duchessa, pranzava in sua casa, e vi restava fino alle undici a farle la corte e a leggerle il prodotto del suo lavoro. Più tardi egli scriveva: «C’è voluto cinque anni di continue ferite per staccare la mia indole tenera da un’indole di ferro: questo amore, che, per quanto se ne di­ca, è rimasto, per volontà di quella donna, irreprensibile, è stato una delle più gratuli sciagure della mia vita».

  Ed ecco senz’altro la lettera. È indirizzata a quella si­gnora Hanska, che poi divenne sua moglie. Vedasi dun­que come quell’anima d’artista, sviata un istante, si sia poi votata a una vita di lavoro e di sacrificio.

Una lettera di Balzac.


  [Cfr. Lettre de Balzac à Madame Hanska, à Vienne, le 26 octobre 1834].

  … Unica variante nella mia vita è l'immaginazione: materialmente, essa è monotona. Io non m’intrattengo confidenzialmente che con voi e con la si­gnora di B.... Trovo utile corrispondere poco con le ani­me comuni, nulla essendoci da guadagnare. Io mi sono votato ad alti sentimenti, unici, inalterabili, esclusivi; un contratto bizzarro con la mia apparente leggerezza. Vi as­sicuro che ci vogliono cinque o sei anni per conoscere quanto m’abbia reso suscettibile la solitudine e di quali sacrifici io sia capace senza ostentazione. I sentimenti ch’io lasciai intravedere ne’ miei scritti non sono che ombre di ciò che v’è dentro di me. Una sola donna (la signora di B …) seppe precisamente, fino ad ora, quello ch’io so­no; ella sola vide il mio sorriso, ben altrimenti espressi­vo, sempre, senza interruzione. Per dodici anni io non conobbi nè collera nè impazienza. Il cielo del mio cuore fu sempre azzurro.

  La forza dev’esser una. E poichè, dopo essermi, per sette anni, misurato con la sciagura, uscendone vincitore, volendo conquistarmi un nome di letterato, mi alzo ogni notte con una volontà più ferma di quella del giorno innanzi, credo di potermi dire forte.

  Anche l’incostanza e l’infedeltà per me sono parole strane. Nè il desiderio nè la felicità valgono a smuovermi. L’amicizia mia è della specie del granito. Tutto si consumerà dinanzi al legame ch’io contrassi. La signora de B ... ha sessanta anni; i suoi acciacchi l’hanno cangiata, distrutta. Ebbene, la mia affezione per lei è raddoppiata. E dico ciò senza orgoglio, perché non vi trovo alcun me­rito. E la mia natura che Dio fece smemorata del male, dinanzi ai benefizi. Un essere che m’ama mi fa sempre esultare. Sono santi i nobili sentimenti! Perché dunque cercare i cattivi? Dio mi fece per aspirare il profumo dei fiori, non già il fetore del fango. Infine, perché dovrei perdermi in inezie? Io mi sento attratto a tutto ciò ch’è grande. Soffoco in pianura, vivo su la montagna!

  Ho tanto lavorato! Noi abbiamo attinto all’èra dell’intelligenza! I re tiranni e la forza brutale tendono a sparire. V’hanno mondi intellettuali; vi saranno sovrani nel regno universale del pensiero. Con quest'ambizione nè viltà nè bassezza d’animo sono possibili. Solo qualche cosa di ben grande potrebbe occuparmi al di là di que­sta cerchia dove io trovo l’infinito: un immenso amore.

  ………..

  Sento tanto orrore delle parigine, ch’io son qua sul mio lavoro dalle sei del mattino alle sei di sera. Alle sei e mezzo la carrozza che è in affitto mi viene a prendere e mi trasporta un giorno all'Opera, un altro agli Italiani. Mi corico a mezzanotte. Trovate dunque un minuto da dedicare a chicchessia! Ricevo durante il pranzo. Non ho corrispondenza che con voi e con la signora di B … ch’è come una sorella o madre. Tutte le altre lettere attendono la domenica, nel qual giorno io le apro; ma tutto ciò che non m’interessa particolarmente, io lo affido a Sandeau, che s’è offerto a essere il mio segretario.

  Continuando così, io arriverò a pagare tutti i miei de­biti e a condurre a termine le opere promesse. Diversa­mente, non potrei sperare nè salvezza nè indipendenza. Ma avrete bene la prova di quanto ho il piacere di scri­vervi e della mia fermezza, vedendo uscire alla luce i miei libri. Poiché non vorrete credere che si possa amo­reggiare, divertirsi e in pari tempo preparare simili opere. Il lavoro e la Musa, ch’è quanto dire la Musa labo­riosa, ecco la saggezza. È biasimevole cercare, nel seco­lo XIX, le immagini nella mitologia greca; mai però io rimasi tanto colpito come ora lo sono dalla potente verità di questi miti …………

  Io voglio esser così grande per intelligenza e per fa­ma, che voi dovrete inorgoglire della mia vera amicizia. Ogni nuova opera, ch’io voglio fare sempre più colossa­le, meglio pensata e meglio scritta, sarà una nuova lu­singa per voi, un fiore, un mazzo ch’io vi offrirò. La di­stanza non permette che fiori di retorica ………

  Ier l’altro rilessi le vostre lettere. Legandole, stringendole per tenerle bene ordinate, mi parve ne esalasse non so quale profumo di grandezza e di cortesia. Coloro che parlano del vostro viso non s’ingannano certamente Ma ciò che più mi sorprende è la frase tutta vostra, che esce spontanea dal vostro cuore come lo sguardo si sprigiona dagli occhi; è la nostra lingua scritta come la scriveva Fénelon. Bisogna credere che voi abbiate letto molto Fénelon o pure che ne custodiate inconsapevolmente nell’anima il poetico pensiero. Le vostre lettere io le leggo ap­pena mi arrivano, ansioso di conversare con voi; poi, a una seconda lettura, che avviene capricciosamente, me le gusto adagio adagio. Ed è a voi ch’io ricorro quando qualche pensiero mi rattrista; cerco la cara scatola ove custodisco il mio elixir, mercè il quale rivivo nel vostro viaggio d’Italia. Rivedo Diodati, mi trovo sul buon canapé di casa Mirabaud, scartabello il Gotha, questo ge­niale Gotha: e, dopo un’ora o due, io sono tranquillo. Sento in me qualche cosa di fresco. L’anima mia si è riposata su un’anima amica. Ed è come del mistico, che, dopo la preghiera, si rialza raggiante. Non mi trovate dunque molto poetico? Ma questa e la pura verità.

  ………………

  Spedirò, senza preavviso, all’indirizzo Gina, la prima puntata degli Studi filosofici. Voi conoscete questo mio lavoro; ma lasciatemi credere che vi interesserete alle enormi correzioni alla Buffon (egli era un incontentabile) che della mia opera completa (gli Studi sociali, di cui si è parlato) faranno un monumento nella nostra bella lingua. Credo che entro il 1838 le tre parti di quest’opera colossale saranno, se non compiute, almeno condotte a tal punto da poter giudicare del favore che incontre­ranno.

  Gli Studi di costume rappresenteranno la società ne’ suoi effetti, senza che nè un aspetto della vita, nè una fisionomia, nè un carattere d’uomo o di donna, nè un modo di vivere, nè una professione, nè una classe socia­le, nè un paese francese, nè tutto ciò che si riferisce all’infanzia, alla virilità, alla vecchiaia, nè quanto riguarda la politica, la giustizia, la guerra, abbia ad esser tra­scurato.

  Ciò premesso, la storia del cuore umano sarà tracciata minuziosamente e la storia sociale in ogni suo aspetto: ecco la base. E non saranno già fatti immaginari, bensì quanto in realtà succede dovunque.

  Poi verrà la volta degli Studi filosofici ossia dopo gli effetti le cause. Negli Studi dei costumi saranno dipinti i sentimenti e il loro gioco, la vita e il suo andazzo. Ne­gli Studi filosofici dirò il perché dei sentimenti e su che cosa si basa la vita: dirò anche quali sono le condizioni al di là delle quali nè la società nè l’uomo non esistono: e dopo aver esaminata la società per descriverla, io la esaminerò per giudicarla. Ancorar negli Studi dei costumi si troveranno le individualità tipiche; negli Studi filosofici invece si troveranno i tipi personificati. Così, a tutto io avrò dato vita: al tipo, personificandolo; all’individuo, facendone un tipo. Avrò dato il pensiero all’atomo, avrò dato al pensiero la vita dell’individuo.

  E, dopo gli effetti e le cause, verranno gli Studi analitici, dei quali fa parte la fisiologia del matrimonio; poi­ché dopo gli effetti e le cause devonsi ricercare i princi­pi. I costumi costituiranno lo spettacolo, del quale le cause saranno le scene. I principi, ecco l’autore; ma l’a­zione, guadagnando a spirale le altezze del pensiero, si restringerà e si condenserà. Mentre occorreranno venti­quattro volumi per gli Studi dei costumi, non ne occor­reranno che quindici per gli Studi filosofici, nove per gli Studi analitici. Così, l’uomo, la società, l’umanità saran­no descritti, giudicati, analizzati senza ripetizioni e in un’opera che sarà qualche cosa come le Mille e una notte dell’occidente.

  …………….

  Dopo aver fatto la dimostrazione di tutto un sistema, ne farò l’esame scientifico nel Saggio su le forze umane. E, su le basi di questo palazzo, io, fanciullo allegro, avrò tracciato l’immenso arabesco dei Cento racconti.

  Credete voi, signora, che io abbia tempo da perdere ai piedi di una parigina? Oh no! E poi bisogna deci­dersi. Ebbene. oggi io vi ho rivelata la mia unica inna­morata: le strappai i veli. Ecco l’opera, ecco l’abisso, ecco il cratere, ecco la materia, ecco la donna, ecco quella che occupa le mie notti, i miei giorni, che dà valore a questa lettera scritta nelle ore di studio, ma scritta con piacere.

  Io ve ne supplico. Non mi scrivete mai niente di pic­colo, di basso, di meschino. Misurate le mie ali!

  Ricordate il cesellatore, il fonditore, lo scultore, l’orefice, il galeotto, lartista, il pensatore, il poeta, il ciò che vorrete a coloro che l’amano, e pensate alla potenza di un amore solitario: quella di un palmizio nel deserto (un palmizio che s’innalza al cielo per rinfrescarsi), con lo scopo di sapere quanto vale la parte che voi ci avete. Un giorno, quando avrò finito, come rideremo! Oggi bi­sogna lavorare.

O. di Balzac.


  Giuseppe Benetti, Joséphin Péladan. Il «Sar» ed il suo «Salon», «Il Capitan cortese. Periodico settimanale di letteratura, di arte e di vita elegante», Milano, Anno primo, N. 46, 22 Marzo 1896, pp. 2-3.
  p. 3. Cattolico, pronto a baciare la pantofola del papa, è in lotta coi cattolici stessi e lancia una «exécration vehmique (sic)» ai riuniti al Congresso di Chalines, i quali avevano messo all’indice Charles Baudelaire, Paul Verlaine, Barbey d’Aurevilly ed il Péladan stesso; avevano proscritto il teatro, ed interdetto agli artisti lo studio del nudo, chiamandolo un congresso «infâme et Huguenot», perché rinnegare il grande Baudelaire e Barbey d’Aurevilly è come proscrivere Chateaubriand e Balzac […].


  P.[aolo] B.[ernasconi], La battaglia per l’ideale, «Corriere della Sera», Milano, Anno XXI, Num. 44, 13-14 Febbraio 1896, pp. 1-2.


  [Sulla Lettre à la Jeunesse di Zola e sulle reazioni ad essa].

  p. 2. Voi somigliate a Balzac soltanto nel naso … Colla differenza che Balzac lo turava ai cattivi odori, e voi spalancate le nari nei mondezzai.


  P.[aolo] B.[ernasconi], Giorgio Sand a Venezia, «Corriere della Sera», Milano, Anno XXI, Num. 297, 28-29 Ottobre 1896, pp. 1-2.


  p. 1. […] nel dicembre del 1883 (sic) la Sand e Musset lasciano Parigi per intraprendere un viaggio in Italia. Musset era nel suo ventitreesimo anno; la sua compagna aveva già raggiunto la trentina, età critica per le donne, se dobbiamo credere al Balzac, che scrisse la fisiologia della Femme de trente ans.


  Parmenio Bèttoli, Derivazione e plagio, «Scena illustrata. Rivista quindicinale di letteratura, arte e sport», Firenze, Anno XXXII, Numero 5, 1° Marzo 1896, p. [2].
  Un tale, riferendosi a’ ciclisti defensionali, scrive: «Han tirato in ballo la vecchia storia dei plagi classici, han fatto i nomi persino di Dante, di Goethe, di Balzac, di Ariosto e – udite – un critico napoletano ha osato paragonare le notissime reminescenze classiche del Leopardi alle volgari e furbe ladronerie dell’abruzzese, che toglie da’ coetanei, sapendo bene che altro è il lavorìo dell’innesto classico greco-latino (che non plagio ma traduzione bella e buona delle letterature neolatine), e altro è la copia o traduzione pura e semplice delle lingue viventi».

  Guido Biagi, Una gita a San Lazzaro (Ricordi di Venezia), in Aneddoti letterari. Seconda Edizione, Milano, Fratelli Treves, Editori, 1896, pp. 142-158.
  Cfr. 1883.


  Achille Bizzoni, L’Onorevole. Volume unico, Milano, Società Editrice Sonzogno, 1896 («Biblioteca Romantica Economica», N. 289).

 

  p. 42. Noi, credendo far opera civile, ci studiammo di togliere loro perfino la speranza nei compensi di una vita avvenire, la fede nel loro dio … Opera civile, ma crudele.

  Balzac redivivo completerebbe la sua Commedia Umana alla stazione di Roma, che ha il privilegio sulle altre d’essere visitata ogni anno da duecentomila fra turisti e pellegrini. Visitatori delle rovine pagane e della Mecca cattolica— Oh Balzac! Il grande libro che ti sarebbe serbato, se tu ritornassi al mondo!


  Annetta Boneschi-Ceccoli, La profezia di Swedenborg, «Scena illustrata. Rivista quindicinale di letteratura, arte e sport», Firenze, Anno XXXII, Numero 17, 1° Settembre 1896, p. [10].
  Onorato di Balzac volle dedicare tutto un volume alla vita e alle dottrine di quest’uomo straordinario; e intorno alle opere dovute alla seconda parte della vita di Swedenborg, scrive:
  «Lo stato di visione nel quale egli si metteva a suo talento, relativamente alle cose della terra, e che sorprese tutti quanti l’avvicinarono pe’ suoi effetti maravigliosi non era che una debole applicazione della sua facoltà di vedere negli spazi.
  Sono curiose tra le sue visioni quelle in cui narra i suoi viaggi nelle terre astrali. Un uomo la cui immensa portata scientifica è incontestabile, che riunisce in sé la concezione, la volontà, l’immaginazione, avrebbe certo inventato meglio, se avesse inventato».

  Carlo Braggio, Enrico Ibsen, «Scena illustrata. Rivista quindicinale di letteratura, arte e sport», Firenze, Anno XXXII, Numero 13-14, 1°-15 Luglio 1896, pp. [3-4].
  [p. 4.] Un nemico del popolo? È quasi tutto in Flaubert. Rosmersholm? Cercate Balzac, Augier e per certi rispetti Teresa Raquin di esso Zola. Faccio grazie al lettore del resto.

  Attilio Brunialti, Il Diritto costituzionale e la politica nella scienza e nelle istituzioni. Volume Primo, Torino, Unione Tipografico-Editrice, 1896 («Biblioteca di Scienze politiche e amministrative. Scelta Collezione delle più importanti opere moderne italiane e straniere di Scienze politiche e amministrative diretta da Attilio Brunialti. Seconda Serie. Opere di Diritto Amministrativo e Costituzionale», Volume Settimo – Parte Prima).
  Capo I. Concetto, definizioni, limiti del diritto costituzionale. Diritto e politica costituzionale. Par. 4. Definizione del diritto costituzionale. Costituzione, Corte, Statuto, Parlamento, pp. 19-30.
  pp. 28-29, nota 3. Per questo abbondano, specie negli scrittori francesi, le più scettiche idee della costituzione. Eccone alcuni esempi. […] “In una monarchia non avete che cortigiano e servi, mentre con una carta siete servito, adulato, accarezzato da uomini liberi” (Balzac).
  Capo III. Il metodo nello studio del diritto costituzionale. Par. 7. L’ideologia e l’osservazione nella scienza politica, pp. 139-143.
  p. 143, nota 1. “I partiti commettono azioni che coprirebbero un uomo d’obbrobrio” Balzac.

  D. C., Bibliografia. Barbiera. – “Il salotto della contessa Maffei e la società milanese. (1834-1886). – Milano, Treves, 5.a edizione, «Archivio storico lombardo. Giornale della Società storica lombarda», Milano, Sede della Società; Libreria Fratelli Bocca, Serie Terza, Volume V, Anno XXIII, 1896, pp. 478-479.
  p. 478. Al prodigioso Balzac a gara furono prodigate, fra quelle pareti, cortesie indimenticabili.

  Luigi Capuana, Appunti critici, «Roma di Roma», Roma, Anno I, n. 12, 10-11 maggio 1896.
  I grandi intendimenti filosofici, scientifici, si riducono a lustre, a ciarlatanerie per chiappare il momentaneo favore del pubblico, se poi non riescono a creare persone vive. Omero, Shakespeare, Balzac che avevano reni solide per la bisogna creativa, non andavano tanto per le vie traverse: mettevano al mondo creature immortali, non vuote di parvenze. Ed Elena, e Andromaca, e Nausicaa daranno, fino alla fine dei secoli, da pensare e da discorrere più di qualunque nostro simbolo moderno; e Amleto ha fatto e farà scervellare filosofi e scienziati più che non abbia fatto e non possa fare una persona realmente esistita; e madame Marneffe e il barone Hulot e il Père Goriot e il Cousin Pons, perché creature vive, iscritte con inchiostro indelebile nel registro dello stato civile dell’Arte si prestano compiacentemente a fare da simboli con Elena, con Amleto e con tutti gli altri loro pari […].

  Avv. G. Ciraolo Hamnett, Reati caratteristici e fattori sentimentali, in Delitti femminili a Napoli. Studio di sociologia criminale, Milano, Max Kantorowicz, Editore, 1896, pp. 54-62.
  p. 59, nota 1. La menzogna non solo è facile ma è quasi necessaria alla donna, pure normale, al segno da mentire con sé stessa, come dice il Flaubert.
  «Il y a toujours un fameux singe – dice Balzac che ne se intendeva – dans la plus angélique des femmes» (Autre étude de femme).

  Edoardo Coli, In Treno, «Il Marzocco. Periodico settimanale di letteratura e d’arte», Firenze, Anno I, N. 25, 19 Luglio 1896, pp. 3-4.
  p. 3. […] Zola? grand’uomo?
  E Balzac e Manzoni? … il lazzaretto?
  quel santo! «Si figuri» … fra Galdino.

  Contessa Lara, Il Salotto della Signora, «La Tribuna Illustrata», Roma, Anno VII, Num. 1, Gennaio 1896, pp. 28-30.
  pp. 28-29. Ma non soltanto il fuoco ha di buono l’inverno; esso ha il thè.
  A proposito, (chiacchiero con voi, o signore, come se proprio vi avessi meco nell’intimità del mio salotto), iersera rileggevo un brano di quel capolavoro – a parte la fine di Valeria – che è La cousine Bette d’Onorato Balzac: da che spesso, assai spesso, bisogna tornare ai maestri, per medicarsi il gusto – passatemi le frase – ammalatosi nella compagnia degli … altri: sien pur questi più ricercati dalla folla di quel che, certo, è adesso, appunto, il Balzac.
  Che acuta osservazione, che filosofia sottile, che verità convincente!
  Mi sembra di vedervi su le labbra rosate un sorriso canzonatorio, come a domandarmi se proprio son io, oggi, che scopro l’autore della Commedia umana
  No, care, sicuramente no! (E rido anch’io); ma chi sa se, per esempio, avete fresca nella mente, com’io l’ho, la scenetta mondana del thè, cui alludo? Secondo Balzac, c’è, più che una distinzione, un favore nell’offerta d’una tazza di thè fatta da una donna, ella stessa, a un uomo; anche:
  «V’è, nel modo in cui ella adempie questa funzione, un linguaggio; ma le donne ben lo sanno; sì che c’è da fare un curioso studio de’ loro movimenti, de’ gesti, degli sguardi, del tono della loro voce, dell’accento, quando elle compiono quest’atto di cortesia così semplice. Dalla domanda: – Prendete il thè? – Volete del thè? – Una tazza di thè? – freddamente formulata; dall’ordine di portare il thè, dato a una ninfa qualunque che ha in custodia l’urna: (il nostro samovar), fino all’enorme poema dell’odalisca che vien dalla tavola del thè, con la tazza in mano, incontro al pascià del cuore, e glie la presenta con aspetto sottomesso, offrendola con voce carezzevole e lo sguardo pieno di promesse voluttuose, un fisiologo può osservare tutti i sentimenti femminei, dall’avversione, dall’indifferenza, fino alla dichiarazione di Fedra a Ippolito. – Le donne possono, con una sola tazza di thè, farsi, a volontà, sprezzanti fino all’insulto, umili fino alla schiavitù dell’Oriente …».
  E continuo, per conto mio.

  Giulio Cesare Craveri, Torquato Tasso e la Psichiatria(*), «Domenica Letteraria. Supplemento al giornale “Milano Nuova”», Milano, Anno I, N. XXII – VII – VI, 1896, pp. 1-2.
  (*) L. Roncoroni, Genio e pazzia in Torquato Tasso. – Torino, 1896, Fratelli Bocca, editori.
  p. 2. Non vi sono dunque altri preclari ingegni che abbiano vergato, fra lettere ed opere d’arte, quanto il Tasso? Non vale dunque l’aver molte cose a dire ai contemporanei ed ai posteri a proposito del macrocosmo e del microcosmo del proprio io, se la fecondità di un grande potrà appellarsi grafomania? […] La lettera sola – e la lettera intima – è il documento rivelatore per eccellenza. Ci basti il citare a tal proposito gli autografi del Manzoni, del Giusti e del Balzac, che rivelano non confusione di idee, ma l’incontentabilità di uno spirito assetato di perfezione coi loro pentimenti e correzioni numerosissime.

  A. Criscuolo, Bugie e pregiudizii. Conferenza, «Rassegna Pugliese di Scienze, Lettere ed Arti», Trani-Bari, Vol. XIII, Num. 4, Agosto 1896, pp. 113-125.
  pp. 116-121. Il pregiudizio s’arresta davanti all’intelletto e al genio.
  E pure se tutti quelli si studiassero in veste da camera, o accanto al fuoco, si vedrebbe Bacone ladro, Verlaine, il fortissimo poeta decadente, violento, Balzac truffatore, e mille altri, affetti da vizii tristi e verminosi.
  Si combatte un giudizio, non un pregiudizio. […].
  La quale lotta per la vita, o il pregiudizio di casta, le tradizioni di un casato imporranno alla donna un matrimonio non di elezione propria, il che vale compiere una cattiva azione. È raro il caso di una fanciulla ribelle, resistente; novanta su cento, che patiscono tale martoro, s’assoggettano al gioco, o per educazione, o per temperamento, o per paura, o per lente, lentifere suggestioni di parenti.
  Ella così mente. […].
  Ed il marito, che vede il pallore, quando dovrebbero accendersi le vampe, vede spento l’occhio, che dovrebbe saettare, non intende, non spiega, non trova in sé medesimo, la cagione e l’origine di un , che fu una bugia.
  Se lo trova, saranno infelici in due. Forse vedrà la sua casa fatta taurina e avrà il magro conforto, che Omero dava al marito dell’argiva Elena; via, è un guaio che capita anche agli Dei; o si torrà la rassegnazione che Balzac, nella Fhisiologie (sic) du mariage, consiglia ai predestinati. […].
  La sesta bugia e forse la più innocua, è quella così detta di professione. […].
  Stupenda e passionale è la figura che di uno di questi [giornalisti/scrittori] fa quel gran conoscitore delle anime, che è Onorato di Balzac.
  Luciano de Rubempré, colto aristocratico, signore della penna e della parola, addiviene povero.
  Egli è costretto a locare l’opera propria a un editore, che gli chiede una poesia allegra ogni mese, o quasi per il giornale.
  E Luciano De Rubempré è descritto in un tragico capitolo, una notte cioè, solo nella sua stanzetta del quartiere latino, accanto al cadavere dell’amata, scrivere allegri versi, che l’editore gli ha chiesti e il cui prezzo servirà a pagare un prete ed una bara per la povera morta.
  Tutti, il giorno appresso, per i boulevards, per le mille botteghe da caffè, leggendo quei versi, avranno detto: oh qual bell’umore, di che gaio spirito, mentre lo scrittore, piangendo, ha scritto per fare ridere; ha mentito così per il servaggio del proprio mestiere. […].
  Ovidio, detto a ragione il Balzac del secolo d’Augusto […].

  G.[abriele] D’Annunzio, Questione di plagio. Una lettera di G. D’Annunzio, «Corriere Ticinese. Giornale quotidiano», Pavia, Anno XII, Num. 30, 5-6 Febbraio 1896, pp. 1-2.
  p. 1. Da parecchio tempo Gabriele d’Annunzio è fatto segno per parte della critica ad una serie di articoli ostilissimi.
  Fra questi articoli, fecero molto rumore, due di Enrico Thovez sulla Gazzetta letteraria, nei quali si accusava il d’Annunzio di plagio.
  Il D’Annunzio si difende in una lettera indirizzata ad André Maurel e pubblicata dal Figaro: ed ecco come: […].
  L’originalità vera di uno scrittore risiede esclusivamente in quella virtù per la quale tutto ciò che egli tocca sembra divenire propriamente suo per sempre. Da Orazio a Ronsard, da Virgilio a Racine, da Dante a Goethe, da Boccaccio a Balzac – si parva licet etc. – tutti i grandi artefici di prosa e di poesia hanno raccolto i loro buoni materiali dove li hanno trovati […].

  Il demonietto, Sorrisi e ghigni, «Mefistofele», Foggia, Anno I, N. 10, 25 Aprile 1896, p. 2.

  Invero predestinato!

  Oh, non crediate, lettrice, che io voglia porvi sott’occhio le disgrazie d'un dei tipi così definiti da Onorato di Balzac; per carità, non lo pensate neppure […].


  Didimo, La “Bohême” illustrata, «Fanfulla», Roma, Anno XXVII, Num. 72, 13 Marzo 1896, p. 1.

 

  La tisica Mimì non era ancora comparsa per venire a morire nel letto e fra le braccia dell’amante; ma si sentiva nelle altre stanze l’argentina risata di Musette, rimpannucciata e rimessa in ghingheri per fare una decorosa figura nel mondo del quartiere latino.

 Nel salotto elegantemente addobbato vi era distesa sopra una tavola la pelle del potere, ossia dell’orso [...].

  E ripensò forse, nella sua qualità di artista letterato, a uno dei più bei romanzi di Onorato di Balzac che s’intitola La Peau de chagrin: una pelle simbolica, che chi la possiede ottiene tutto quello che desidera; ma una pelle che, ad ogni soddisfazione presa, a ogni gioia gustata, a ogni ambizione soddisfatta, si restringe, si raggomitola, si assottiglia, e ingoia nelle sue pieghe sempre più minuscole i giorni di vita del possessore.


  Donna Proserpina, Fra una coda e l’altra. Malinconie letterarie, «La Coda del Diavolo. Gazzettino politico di Lucera», Lucera, Anno I, Num. 6, 12 Maggio 1896, p. 1.

  Un critico lucerino che si cela mode­stamente sotto il pseudonimo Isaul, mi comunica una letterina per le lettrici.

   La trascrivo senza metterci sale nè pepe:

  «Se permettete due parole di letteratura.

  Ma mi sbrigo subito; e vedrete che c’è il suo perché. Mi sbrigo subito per la buona ragione che la letteratura contemporanea tende al genere seccante e non fa per voi.

  Il romanzo moderno s’è buttato alla psicologia alla neuropatologia, al buddismo, e a una infinità di altre cose, ma mi pare che abbia perduto di vista il suo scopo: quello di dilettare.

  È bene, certo, che l'arte si raffinò, un poco, ma a furia di raffinarsi, l’arte s’è perduta.

  Con tutta la psicologia e l’altre scienze e teoriche, le quali hanno invaso il territorio del romanzo, è successo ai romanzieri quello che il Balzac racconta nel — Chef d'oeuvre inconnu».


  R. Doumic, La missione sociale dello scrittore (Da una conferenza di R. Doumic, “La Reforme Sociale”, 1° aprile), «Minerva. Rivista delle riviste», Roma, Società Editrice Laziale, Anno VI, Num. 5, vol. XI, Maggio 1896, pp. 434-438.
  p. 435. È un fatto incontestabile che la letteratura abbia una influenza grandissima sopra i movimenti sociali e sopra i costumi. Non diremo che sono stati i filosofi del XVIII secolo quelli che hanno fatto la Rivoluzione francese, ma certamente essi ne hanno affrettata l’ora e le hanno impresso il carattere. […]. Un esempio ancora più evidente ce lo fornisce l’opera romanzesca del Balzac, il quale ci descrive una società che rassomiglia assai più a quella che seguì l’epoca dello scrittore, anzi che a quella che l’accompagnò. Ecco l’esempio d’una società reale che si plasma sopra una società creata dall’immaginazione d’un romanziere.

  Costanzo Einaudi, I delinquenti nell’arte, «La Stampa. Gazzetta Piemontese», Torino, Anno XXX, N. 310, 7 Dicembre 1896, pp. 1-2; N. 100, 10 Aprile 1896, pp. 1-2.
  Tranne qualche variante formale e l’aggiunta del rimarchevole errore nella trascrizione dell’opera di Balzac, l’articolo del 7 dicembre non è altro che la riproduzione di quello già pubblicato il 10 aprile 1896.
  p. 1. In questa rassegna vertiginosa dei più celebri tipi di delinquenti nelle opere letterarie bisogna scartare anzitutto la folla infinita de’ criminali comuni, che furono e permangono il substrato di tanti romanzi e commedie mediocri e dai quali seppero elevarsi ben poche figure, diventate poi leggendarie, come il Don Giovanni di Byron, il Wautrin (sic) di Balzac e il Don Marzio del Goldoni.


  Evelyn, Edmond De Goncourt, «Cordelia. Giornale per le Giovinette», Firenze, Anno XV, Num. 41, 2 Agosto 1896, pp. 481-483.

  p. 482. Poveri Goncourt! quelle opere erano scritte purtroppo a spese della loro vitalità nervosa, che andava sempre scemando, come quella del famoso eroe di Balzac, nella peau de chagrin


  Falco, Viaggi per l’arte. I romantici, «L’Indipendente», Trieste, Anno XX, N. 6644, 10 Febbraio 1896, pp. 1-2.

  p. 1. Tutto sembrava pre­parare il giorno in cui le due giovani donzelle americane udirono intorno a loro battiti misteriosi di muri e di mobili e inaugurossi oltre Oceano la febriciattola del nuovo occultismo. Tanto fu il mal­contento delle potenze concesse all’uomo e il desiderio di possederne maggiori, che nemmeno lo stesso Balzac, osservatore scrupoloso di tanta realtà, fu risparmiato da un bisogno di voli chimerici al paese delle inaudite ricchezze mediante la peau de chagrin del suo vecchio mago.


  Falco, Viaggi per l’arte. Originali ed origini della letteratura odierna, «L’Indipendente», Trieste, Anno XX, N. 6831, 21 Settembre 1896, pp. 1-2.

  E nel romanzo io vedo riprodursi in mille forme, sminuzzarsi, combinarsi, spezzarsi di nuovo, restrin­gersi negli orizzonti o ampliarsi meravi­gliosamente ancora il grande desiderio che Onorato di Balzac lascia sfogare dal­l’animo quando raccolse le sue opere nel titolo della Comedia umana e vi allogò gli elementi della tragedia della vita. L’i­dea della rappresentazione d’un tempo, con tutta la realtà delle sue azioni e con tutta l’imaginativa dei suoi spiriti illusi e sognanti, con la proporzione fra l’una e l’altra nella quale interviene la critica e domina, era consapevolezza nel grande scrittore, come facoltà ingenua era in quel vecchio Omero che con meravigliosa sagacia e cielo e terra connetteva, e al quale probabilmente per questo fu para­gonato Balzac, in rapporto a’ suoi tempi, da un buon giudice estetico: Riccardo Wagner.

  Ciascuno dei romanzieri contemporanei ha derivato per rami occulti dall’autore di tante avventure possibili e di qualche impossibile, il Balzac, la maniera fondamentale della sua opera, la forma in cui essa si compone inevitabilmente: rappre­sentazione cioè di fatti umani e loro rap­porto critico con la natura, con la società in cui avvengono. Un pezzo di vita portato su le carte, con il lembo di cielo dei suoi sogni e con la materia sotterranea dei suoi istinti fatali e reconditi è l’ambizione di qualunque romanziere ed è l’aspetto che quasi per forza di natura ogni suo lavoro prende. L’ambiente men­tale di Balzac – per così dire — vive nel largo campo di produzioni letteraria d’oggidì, esige con la nostra esigenza d'arte, e si dicano realisti o si costrui­scano qualche ideale, gli scrittori non possono sottrarsi all’osservazione della vitalità circostante e allo sprone di ren­dere narrando gesta ed anime vive. E’ vero che allo studio delle persone e dei fatti comuni si va sostituendo studio d’eccezioni; ma è anche vero che ciascuno teme di riuscir scolorito e di non persua­dere fino all’interessamento, ove gli man­chino dati positivi a giustificare i propri asserti e ad aggiungere alle proprie fan­tasie quella solidità ed armonia con gli ambienti che han le cose reali.

  Certo però quelle influenze filosofiche, che si sono esaminate nei precedenti ar­ticoli, che oggi agiscono e che al tempo del Balzac non avevano agito ancora, hanno portato modificazioni nella sostanza, nel criterio di scogliere i punti di vi­sta e nel modo di vedere; di lui è tutta­via rimasta la forma generale del lavoro, la sua costituzione organica, il tipo pri­mitivo del romanzo moderno. Altri dopo di lui insegnò che si dovesse guardare con la massima imparzialità e freddezza, senza lasciarsi guidar dai propri criteri a prendere parte, e questi medesimo pre­scrisse il campo all’attività dello scrittore nella ricerca dell’espressione giusta, esatta, veridica, rappresentativa, del voca­bolo per ogni cosa, del movimento di periodo adeguato alla qualità ed importanza della cosa, persona o gesto descritta o narrata. E giunse nello studio di stile a perfezione tanta che oggi ancora, nella maggior parte di ciò che si legge scritto senza disordine e senza peccato, ricorre la reminiscenza di Gustavo Flaubert. […].


  Falco, Viaggi per l’arte. Originali ed origini della letteratura odierna, «L’Indipendente», Trieste, Anno XX, N. 6837, 28 Settembre 1896, p. 1.

  Egli [Wagner] è oggi il maestro dell’unità d’un’opera, ricavata da’ suoi valori molteplici. Egli insegna che tutto si può collocare in un lavoro d’arte, perché tutto si possa ridurre ad uno. L’imagine di cose mo­bili e viventi del Balzac; ed il pezzo di vita del Flaubert divengono per sua dottrina un’armonia di cose mobili o viventi e un lembo della bellezza univer­sale.


  Falco, Viaggi per l’arte. Originali ed origini della letteratura odierna, «L’Indipendente», Trieste, Anno XX, N. 6843, 5 Ottobre 1896, pp. 1-2.

  p. 2. La letteratura moderna è un’accade­mia di discepoli che ha ascoltato attenta­mente il verbo di parecchi maestri e si affanna ad interpretarlo, a conciliarlo, a crescere più robusta dalla cooperazione di tanti atavismi intellettuali. Essa è na­ta assai prima che si credesse di nasce­re. Rousseau, Goethe, Leopardi rischia­rarono la sua attenzione su la possibilità d’un concetto del mondo; Schopenhauer, Nietzche (sic), Taine, Tolstoi e Dostojewski la vollero angosciosa su la missione intel­lettuale dell’uomo; Balzac, Flaubert e Poë le presentarono i metodi dell’arte di far vivere mediante lo scritto; Wa­gner e Baudelaire le palesarono il segreto di costituirsi un sogno e di spie­garvi tutte le attività vitali […].


  S.[alvatore] Farina, Come si scrive un romanzo, «Natura ed Arte. Periodico Illustrato per le Famiglie», Milano, Casa Editrice Dott. Francesco Vallardi, Anno V, N. 4, 15 Gennaio 1896, pp. 325-328. 

  Cfr. 1895.


  Salvatore Farina, Come si scrive un romanzo?, «Illustrazione Popolare. Giornale per le famiglie», Milano, Fratelli Treves, Editori, Volume XXXIII, N. 6, 9 Febbrajo 1896, pp. 88-89.

 

  Cfr. scheda precedente.


  Arturo Farinelli, Don Giovanni. Note critiche, «Giornale storico della letteratura italiana», Torino-Roma, Ermanno Loescher, Volume XXVII, fasc. 80-81, 1896, pp. 254-326 e nel volume pubblicato, sempre con il medesimo titolo dell’articolo, da Ermanno Loescher (Torino-Roma) lo stesso anno.
  p. 313. Nell’ottobre del 1830, il mordace censore della triste commedia umana, Honoré Balzac, terminava una sua novella sul tema del Don Giovanni, L’Elixir de longue vie. Tanto il principio quanto la fine, l’uso dell’elisir della vita per muovere le membra irrigidite del padre, ricordano una fantasia ben nota dell’Hoffmann. L’eroe del Balzac, Don Giovanni Belvidero è un ricco ferrarese, un «enfant gâté», gran dissipatore, che passa la gioventù viziata nell’orgia e nel baccanale ed invecchia man mano facendosi beffe di tutto e di tutti, armandosi e corazzandosi sempre più di uno scetticismo e di un egoismo spaventevoli. «Il analysa les hommes et les choses pour en finir d’une seule fois avec le passé … avec le présent … avec l’avenir. Il prit l’âme et la matière, les jeta dans un creuset, n’y trouva rien, et dès lors il devint «Don Juan». A 60 anni si rifugia in Ispagna, dove sposa la giovinetta Elvira, e resiste impavido e cinico alle ingiurie del tempo. In piena decrepitezza l’empio muore ed è canonizzato con pompa solenne dal popolo superstizioso. […].
  pp. 316-317. Una fantasia caotica alla Hoffmann, ma senz’ombra di genio, amalgama stupefacente delle avventure di un Tenorio e di un Maraña, di fattura simile ai Sept enfants de Lara, sono le (sic) mirabili Mémoires de Don Juan (Paris, 1847) di F. Mallefille, suggerite forse da una frase nell’Elixir del Balzac(1), memorie che ebbero, strano a dirsi, appena comparse, l’onore di una traduzione tedesca (Lipsia, 1848-52). […].
  (1) Balzac « … Toutefois cette légende n’est pas entreprise pour fournir des matériaux à ceux qui voudront écrire des mémoires sur la vie de Don Juan».
  pp. 321-322. All’America latina mancava ancora, verso la metà del nostro secolo, un Don Giovanni. Esteban Echeverria, contemporaneo dell’Espronceda e dello Zorrilla, pensò di vestire il grande dissoluto all’americana, all’argentina, e scrisse un interminabile, goffo ed esecrabile poema di più di 800 versi: El Angel caido (cominciato a Montevideo nel 1843, compiuto nel 1846), togliendo ora dal Balzac, or dall’Hugo, or dal Lamartine (Chute d’un ange), or dall’uno or dall’altro dei romantici francesi le sue poetiche fantasie […].

  Luigi Ferrara Rapolla, Fantasticherie invernali, «Scena illustrata. Rivista quindicinale di letteratura, arte e sport», Firenze, Anno XXXII, Numero 23, 1° Dicembre 1896, p. [6].
  Mi capitò un giorno fra mano un elegante opuscoletto di L. Mastrigli, in cui erano raccolti cento pensieri di uomini illustri, sulla musica. […]. Sentite.
  «La musica è una rivelazione sublime della vita spirituale, un legame tra la vita dello spirito e quella dei sensi (Beethoven); un’altra vita nella vita (Balzac) […]»
  Ci capite niente? Io, per me, riconosco, è vero, che alcune definizioni son proprio belle; da quella strana ma concettosa di Proudhom, a quella gentile ma unilaterale dello Shakespeare, dall’astrattezza filosofica di Aristotele e di Platone alla profumata eleganza di Balzac, di Lamartine e soprattutto di De Musset.

  Augusto Ferrero, Genio e pazzia in Torquato Tasso, «La Stampa. Gazzetta Piemontese», Torino, Anno XXX, N. 152, 1° Giugno 1896, pp. 1-2.
  p. 1. Così Lombroso ha annoverato fra i geni affetti da una forma di monomania, la follia del dubbio, Napoleone, Tolstoi, Amiel, Renan, Leopardi, Foscolo, Manzoni, Carlyle; e fra i megalomani Dante, Hegel, Balzac, Chopin, Comte, Baudelaire, Schopenhauer.

  Augusto Ferrero, Il pesce più raro, in AA.VV., Almanacco del giornale quotidiano “La Voce del Popolo”. Organo della popolazione italiana in California, 1896, pp. 48-52.
  p. 49. Le nostre pescatrici – attestatelo voi, o scapoli del passato e del presente – non hanno bisogno di Ovidio, nè di Balzac, nè di Bourget, che vengano ad apprender loro l’arte e la fisiologia della pesca.

  Enrico Ferri, I delinquenti nel romanzo contemporaneo, in I delinquenti nell’arte, Genova, Libreria Editrice Ligure, 1896, pp. 102-154.
  pp. 102-103. Nella seconda metà del secolo nostro, il romanzo, mentre era la forma più adatta all’ambiente della società contemporanea – e per questo vinceva in intensità ed estensione ogni altra forma di arte letteraria – trovavasi però dinnanzi ad una suprema necessità darviniana, che Gabriele D’Annunzio esprimeva più recentemente nella formula felice: rinnovarsi o perire.
  Dopo gli inizii luminosi dell’immenso Balzac – col ciclo romantico della Comédie humaine – e di Flaubert – con Madame Bovary – che additavano nello studio dell’ambiente sociale le ragioni, o meglio gran parte delle ragioni di vita individuale; dopo che, nello stesso brevissimo giro di anni, quasi contemporaneamente, basi vitali di scienza positiva furono date alla biologia da Darwin, alla filosofia naturale da Spencer e alla scienza sociale da Marx; e dopo il meraviglioso slancio che la conoscenza della natura, dell’uomo-individuo e l’uomo-società compresi, assunse colle scienze rinnovate dal metodo positivo, cioè di osservazione e di sperimento; il romanzo contemporaneo non poteva non risentirne il contraccolpo decisivo e quindi – lasciato l’ormai vecchio e abusato convenzionalismo fantastico dell’eroismo di maniera e di posa – si adattava alla rinnovata coscienza umana di fronte all’universo, accostandosi alle sorgenti vive e palpitanti della realtà umana, direttamente osservata.


 Giustino L.[uigi] Ferri, Il Capolavoro (Vita moderna), «Fanfulla», Roma, Anno XXVII, Num. 236, 17 Settembre 1896, p. 2.

 

Parte terza. I.

 

 Paolo non aveva fatto il suo breviario del Curé de village, il romanzo di O. de Balzac, dove si trova il paragone tra le conseguenze estremo dei patimenti fisici e delle miserie morali, tra la scomparsa del pudore e lo sfinimento di ogni energia spirituale; ma quelle poche parole che egli aveva raccolte nel suo quaderno si erano impresse fortemente nella sua memoria, e se egli avesse potuto pensare mai nel suo eclettico dilettantismo a scegliere uno scrittore nel quale identificarsi, questo scrittore sarebbe stato certamente l’autore del Curé de village.


  Lino Ferriani, Le astuzie della mendicità (schizzo psicologico), «Domenica Letteraria. Supplemento al giornale “Milano Nuova”», Milano, Anno I, N. III – XIX – I, 1896, p. 1.
  Dall’ozio alla mendicità e ad altre forme più acute di delinquenza il passo è breve. […] Ora io non svolgerò il tema importante in tutta la sua dolorosamente ricca ampiezza […], ma mi limiterò a una parte, all’esame d’una delle facce del gran prisma, testimonio indecorosa di colpa, ignavia della vita sociale. Esaminerò quella parte che non manca di una punta artistica e che quindi può fare capolino nella Domenica Letteraria. Perché è proprio così, molti lo notarono, tra cui Balzac, Zola, non v’ha miseria, dolore, delitto, bruttura che non abbia un lato dal quale sgorghi un po’ – talora molto – di humour. La vita appunto è tutto un tessuto di lagrime, sorrisi, e a fianco della tragedia spunta il comico.

  Pio Ferrieri, Guida allo studio critico della letteratura. Lezioni di Pio Ferrieri Insegn. nel R. Liceo Beccaria e Prof. Pareggiato di Letteratura Italiana nell’Accademia scientifico-letteraria di Milano. Terza edizione interamente rifatta, Torino-Roma-Milano-Firenze-Napoli, Ditta G. B. Paravia e Comp. Tipografi-Librai-Editori, 1896.

Lezione VI. Segue delle facoltà estetiche (il sentimento), pp. 101-115.
  pp. 105-106. Unico è il carattere che Plauto ha immortalato in Euclione, il Molière in Arpagone, il Goldoni nell’Avaro, il Balzac in Gobseck: ma ciascuno ha note individuali che lo differenziano dall’altro.

Lezione IX. Del realismo e dell’idealismo, pp. 174-192.
  pp. 177-178. In generale dunque l’arte vera è quella, che sa meglio trasformare la realtà in gruppi di forme plastiche; sa meglio scegliere ciò ch’è più alto a commovere il cuore e far pensare alla mente, quella che aggruppa in modo originale un complesso d’idee e di emozioni potenti. […].
  Il grande Balzac, ne’ romanzi del quali spesseggiano pitture crudamente reali, ha scritto: «Immortali non sono che le creature la cui vita diviene più autentica di quelle che sono realmente vissute»(I): e a un tal Vidocq che a torto lo rimproverava di eccessiva idealità, insistendo sul vecchio precetto, che l’arte è realtà, ripose: – la realtà la facciamo noi; – e confermò il detto paragonando una pesca scolpita da mano maestra sempre fresca e duratura, colla pesca del giardino dalla vita di un giorno.
  (I) Cfr. Illusions perdues.

Lezione XIII. Dell’arte del comporre e dello scrivere, pp. 265-296.
  p. 281. Balzac diceva: «L’arte dello scrivere non si contenta di piacere colla purità dello stile e la grazia della lingua, ma tenta persuadere colla forza della dottrina e la copia delle ragioni».

  Riccardo Fortser, Questioni letterarie, «Fanfulla della Domenica», Roma, Anno XVIII, N. 14, 4 Aprile 1896, pp. 1-2.
  p. 2. Chi mai vorrà chiamare il Romanticismo o giudicarne le origini, gli effetti con precisa denominazione nazionale? E il naturalismo che chiamiamo francese, dimenticando i romanzi inglesi prima e i romanzi russi poi, Ippolito Taine che ne fu il teorico, e non solo nel suo saggio sul Balzac, certo non lo ravvisò sulla cenere di morte tradizioni un dì fiorite su un tronco patrio.

  G. S. Gargano, Come non si scrive un romanzo, «Il Marzocco. Periodico settimanale di letteratura e d’arte», Firenze, Anno I, N. 11, 12 Aprile 1896, p. 3.
  [Su Salvatore Farina].
  Ma d’altra parte, poiché il narrare cose accadute a sé stessi ha un carattere di spontaneità che non fa diffidare il lettore, il giovane maggiorenne che farà egli stesso la narrazione. E non la comincerà nella forma classica: Era una volta … oppure: Scoccava il mezzodì … oppure: Si perdevano nell’aria gli ultimi tocchi della mezzanotte: ma entrerà subito nel cuore dell’argomento e non «servirà al pubblico un ambiente tutto d’un pezzo», come ha insegnato a fare Balzac a certi romanzieri moderni: perché Balzac, secondo questo illustre maestro, faceva certe descrizioni «per accrescere il numero delle linee dei suoi splendidi libri, perché tutti sappiamo che Balzac era pagato un tanto alla linea, che faceva un romanzo in quindici giorni, avendo l’imperiosa necessità di pagare i suoi debiti».

  Rodolfo Giani, I grandi letterati contemporanei: I Goncourt, «Emporium. Rivista mensile illustrata d’arte, letteratura, scienze e varietà», Bergamo, Istituto d’Arti grafiche editore, Volume III°, N. 1, Gennaio 1896, pp. 3-22.
  p. 8. La fama odierna dei Goncourt poggia specialmente sui romanzi e quando la principal forma di prosa artistica di questo secolo nostro, avrà nel venturo la sua storia, toccherà certo ai due fratelli un posto cospicuo. Cospicuo sì, ma anche a parte; chè l’opera loro è di quelle a cui le classificazioni e le categorie non sanno trovar luogo adatto. Discendono, è vero, un po’ dallo Stendhal e un po’ dal Balzac, – l’ammirazione pel quale in loro s’aggiunse, anzi si sostituì forse, all’antica per Victor Hugo, – ma non tanto che possano dirsi veri loro figli intellettuali.

  Francesco Giarelli, Vent’anni di giornalismo (1868-1888), Codogno, Tipografia Editrice A. G. Cairo, 1896.

Capo V, pp. 70-85.
  pp. 74-75. Posto fra Victor Hugo e Balzac, fra Heine e Zola, fra Mürger e Vallès, fra Planche e Maxine Du Camp, fra i De Goncourt ed Ohnet, fra Bourget e Flaubert – Felice Cameroni era senza dubbio il più competente di quanti pel loro ufficio di letterati dovevano trattare l’odierna evoluzione francese nell’arte dello scrivere. Felice Cameroni, un francofilo entusiasta in tutto, si fece in Italia banditore delle nuove teorie transalpine. Fu lui che popolarizzò fra noi i raggi di sole di Heine, di Musset e di Mürger. Lui che ci avviò attraverso Giulio Vallès e la sua scuola alle battaglie del realismo, gloria di Onorato di Balzac e fortuna di Emilio Zola.

Capo XXVI, pp. 362-373.
  p. 364. La morte a Parigi di madama Ester Guimont l’«inventrice della cronaca» una ex regina del mondo elegante, il cui sovrano potere cominciò a brillare nel 1824. Bella, spiritosa, elegante, il suo salotto fu il primo punto di convegno delle celebrità artistico-letterarie. Onorato di Balzac ne tracciò un finissimo ritratto nella sua Ultima incarnazione di Vautrin.

  Avv. Antonino Giordano, L’Amore di Dante. Conferenza tenuta nella Sala del Circolo Filologico, Napoli, Tipografia Monitore degli Annunzi, 1896.
  p. 15. Fu iniziata così per opera di Dante una scuola di misticismo nell’amore, la quale doveva resistere anche all’impura corrente di quel realismo, che, nato nel periodo del Rinascimento, crebbe a poco a poco sino a diventare quello troppo procace del secolo nostro. Pur tuttavia, neanche la scienza moderna è riuscita a dar l’ultimo colpo al misticismo, perché ancora insigni scrittori lo rappresentano; anzi dalle opere di quelli, che pare dovrebbero essere i sacerdoti del realismo, spira oggi un alito di quel misticismo soave che doveva rapire, avvincere, piegare perfino Onorato di Balzac e Leone Tolstoi!


  Giuseppe Grabinski, La Fine di un Regno, «La Rassegna Nazionale», Firenze, Volume LXXXIX, Anno XVIII, 1896, pp. 451-498.

 

  p. 466, nota (1). Questo è il frutto dcl suffragio universale o del suffragio troppo allargato, che produce, in Francia anche più che da noi, il «voto incompetente». La turba ignorante vuole rappresentanti degni di lei e non odia meno il talento di quel che l’odiassero gli ombrosi ed incolti despoti di una volta. Il male però, come l’ho dimostrato, non è solo speciale alle provincie napoletane, ma è il prodotto legittimo della democrazia (1).

  (1) A proposito dei non buoni resultati del parlamentarismo, mi pare opportuno di citare un pensiero profondo di un celebre letterato francese del nostro secolo:

  «I resultati della politica dipenderanno eternamente dai costumi e dalle credenze. Se una nazione è invecchiata, se il filosofismo e lo spirito di discussione l’hanno corrotta fino al midollo delle ossa, questa nazione si avvia verso il despotismo, malgrado le forme della libertà; nella stessa guisa che i popoli savi sanno quasi sempre trovare la libertà sotto le forme del despotismo» (Honoré de Balzac, Le Médecin de campagne).


  Hermann Grimm, Un giudizio di Hermann Grimm, in Salvatore Farina, Pe’ belli occhi della gloria. Scene quasi vere. Quarta edizione, Milano, Casa Editrice Galli di Chiesa, Omodei & Guindani, 1896, pp. IX-XXIII.
  p. XXII. La letteratura giudiziaria, la quale, alla medesima epoca, si formava sul modello de’ Misteri di Parigi del Sue, aveva altrettanto poco fondamento. […] I poeti russi hanno per l’addietro attinto più a Byron, ed ora attingono più a Balzac, di quanto si creda.

  Il nano Zaccaria, Corrieri Estivi. Spiaggie tirrene, «Il Ponte di Pisa», Pisa, Anno IV, Num. 33, 15 Agosto 1896, p. 1.
  Io non so se sia mai stata scritta una fisiologia dei bagni di mare; certo non ci vorrebbe che un Balzac per scriverla: quale inesauribile miniera di tipi e figure non offre essa mai? Quante scene della commedia umana non passano su quel palcoscenico senza quiete che è la rotonda di uno stabilimento balneare?

  Antonio Labriola, Del materialismo storico. Dilucidazione preliminare, 18 giugno 1896. [Roma, Editori Riuniti, 1970, pp. 135-136].

X.
  Si provi qualcuno a distrarre l’ideologia delle favole, che stanno in fondo ai poemi omerici, da quel momento dell’evoluzione storica, in cui spunta l’aurora della civiltà ariana nel bacino del Mediterraneo; da quella fase, cioè, della barbarie superiore, nella quale nasce, così in Grecia come altrove, l’epos genuino. Faccia conto altri di immaginare, che il cristianesimo nascesse e si sviluppasse altrove che nella cerchia del cosmopolitismo romano, e altrimenti che non per opera di quei proletarii, di quegli schiavi, di quei derelitti, di quei disperati, ai quali occorreva la redenzione, l’apocalissi, e la promessa del regno di dio. Trovi chi voglia il modo di fingere, che nel bel mezzo della Rinascenza spuntasse fuori la romantica, che appena s’accenna nel decadente Torquato Tasso; o faccia di attribuire a Richardson o a Diderot il romanzo di Balzac, nel quale apparisce, come in contemporaneo della prima generazione del socialismo e della sociologia, la psicologia delle classi.

  C. [esare] Lombroso, La degenerazione del genio e l’opera di Max Nordau, in Max Nordau, Degenerazione. Traduzione dal tedesco di G. Oberosler. Seconda edizione riveduta sulla seconda originale con nuova prefazione in risposta a C. Lombroso. Fin de siècle – Il misticismo – L’egotismo – Il realismo – Il secolo Ventesimo, Torino, Fratelli Bocca Editori, 1896, pp. XXI-XXXIX.
  p. XXIV. Gli ultimi capitoli del Wilhelm Meister di Goethe e l’episodio della vita di san Giuseppe, sono più incomprensibili e stravaganti delle idee di Tolstoi; le opinioni scientifiche di Balzac e i suoi fluidi innumerevoli troverebbero dei fratelli nelle letterature dei manicomi (Ferrero, Vita moderna, 1890).

  Cesare Lombroso, L’Uomo delinquente in rapporto all’antropologia, alla giurisprudenza e dalle discipline carcerarie. Quinta edizione. Volume Primo con 19 Figure nel testo, Torino, Fratelli Bocca Editori, 1896.
  pp. 598-599. Cfr. 1876.


 Giuseppe Loschi, Precetti di arte del dire con un piccolo dizionario di voci errate o improprie, Udine, Tipografia del Patronato, 1896.

 

Cap. VIII. Componimenti in prosa. Genere narrativo, pp. 101-117.

 

 p. 113. Nulla di storico ha invece nei più dei casi il romanzo sociale, il cui scopo dovrebbe essere di recar rimedio ai mali onde è afflitto il consorzio umano, additando le piaghe cui è necessario un efficace rimedio. Pur troppo però la maggior parte di tali romanzi, che escono oggi specialmente in Francia, non solo concedono scusa e compatimento al vizio ma spesso lo esaltano, danno gli atti di ferocia come atti di eroismo, presentano i virtuosi conculcati, i tristi in trionfo, si beffano dei vincoli più sacri. Di tal genere sono i romanzi del Balzac, del Sue, dei Dumas, del Koch (sic), dello Zola e di tanti e tanti altri, dei cui scritti è inondato, per mezzo delle traduzioni, tutto il mondo.


  Gian Pietro Lucini, Pro symbolo. Il naturalismo, «Domenica letteraria artistica scientifica», Milano, Anno I, N. XXXIII. – XXIII. – VIII, 1896, pp. 1-2.
  Ora avvenne che un giorno al biondo, pacifico e belante agnello del Romanticismo d’un tratto pungessero in fronte le corna; ond’egli, spaventato delle difese argute, si spaventò di sé stesso, e più ancora delli inaspettati ornamenti. E le corna furono la Bohême. Da principio un inno alla gioventù, una foga di vivere, un desiderio di godere: magica infiorescenza dell’ingegno, che prometteva i più saporosi frutti, ramo di rosa vermiglio che il tempo avrebbe disseccato ed ai petali giocondi sostituito la spina. […].
  Più tosto il cuore alla natura, e la natura all’amore: il bicchiere colmo scintilli alla fiammella del gas nella Birreria, o che contenga vino, rubino nel vetro trasparente, o birra, ambra liquida, in diademata di spuma. Il vecchio francese di Rabelais risuscita nei «Contes drolatiques» […].
  Quanta attesa meravigliosa di frutti saporiti. Balzac prima si era fermato a questa rinascenza: dello sguardo quasi amoroso aveva coltivato questa promessa nel lento stagnarsi della Francia dopo il Luglio burrascoso, nel presto imborghesirsi della società dopo il Carlo X odiatore dei gatti. Ed esclamava:
  – « La Bohême, qu’il faudrait appeler la Doctrine du boulevard des Italiens, se compose de jeunes gens tous âgés de plus de vingt ans, mais qui n’en ont pas trente, tous hommes de génies dans leur genre, peu connus encore, mais qui se feront connaître, et qui seront alors des gens fort distingués ; on le (sic) distingue déjà dans les jour (sic) de carnaval, pendant lesquels ils déchargent le trop plein de leur esprit, à l’étroit durant le reste de l’année, en des inventions plus ou moins drôlatiques. A quelle époques (sic) vivons-nous ? Quel absurde pouvoir laisse ainsi se perdre des forces immenses ? Il se trouve dans la Bohême des diplomates capables de renverser les projets de la Russie, s’ils se sentaient appuyés par la puissance de la France. On y rencontre des écrivains, des administrateurs, des artistes. Enfin tous le (sic) genres de capacités, d’esprit y son (sic) représentés. C’est un microcosme»(1). Peana ditirambico; che doveva terminare col grido della rivolta sanguinosa dei Refrattarii. Speranze inacerbite, giovinezze lasciate alli ozii, volute trascurate sorgono e si spengono e sfumano. Dalla «Histoire des Treize» al «Louis Lambert» dall’azione e dalla giustizia esercitate fuori della legge al sogno Swedemborgiano di una conciliazione tra fede e scienza, ecco la serie dei superuomini di Balzac che compendiano l’entità della Bohême. E da allora, sopra i fastigii del romanticismo, caro ai potenti e festeggiato dalla Borghesia, che piangeva sui casi delle eroine di Walter Scott, senza comprendere il fine umorismo, una subita rivolta, la «Cousine Bette» e le «Père Goriot» dell’idolatra dello scozzese miniatore (contradizione), il quale trattava la storia nel romanzo a punti di carminio e di cobalto.
  Di quel tempo incominciò il regno della Brasserie. […].
  Dusolier, nelle dispute academiche delle Birrerie del Quartiere Latino, foggiava la personalità del Realismo: «Vois-tu, le réalisme c’est une colomne vertébrale dont Balzac est le cerveau, Champfleury l’atlas, Monard le cocyx, Duranty a sa place ou sacrum». […].
  Se il Romanticismo aveva portato la lingua e la evidenza plastica as esprimere meravigliosamente l’umorismo ed il patetico […]; il Naturalismo volle il dramma (Thérèse Raquin, Elisa (sic) Bovary, Nana, Père Goriot, César Birotteau). – Metodo: lo Zola, nello studio sopra Balzac, non meglio d’ogni altro lo poteva definire.
  «Il devait se produire juste au moment où la littérature classique se mourait d’anémie, où la forme du roman allait s’élargir et englober tous les genres de l’ancienne rhétorique, pour servir d’instrument à l’enquête universelle que l’esprit moderne ouvrait sur les choses et sur les êtres. Les méthodes scientifiques s’imposaient, les héros pâlis s’effaçaient devant les créatures réelles. L’analyse remplaçait partout l’imagination. Dès lors, le premier, il était appelé à employer puissamment ces outils nouveaux. Il tuait les mensonges des anciens genres, il commençait l’avenir»(2).
  La battaglia fu nel suo nome, dopo la morte del gran sociologo della «Comédie Humaine» inconsciamente, perché voluto dai tempi, analitica. Che, se a Balzac risalgono, per placare nella storia i Mani della materialistica teoria, esso fu d’ogni scuola, esso può venire abbracciato da ogni adepto: «La peau de chagrin» stendardo col «Louis Lambert» del più profondo e cerebrale Simbolismo, si accoppiava nel suo cervello enorme coi «Paysans», così che lo Zola stesso è costretto a farsi questa meditazione, che, per me, non fisso ai postulati della sua dottrina, suona altrimenti: «Le mystique de Louis Lambert devait forcément aboutir là. Et ce n’est pas le côté le mois étonnant de ce tempérament si solide. Il y avait sans doute une lésion dans ce vaste cerveau, la félure du génie. Les jours où il ne tombait pas dans le sublime, il tombait dans l’étrange»(3), deplorando, da che vedeva giungersi alle spalle a sorpassarlo un’altra audace e tumultuosa gioventù nella quale non doveva credere: «Il s’est formé, à la suite de Stendhal et de Balzac, tout un groupe d’étranges admirateurs, qui vont chercher dans les œuvres de ces maîtres les parties fantasmagoriques, les exagérations de système, les enflures du tempérament. Ainsi, de Balzac il (sic) prendront l’Histoire des Treize et la Femme de trente ans, ils rêveront du grand monde singulier que le romancier avait créé de toutes pièces, ils voudront être Rastignac ou Rubempré, pour bouleverser la société et goûter des jouissances inconnus (sic). C’est le coup de folie romantique, qui a fêlé le talent de M. Barbey d’Aurevilly. Ce n’est point ici de la fantaisie: je connais des garçons fort intelligents qui comprennent de la sorte les maîtres du naturalisme moderne. Eh bien! je déclare tout net qu’ils sont dans le cauchemar»(4).
  Acerbo, ingordo, passionato, lo Zola tentava accaparrare tutto l’amore del Maestro a sé ed alla sua scuola, troppo egoista d’affetto, per rendere sizienti ed irritati i venturi che si sarebbero ribellati. […] Zola, che materiava l’Idea e s’ingannava d’essere tutto materia, volgendosi al Maestro della Fille aux yeux d’or, alli amici della Salambo (sic), delle Mademoiselles de Maupin e delli studi sul settecento; Zola, cui questa vicinanza non aveva posto in guardia, che la sua professione di fede avrebbe avuto una durata di vent’anni.
  (1) Balzac, Un Roi de la Bohême.
  (2) Zola, Balzac. Les Romanciers naturalistes.
  (3) Zola, Ibid.
  (4) Zola, Stendhal. Ibid.

  Vincenzo Mellusi, Fin de siècle, «Corriere Meridionale», Lecce, Anno VII, Numero 31, 13 Agosto 1896, p. 2.

  Ed ecco che dalla stirpe gloriosa di Rabelais, di Montaigne, di Swift, di Sterne, di Hoffmann, di Dickens, di Balzac, di Guerrazzi nascono i decadenti […].


  Ugo di Monsoprano, Chiacchiere e … Bel Mondo, «Gazzetta delle Puglie», Lecce, Anno XVI, N. 9, 16 Marzo 1896, pp. 1-2.

  p. 2. Per l’album delle lettrici.

  — La donna maritata è uno schiavo che bi­sogna saper mettere sopra di un trono.

Balzac.


  Ugo di Monsoprano, Chiacchiere e … Bel Mondo, «Gazzetta delle Puglie», Lecce, Anno XVI, N. 30, 23 Agosto 1896, p. 2.

  Ed ora, care lettrici, da Lecce fate un pic­colo salto insieme con me a Parigi, dove Carlo Driessens seguendo i principi della scuola culinaria inglese […] e l’opinione del Balzac che molte volte un piallo ben preparato ha per un marito più valore che un in­tiero bagaglio di scienza inutile, vuol dimostrare che il vero posto della donna è presso il focolaio ed ha aperto alcuni corsi di economia domestica e d'arte di cucina, frequentati oggi da migliaia di allieve.


  Raoul de Navery, I drammi della miseria (75), «Il Piccolo della Sera» (Supplemento serale del “Piccolo”), Trieste, Anno XI, N. 3958, 9 Novembre 1892, p. 4.

 

  — Di giovine alla moda! ripetè Angelica.

  — Oh! Dio mio, sì! per il passato soltanto alcune donne ambivano questo titolo, ma il secolo cammina ed oggi lo ambiscono anche le ragazze. Io ho preso le abitudini di mia madre: montiamo a i cavallo insieme, vado con lei al teatro e mi faccio imprestare i suoi libri. E’ convenuto che ella non mi contrarierà riguardo al mio matrimonio. Tutte e due abbiamo fissata la somma della dote e quella della fortuna del marito che sceglierò. Balzac ha scritto un libro stupendo: La Matrigna. Hai letto Balzac, Angelica?

  — No, rispose la giovine.

  — Tanto peggio per te! Bisogna vedere come dipinge le donne! Lui sì che le conosceva! ... Le figlie del babbo Goriot spolpano il loro padre fino alle ossa per avere degli abiti ed egli muore chiamandole angeli. Ma torniamo alla Matrigna, Balzac vi mette in iscena una madre gelosa della figlia; una cosa orribile, non è vero? Ebbene, dopo aver letto quel dramma, ho studiato mia madre per quindici giorni, spiandola, cercando di sorprendere i suoi sguardi, i suoi gesti, i suoi pensieri. Sono tranquilla; ella non è gelosa di me. D’altra parte, ha ragione, giacchè la guardano più di me.


  Max Nordau, Degenerazione. Traduzione dal tedesco di G. Oberosler. Seconda edizione riveduta sulla seconda originale con nuova prefazione in risposta a C. Lombroso. Fin de siècle – Il misticismo – L’egotismo – Il realismo – Il secolo ventesimo, Torino, Fratelli Bocca Editori, 1896.
  Cfr. 1894.

  D.[omenico] O.[liva?], Torquato Tasso, «Corriere della Sera», Milano, Anno XXI, Num. 304, 4-5 Novembre 1896, pp. 1-2.

  p. 2. «Sono ambizioso» scriveva da Mantova […]. Par di sentire il Balzac che si proclamava pari a Napoleone […].


  F. Orbici, In Italia e fuori. Il frak di Balzac, «Corriere delle Puglie. Giornale quotidiano di Bari», Bari, Anno X, N. 248, 8 Settembre 1896, p. 2.

  Balzac, che non conosceva la fortuna nemmeno di vista, ad onta dalla sua fantasia fervidissima nello scovare speculazioni, aveva ricorso a tutti gli espedienti per battere moneta.

  Durante le rappresentazioni delle Risorse di Quinola, all'Odéon, vendeva egli stesso i suoi biglietti d’autore, credendo che la sua presenza potesse attirare il pubblico ed aumentare la vendita.

  A questo scopo, si era installato al Caffè Voltaire e là, tutte le sere, seduto ad un banco vendeva egli stesso la tua merce; essa però trovò pochi amatori perché la commedia segnò una caduta memorabile nel teatro e sparì ben presto dal cartellone.

  L’ultima rappresentazione, un sabato, fruttò un incasso di 76 franchi ...

  In quel tempo, Balzac, portava un frack bleu a bottoni d’oro, con questa preziosa particolarità: che erano d’oro massiccio ... e valevano almeno una cinquantina di franchi ciascuno. Balzac, però, aveva avuto la precauzione di provvedersi una guarnitura simile di bottoni in rame dorato, in modo che quando si trovava imbarazzato si toglieva un bottone d’oro e lo sostituiva col gemello di rame.

  Egli aveva contato molto sui diritti di autore delle Risorse di Quinola. Questi furono tanto meschini che all’ultima rappresentazione Balzac si strappò l’ultimo bottone d’oro del frak ...

  Ecco come un autore fischiato non si strappi sempre i capelli ...

  Vero è che non tatti gli autori hanno dei bottoni d’oro sulla giacca.

  Se ci vedete del giallo, state certi che, quasi sempre, è una macchia ...


  Angiolo Orvieto, Un colloquio con Sar Péladan, «Il Marzocco. Periodico settimanale di letteratura e d’arte», Firenze, Anno I, N. 2, 9 Febbraio 1896, pp. 1-2.
  p. 2. E ditemi che ne pensate della letteratura amena del vostro paese?
  – Credo che in fatto di romanzieri, la Francia ne abbia avuto uno grandissimo e basta: Balzac: a paragone del Balzac gli altri sono pigmei. Chi non saprebbe far dei romanzi con la ricetta di Paolo Bourget?

  Adolfo Padovan, L’uomo di genio, «Scena illustrata. Rivista quindicinale di letteratura, arte e sport», Firenze, Anno XXXII, Numero 22, 15 Novembre 1896, pp. [3-4].
  [p. 4]. Tutti, tutti i titani della scienza e dell’arte hanno sofferto molto. […] L’uomo di genio percepisce le sensazioni come altri non mai, egli sa gli altissimi entusiasmi per cose e fatti che ai più degli uomini passarono inosservati e sa i più grandi dolori là dove è per altri una mite sofferenza. – E voi vedete Linneo che si prostra riverente davanti alla rosa del Polo da lui scoperta, e piange dalla gioia, vedete Dalton che si mette a ballare nel suo laboratorio perché ha scoperto il potassio, e il Bojardo che fa suonare a festa le campane della sua Scandiano perché egli ha trovato il nome sonoro di Rodomonte per il suo eroe, e vedete per contrasto Balzac che quasi ammalò perché il suo calzolaio aveva giudicato aspramente le opere di lui.

  E.[nrico] Panzacchi, A mezza macchia. Gustavo Doré, in Saggi critici, in Napoli, Luigi Chiurazzi Libraio-Editore, 1896, pp. 159-170.
  Cfr. 1883.

Felice Romani, pp. 317-329.
  Cfr. 1886.

  Enrico Panzacchi, D’Annunziana. La nostra inchiesta, «Il Capitan cortese. Periodico settimanale di letteratura, di arte e di vita elegante», Milano, Anno primo, N. 44, 8 Marzo 1896, pp. 6-7.
  p. 6. Ma che cosa è veramente un plagio?
  Innanzi tutto bisognerebbe stabilire il senso di questa formidabile parola; mentre da tanti discorsi che ora si fanno appare almeno molto dubbio che esso sia chiaro nella mente di molti.
  Quando, per esempio, a proposito di plagio, vediamo mettere in relazione la Divina Commedia e il Pozzo di San Patrizio, il Décameron e i Fablieux (sic) medioevali, l’Orlando furioso e la Canzone di gesta, Papà Goriot e non so quale novella della Regina di Navarra, è forza convincersi che la confusione dei concetti è soltanto paragonabile alla leggerezza frettolosa e presuntuosa con la quale alcuni discorrono intorno alla materia prima dell’argomento. Tutta la storia artistica o letteraria è un gran seguito, quasi un tessuto interminabile, di figliazioni e di rifacimenti. L’obbligo è sempre uno solo: fare del meglio.

  Vittorio Pica, Cronache di letteratura e d’arte. Il sapiente artefice, «Il Mattino», Napoli, Anno V, N. 27, 27-28 Gennaio 1896.[2]
  Cfr. scheda seguente.

  Vittorio Pica, D’Annunziana, «Il Capitan cortese. Periodico settimanale di letteratura, di arte e di vita elegante», Milano, Anno primo, N. 39, 2 Febbraio 1896, p. 5.
  Si tratta della risposta al quesito posto dal «Capitan cortese» a proposito delle accuse di plagio mosse da Enrico Thovez a Gabriele D’Annunzio in un articolo pubblicato nella «Gazzetta Letteraria». In questo intervento, Vittorio Pica considera la questione dei presunti plagi dannunziani come una tra le più intricate e cita in più luoghi Balzac a difesa dell’autore de Il Piacere.
  «La verità è, che vi sono artisti essenzialmente e possentemente creatori, come Balzac, come Dickens, come Tolstoi, ed i quali, d’altra parte, portano una specie di parziale incoscienza in ciò che creano, quasi che componessero sotto l’influenza di una misteriosa forza superiore; mentre invece ve ne sono altri, i quali hanno assoluto bisogno di un’impulsione esteriore, di uno spunto chiesto ad un altro scrittore, e tale è proprio il caso del D’Annunzio […].
  Io, ad esempio, non so perdonare al D’Annunzio di aver tolto di peso intere frasi da un romanzo di Péladan per trasferirle nel Piacere, perché egli non ha neppure la ragione che giustifica un suo illustre predecessore in tal fatta di poco corrette trasposizioni; sì, un paziente ed indiscreto raffrontatore di testi ha scoverto che Balzac, nel Lys dans la vallée, ha cercato di dare un certo fulgore pittoresco al suo stile grigio e pesante, copiando alla lettera varie imagini e similitudini di Teofilo Gautier. […]».


 Vittorio Pica, Per la statua d’un poeta [Théodore de Banville], «Il Pungolo Parlamentare. Giornale della sera», Napoli, Anno III, N. 187, 6-7 Luglio 1896, pp. 1-2.

 p. 1. Per quanto io sia dell’opinione di Edmondo de Goncourt, che, rifiutando qualche anno fa di partecipare ad una sottoscrizione per una statua a Balzac, proclamava che l’unico e vero monumento di un grande artista consiste nelle sue opere, pure non posso disconoscere che sia bene che, una volta ogni tanto, un qualche blocco di quel marmo […] serva a rendere un postumo omaggio ad un altiero e geniale poeta.


  G.[iuseppe] Pipitone-Federico, L’ultimo de’ boemi. Harsène Houssaye, «Scena illustrata. Rivista quindicinale di letteratura, arte e sport», Firenze, Anno XXXII, Numero 9, 1° Maggio 1896, p. [4].
  Così dal pensiero romantico si venne preparando e scoppiò tremenda, la rivoluzione di luglio; e una pleiade gloriosa di scrittori riscaldò della sua luce possente la monarchia del re cittadino. E mentre Béranger salutava con gli ultimi couplets delle sue canzoni birichine il sole della libertà, offuscatosi sotto Carlo X, Francesco Lamennais lanciava la sfida del secolo a Roma, che rispondeva scomunicandolo; Lamartine consolava con le dolcissime, patetiche note delle Armonie, il deserto sconfinato dell’animo suo di fervido credente, che vedevasi intorno crollare il bel mondo sognato con fede viva di cavaliere del Medio Evo; Victor Hugo, alle Foglie d’autunno – un libro di versi indimenticabili – faceva seguire Nostra Signora di Parigi – il più forte de’ suoi romanzi, capolavoro di pensiero e di forma, lucida, evidente, icastica; e al romanticismo poetici di Giorgio Sand – signora della prosa e affascinante maga dell’arte – contrapponevano il romanzo di osservazione e di analisi due colossi, Enrico Beyle de Stendal (sic) e Onorato de Balzac – il gigantesco creatore di un mondo eterno come quello di Dante, come quello di Shakespeare. […].
  Le avventure galanti ed eleganti; i romanzetti da veglione e da palcoscenico, si alternano a’ più deliziosi pastelli di donne e di scrittrici, ai parlanti ritratti de’ letterati, de’ principi, de’ ministri; accanto alla Rachel, alla Garcia, a Giorgio Sand, procedono Alfredo De Musset, Balzac, Gerard de Nerval; […].

  Giulio Pisa, Sulla Filosofia, in Pensieri. Seconda edizione, Milano, Casa Editr. Galli di Chiesa, Omodei, Guindani, 1896, pp. 103-154.  
  pp. 140-142. Il Taine, a proposito del Balzac, scrive queste parole profonde: «Le signe d’un esprit supérieur ce sont les vues d’ensemble ; au fond, elles sont la partie capitale de l’homme; les autres dons ne servent qu’à préparer on (sic; lege: ou) à manifester celui-là; s’il manque, ils restent médiocres; sans une philosophie le savant n’est qu’un manœuvre et l’artiste qu’un amuseur». Non si potrebbe dir meglio. Altrettanto non posso dire di quest’altre parole di lui, referentisi anch’esse al Balzac: «Il oubliait que si l’homme aujourd’hui offre beaucoup des (sic) vices et de misères, l’homme autrefois en offrait bien davantage; que l’expérience agrandie a diminué la folie de l’imagination, l’aveuglement de la superstition, la fougue des passions, la brutalité des mœurs, l’âprêté des souffrances, et que, chaque siècle, on voit s’accroître notre science et notre puissance, notre modération et notre sécurité. Car aussitôt que l’on considère le passé, on est tenté de trouver le présent beau et honnête». Come si può asserire che l’uomo odierno presenti assai meno vizî e miserie dell’uomo antico? L’asserire questo è così falso, a mio credere, come la sentenza latina: pejor aetas tulit nos nequiores. Quel che può dirsi con verità è che i vizî dell’uomo moderno sono più raffinati, meno brutali, di quelli dell’uomo antico. Quanto alle sue miserie, sono un po’ diverse, ma non minori. E come può dirsi che l’esperienza dei secoli abbia diminuito la follia dell’immaginazione, se noi vediamo al dì d’oggi una rifioritura delle scienze occulte, delle più strane fantasie, del misticismo?

  Palmiro Premoli, Balzac Onorato (de), in Enciclopedia Popolare illustrata compilata da Palmiro Premoli contenente articoli di Storia, Letterature, Belle Arti, Filosofia, Igiene, Scienze Naturali, Scienze Mediche, Matematiche, Giuridiche ecc. Volume primo adorno da 1008 ill., Milano, Casa Editrice Sonzogno, 1896, p. 393.
  Celebre romanziere francese (1799-1850) morto a Parigi. Pubblicò dal 1822 al 1829 parecchi romanzi sotto i nomi di Orazio di Saint-Aubin, Viellerge (sic) e lord Rhoone. Le dernier Chouant (sic) fu il primo romanzo comparso sotto il suo vero nome. Poi: Fisiologia del matrimonio; Scene della vita privata, di provincia, militare, di campagna, politica, ecc. I migliori suoi lavori, raccolti sotto il titolo di Commedia Umana sono: La ricerca dell’assoluto, Il medico di campagna, Eugenia Grandet, I parenti poveri. Scrisse anche drammi, tra cui il Mercadet faccendiere.

  C. Dott. Roberto Puccini, Il Romanzo psicologico e la sua importanza educativa (Opera che ottenne il premio Ravizza al Concorso filosofico di Milano), Siena, Tip. editrice S. Bernardino, 1896.

Capitolo V. Il romanzo psicologico come genere, pp. 47-58.
  p. 48. Il Balzac aveva chiamato il romanzo psicologico romanzo d’idee, forse per contrapporlo al romanzo di fatti, e per significare che quello si occupa principalmente della vita interiore. Ma neppure col nome, che voleva il Balzac, togliesi l’equivoco, essendo romanzo d’idee anche il romanzo così detto a tesi; e poi non trovandosi mai fatto, che non venga rappresentato da veruna idea.

Capitolo IV. Il romanzo psicologico e la filosofia, pp. 95-105.
  p. 104. Il filosofo farà una descrizione dei caratteri umani, come appunto, e bene, fece il La-Bruyère; il romanziere vi creerà dei tipi con fisonomia netta e reale, che più non si dimentica, come il Pantagruele, il cavaliere della Mancia, il Lovelace, il Père Goriot, il Robert Macaire, il Giovannin Bongiè, Monsù Travet, il Picknick (sic?; lege: Pickwick?), il Prudhomme, il Rabagas, e meglio Renzo, Lucia, D. Abbondio, D. Rodrigo e via di seguito.


  Capitolo XII. Il romanzo psicologico in Germania e in Inghilterra, pp. 133-145.
  p. 143. Martino Chuzzlewitt, Oliviero Twist, David Copperfield ed altri suoi romanzi mostrarono quanto il Dickens fosse un vero psicologo, e come usasse nell’analisi del movimento interno quella pazienza, che il Balzac usò di solito nell’esame delle cose esteriori.

Capitolo XV. Il romanzo psicologico in Francia, pp. 177-193.
  pp. 180-185. Il marito è sempre uno zotico, un cattivo, un reo, uno scostumato, un pezzo da galera; [l’adultera è bella come la Santa Cecilia di Raffaello, schiva come l’Annunziata del Guercino, pura come l’Immacolata di Guido. Dai particolari scendendo al generale, i romanzi francesi di cui parliamo, compresi il Balzac, il De-Vigne, Vittor Hugo, i Dumas, Federigo Soulier (sic), Paul de Kock, Carlo Didier, il Gautier e gli altri, che scrissero nelle appendici di giornali anche riputatissimi, come la Revue des deux mondes, vanno acutamente sillogizzando intorno alle più ree passioni del cuore umano, e sottilmente cercandole, notomizzandole, irraggiandole di una luce limpidissima e tersa tanto, che le rende eteree come le emanazioni del sole. cfr. Bresciani, 1856].
  Fra i romanzi di questo genere, più dannosi riescono quelli, che in apparenza son più modesti. Onorato Balzac, scaldato da un soffio di poesia, come prova la sua stessa Eugenia Grandet, può ravvivarsi ancora e tendere a qualcosa di onesto; lo scollacciato, anzi laido Paul de Kock è almeno uno scrittore senza pretensioni; ma il Rousseau con la Novella Eloisa dà maggior scandalo e fa più male di tutti gli altri. […].
  Paolo Bourget ed altri, più particolarmente chiamati psicologi, non sdegnarono l’imitazione degli antecessori, specialmente del Balzac, autore del romanzo così detto intimo. Ma all’abuso delle troppe minute descrizioni, e allo studio eccessivo degli esterni particolari, sostituirono con vantaggio l’osservazione interiore, mirando più che altro ad unire la pittura dell’uomo con il progresso della società […].
  Egli [Zola] ci fa vedere le cose più ributtanti, ci fa rabbrividire cogli oggetti più odiosi, ci fa sentire gli odori più cattivi, provare tutte le nausee, avere tutti i disgusti, è vero; ma Onorato Balzac e Paul de Kock gli avevano aperto la strada. […].
  Ma il romanzo dello Zola, quantunque abbia con quegli scritti molte qualità a comune, pure è in se medesimo tutt’un’altra cosa.
  Emilio Zola trascura l’epicureismo frivolo del Kok (sic), per adoprare il positivismo dello Spencer; non infiora di rose il cammino de’ suoi lettori, ma presenta quasi sempre la vita tumultuosa ed affannata; non aspira al progresso nel bene, ma vede l’uomo, che peggiora sempre e cammina verso l’abisso, fatalmente(1).
  (1) Non sdegna tuttavia d’imitare visibilmente, e qualche volta peggiorare il Balzac, come provansi dal confronto, che s’istituisca tra gl’Impiegati di questo ed Eugenio Rugon (sic) di quello! Specialmente il carattere di Clorinda è copiato, anche nei minimi particolari, dal carattere di Celestina, se non che, questa è modesta, e quella è sfacciata.

Capitolo XVIII. Critica dei moderni romanzi, pp. 215-225.
  pp. 217-218. Il Cantù [Alessandro Manzoni. Reminiscenze, Vol. I, Cap. VI, pp. 179-180] rincara la dose, scrivendo che l’eccezione morale e fisica è divenuta il fondo delle moderne invenzioni; dacchè il romanzo, pascolo quotidiano dell’affaccendata inerzia, con quello spirito improvvisatore che non tollera indugio, fino a pubblicarsene due per ciascun numero di giornale, proclama il vero, mentre abbandona non solo la verità ma la probabilità, attenendosi al fatalismo, per cui uno più non è colpevole dei vizi e dei delitti proprii, e ciascuno è predestinato all’eroismo e al delitto dai nervi suoi, dal sangue, dalla materia grigia, dalla società, contro di cui nulla può opporre la insufficienza della umana volontà. Alle immagini di Atala, di Corinna, di Elvira sottentravano Lelia, Indiana, Valentina, Lavinia della Sand, e la marchesa d’Espard, la duchessa Manfrigneuse (sic) del Balzac, e la società, vivente di denaro e di lascivie, è dipinta come chi sorprendesse una donna nell’arcova; con ritratti, fotografici, descrizioni da rigattiere, fisiologia da anatomista, e una miscela d’illuminismo e di materialismo, con cui strappare le speranze come le illusioni, la fede come i pregiudizi, la divinità come i fantocci, disseccando le fonti dell’ideale e preparando molto da processare ai giudici, da piangere alle madri. E van sino a cercare la peggior parola che esprima la più bassa idea; simili ai corrispondenti dei giornali, che non vorrebbero uccidere o violentare nessuno, ma sono a pasto, quando incontrano un assassinio, un suicidio, un incesto da propalare; rinnegando la simpatia e la pietà anatomizzano i dolori, non li consolano: anziché eccitar lacrime né asciugarle, strizzano marcia dalle ferite; mescono l’absenzio per alterare l’intelligenza; col mostrare al pubblico le aulcere più schifose, contaminano le anime, invece di purificarle ed elevarle; dei libri fatto uno strumento di depravazione, diffondono lo scetticismo, che porta seco la dissoluzione e la morte.

  Emil Reich, L’Ungheria alla fine del suo primo millennio (Da un articolo del dott. Emil Reich, “Nineteenth Century”, maggio), «Minerva. Rivista delle riviste», Roma, Società Editrice Laziale, Anno VI, Num. 7, Vol. XII, Luglio 1896, pp. 1-9.
  p. 1. Gli scrittori francesi, dal Balzac allo Zola, chiamano i magiari ces peuples slaves: eppure, un francese che dimorasse per una sola settimana in Ungheria saprebbe subito che il proverbio magiaro più conosciuto è il seguente: «Tot nem emberkása nem étel» (Lo slavo non è un uomo – La zuppa di miglio non è un cibo).

  Luigi Roncoroni, Considerazioni sulla Paranoia, 5° Sintomi psichici, in Genio e pazzia in Torquato Tasso, Torino, Fratelli Bocca Editori, Librai di S. M. il Re d’Italia, 1896, pp. 198-227.
  p. 227. Il genio ha colla paranoia (classica e rudimentaria) frequenti rapporti, e non dobbiamo meravigliarci di trovare il genio legato piuttosto alle forme costituzionali della pazzia che non alle acquisite, essendo esso stesso dovuto evidentemente a fattori congeniti, – se bene le facoltà geniali siano scarsamente ereditarie. Già Lombroso annoverava tra i genii affetti da follia del dubbio Napoleone, Tolstoi, Maine de Biran, Amiel, Renan, Leopardi, Ugo Foscolo, Manzoni, Carlyle e tra i megalomani, Dante, Hegel, Balzac, Chopin, Cagnoli, Comte, Baudelaire, Schopenhauer.

  Sante De Sanctis, I sogni nei delinquenti, «La Vita Italiana. Rivista illustrata», Roma, Società editrice Dante Alighieri, Nuova Serie, Volume I, Fascicolo IV, 10 Luglio 1896, pp. 348-352.
  pp. 348-349. Essi [i poeti sentimentali] non osarono contemplare faccia a faccia un delinquente, non sanno rappresentarsi alla ingenua fantasia la vita di chi deruba, tradisce od uccide il suo simile. […].
  Ma alle parole di Châteaubriand [«Le tigre déchire sa proie et dort ; mais l’homme devient homicide et veille»] e Macario [illustre psicologo : «le criminel rongé par les rémords est pendant son sommeil la proie de rêves terribles et effrayants»] avrebbero di certo sorriso Molière e Balzac, che seppero creare Don Juan e Jacques Collin …

  Telesforo Sarti, Caetani Onorato, in Il Parlamento Subalpino e Nazionale. Profili e cenni biografici di tutti i deputati e senatori eletti e creati dal 1848 al 189° (Legislature XVI) con Appendice contenente i profili e cenni biografici dei deputati e senatori eletti e creati durante le legislature XVII, XVIII e XIX compilata per cura dell’editore, Roma, Tipografia Pintucci, 1896, p. 198.
  Una inclinazione, invece, assai forte agli studii solitarii, inclinazione ereditata dall’illustre padre, il cieco Michelangelo che amava tanto Dante e tanto lo intendeva che il Balzac ha tanto amato sino a dedicargli uno dei suoi più bei romanzi; […].


  Clary Sauton, Il Destino dei Narbel, «Corriere della Sera», Milano, Anno XXI, Num. 97, 9-10 Gennaio 1896, p. 4.

  Mio povero Ottavio! Davvero, mi fa pena di vederti ingoiare tutto quello che ti dà ad intendere la signora Faraboeuf! Hai mai lette quelle pagine squisite di Balzac, dal titolo “I segreti della principessa di Cadignan”? Ebbene! ti con­siglio di meditarle profondamente quando Fer­nanda si divertirà ad atteggiarsi, ai tuoi occhi, per una santa ed immacolata persona!


  G. M. Scalinger, Il quesito, in La psicologia a teatro, Napoli, Edizioni del periodico Fortunio, 1896, pp. 7-24.
  p. 17. L’affaticata indagine sulla realtà obiettiva come su quella subiettiva, è mossa dalla ineluttabilità positivista; né l’apparente dissidio tra il metodo zoliano e quello bourgetiano […] può bastare a determinare una differenza sostanziale. La larga osservazione dell’uno e l’ostinata analisi nell’altro non sono guidate che da un impulso comune, poi che l’animazione de’ fatti ha un riverbero sugli atteggiamenti dell’anima umana, a cui imprime una varietà di modificazioni continue e rinnovatrici. Se l’uno ottiene col suo studio la prima, l’altro si concentra su’ secondi, e l’indagine della vita si completa mercè questo opposto metodo che integra l’universalità dell’osservazione, come la intese e la rese la genialità complessa di Balzac.
  È così che l’analisi sulla forza della vita, nelle sue esplicazioni come ne’ suoi impulsi intimi, domina e accentra le energie pensanti dell’ultimo quarto di secolo.

L’Esame, pp. 25-72.
  p. 32. Un’anima in tanto è una forza, in quanto lascia osservare il suo movimento, e un artista non può che studiarla nel momento in cui quella forza si opera e produce sugli eventi umani la sua influenza, vivificandoli, e rendendoli materia d’arte.
  L’applicazione di questo desiderio in assopito e continuo è stata men precisa, men sicura, forse più inconscia, prima di noi, ma non so se si abbia il diritto di proclamare nettamente questa opinione in cospetto di analisti della forza di Balzac, di Constant, di Stendhal, di Feydau (sic), e dello stesso Musset, che dette un saggio artistico importantissimo, pe’ suoi tempi, nelle fascinatrici pagine autobiografiche che sono le Confessioni di un figlio del secolo. Tutta la grande letteratura è stata e sarà psicologica.

I tentativi, pp. 135-198.
  pp. 144-145. Però Molière ha osservata la vita in una misura non sovrabbondante, come Shakspeare (sic); ma più misurata, più in rapporto con le espressioni reali; egli non mira né all’eccezione, né all’astrazione. Il temperamento suo è più realistico, perciò, e il suo processo mette a capo a quello di Balzac, che guarda la vita nelle condizioni stesse e in una stessa contemperanza di logica. Nessun eroismo e nessuna mostruosità.

  G. M. Scalinger, De Goncourt, «Fortunio. Cronaca napoletana», Napoli, Anno IX, N. 20, 26 Luglio 1896, pp. 1-2.
  p. 2. L’anelito verso questa sensibilità tormentosa che ci svela la vita nelle sue sfaccettature più lievi, proviene dall’esempio de’ due Goncourt: e se un romanzo di carattere seppe lasciarci Balzac e un romanzo d’idee Stendhal e uno di analisi Flaubert, quello che a’ superstiti nelle lettere lasciano i Goncourt è un saggio di arte sovranamente suggestiva e sovranamente altera – retaggio triste di due anime morbosamente squisite e avide che, dissetandosi alle gioje estetiche d’una esistenza di raffinati, non han salvato la loro visione dallo spettacolo delle fatali amarezze di questa povera vita.

  Scipio Sighele, La morale individuale e la morale politica. Saggio di sociologia, Roma, Casa Editrice Italiana, 1896.
  Cfr. S. Sighele, La Folla delinquente, 1891.

  Alfredo de Tilla, Mariti che uccidono. Giurati che assolvono, «La Domenica Giudiziaria», Anno I, n. 6, 1896.
  Cfr. Napoli, Stabilim. Tipografico Cav. A. Tocco, 1897.


  Tutti, Notiziario, «L’Arte Drammatica», Milano, Anno XXV, 26 Maggio 1896, pp. 3-4.

 

  p. 4. Alla Commenda la compagnia Biagi-Iggius darà tra le altre novità una di Balzac, nuovissima per l’Italia, dal titolo Vautrin, e che nel 1846 fu proibita a Parigi per ragioni di ordine pubblico.


  Pio Viazzi, Sui reati sessuali. Note ed appunti di psicologia e giurisprudenza. Con prefazione del Prof. Enrico Morselli, Torino, Fratelli Bocca, 1896.


  p. 53, nota 2. [...] la stessa parola pudore deriverebbe da putere, sicchè, spiega il Lombroso, l’idea parrebbe originata nella donna per nascondere e mascherare gli effetti ingratti delle secrezioni vaginali putrefatte (2).

  (2) Lombroso, Delitti di libidine [1886], pag 3: «Dal momento in cui questo immenso velo (il pudore) che disarma il menomo gesto della sua brutalità naturale, viene a cadere, la donna sparisce» (Balzac, Fisiologia del matrimonio, parte III, cap. XXVI).


  Guido Villa, Il Romanzo naturalista e le nuove tendenze letterarie, «La Rassegna Nazionale», Firenze-Milano, Anno XVIII, Volume LXXXVIII, 16 marzo 1896, pp. 263-295.
  pp. 266-273. Nacque allora una sfiducia generale, una bancarotta di tutte le illusioni del razionalismo, come la chiama il Bourget; l’abuso dell’astrazione e aveva spossato e aveva illanguidito gli ingegni, i quali cominciarono a volgersi allo studio dei fatti, come quelli che soli offrivano una guida sicura, se ben modesta, alle intelligenze smarrite e scoraggiate; e nelle scienze esperimentali che erano andate via via umilmente svolgendosi all’ombra dei grandi sistemi metafisici si vide un’istrumento (sic) sicuro ed efficace per rivolgersi risolutamente in una via tutta opposta a quella sin’allora seguita. La reazione, cominciata nella letteratura coi romanzi del Balzac, derivati da un’osservazione piena e profonda della vita reale, ha il suo momento cosciente nel sistema di filosofia positiva di Augusto Comte. […].
  Gli scienziati, e i giovani che si affacciavano per la prima volta agli studi sperimentali accoglievano con ardore le nuove dottrine filosofiche, ma la gran massa del pubblico – quella cui le idee non arrivano se non in forma di romanzo o di articolo di giornale – poco se ne occupava; e continuava a leggere con grande diletto le poesie di Victor Hugo, del Musset e del Vigny e i romanzi di Giorgio Sand. Lo stesso Balzac se bene avesse prodotto con meravigliosa attività una lunga serie di romanzi non divenne del tutto accetto se non assai più tardi, quando già imperava la nuova scuola letteraria naturalista e sperimentale. […].
  Mentre in Inghilterra e in Italia la letteratura narrativa aveva preso le forme di un naturalismo temperato e non spoglio d’idealità, in Francia essa tende a sistemarsi in uno schema rigoroso sorretto dai principii scientificamente sicuri, e a rappresentare, col romanzo, la vita dell’uomo e della società come regolate da forze invincibili, la ricerca e lo studio delle quali dovevan diventare per la nuova scuola sempre più importanti e decisivi per la verità artistica. Già il Balzac aveva cercato di rappresentare nella lunga serie dei romanzi che egli raccolse sotto il titolo di Commedia umana la società quale essa è, colta nelle funzioni del suo meccanismo speciale; aveva cercato di mettere in luce le molle onde essa si muove e svolge; e in questa sua rappresentazione artistica aveva messo tanto di serietà e importanza scientifica da arrogarsi addirittura il titolo di «dottore in scienze umane». Se non che con lui non siamo ancora usciti, a dir così, dal periodo eroico della letteratura; nei romanzi del Balzac per quanto la verità della rappresentazione sociale sia sempre coll’ampia e diligente raccolta dei fatti ricercata e moltissime volte raggiunta in tutto, lo studio più intenso dell’autore è pur sempre rivolto all’esame psicologico di alcuni caratteri salienti, che escono non di poco dalla misura umana, e non di rado danno l’impressione di grande somiglianza con quelli dello Hugo, e perfino se bene il confronto sembri arrischiato – con quelli dello Shakespeare; onde, ad esempio, il Vautrin è personaggio non meno straordinario di Iavert (sic), e il padre Goriot ha un po’ l’aria di un re Lear della borghesia. Il Balzac, insomma, è psicologo, e di gran valore, e lo psicologo ha bisogno pe’ suoi studi di figure ben rilevate, di uomini in cui le facoltà dell’intelligenza, del sentimento e del volere siano svolte a grado notevole di complessità, né può assolutamente acconciarsi a fermar l’attenzione e lo studio su individui in cui esse siano rimaste allo stato rudimentale. La letteratura narrativa – per questo moto irresistibile di idee – aspettava dunque ancora chi le desse forma anche più sistematica, e stringendola nei legami d’una teoria scientifica, l’improntasse di quello che omai si poteva chiamare lo spirito dell’età nuova, e la collocasse sullo stesso piano cui era già salita la critica storica e la letteraria. A dimostrare quanto tempo le nuove dottrine avessero impiegato a penetrare nelle forme dell’arte – la quale, ripetiamo, dà alle idee di un’età la veste più alta a diffonderle e insinuarle nella coscienza comune e popolare basta dare uno sguardo agli anni in cui comparvero le opere letterarie principali che contrassegnano questo grande periodo storico. I romanzi del Balzac uscirono dal 1829 al 1837, il Taine pubblicava i suoi studi estetici negli anni dal 1860 al 1866; e lo Zola cominciò a dar fuori la serie dei Rougon-Maquart (sic) nel 1871. […].
  Nel romanzo, dunque, noi studieremo lo svolgersi delle idee letterarie del nostro tempo. Ora, poi che siam giunti a quel punto in cui il romanzo francese portato dal Balzac a una forma sistematica collo studio accurato della società che egli credeva di rappresentare nei tipi più salienti tolti dai vari starti di essa, era maturo per accogliere il contenuto di quelle dottrine che la filosofia e la scienza avevano divulgato, vediamo come il letterato che già citammo più sopra, Emilio Zola, abbia attuato quest’opera importante, e quali principi lo abbiano guidato nella composizione de’ suoi romanzi. […].
  pp. 275-279. Tornando al romanzo, lo Zola trova che il romanziere è osservatore e sperimentatore nello stesso tempo, poiché egli dà i fatti tali e quali li ha osservati e istituisce l’esperienza, facendo muovere i personaggi secondo una certa trama per far vedere come la successione dei fatti sia tale e quale l’esige il determinismo dei fenomeni studiati. E qui lo Zola reca un esempio tolto da un romanzo del Balzac, la Cousine Bette, dove l’autore, osservato il fatto generale del guasto che diffonde intorno a sé il temperamento erotico d’un uomo, nella famiglia e nella società, istituisce il suo esperimento sopra un personaggio, il barone Hulot, sottoponendolo a una serie di prove, facendolo passare per certi dati ambienti, a fine di mostrare come funzioni il meccanismo della sua passione. In questo caso, dunque, non vi è solo osservazione, ma anche esperimento, perché (sono le precise parole dello Zola) il Balzac non si limita strettamente a fotografare i fatti da lui raccolti, ma interviene in modo diretto a collocare il suo personaggio in condizioni delle quali egli rimane padrone. Insomma, conclude lo Zola, tutto sta nel prendere i fatti nella natura, poi nello studiare il loro meccanismo, operando su di essi col modificarne le circostanze e gli ambienti, senza mai allontanarsi dalle leggi della natura. […].
  Il romanziere sperimentale, quindi, studiando la piaga che avvelena la società, cerca prima il determinismo iniziale semplice e poi il determinismo più complesso. E qui lo Zola torna a portare l’esempio del barone Hulot della Cousine Bette il quale per effetto del suo temperamento erotico distrugge un’intiera famiglia, e produce una quantità di guai minori. In questo temperamento, dice lo Zola, si trova il determinismo iniziale, la cancrena che tutto guasta intorno a sé, che rompe e scompagina il circolo sociale, e compromette la salute della società. Ammettiamo, ora, che questo Hulot si possa guarire o almeno mantenere inoffensivo; ecco che il dramma non ha più ragione d’essere poiché è ristabilito l’equilibrio, o per meglio dire, la salute del corpo sociale. Onde, i romanzieri naturalisti sono nel fatto moralisti sperimentatori. […].
  pp. 287-294. Ogni arte ha un modo suo particolare di sentire e rappresentare la vita, e in uno stesso genere d’arte s’acquista fama duratura di originalità e di eccellenza chi appunto ha un metodo tutto proprio di sentirla. […] Se ciò è vero dell’osservazione, è tanto più vero dell’esperimento; quella, nell’arte, è, come metodo, inutile, se non dannosa, questo è impossibile. L’esperimento si fa su oggetti realmente esistenti, non su creazioni della nostra fantasia, e il barone Hulot che lo Zola porta come esempio di tal procedimento, è creazione della fantasia del Balzac, come sono creazioni della sua fantasia tutte le circostanze di tempo e di luogo nelle quali egli lo colloca. […].
  Siamo ben lontani dal padre Goriot del gran Balzac, o anche da quel piccolo gioiello che è Carmen di Prospero Mérimée! La mancanza di psicologia e di senso morale sono i difetti che viziano profondamente tutta l’opera di Emilio Zola; dico di senso morale, perché esso sta appunto nella coscienza di poter resistere alle proprie passioni e impulsi. […]
  Ma Ernesto Renan è solo: il suo ottimismo non trova eco nelle lettere, le quali anzi avevano già accennato al romanzo di Balzac a continuare il lamento delle generazioni più vecchie. È questo un fatto curioso, e del quale dobbiamo rallegrarci per la nobiltà della natura umana, che quelli che si diedero allo studio della società presente e la ritrassero nel romanzo, siansi indignati allo spettacolo ch’essa offriva, e abbiano manifestato così aperto contrasto tra il determinismo scientifico onde muovevano, e il pessimismo cui essi in ultimo arrivavano.

  Luigi Antonio Villari, Soave. Romanzo edito a Firenze, in A trent’anni. Parte Seconda, Trani, V. Vecchi, Tipografo-Editore, 1896, pp. 606-716.

XXVIII (pp. 705-709).
  pp. 705-707. Oramai le relazioni fra Giovanni e Soave hanno assunto uno spiccato carattere d’indifferenza. Il bambino li univa: la sparizione del bambino li ha divisi. […]
  Curioso: le loro anime, che sempre più si staccavano, si erano unite nella ricerca di quella forma di divisione, che non dava all’occhio di nessuno e non offendeva e non seccava né l’uno e né l’altra. Il loro sapiente divorzio, per il quale non era stato mestieri ricorrere ad avvocati e magistrati, aveva oramai tali basi che neanche l’uscire insieme poteva essere una menomazione di esso. Balzac nel suo codice coniugale non aveva saputo trovar nulla di così semplice.


  X. X., Riccardo Wagner e il genio francese, «Corriere della Sera», Milano, Anno XXI, Num. 216, 7-8 Agosto 1896, p. 2.

  Egli leggeva volentieri i grandi autori francesi, come Voltaire, Rousseau, Molière, Balzac e sceglieva di preferenza traduzioni francesi di opere storiche o di fantasia.


  Fanny Zampini-Salazar, Roberto ed Elisabetta Browning con prefazione di Antonio Fogazzaro, Napoli, Stab. Tipografico Cav. A. Tocco, 1896.
  pp. 32-33. In uno dei lavori di Elisabetta Barrett, «La visione dei poeti» che dapprima le valse maggior fama, essa esprime il proprio concetto della missione del poeta. Afferma che questa richiede una totale abnegazione al lavoro che lo caratterizza.
  Nello stesso poema allude alla gloria ed al dovere di ciò che il Balzac ha così altamente definito «l’angelica pazienza del genio» ed alla gran verità sopratutto, che se il sapere è una potenza, il dolore deve accettarsi come parte essenziale di quel gran potere morale.


   [1] L’opera è presente nelle seguenti Biblioteche italiane: Biblioteca comunale ‘Luciano Benincasa’ di Ancona; Biblioteca Comunale di Como; Biblioteca Statale di Cremona; Biblioteca Comunale Centrale (Fondo Boncinelli) e Biblioteca Palagio di Parte Guelfa – Fondo dell’ex Università Popolare di Firenze; Biblioteca Provinciale ‘La Magna Capitana’ di Foggia; Biblioteca Civica ‘Michele Lecce’ di San Giovanni Rotondo (FG).
   [2] Articolo riprodotto in Felice Cameroni, Lettere a Vittorio Pica. 1883-1903, a cura di Ernesto Citro, Pisa, ETS Editrice, 1990, pp. 49-50, nota 2.


Marco Stupazzoni

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