giovedì 24 aprile 2014


1888




Traduzioni.


  O. di Balzac, Fisiologia del matrimonio o meditazioni di filosofia eclettica sulla felicità e la infelicità coniugale di O. di Balzac, Milano, Edoardo Sonzogno, Editore, 18883 («Biblioteca Universale», NN° 64-65), pp. 268.[1]
  Un volume in 16°. Si tratta della seconda ristampa di questa traduzione milanese dello studio analitico balzachiano.

  O. de Balzac, La Finta amante di O. de Balzac. Con prefazione di Emilio Zola, Napoli, Casa editrice E. Pietrocola, 1888 («Piccola Collezione Amena (Pubblicazione mensile) diretta da C. Petitti e G. Miranda», Seconda serie, n. 15).[2]

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  Un volume in 24° di complessive 175 pagine. La traduzione, anonima, de La Fausse Maîtresse è presente alle pp. 25-135. Essa è esemplata sul testo dell’edizione Furne del romanzo (1842), oppure su quello delle successive ristampe dell’opera edite da Marescq, Houssiaux e Lévy, di cui, però, non viene riportata la dedica alla “Comtesse Clara Maffei”, e può considerarsi, nel suo complesso, fedele e corretta.

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  O. de Balzac, La gran Bretèche, in La Finta Amante … cit., pp. 137-173.
  Anche la traduzione de La Grande Bretèche è condotta sul testo dell’edizione Furne del 1845, inserito nel tomo IV della Comédie humaine. Questo racconto costituisce ora l’ultima parte di Autre étude de femme ed è riportato alle pp. 710-729 del vol. III dell’edizione critica del racconto pubblicata a cura di Nicole Mozet presso Gallimard («Bibliothèque de la Pléiade») nel 1976.
  Nonostante alcune libere interpretazioni del costrutto francese, anche questa traduzione può ritenersi complessivamente adeguata.

  Onorato di Balzac, Massimilla Doni. Romanzo di Onorato di Balzac (Versione dal francese di Aldo Conti), «Rivista Minima. Periodico d’arte, lettere, scienze, sport, agricoltura, industria», Giulianova, Stab. Tip. del Commercio, Anno I, Num. 2, 10 giugno 1888; Num. 8, 10 agosto 1888; Num. 9, 20 agosto 1888; Num. 10, 1 settembre 1888, Num.. 11, 14 settembre 1888; Num. 14, 23 ottobre 1888; Num. 16, 1 dicembre 1888.
  Si tratta, per quanto ci è dato di sapere, della prima traduzione italiana integrale del racconto filosofico balzachiano[3]: essa è condotta sul testo dell’edizione Furne pubblicato nel 1845 e può considerarsi, nel suo complesso, linguisticamente corretta e stilisticamente adeguata nonostante qualche omissione testuale ed alcune scelte lessicali e sintattiche piuttosto arbitrarie operate dal Conti[4] rispetto all’originale francese.

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  Segnalato nei cataloghi della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, l’insieme dei numeri che formano il corpus di questa rivista abruzzese – fondata e diretta da Francesco Contaldi a partire dal 1888 – risulta, in realtà, alquanto lacunoso e parziale. Esiguo, infatti, è il numero delle pagine di questa traduzione che abbiamo avuto la possibilità di consultare direttamente data l’irreperibilità della maggior parte dei fascicoli in cui essa è compresa. Di grande utilità, per stabilire l’esatta scansione cronologica delle ‘puntate’ di questo testo nei varî numeri del periodico, è stata l’indicazione di questa traduzione (come, relativamente all’anno 1891, di quella riguardante la trasposizione in lingua italiana di alcune parti di Eugénie Grandet fornita da Francesco Contaldi) che Anna Rita Savino fornisce nella II Appendice del suo studio su: Francesco Contaldi tra cultura ed editoria, pubblicato nel 1999.[5]


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Studî e riferimenti critici.


  L’amico di Giacomo Leopardi, «Gazzetta Piemontese», Torino, Anno XXII, N. 8, 8 Gennaio 1888, p. 2.
  Un po’ troppo realista per i tempi in cui fu scritto, il romanzo del Ranieri ha delle scene Zoliane, dirò così, che non doveano scandalizzare i reverendi abati revisori. Anzi, vi è appunto la figura di un prete che cerca violare Ginevra, che sembra saltata da un romanzo di Balzac e di Zola.

  I nostri romanzi, «Gazzetta Piemontese», Torino, Anno XXII, N. 9, 9-10 Gennaio 1888, pp. 1-2.
  p. 1. Sotto il nome di Gérard un valoroso scrittore francese ha pubblicato alcuni racconti che sono un gioiello di finezza, di delicatezza, di analisi psicologica, di verità sentimentale. Arieggiano alcuni dei migliori racconti di Balzac. Di questo autore noi abbiamo acquistato le primizie, in Italia, e daremo questo primo: Flavia e quest’altro racconto Matrimonio di convenienza.


  [Sui funerali della Baronessa Adelaide De Zigno], «L’Euganeo. Politico-Letterario», Padova, Anno VII, N. 69, 9 Marzo 1888, p. 2.

  Dice Balzac che nella luce dei doppieri, nelle sale profumate, in mezzo al brulichìo delle varie eleganze, una donna non è più la stessa di prima; ed ha ragione.


 Teatro sociale, «Giornale di Udine e del Veneto Orientale», Udine, Anno XXII, N. 66, 17 Marzo 1888, p. 3.

 

 Questa sera alle 8 si rappresenta: Mercadet l’affarista, capolavoro in tre atti di Onorato de Balzac. [...].

 Onorato de Balzac! Quanta gloria è contenuta in questo nome che rappresenta una delle più splendide pagine della letteratura francese.

 Le sue commedie sono gioielli teatrali e perciò oggi raramente si rappresentano.

 Siamo grati dunque a Ettore Paladini, che vuol farci gustare una serata veramente classica.



  Vecchio ideale, «Il Piccolo della sera», Trieste, Anno VII, N. 2282, 8 Aprile 1888, p. 1.

  Può Emilio Zola scrivere un libro sudicio e noioso come la Terra, offendendo coll’inane tentativo la sacra memoria di Honoré de Balzac che ha scritto i Paysans: e può, adesso, scrivere un romanzo mistico, un romanzo per le giovanette, un romanzo per le anime pie, Le rêve: le opere così di­verse, destinate a suscitare l’emozione del pubblico per ragioni, opposte, non arrivano a destare neppure un’aura di curiosità.


  Varietà. Balzac e le donne, «L’Euganeo Politico-Letterario», Padova, Anno VII, N. 113, 23 Aprile 1888, p. 2.


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  Gabriel Ferry pubblicò un libro con questo titolo: Balzac e le sue amiche. Non bisogna ingannarsi sul significato da dare a questa parola «amiche». Salve due eccezioni, Madamigella de Berny e la contessa Hanska - questa ultima divenne di lui moglie poco pri­ma ch'egli morisse -, tutte le signore nominate nel libro del Ferry non fu­rono legate a Balzac che da vincoli di amicizia; il che si spiega cono­scendo la grande delicatezza dell’au­tore della Comédie humaine in ma­teria d’amore.

  «Gli amori superficiali – o d’epidermide, come egli disse scrivendo a mad. Hanska, di cui era innamorato – non mi vanno; essi mi affaticano, e mi fanno sentire più vivamente quali tesori racchiudano i cuori che vo­gliono amarmi. Io non sono francese nel senso leggero della parola».

  Tale giudizio portato da Balzac so­vra sè stesso è esattissimo.

  Questo potente scrittore, che si ad­dentrò tanto nello studio del mondo femminino, ebbe sempre un costume illibato.

  Due o tre grandi passioni attraver­sarono la sua vita, ma egli non co­nobbe gli amori passeggieri.

  Le amiche di Balzac furono quasi tutte donne elette.

  Ecco i loro nomi. Anzitutto, in pri­ma linea, mad. Surville, sua sorella, il cui affetto per il suo illustre fra­tello rimase leggendario; poi, mad. de Berny, che, dopo la morte del mari­to, si consacrò tutta a Balzac, con un cuore caldo e devoto, e della quale il romanziere riprodusse la pura e toc­cante fisonomia in mad. de Morsauf nel Lys das (sic) la vallée; poi mad. Carraud, una catara eletta, una grande anima, una viva intelligenza, sempre relegata dal destino in un angolo di provincia, e di cui Balzac ha detto: «Mai spirito più straordinario fu più soffocato. Essa morrà in un angolo, sconosciuta».

  Mad. Carraud servì di modello allo scrittore nel suo romanzo: Une Fem­me supérieure.

  In seguito, vengono la duchessa d’Abrantès, George-Sand, mad. Emile de Girardin, la duchessa di Castries e finalmente la contessa Hanska.

  Tutte queste donne, che furono sue amiche, hanno il loro posto nell’opera del romanziere.

  Così, la duchessa di Castries, una grande coquette, la cui aridità di cuore fece molto soffrire Balzac, di­venne la Duchesse de Langeais; George Sand figura nella Beatrix (sic) sotto il nome di Camille Maupin, ecc.

  Si sa la profonda differenza di tem­peramento letterario e di metodo che esisteva tra l’autore di Indiana e l’autore del Père Goriot.

  Questa differenza, Balzac l’ha be­nissimo disegnata in una conversazio­ne che egli ebbe a Nohant con Geor­ge Sand, e che è così riferita dal Ferry:

  «Voi cercate l’uomo, disse Balzac alla sua illustre amica, quale dovreb­be essere; io lo piglio come è. Cre­detemi: abbiamo tutti e due ragione. Queste due strade conducono alla stessa meta. Io pure amo gli esseri eccezionali. Ne sono io stesso uno! D’altronde, ciò mi occorre per far risaltare i miei esseri volgari; e non li sacrifico mai senza necessità. Ma questi esseri volgari mi interessano più di quanto non interessino voi. Io li ingrandisco, li idealizzo in senso inverso: nella loro bruttura o nella loro stupidità. Alle loro deformità io do delle proporzioni spaventevoli e grottesche. Voi non sapreste farlo; voi fate bene a non guardare degli esseri e delle cose, che vi darebbero disgusto. Idealizzare nel bello e nel buono, questa è opera di donna».

  Ecco, certamente, un’ottima pagina di critica letteraria.

  Se Balzac non fu inclinato ad av­venture galanti, non gustava perciò meno vivamente la compagnia delle donne.

  Egli sopratutto amava di corrispon­dere con esse. «Un giorno, racconta Ferry, il discorso cadde tra Balzac e Teofilo Gautier sulle donne. — Il let­terato, disse Balzac, deve astenersi dal commercio delle donne; esse fanno perdere del tempo! — Gautier protetestò (sic) contro la severità di questo giu­dizio. — Ma pur le donne furono create per qualche cosa; che genere di rapporti ci permettete con esse? — Ebbene, conchiuse Balzac, si deve limitarsi a scriver loro; ciò forma lo stile».

  Non è un’affermazione in­fondata; per tutta la sua vita, il romanziere conformò la sua condotta a questo precetto.

  Egli scrisse molto alle donne; e più ancora, certo, per bisogno d’espansione che per formarsi uno stile. Que­st’uomo, così bizzarro, talvolta così chiuso e selvaggio, era in realtà espansivo.

  Aveva bisogno di raccontare a delle persone, nella cui affezione ave­va fiducia, i suoi dispiaceri, i suoi so­gni, i suoi progetti.

  Emila de Girardin, questa ec­cellente signora, così devota ai suoi amici, fu una delle migliori confidenti del grande e infelice romanziere; perché si sa che l’esistenza di Balzac fu un lungo seguito di amarezze e di costanti disillusioni, sotto il peso delle quali avrebbe forse potuto morir pri­ma senza le nobili amicizie femminili che lo sostennero e l’incoraggiarono nel lavoro indefesso, che fu il com­pagno di tutta la sua vita.


  Bollettino bibliografico. Letteratura. “Homo” di Luigi Capuana. Nuova edizione riveduta dall’autore con l’aggiunta di due racconti. – Milano, Treves, 1888, «Nuova Antologia di Scienze, Lettere ed Arti», Roma, Direzione della Nuova Antologia, Anno XXIII, Terza Serie – Volume XV (Della Raccolta, Volume XCIX), Fascicolo XI, 1 Giugno 1888, pp. 553-574.
  pp. 553-554. Il Capuana, dice, confessandosi all’amica sua: sentite questa scena di una delle mie tragedie giovanili, nelle quali mi proponevo una saggia fusione della seconda maniera del Niccolini colla maniera dello Schiller italianizzato dal Maffei, e dite voi se non fu proprio un peccato che la lettura del Balzac mi facesse abbandonare il dramma storico per il romanzo e la novella realistica: il Capuana dice così, e il lettore deve naturalmente credere che fu invece una gran fortuna quella lettura che il Capuana fece del Balzac.
  Nessuno vorrà certo dolersi che il Capuana, invece di seguitare a scrivere drammi più o meno convenzionali, declamatorii e noiosi, si sia dato alla novella e al romanzo; e nessuno prenderà sul serio quel che egli dice scherzando, che cioè la natura lo avesse fatto poeta drammatico e le circostanze esteriori lo abbiano trasmutato in romanziere. […] Perciò noi crediamo che il Capuana scrittore sarebbe in sostanza stato quel che è, anche se non fosse incappato in quelli amici che gli fecero leggere per la prima volta i romanzi del Balzac e del Diderot. Con la quale osservazione non intendiamo di dire che un po’ di partito preso non si senta nei racconti del Capuana. Diamine! Gli effetti delle teoriche, che si mostrano terribili nelle opere del maestro, non dovrebbero apparire affatto in quelle degli scolari?

  Notizie estere. Parigi. Un monumento a Balzac, «Gazzetta Piemontese», Torino, Anno XXII, N. 184, 3 Luglio 1888, p. 3.
  La Società dei letterati di Parigi ha aperto una sottoscrizione per l’erezione di una statua al celebre romanziere fisiologo Onorato Balzac in Parigi. In ventiquattr’ore si raccolsero 3913 lire. I sottoscrittori sono: la Società dei letterati per 1000 franchi; la Società degli autori drammatici per 1000; il Comitato della Società dei letterati per 700 franchi; Alessandro Dumas per 500 franchi; Ferdinando Lessona per 300 franchi, e Vittoriano Sardou per 200 franchi.

  Notizie varie. Per Balzac, «L’Indipendente», Trieste, Anno XII, N. 4028, 18 Luglio 1888, p. 3.

  Il danaro raccolto sinora in Francia per una statua a Balzac ammonta a franchi 7,470 e 50 c.


  Notizie varie. Don Pedro a Balzac, «L’Indipendente», Trieste, Anno XII, N. 4031, 21 Luglio 1888, p. 2.

  Don Pedro ha man­dato 500 franchi alla Société des gens de lettres quale suo contributo alla statua da erigersi a Onorato Balzac.


  Liszt l’idolo di tante signore, «Il Piccolo della sera», Trieste, Anno VII, N. 2427, 31 Agosto 1888, p. 2.

  Un giorno la contessa [d’Agoult] montò in furore contro Balzac il quale nel suo romanzo Beatrice l’aveva ritrattata. Ella voleva che Liszt domandasse conto della cosa al terribile romanziere.

  Quanto a me — dice il maestro — non ci vedevo la necessità di romperci il collo per un romanzo. Perché mai ci si avrebbe a inimicare così con un poeta, perché in un senso qualunque s’è ispirato ad una persona vivente? Sarebbe proprio Postremo della piccineria. Vi è il vostro nome in quel libro? domandai alla signora offesa. Vi trovate il vostro indirizzo, il numero di casa vostra? No? E dunque, perché piangete? Con qual diritto vi chiamate offesa? Se mi fate vedere in quel roman­zo il vostro come e il vostro indirizzo, son pronto a battermi con Balzac, se no, no!


  Corriere Parigino, «Gazzetta Piemontese», Torino, Anno XXII, N. 268, 26 Settembre 1888, p. 2.
  Ricordate la leggenda della villa di Balzac, il cui architetto dopo averla costrutta s’accorse di essersi dimenticata la scala. Più forte è stata la distrazione dell’architetto incaricato della costruzione dell’Istituto Pasteur (il celebre dottore anti-rabbico). Egli si è dimenticato i tubi dei caminetti e delle cucine.


  Arte e Teatri. La statua di Balzac, «L’Indipendente», Trieste, Anno XII, N. 4131, 29 Ottobre 1888, p. 3.

  Leggesi nel Petit Journal che l'ammontare della sottoscrizione per erigere una statua a Parigi, al celebre au­tore della Commedia umana ascendo già a 18,870 franchi, somma alla quale si deve ag­giungere la sovvenzione promessa dal consi­glio municipale e l’introito della rappresentazione del Mercadet, che la compagnia della commedia francese darà a tale scopo al tea­tro del Vaudeville, e nella quale la parte del Faiseur sarà sostenuta dal Got, il decano della compagnia stessa. La statua del gran roman­ziere sorgerà nel giardino del Palais Royal.


  Notizie di scienza, letteratura ed arte, «Nuova Antologia di Scienze, Lettere ed Arti», Roma, Direzione della Nuova Antologia, Anno XXIII, Terza Serie, Volume XVIII (Della Raccolta, Volume CII), Fascicolo XXI, 1 Novembre 1888, pp. 178-189.
  p. 183. Il sig. Paul Fournier, uno dei più abili scultori francesi, ha avuto dal municipio di Tours l’incarico di eseguire una statua di Balzac.


  Fatti Diversi. Un aneddoto su Balzac, «L’Euganeo Politico-Letterario», Padova, Anno VII, N. 324, 22 Novembre 1888, p. 3.

  Ora che si tratta di erigere un monumento alla memoria di Balzac, gli aneddoti del grande romanziere francese sono ritornati di moda.

  Uno assai curioso ne racconta nella Revue de famille il signor Filippo Audebrand [cfr. Philibert Audebrand, Souvenirs de la vie littéraire. Louis Desnoyers, «Revue de Famille», Paris, Tome Deuxième, 1888, pp. 106-127].

  Questi un giorno andò a far visita a Luigi Desnoyers, fondatore della Società dei lette­rati e lo trovò che stava smascellandosi dalle risa con una lavagnetta in mano piena di cifre.

  Sentite, disse egli, Balzac esce ora di qui. Ha impiegato venti minuti ad accumulare addizioni sopra questa lavagna. E sapete per­ché? Per provarmi che il Belgio ha contraf­fatto tutti i suoi romanzi a 500,000 copie cia­scuno e li ha sparsi in tutta Europa e anche in America.

  A conti fatti gli Stati di Leopoldo gli dovrebbero 3 milioni.

  Ora scriverà un opuscolo nel quale inciterà Luigi Filippo a reclamare, per suo conto, questa somma. Se il governo vi si rifiuta, il grande romanziere intimerà al vecchio Re di armare senza indugio 400,000 uomini, onde invadano il Brabante e lo facciano pagare!

  Che ve ne pare di questa idea?


  Arte e Teatri. Balzac e Dumas, «L’Indipendente», Trieste, Anno XII, N. 4159, 27 Novembre 1888, p. 3.

  Come i lettori sanno, Balzac avrà finalmente il suo monumento a Parigi. I denari sono già raccolti: scultori di valore hanno già pronti i bozzetti, la questio­ne più viva oggi è quella intorno al luogo dove la statua di Balzac dovrà sorgere. E lo accenno allo square Malesherbes dove sorge il monumento ad Alessandro Dumas padre sol­leva il campo a rumore. Ebbene, con buona pace di quanti pretendono essere i soli discendenti dell’autore della Commedia Umana, i qua­li gridano alla sconvenienza, crediamo che quello sia il posto vero.


  Berlioz Ettore, in AA.VV., Annuario biografico universale. Raccolta delle Biografie dei più illustri Contemporanei compilato sotto la direzione del Professore Attilio Brunialti da distinti Scrittori italiani e stranieri, Anno Terzo, 1886-1887, Roma-Napoli, Unione Tipografico-Editrice Torinese, 1888, pp. 304-306.

 

  p. 305. Il giorno di Pasqua egli ebbe in tavola un cappone; ma spesso, come al Lambert del Balzac, gli toccò di asciolvere con un grappolo d’uva.


  A. d. B., Da Viareggio, «L’Indipendente», Trieste, Anno XII, N. 4048, 7 Agosto 1888, pp. 1-2.

  Viareggio non s’impone col severo aspetto di grande città, tutt’altro, è come un bel paesetto, sans façon, in amichevole confidenza, e questo modus vivendi, se piace au petit sexe, come dice De Balzac, figuratevi a noi del sesso eletto, troppo eletto alle volte …


  Raffaello Barbiera, A proposito di un romanziere popolare. Scrittori industriali, «L’Illustrazione Popolare. Giornale per le famiglie», Milano, Vol. XXV, N. 29, 15 Luglio 1888, pp. 450-451.

 

  p. 450. Giulio Michelet narrò che Onorato Balzac, il grande Balzac, per qualche tempo, fece di giorno il compositore tipografo, e di notte scrisse romanzi immortali.


  Raffaello Barbiera, Una gentildonna e il suo salotto, in Arte ed amori. Profili lombardi, Milano, Tipografia Bortolotti di Giuseppe Prato Editrice, 1888, pp. 209-224.
  p. 212. Nei tempi andati, vi [nel salotto di Clara Maffei] andavano a quell’ora [prima del mezzodì] anche Alessandro Manzoni e Tommaso Grossi. Fra i letterati stranieri cito Balzac, amico e ammiratore delle grazie delicate dell’elettissima dama, alla quale nel 1842 dedicò La fausse Maîtresse. Poiché, ciò che brillava soprattutto nella Maffei era la grazia squisita, la cortesia spontanea, la cordialità affettuosa.

  A. G. Bianchi, Cinquant’anni di vita editoriale, «Gazzetta Letteraria», Torino, Anno XII, N. 41, 13 ottobre 1888, pp. 322-323.
  p. 323. Tutti gli autori sono concordi nel parlare della lealtà dello Charpentier. Il De Vigny, allorquando venne da lui avvertito che era stato tirato un maggior numero d’esemplari, gli scriveva: “Je suis encore moins étonné de la loyauté avec laquelle vous me l’apprenez: on ne saurait attendre moins de votre part”. Anche la Sand, per quanto acre, non manifestò mai alcuna diffidenza al suo editore.
  Il solo Sainte-Beuve è indomabile, velenoso contro il suo editore. È ormai noto l’umore bizzarro del critico delle Causeries du lundi, la sua avidità, perché ciò possa stupire.
  Le sue lettere al Charpentier sono mordaci, parlano di agire plus nettement, di procédé tout-à-fait charmant, ed anche quando sono benevoli, sono velenose.
  Dopo la figura un po’ fegatosa del Sainte-Beuve, si presenta con un sorriso buono e tranquillo quella di Balzac, il quale nelle molte lettere dirette al suo editore non sa che chiedere de l’argent pour ma copie, ma senza acrimonia, senza veleno, da buon operaio che scrive al padrone, e quella timida, ma simpatica di Edgardo Quinet, che non ha degli scatti se non per i tipografi “ces infâmes imprimeurs … veuillez donc mettre l’épée dans les reins des imprimeurs”, per i numerosi errori di stampa e per la lentezza nel consegnarli le bozze.


  Adolfo Borgognoni, Il nuovo nell’arte, «Nuova Antologia di Scienze, Lettere ed Arti», Roma, Direzione della Nuova Antologia, Terza Serie, Volume Diciassettesimo Della Raccolta, Volume CI, Fascicolo XVII, 1 Settembre 1888, pp. 25-42.
  p. 30. Fermiamoci un momento innanzi a un fatto degno d’esser meditato. Ne’ tempi ne’ quali l’arte meno si mostra feconda e nuova, egli è appunto in que’ tempi che da ogni parte la si grida a gran voce: Olà del nuovo! Vogliamo del nuovo! Dateci del nuovo! Il nuovo o la vita! E i poveri artisti si ingegnano, si studiano, acromatizzano, fanno sforzi sovrumani per riescire originali e nuovi ma – come trar sugo da un limone già spremuto? – non riescono per lo più che rifare palesemente il già fatto, o se qualcosa portan pure di nuovo nell’opera loro, essa non è che piccolissima particella che sfugge al desiderio affannoso del pubblico e alla dogmatica esigenza dei critici. Qualche volta, anzi spesso, accade di peggio. Scriveva Giorgio Sand a un amico, nel 1831: «On veut du neuf, et, pour en faire, on fait du hideux. Balzac est au pinacle pour avoir peint l’amour d’un soldat pour une tigresse et celui d’un artiste pour un castrato. Qu’est-ce que tout cela, bon Dieu!»[6] - E del resto chi cerca il nuovo non lo può trovare, dacchè ricerca una cosa che non sa che sia.


  Antonio Caccianiga, La campagna in fin d’anno, «L’Illustrazione Popolare. Giornale per le famiglie», Milano, Vol. XXV, N. 52, 23 Dicembre 1888, pp. 843-846.

 

  p. 844. È vero che d’inverno nella solitudine rurale, si veggono più bestie che uomini, ma questo almeno ci salva da tanti sciocchi che affliggono la vita cittadina. Balzac ha detto benissimo: — la nature n’a fait que des bêtes, nous devons les sots à l’état social.


  Luigi Capuana, Come io divenni novelliere. Confessione a Neera, in Homo. Nuova edizione riveduta dall’autore con l’aggiunta di due racconti, Milano, Fratelli Treves, Editori, 1888, pp. V-XXXV.
  [Mineo, 20 agosto 1887].
  pp. VII-VIII. A venticinque anni io, futuro novelliere e futuro romanziere, ignoravo assolutamente, oh vergogna! che fosse al mondo il Balzac. Questo nome mi capitò, per la prima volta, sotto gli occhi (1864) in un volumetto di non ricordo più qual discepolo dell’abate Fornari, dove si esprimevano evidentemente le idee di quella scuola e di quel tempo intorno al romanzo contemporaneo. Vi si citavano pochi nomi di scrittori stranieri, e del Balzac vi si diceva: il leggerissimo Balzac; nient’altro. Ora la cosa mi sembra enorme: ma allora quel leggerissimo Balzac non mi fece né caldo né freddo. Come vedete, tutto andava a seconda per farmi rimanere quello che la provvida Natura dovea avermi impastato nel seno materno. Infatti allora mi preoccupavo di novelle e di romanzi quanto del terzo piè che non ho. […].
  pp. XX-XXI. Quella malefica gramigna del Dottor Cymbalus avea continuato intanto a invadere lentamente, sordamente, i miei maggesi intellettuali. Ed ecco che in quei giorni mi capitava in mano il Balzac! L’Italia maledica, come faccio io, Carlo Levi, allora corrispondente del Pungolo milanese, il biondo e pallido Carlo Levi che mi spinse, coi suoi suggerimenti, a leggere il Balzac! Maledica la libreria Bocca, istallatasi di fresco nella capitale provvisoria, che mi vendette, a un franco e venticinque centesimi l’uno, i quarantacinque volumi, tutti, della Comédie humaine! […].
  O silenziosa camera di Piazza Santa Caterina, o piccolo giardino che fiorivi sotto la mia finestra e spandevi la tua ombra fresca sul davanzale di essa, mentr’io – appoggiativi su i gomiti e tenendo il capo fra le mani – divoravo quelle dapprima ostiche pagine balzacchiane che dovevano infondermi nelle vene il mortifero veleno della novella e del romanzo! Perché mai non ebb’io la forza di buttar via quei tristi ma affascinanti volumi e di riprendere le interrotte scene della Ghisola, il più shakespeariano dei miei drammi tentati?

  Giosuè Carducci, Della Poesia Melica Italiana e di alcuni Poeti erotici del secolo XVIII, in Il Libro delle Prefazioni di Giosuè Carducci, Città di Castello, S. Lapi Tipografo Editore, 1888 («Biblioteca del Capitan Fracassa»), pp. 183-236.
  p. 192. Un po’ di belletto sì, ma nessuna arguzia sentimentale nelle sue [di Tommaso Crudeli] rime: e dirimpetto alla teorica del Balzac su la donna di trentacinqu’anni sono innocenze da collegiale queste del Crudeli […].
  p. 196. Noi dell’Ottocento, passati nella materia del cuore per tante burrasche d’estate, dal Lamartine per il Balzac al De Musset, e dal Göthe (sic), per il Byron all’Heine, dobbiamo pur farci una ragione che i settecentisti aveano bene il diritto di confezionare il caro cuore, come Omero lo intitola, secondo il loro gusto.

  Mario Colombo, I vicoli infami, in AA.VV., Il Ventre di Milano. Fisiologia della capitale morale per cura di una Società di letterati fra i quali Aldo Barilli – Ferdinando Fontana – Leo Speri – Otto Cima – Francesco Giarelli – Pinzo – Oleardo Bianchi – Cletto Arrighi – Gustavo Macchi – Mario Colombo – Illico et Immediate – Commend. Prof. Neo Cirillo ecc. ecc., Milano, Aliprandi 1888. Ora in Il Ventre di Milano. Introduzione di Enrico Ghidetti. Ricerca iconografica a cura di Pantaleo Di Marzo, Milano, Longanesi e C., 1977 («Immagini», volume 8), pp. 40-41.
  [p. 40.] Balzac in una delle sue Storie dei tredici parla d’una via disonorata, nella quale una signora onesta si guarda bene di mettere il piede. A Milano, una volta di vie e di vicoli infami ne avevamo parecchi.

  Pio Enea Cugeno, Splendori e miserie, «La Commedia Umana. Giornale-opuscolo bisettimanale», Roma-Milano, Anno IV, Puntata N. 217, 6 Dicembre 1888, pp. 14-16.
  p. 15. Splendori e miserie, oro ed orpello, arte vera e posticcia – dal duca di Sassonia Meiningen, impresario una volta di una grande compagnia di drammi e féeries, a qualche baronessa austro-ungarica prodottasi nei circhi e all’Ippodromo parigino, novella diva della cravache, all’ultima famosa principessa Pignatelli, che scelse l’arte borghese e decadente del cafè-chantant. Il grande autore della Comédie humaine, Onorato Balzac, ritrasse gli splendori e le miserie dell’orizzontalismo dei giorni suoi. Orbene, l’epoca febbrile c’incalza: più su, in alto, bisognerebbe portare l’analisi di certe vite fatte di antitesi, che paiono romanzesche, che furono un dì salde, abbagliate dallo splendore dei troni, e caddero e si oscurarono nella miseria, inferno del vizio – vizio sfarzosamente drappeggiato ed onorato anche. […].
  Antichi splendori, miserie odierne: ricerchi il futuro Balzac le ragioni atavistiche del fatto, rinnovantesi nell’orizzontalismo del blasone.

  Alfonso Daudet, L’Immortale. Romanzo di Alfonso Daudet [Continuazione. 9], «La Commedia Umana. Giornale-Opuscolo settimanale», Milano, E. Sonzogno, Editore, Anno IV. Punt.a N. 185, 1 Luglio 1888, pp. 55-64.
  p. 55. Ma torniamo al pranzo. Come era naturale, abbiamo parlato molto dell’Accademia, delle sue elezioni, de’ suoi doveri, del bene e del male che il pubblico ne pensa. Secondo i nostri Immortali, tutti i detrattori dell’istituzione, tutti indistintamente, sarebbero quei poveri grulli che non hanno potuto entrare; e le dimenticanze, che in apparenza non sono spiegabili, avrebbero tutte il loro motivo di essere. Quando io citai timidamente Balzac, il nostro grande compatriota, il romanziere Desminières, l’antico organizzatore delle sciarade di Compiègne, si è veramente adirato.
  – Balzac! ma lo avete voi conosciuto? Sapete, signore, di chi parlate? … La sregolatezza, la bohême … un uomo, signore, che non ha mai avuto venti lire in tasca … E questi particolari li so dal suo amico Gederico (sic) Lemaître … Non ha mai avuto venti lire! … e voi vorreste che l’Accademia? … Allora il vecchio Giovanni Réhu, che teneva la mano all’orecchio per sentire, ha creduto si parlasse di medaglie di presenza e ci ha raccontato il grazioso tiro fatto dal suo amico Suard, il quale andò all’Accademia il 21 gennaio del 93, il giorno della morte del re, e approfittando della assenza de’ suoi colleghi, si portò via da solo i duecentoquaranta franchi della seduta.


  Giuseppe Depanis, Liszt Francesco, in AA.VV., Annuario biografico universale. Raccolta delle Biografie dei più illustri Contemporanei compilato sotto la direzione del Professore Attilio Brunialti da distinti Scrittori italiani e stranieri, Anno Terzo, 1886-1887, Roma-Napoli, Unione Tipografico-Editrice Torinese, 1888, pp. 107-112.

 

  pp. 109-110. Certo si è che la storia degli amori della contessa D’Agoult e del Liszt fu in parte tracciata, per tacere di altri, dalla D’Agoult stessa, nel romanzo Nelida e dal Balzac in Béatrix, dove madama de Rochefide raffigura la contessa D’Agoult e conti il Liszt, Camille Maupin, Giorgio Sand, e Claude Vignon, Gustavo Planche.


  Giuseppe Depanis, Un libro di Alfonso Daudet, «Gazzetta Letteraria», Torino, L. Roux e C.ia Editori, Anno XII, N. 3, 21 gennaio 1888, pp. 21-22.
  [Su: Trente ans de Paris, Paris, Guillaume et Cie, éditeurs-graveurs].
  p. 21. Migliori invece sono i paragrafi consacrati ai salotti femminili parigini di madama Ancelot, di madama Waldor, della contessa Chodsko, alle loro rivalità, ed alla taverna di via dei Martyrs, dove si radunavano gli ultimi avanzi della antica bohême. […] Man mano sfilano figure illustri e figure sconosciute che lo scrittore tratteggia con tocchi rapidi, ma netti e precisi. […] È Philarète Chasles, “génie inquiet, plume nerveuse, de la race des Saint-Simon et des Michelet, foncièrement homme de lettres, mais toute sa vie tourmentée comme Balzac par des appétits de large existence et de dandysme”. […].
  Altrove il Daudet ci fa assistere ad un’altra sfilata di uomini illustri per dimostrare che, generalmente, i letterati detestano la musica. […] Pel Gauthier (sic) la musica era “le plus désagréable de tous les bruits”; egli preferiva il silenzio e, se si stimava capace di distinguere la buona musica dalla cattiva, conchiudeva sempre che, per lui, l’una valeva l’altra. Vittor Hugo, il Balzac, lo stesso Lamartine “qui est un piano à vendre ou a louer” – sono parole del Gauthier – il Leconte de Lisle, il Banville si professavano o si professano anti-musicisti.


  Giuseppe Depanis, “L’Immortel” di Alfonso Daudet, «Gazzetta Letteraria», Torino, L. Roux e C., Anno XII, N. 29, 21 luglio 1888, pp. 225-227.

 

  p. 225. Ecco il Desminières, forse il Feuillet, romanziere e drammaturgo, antico inventore delle sciarade imperiali a Compiègne, difensore dell’Accademia sul punto dell’esclusione del Balzac, perché questi rappresentava l’arte bohême e non aveva mai avuto in tasca venti lire.


  Giuseppe Depanis, Fra romanzieri e novellieri. XLV. Delpit – Pisemsky – Marchesa Colombi – Fambri – Sgrossi, «Gazzetta Letteraria», Torino, L. Roux e C.ia Editori, Anno XII, N. 35, 1° settembre 1888, p. 278.
  [Su: Disparu, par Albert Delpit. – Paris, Paul Ollendorff, éditeur].
  Subito appare la derivazione del romanzo del Delpit dal Colonnello Chabert del Balzac e dal Jacques Damour dello Zola. Non basta, l’ultimo episodio di Domenico e di Clemenza presenta una non piccola analogia con Il marito amante della moglie del nostro Giacosa.


  Giuseppe Depanis, «Le Rêve» di Emilio Zola, «Gazzetta Letteraria», Torino, L. Roux e C., Anno XII, N. 43, 27 ottobre 1888, pp. 340-342.

 

  p. 342. La comédie humaine del Balzac riboccante di sogni, di visioni, di fantasticherie assai più mistiche e strampalate che quelle di La faute de l’abbé Mouret e di Le rêve non siano, e ciò non impedisce che La comédie humaine del Balzac sia un documento preziosissimo per chi si accinge a studiare la società della prima metà del secolo, imperocchè i sogni, le visioni, le fantasticherie costituiscono altrettanti sintomi del tempo e spesso permettono di determinare la direzione per cui si avvia l’umanità.


  Giuseppe Depanis, Fra romanzieri e novellieri. L. Carlevaris – Arnaud – Stefani Bertacchi – Gabardi – Maugeri Zangàra – Novaro – Cattellani – Lemonnier – Silvestre – Daudet, «Gazzetta Letteraria», Torino, Anno XII, N. 52, 29 dicembre 1888, pp. 413-414.
  [Su: D’arme et amori historie, di Giorgio Cattellani. – Napoli, R. Tipografia comm. Francesco Giannini e figli].
  p. 414. Il Cattellani addimostra studio e ingegno; egli si persuaderà dunque pel primo che in simili imprese si scivola di leggieri nel barocchismo e che per scrivere i Contes drolatiques bisogna chiamarsi Onorato di Balzac. Il genere non ammette gradazioni, e per essere apprezzate, le imitazioni dell’antico devono eguagliare gli originali e riescire dei veri capilavori.

  Giorgio Duruy, L’Unisono, «Corriere della Sera», Milano, Anno XIII, Num. 106, 17-18 Aprile 1888, p. 4.

  Era tale la sua gioia, che non seppe privarsi del piacere di annunciargli un’improvvisata: un bel costume da frate, con cappuccio e cordono, da portare nel suo studio come Balzac.


  F.[ortunio], La Commedia, «La Commedia Umana. Giornale-Opuscolo settimanale», Milano, E. Sozogno, Editore, Anno IV, Punt.a N. 183, 17 Giugno 1888, pp. 1-2.

  Intendiamoci, il romanzo dell’amico nostro [Estremi aneliti di Cletto Arrighi], non è romanzo di pettegolezzi e di scandali, è una interessante dipintura di costumi moderni, nella quale se qualcuno vi si riconoscerà, sarà per colpa propria, non per indiscrezione del romanziere, che, come disse Balzac, è un mercante di abiti fatti. – Peggio, o meglio per colui cui si adattano.

  Fortunio, L’Immortale, «La Commedia Umana. Giornale-Opuscolo settimanale», Milano, E. Sonzogno, Editore, Anno IV, Punt.a N. 187, 15 Luglio 1888, pp. 2-6.
  pp. 3-4. E non le oche soltanto furono colpite, ma anche le aquile, neppure Dumas figlio e Rénan trovarono grazia davanti al bistori del terribile anatomizzatore della vecchia Accademia.
  Victor Hugo, la più grandiosa fra le poche eccezioni in quel consesso di vecchi pretenziosi e di nullità boriose, di glorie ufficiali, di fame usurpate, nel suo libro postumo Choses vues, allorchè narra della sua cospirazione con Alfredo di Vigny per far trionfare la candidatura di Balzac, e di Dumas (padre) in confronto di due Carneadi, non è certo molto lusinghiero per l’Accademia, ma Daudet non s’accontentò di sì poco, e col magistero insuperabile di narratore la sviscera, quella povera Accademia, che martirizzata dal romanziere, fischiata dal pubblico, manda grida di dolore e di rabbia.
  Fino a ieri si poteva credere dagli ingenui che i quaranta seggi tanto ambiti fossero riservati al merito, alle grandi intelligenze; niente affatto, si diviene accademici come falegnami o muratori, dopo il dovuto tirocinio.
  Quistione di ginnastica di spina dorsale, di piccole manovre, di intrighi meschini, di combinazioni equivoche, di protezioni di donne giovani e belle, o vecchie e brutte, ma potenti.
  Deliziosa l’osservazione dell’accademico Dupin a Victor Hugo:
  – «Diavolo! Diavolo! – diceva Dupin – voi vorreste Balzac d’un tratto all’Accademia! Non avete riflettuto. È possibile? Non avete pensato ad una cosa: che egli lo merita!»
  È forse questa indiscrezione delle Choses vues, che ha inspirata l’idea del nuovo romanzo.

  Fortunio, Ben venuti!, «La Commedia Umana. Giornale-opuscolo bisettimanale», Roma-Milano, Anno IV, Puntata N. 202, 14 Ottobre 1888, pp. 2-5.
  p. 3. Oh i viaggi di piacere a gran ribasso! Si son già scritti venti libri e rappresentate cento commedie sulle loro delizie; ma ad onta di ciò per il piacere di viaggiare, gli illusi, i merli si troveranno sempre, pronti ad affrontarne il martirio! – Come il matrimonio. Tutti ne dicono corna delle gioie matrimoniali e tutti si sposano … Lo stesso Balzac, l’autore immortale della Physiologie du Mariage, ha finito per capitolare davanti al sindaco, fortunato ancora, nella sua qualità di vecchio celibatario, di non essersi arreso colla serva.

  E. W. Foulques, In cerca di moglie, «La Scena Illustrata», Firenze-Roma, Anno XXIV, Numero 20, 15 Ottobre 1888.
  Cfr. 1879. C’è nell’anno di grazia 1888, sotto la cappa dei cieli di tutti i paesi più o meno civili, un uomo assai più da compiangere di colui che avrebbe da trovare la pietra filosofale: è l’uomo che cerca moglie. […].
  Qual è il giovane un po’ maturo che non si sia sentito dire tante e tante volte: «Perché non prendete moglie?» Anzi, tutti gli consigliano di farlo, ad eccezione forse di qualche marito pentitosi, ma un po’ tardi.
  I soli libri vanno generalmente d’accordo coi nemici del matrimonio a cominciare dal De Virginitate di Sant’Ambrogio, e giù giù fino alla Physiologie du mariage di Balzac.

  Gaddo Gaddi, Amore moderno, «Il Piccolo della sera», Trieste, Anno VII, N. 2429, 2 Settembre 1888, p. 2.

  Bourget ha dunque scritto la — Fi­siologia dell’amore moderno — E non ha fatto opera inutile, oh no. Balzac ha già scritto, ferocemente scritto sulla Fisiologia del matrimonio, e tutti sanno che il matrimonio di cui parla, era il matrimonio moderno ... de’ suoi tempi.

  Stendhal ha perpetrato un altro libro dell’Amore, l’Amore così, solo, senza una parola di più. Ma non era l’amor moderno.


  R. Garofalo, Raisons qui justifient notre cadre de la criminalité. – Le délit politique, in La Criminologie. Étude sur la nature du crime et la théorie de la pénalité par R. Garofalo. Ouvrage traduit de l’italien et entièrement refondu par l’auteur, Paris, Ancienne Librairie Germer Baillière et Cie, Félix Alcan, Éditeur, 1888, pp. 34-41.
  pp. 39-40. Il y a là une distinction tranchée; je veux bien qu’on dise crimes politiques, mais lorsqu’on dit crimes tout court, il n’y a pas de place pour les premiers.
  Cette différence, la conscience publique ne manque jamais de la faire; pour en donner un exemple, elle est exprimée par De Balzac (Peau de chagrin) dans le dialogue suivant, qui a lieu parmi des jeunes gens appartenant à la bohème littéraire:
  «Oh ! maintenant, reprit le premier interlocuteur, il ne nous reste …
  – Quoi ? dit un autre.
  – Le crime. …
  – Voilà un mot qui a toute la hauteur d’une potence, et toute la profondeur de la Seine, réplique Raphaël.
  – Oh ! tu ne m’entends pas. Je parle des crimes politiques».

  A.[ntonio] Ghislanzoni, Confessione generale di un critico, «La Scena Illustrata. Periodico quindicinale di letteratura, musica e drammatica», Firenze-Roma, Anno XIV, Numero 10, 15 Maggio 1888, pp. 5-6.

  p. 5. Non ho io ricordato con ammira­zione, nelle mie riviste critiche, parecchie centi­naia di romanzi stranieri che appena pubblicati invasero le nostre biblioteche, i nostri gabinetti di lettura, i nostri salotti, le nostre camere da letto, obbligandoci a vegliare le lunghe notti nelle illusioni di un mondo ideale e fantastico? Balzac, i due Dumas, Eugenio Sue, Giorgio Sand, Alfonso Karr, Victor Hugo, Gauthier, Dikens, (sic) Féval ... Quanti nomi di romanzieri, di drammaturghi, di poeti, i cui volumi a mala pena si conterrebbero nel vasto salotto dove io sto scrivendo!


  Andrea Grimaldi, Il Pudore. Studio fisio-patologico e sociale, «Il Manicomio moderno. Giornale di Psichiatria», Nocera inferiore, Anno IV, N. I, Maggio 1888, pp. 57-80.

 

  p. 58. Balzac dice – prima di occuparsi del pudore sarebbe forse necessario sapere se esiste – imitando in ciò il sofista Protagora, il quale aveva osato in un libro consacrare queste parole – in ordine agli Dei io non so se esistano o no.

 

  p. 61. Quel profondo fisiologo del cuore umano, che fu Balzac, disse una verità che non deve essere fraintesa, dettando quest’aforisma – gli amanti non hanno pudore — Dovunque brilla l’amore s’asconde secreta ma prepotente la pudicizia; dove impera la lussuria non è possibile trovare il pudore.

  Amore e pudore sono compagni indivisibili.

  Molti confondono col pudore vero, incarnato, sentito, in gran parte istintivo, un’arte speciale di seduzione adoperata e maneggiata abilmente da certe donne, che hanno gran fama presso i libertini.

  Di loro così parla Balzac: – esse affettano un’aria di candore, un pudore ... Pare che il miele più dolce offenderebbe le loro labbra delicate, e quelli che le conoscono sanno che mangerebbero confetti di sale.

 

  pp. 63-64. Diderot che definisce il pudore una chimera sociale, e Rousseau che lo chiama una civetteria femminile, e Balzac che lo dice la coscienza del corpo, e Mantegazza che lo designa come una grande virtù, hanno detto cosa o troppo larga o troppo ristretta.


  Guglielmo A. Hammond, Il dottore Grattan. Romanzo di Guglielmo A. Hammond, «L’Euganeo politico-letterario», Padova, Anno VII, N. 168, 18 Giugno 1888, p. 2.

  Luigia Lamar era una donna che Balzac avrebbe chiamata una femme glorieuse.


  Iorich, La Stampa. Quella che fu, e quella che è, «La Zanzara. Giornale ebdomadario», Barletta, Anno II, Num. 27, 8 Luglio 1888, p. 1.

  In nessuna epoca del mondo, come ebbe a notare il Balzac, vi è stata sì ardente sete d’istruzione, come all’epoca famosa che stiamo at­traversando.


  Paolo Lioy, Piccole miserie d’uomini grandi, «Nuova Antologia di Scienze, Lettere ed Arti», Roma, Direzione della Nuova Antologia, Anno XXIII, Terza Serie, Volume Diciassettesimo Della Raccolta, Volume CI, Fascicolo XVIII, 16 Settembre 1888, pp. 312-325.
  pp. 318-320. Sovente, come farfalle nelle fiamme, pallide donne sentimentali si bruciano in tragici amori con artisti. […].
  Fu in un albergo della Svizzera che Balzac incontrò la principessa Hanski (sic), intenta a leggere uno dei suoi romanzi. E dopo alcuni anni, insieme all’annunzio della sua vedovanza, la bella principessa gli offriva la sua mano. Anche Lamartine sposò una sua lettrice, miss Birch, che entusiasta di lui, avendo saputo che era povero, gli offrì la sua fortuna. […].
  In quasi tutti gli atleti del pensiero e dell’azione, fra le traversìe della vita, resta consolatore il sentimento benevole dell’infanzia: da Agesilao che per divertire i figli cavalcava su un bastone, da Enrico IV che con essi galoppava a quattro gambe, da Napoleone che non rifiniva di scherzare col piccolo re di Roma, e gli coloriva con la salsa la faccia, fino a Balzac e a Victor Hugo.

  Vittorio Malamani, Memorie del Conte Leopoldo Cicognara tratte da documenti originali, Venezia, I. Merlo Editore, 1888.
  p. 10. Chè se la gloria, come disse il Balzac, è il sole dei morti, un raggio di essa rischiarerà, non v’ha dubbio, l’oscura tomba di Leopoldo Cicognara, e l’Italia libera compirà finalmente questo dovere.

  F.[erdinando] Martini, Francillon, «Nuova Antologia di Scienze, Lettere ed Arti», Roma, Direzione della Nuova Antologia, Anno XXIII, Terza Serie – Volume XIII (Della Raccolta, Volume XCVII), Fascicolo III, 1 Febbraio 1888, pp. 385-405.
  p. 396. Ma il Dumas scrisse già che colui il quale conoscesse l’uomo come il Balzac e avesse tanta pratica del teatro quanta lo Scribe, sarebbe il più grande degli scrittori drammatici; non potendo questa volta emulare l’autore dall’ (sic) Eugénie Grandet, prende a prestito gli spedienti dell’autore de L’Ours et le Pacha; e per sciogliere il nodo si vale di uno stratagemma che sebbene preparato e sensato con fino accorgimento è pur sempre uno stratagemma da vaudeville.

  Ferdinando Martini, Rassegna delle letterature straniere (Francese). – L’Accademia di Francia, «Nuova Antologia di Scienze, Lettere ed Arti», Roma, Direzione della Nuova Antologia, Anno XXIII, Terza Serie, Volume Diciassettesimo Della Raccolta, Volume CI, Fascicolo XX, 16 Ottobre 1888, pp. 720-731.
  p. 730. E molti [spropositi], a cominciare da quando escluse Molière, da quando non volle tra’ compilatori del vocabolario il Furetière perché ne aveva compilato già uno da sé, e a venir sino a quando negò i voti al Balzac perché era indebitato.


  G. Martucci, Per una nuova commedia [Edoardo Cimbali, Il letterato di provincia. Commedia in 4 atti, in prosa], «La Scena Illustrata. Letteratura, Musica e Drammatica», Firenze, Anno XXIV, N. 3, 1° Febbraio 1888, pp. 8-10.

 

  p. 10. Aggiungi che il Letterato di provincia come personalità artistica, si presta a varie interpretazioni. Così ad esempio, un noto libro del Balzac è tutto dedicato a questo tipo di grand’uomo di provincia: e pure il grand’uomo reso dal nostro commediografo procede da criteri artistici totalmente diversi.


  G. P. Molmenti, Venezia nell’arte e nella letteratura francese, «Nuova Antologia di Scienze, Lettere ed Arti», Roma, Direzione della Nuova Antologia, Anno XXIII, Terza Serie, Volume Diciassettesimo Della Raccolta, Volume CI, Fascicolo XIX, 1° Ottobre 1888, pp. 465-484.
  p. 477. I francesi, buoni giudici e non troppo facili all’indulgenza, potevano apprezzare quanto alti fossero l’amor dello studio e l’ideale dell’arte, in quegli uomini, che andavano a rappresentare Venezia al di là delle Alpi. […]
  Con quale senso di ammirazione, e anche un po’ di diffidenza doveano i francesi guardare quegli ambasciatori della Serenissima, ces gens de bien, come li chiama il Brantôme, con quei loro volti severi e ad un tempo arguti, che vivono ancora nelle tele di Tiziano! Nulla sfuggiva a quei rigidi osservatori degli uomini e delle cose! Guardavano e conoscevano tutto il mondo, scrutavano i segreti dei principi, l’indole del paese, il governo, i prodotti, le entrate, le spese, le armi, i commerci. Nulla rimaneva nascosto a quel loro sguardo, che penetrava nelle case del popolo e nelle dimore dei ricchi, nei gabinetti dei governanti e nelle alcove dei principi. I documenti umani sono studiati con tale uno spirito osservatore, da precedere il Balzac di qualche secolo, e certi particolari della vita intima sono svelati con minor crudezza di frase dei romanzieri moderni, ma con non minore ardimentosa efficacia.


  Saverio di Montépin, L’Amante di Alice. Romanzo di Saverio di Montépin, «La Commedia Umana. Giornale-Opuscolo settimanale», Milano, Anno IV, Punt.a N. 173, 8 Aprile 1888, pp. 35-54.

 

  p. 49. I nostri lettori si ricordano senza dubbio delle precauzioni imposte dall’abate Carlos Herrera a Luciano de Rubempré, per sottrarre Ester alle persecuzioni amorose del banchiere Nucingen.


  Saverio di Montépin, L’Amante di Alice. Romanzo di Saverio di Montépin, «La Commedia Umana. Giornale-Opuscolo settimanale», Milano, E. Sonzogno, Editore, Anno IV, punt.a N. 180, 27 Maggio 1888, pp. 1-54.
XXX.

Informazioni.
  p. 45. La padrona delle (sic) casa, un tipo sul genere di Madame Nourisson, così magistralmente dipinta da Balzac, esercitava inoltre la professione di mercantessa d’oggetti di toeletta.


  C. Dott. Musatti, (Dalla Venezia), in Enrico Castelnuovo, Filippo Bussini juniore, Milano, Fratelli Treves, Editori, 1888, p. 16.

  Le avete lette queste briose e sugose Memorie? Se sì, tanto meglio per voi, poiché avrete passate come me quattro ore deliziosissime, mercè quei capi ameni che lo spiritoso scrittore con una finezza d’osservazione psicologica, propria di Balzac, vi pone dinanzi e mercè quelle saporite descrizioni di luoghi, d’incidenti, d’avventure, che ora vi fanno ridere, ora vi fanno pensare: deporre il libro, perché soltanto comincia ad annoiarvi, mai, neanche un solo momento …

  Enrico Nencioni, Rassegna delle letterature straniere (Inglese), «Nuova Antologia di Scienze, Lettere ed Arti», Roma, Direzione della Nuova Antologia, Anno XXIII, Terza Serie – Volume Sedicesimo Della Raccolta, Volume C, Fascicolo XVI, 16 Agosto 1888, pp. 711-723.
  pp. 715-716. E la morte venne improvvisa: la fornace troppo riscaldata, scoppiò. Dickens finì come Balzac, come Thackeray. Morirono tutti e tre presso a poco nella medesima età, cioè varcata di poco la cinquantina. Balzac fu colpito al cuore – Thackeray e Dickens al cervello. Così, tutto a un tratto, un soffio misterioso spengeva questi tre meravigliosi fornelli dove si elaborarono tante idee, tanti drammi, tante figure! Il divino meccanismo di quegli intelletti si fermò all’improvviso: e milioni d’anime umane mancarono da quel giorno di gradite e feconde lezioni, e di un abituale conforto nelle noie inevitabili della vita. […].
  La sola accusa giusta e fondata che può farsi all’opera stupenda di Dickens, è l’abuso del comico, del grottesco, e qualche volte certe pagine più lacrimose che toccanti. Ma l’altra accusa che i suoi personaggi son tipi incarnati, piuttosto che uomini e donne viventi, è ingiusta ed assurda. […] E poi, siamo giusti, se la ripetizione di certe parole e di certi atti deve subito togliere ad un personaggio la fede di nascita e di vita, e relegarlo fra i tipi – credete voi che si salverebbero alcuni, e fra i più ammirati, personaggi dello stesso Balzac? Se Percksniff è un tipo, allora è un tipo anche Grandet, anche Brideau, e soprattutto il barone Hulot, tanto ammirato dai severi censori di Dickens.


  G. P., Corriere teatrale. Filodrammatico. “Il Bottone di Rosa” commedia in 3 atti di Emilio Zola, «Corriere della Sera», Milano, Anno XIII, Num. 12, 12-13 Gennajo 1888, p. 3.

  Bottone di Rosa fu una divagazione artistica, uno scherzo col quale lo Zola volle interrompere l’omerica fatica della epopea naturalista dei Rougon Macquart; non è un lavoro di convin­zione, ma di capriccio, inspirato dalla lettura di quei Contes Drolatiques di Balzac, che la Sand, dopo di averli letti, gettò via come troppo in­decenti, e dei quali l’autore stesso scrisse nella prefazione: Lisca cecy plus tost à la nuit que pendant, le jour, et point ne le donnez aux pucelles, s’il en est encores, pour ce que ce livre prendoit jeu ...


  Enrico Panzacchi, Le musiche vecchie, «Nuova Antologia di Scienze, Lettere ed Arti», Roma, Direzione della Nuova Antologia, Anno XXIII, Quarta Serie – Volume Sessantatreesimo Della Raccolta, Volume CLVIII, Fascicolo 628, 16 Febbraio 1888, pp. 736-745.
  p. 741. Poi sarà ancora dentro il fascino di altre melodie nostre che sogneranno e ameranno le donne di Stendhal e di Balzac; poi verrà la musa di Alfredo De Musset a mescere le sue melodie dolorose alle note della Canzone del salice.

  Enrico Panzacchi, Paolo Bourget, «Nuova Antologia di Scienze, Lettere ed Arti», Roma, Direzione della Nuova Antologia, Anno XXIII, Terza Serie, Volume Quattordicesimo Della Raccolta, Volume XCVIII, Fascicolo V, 1 Marzo 1888, pp. 5-20.
  p. 5. Alla letteratura narrativa in Francia nuoce adesso l’abbondanza della produzione, davvero enorme, solo che si venga riassumendola da Balzac ai nostri giorni. […].
  pp. 10-12. Se poi s’intende che la parte più importante dell’opera sia data alla narrazione e analisi dei fatti, che costituiscono la tela del romanzo, considerandoli come rivelazioni ed effetti degli atti dell’uomo interiore, anzi questa interiorità diligentemente e di continuo investigando, anche in questo caso io non vedrei la novità. I precedenti si affollano in tal maniera che si esita a scegliere. Senza uscire da Balzac, eccoci dinanzi a père Goriot, a Louis Lambert, a Cousine Bette e a quasi intero Lys de la vallée (sic). Lo stesso Emilio Zola, che si suole citare come contrapposto al genere di Bourget, non ci ha egli dato in Thérèse Raquin e in Page d’Amour due racconti tutti intessuti della più minuziosa e penetrante analisi psicologica, la quale accompagna ogni più piccolo passo del dramma esterno e in essa e per essa lo spiega, lo commenta, lo vivifica? […].
  Un romanzo psicologico e d’analisi come lo intende e lo fa il Bourget, è opera artisticamente diversa dal così detto romanzo «di costumi». L’autore insiste su questo punto e non ha torto, perché così egli designa nettamente l’opera sua e il posto a parte che occupa nella letteratura francese contemporanea. […].
  Il Bourget ci dice in sostanza: io ho una mia maniera personale di concepire il romanzo, che mi sembra che valga bene un’altra maniera qualunque; e così io faccio. Se mi chiedete a quali tradizioni io mi colleghi, potrei citarvi Stendhal, Beniamino Constant, Fromentin, non escludendo mai l’universale Balzac; ma il più forte motivo della mia scelta risiede sempre nelle inclinazioni e nelle attitudini formate dal temperamento, dal gusto e dalla cultura mia. […].
  p. 19. Pessimismo intinto di religiosità cristiana in Chateaubriand e in Balzac; pessimismo rinforzato di filosofia positiva in Flaubert e in Zola.


  Enrico Panzacchi, “Le Rêve” nuovo romanzo di Emilio Zola, «Corriere della Sera», Milano, Anno XIII, Num. 310, 8-9 Novembre 1888, pp. 1-2.

  p. 2. E guardate finalmente i personaggi dei suoi romanzi. […] essi diversificano da quelli degli altri grandi romanzieri contemporanei per una specie di fissità tipica, che niente vale a smuovere e alterare. Stendhal, Balzac, Manzoni, Dickens, Tolstoi ci danno dei personaggi a così dire più articolati, i quali per quanto campeggino in una data situazione e sieno dominati da una passione e da un’idea, mostrano però, almeno ogni tanto, i vari aspetti della vita collettiva e individuale, indipendentemente da quella situazione, da quella passione e da quella idea.


  Enrico Panzacchi, Stendhal. A proposito del suo “Journal”, «Corriere della Sera», Milano, Anno XIII, Num. 335, 3-4 Dicembre 1888, pp. 1-2.

  Pare dunque che Enrico Beyle, più conosciuto sotto il nome di Stendhal, fosse profeta allorchè nel settembre del 1840 agli elogi amplissimi ma inaspettati e isolati del Balzac, rispondeva: io sarò letto e celebrato nel 1880. […].

  Adesso il Beylismo è pervenuto in Francia al suo più alto punto, tanto che ad alcuno par già di vedervi le esagerazioni di una moda. Lo stesso Onorato Balzac è minacciato di esser posto in seconda linea, di fronte all’autore della Chartreuse de Parme. […].

  Gli scrittori francesi più letti e ammirati del nostro secolo, fino verso il 1800, sono spiritualisti e, dal più al meno, religiosi. Chateaubriand, Lamartine, Balzac, De Vigny professano apertamente il cattolicismo. […].

  […] caratteri dello Stendhal stanno a lato di quelli del Balzac e talvolta hanno anche qualche cosa di meglio sorpreso nell’inaspettato e nel concreto della realtà.


  Enrico Panzacchi, Rassegna della letteratura italiana. “Napoleone all’isola d’Elba” per Giovanni Livi (Milano, Fratelli Treves) – “Le due mogli di Napoleone I”, studio di Ernesto Masi (Bologna, Nicola Zanichelli) – “Racconti” di Ferdinando Martini (Milano, Fratelli Treves), «Nuova Antologia di Scienze, Lettere ed Arti», Roma, Direzione della Nuova Antologia, Anno XXIII, Terza Serie – Volume Sedicesimo Della Raccolta, Volume C, Fascicolo XIII, 1 Luglio 1888, pp. 134-143.
  p. 135. Quale epopea volete che possano mai creare intorno a Napoleone le fantasie umane del secolo ventesimo, quando pensate a quella che si formava nelle teste dei contadini francesi del 1840, così bene conservataci nei racconti rusticani di Onorato Balzac?

  G.[iuseppe] Pipitone-Federico, Ribrezzo, in Saggi di letteratura italiana contemporanea. II Serie, Palermo, G. Pedone-Lauriel, Editore, 1888, pp. 37-84.
  pp. 54-55. Alphonse Daudet vede e comprende la verità, la natura in maniera affatto diversa dallo Zola; Luigi Capuana in maniera diversa da Giovanni Verga: dei due francesi, l’uno è più gentile, più adorabilmente femineo; l’altro più forte, più maschio, più energicamente virile; il primo ha più del Dickens, il secondo ritiene più del Montaigne e del Balzac; il Daudet è meno meccanico, lo Zola è un po’ più preoccupato dei teoremi scientifici. […].

  Vi ha in Francia uno scrittore fine ed acuto che tutti i suoi lavori, così di critica come d’arte, ha consacrati allo studio del caso psicologico – Paul Bourget. Però tra il Capuana e l’A. dell’«Irreparable» ci corre una sostanziale differenza. Prima di tutto il Bourget più che intorno a’ fenomeni schiettamente affettivi s’indugia intorno ai fenomeni intellettuali, che, sorpassando il caso individuale, agitano l’umanità: la sua analisi, inquieta e penetrante, si tormenta nella ricerca dei segreti dell’anima umana, con un certo senso di vago pessimismo byroniano corretto dallo spirito moderno del Balzac […].

  L’Arte e la Morale a proposito dell’«Intermezzo di rime» del D’Annunzio, pp. 375-432.

  pp. 427-428. Il naturalismo, attuato prima dal Rousseau e dal Diderot, con intendimenti opposti a quelli dell’autore della Commedia Umana – l’epopea del mondo moderno – sovraneggia, non senza però che traballi in alcun punto pel abuso di preconcetti teorici così nell’Assommoir, come nella Conquète (sic) de Plassans; così nel Germinal come nell’Oeurere (sic).


  G.[iuseppe] Pipitone-Federico, Per la nuova edizione di “Homo”, «Vita letteraria. Rassegna siciliana di storia, letteratura e arte», Palermo, Anno I, Serie 2°, Fasc. I, Luglio 1888, pp. 48-60.

 

  p. 48. Già fin dal 1883 nel discorrere sul Momento, della statua innalzata da’ parigini ad Alessandro Dumas padre, pur tenendo conto dei pregi singolari di codesto fortunato romanziere in un certo genere di lavori, gli negavo risolutamente quelle facoltà artistiche che sovraneggiano per converso nel De Balzac, sostenendo come in un sol romanzo del colossale autore di Cousine Bette, di Eugénie Grandet, del Lys dans la Vallée, ci abbia più fantasia che non in tutta la farraginosa produzione del Dumas, dal Conte di Montecristo, e dal Bargelonne, alla Collana della Regina.


  M. Puglisi Pico, Dante Alighieri ne le conferenze del Carducci e del Bovio. Comenti di M. Puglisi Pico, Palermo, Tipografia del Giornale di Sicilia, 1888 e in «Vita letteraria. Rassegna siciliana di storia, letteratura e arte», Palermo, Anno I, Serie 2°, Fasc. I, Luglio 1888, pp. 38-47.
  p. 4. Il Carducci nel suo discorso: L’opera di Dante, di cui imprendiamo a parlare, riguarda il suo soggetto ne l’ambiente in cui visse, e in questo ambiente lo studia?
  L’à veramente compreso? È quel che vedremo, ma sin da ora possiamo affermare che il suo metodo è sano.
  L’ambiente e l’atavismo sono le leggi più potenti del cuore umano: questo è dimostrato dalla scienza, questo ànno ritratto in bei quadri il Zola e il Capuana, il Balzac e il Verga.
  Di queste leggi si deve usar sempre quando si vogliano trovare le ragioni di certi stati d’animo in un uomo, che, a prima giunta, ci sembrerebbero contradittori e strani.

  D.[aniele] Riccoboni, Realismo e Verismo, «L’Ateneo Veneto. Rivista mensile di Scienze, Lettere ed Arti», Venezia, Stab. Lito-tipografico di M. Fontana, Serie XII, Vol. II, N. 1, Luglio-Agosto 1888, pp. 99-109.
  p. 104. Il Balzac, nei cui romanzi abbondano descrizioni improntati (sic) della più cruda realtà, che ritiene l’uomo, qualunque esso sia, oggetto degno di studio, e che può considerarsi come il capo dei realisti in Francia, ha scritto: «immortali non sono che le creature la cui vita diviene più autentica di quelle che sono realmente vissute». […].
  p. 108. V. Hugo, così originale nella invenzione, così realista, talora fino alla crudità eccessiva di espressione, rimane però ideale nella concezione dei suoi tipi principali. Balzac tanto realista e talora verista, si dà qualche volta al più sbrigliato idealismo, che va fino al mistico, alla allucinazione, al sogno. Alcuni contemporanei e primo di tutti E. Zola vengono specialmente accusati di Verismo nel peggior significato.

  Federico de Roberto, Lettera di Federico de Roberto a Neera, «Giornale di Sicilia», 22 aprile 1888 e in Neera [Anna Radius Zuccari], Lydia, Milano, Galli, 1888; 1894; Roma, Voghera, 1898.
  Bisognerebbe, intanto, che i critici dessero un esempio col lasciar da parte la compiacente ricerca delle possibili e delle impossibili derivazioni delle opere italiane dalle straniere.
  Poiché Balzac ha studiato nella sua Eugénie Grandet un tipo di fanciulla borghese, Neera avrà commesso un plagio studiando in Teresa un simile tipo. Chérie di Edmondo de Goncourt è l’analisi di un carattere di fanciulla aristocratica, Lydia della nostra autrice sarà perciò calcata sulla falsariga francese …

  Federico de Roberto, Il Giornale di Stendhal, «Fanfulla della Domenica», Roma, Anno X, N. 40, 30 settembre 1888, pp. 2-3.
  p. 3. L’autore dell’Amore diceva di sé che non lo avrebbero compreso se non verso il 1880. […].
  Le sue previsioni si sono avverate. Inapprezzato dal proprio tempo, malgrado i tentativi di propaganda fatti dal Balzac, egli è venuto da pochi anni a questa parte in grande onore.

  Egisto Roggero, Musica, «La Scena Illustrata. Periodico quindicinale di letteratura, musica e drammatica», Firenze-Roma, Anno XIV, Numero 10, 15 Maggio 1888, pp. 2-3.

  p. 2. Che cos’è la musica, cara signora?

  «È ricordo o previsione di un'armonia che le anime ane­lano» dice Mazzini.

  «C’est une vie dans la vie» dice Balzac.


  [Giuseppe Rua], La storia di Orio e Policastra, in Novelle del “Mambriano” del Cieco da Ferrara esposte ed illustrate da Giuseppe Rua, Torino, Ermanno Loescher, 1888, pp. 120-146.
  p. 130. Questo romanzo [Pietro e Maghelona] godette di molta popolarità e diffusione: esso fu ritoccato e ripubblicato diverse volte in Francia, dove forma tuttora un libro di lettura popolare. Madame Séchard, nelle Illusions perdues del Balzac(1), manda per la campagna il bravo Kolb a vendere per pochi soldi il romanzo della Bella Maghelona.
  (1) Edizione di Parigi, 1881, parte II, p. 149.

  Francesco de Sanctis, Saint-Marc Girardin. « Cours de littérature dramatique », in Saggi critici. Quinta edizione, Napoli, Cav. Antonio Morano, Editore, 1888., pp. 20-27.
  p. 24. Cfr. 1856; 1869.

  Francesco de Sanctis, Studio sopra Emilio Zola, in Nuovi saggi critici, Napoli, Cav. Antonio Morano, Editore, 1888.
  Cfr. 1879.

  G. M. Scalinger, Per “Giacinta”, «Gazzetta Letteraria», Torino, L. Roux e C.ia Editori, Anno XII, N. 23, 9 giugno 1888, pp. 180-181.
  [Lettera a G. Miranda (cfr. Giacinta, N. 21, 26 maggio 1888, pp. 165-166].
  p. 181. Ma se il vostro realismo – vale a dire il realismo che avete visto trionfare nel dramma Giacinta – è tutto nell’argomento; l’audacia vi ha scosso, l’ambiente così crudamente viziato e deliberatamente vizioso vi ha un po’ sedotto, – non certo come uomo, ma come gregario realista, – la esclusione di ogni senso tenuto buono e di ogni istinto onesto, premeditata a nome del realismo di Zola o di Flaubert o di Balzac che sia, vi ha fatto vedere nella reazione affermata una indipendenza artistica assai lodevole e ugualmente nobile.

  Silex [Giustino Luigi Ferri], Le curiosità della Posta. Gli amori di O. de Balzac, «Fanfulla della Domenica», Roma, Anno X, N. 18, 29 Aprile 1888, p. 4; N. 21, 20 Maggio 1888, p. 4.


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  Questa volta si tratta di curiosità internazionali che la posta ha portato a Roma, infischiandosene della mancanza di una convenzione doganale: sono curiosità letterarie, contro le quali il protezionismo neutrale non prende nessun provvedimento. Se fossero state invece curiosità da bazar o novità di moda, certo la dogana avrebbe escogitato e messo in opera i suoi rigori fiscali, rispondendo per le rime ai rigori fiscali della dogana francese: ma proteggere quella magra e sparuta cosa che è l’industria libraria nazionale non importa ai sopracciò dell’Italia.
  Sopracciò a governo in Italia sono persuasi che la letteratura è un pretesto di cattedre universitarie, di missioni all’estero, di cabale scolastiche, di stipendi, ma che non ha nulla da vedere con l’industria libraria, la quale pure dovrebbe alimentare il lavoro della tipografia e delle cartiere.
  Non fo nemmeno cenno del lavoro di quei matti fanatici, che si ostinano cocciutamente a rappresentare davanti all’Europa, la quale non li guarda, la parte eroica e platonica di scrittore italiano vivente … d’illusione. Il governo deve incoraggiare un teatro italiano che non c’è; deve comprare dei quadri che dopo alcuni anni incominciano a dimostrare sgretolandosi come si ottengono certi effetti; il governo deve concedere larghi premi e incoraggiamenti ai patrii stenografi, alle perle romane, ai maiali ingrassati, alla coltivazione delle carote nazionali. Ma scegliere i luminari di quella letteratura ufficiale, che vende i suoi servigi alla patria nelle grandi occasioni delle cerimonie solenni, scegliere questi luminari, dico, fra letterati che abbiano scritto bene o male qualche cosa e non tra i computisti, i frati sfratati, gli orologiari a spasso, sarebbe macchiarsi di mecenatismo davanti alla storia. E il governo italiano non meriterà mai questo rimprovero, nemmeno aumentando di qualche lira le spese doganali per l’entrata in Italia dei libri francesi.
  Del resto non me ne lamenterò oggi, io che a queste facilitazioni per il commercio librario francese in Italia devo l’occasione di stuzzicare con curiosità abbastanza piccanti l’appetito svogliato dei lettori.
***
  Balzac et ses amies[7] è un nuovo libro, dedicato da Gabriel Ferry allo studio della vita del grande romanziere. Per quanto sia difficile oramai di dire qualche cosa di nuovo intorno alla vita del Balzac e anche intorno ai suoi amori, e per quanto il libro del signor Gabriel Ferry sia più che altro una compilazione di compilazioni precedenti, la lettura del Balzac et ses amies è piacevole, riesce come un’evocazione di tutte quelle memorie, che gli ammiratori avevano trovate sparse in una quantità di libri sul grande romanziere e nei volumi pubblicati delle sue lettere familiari.
  Balzac è stato uomo di una castità quasi monastica, e con tutto questo ha amato intensamente la donna ed è stato anche abbastanza riamato non ostante la grossolanità esteriore della persona e del volto. La qual cosa prova che la donna sa amare meglio e più spiritualmente che non sappia l’uomo.
  Nel 1822 Balzac aveva ventiquattro (sic) anni e scriveva con varii pseudonimi romanzi su romanzi, che più tardi egli proscriveva come peccati di giovinezza rifiutando loro la legittimazione, e lasciando la responsabilità della loro ripubblicazione all’editore.
  Ma in quei primi tempi egli cercava di procacciarsi il pane a ogni costo e dimostrare a suo padre di saper vivere con la sua penna di romanziere altrettanto che con quella di giovane di notaio che il vecchio Balzac avrebbe preferita. Né i desideri di quest’uomo che doveva poi correre disperatamente dietro alla fortuna e scrivere il grande romanzo del denaro, erano in quel tempo certo esorbitanti. Egli avrebbe voluto avere mille e cinquecento lire sicure l’anno, e non sperava di guadagnarle. Allora, meno forse la sorella Laura, nessuno della famiglia e degli amici della famiglia Balzac credeva all’ingegno del giovine scrittore. Un professore di letteratura, dopo aver letto una tragedia del futuro autore di César Birotteau, aveva sentenziato che Onorato de Balzac poteva fare tutto, meno che scrivere cose letterarie.
  Ma sua sorella credeva in lui, e alla fede di lei si era convertita un’altra donna: la signora de Berny. Chi era la signora de Berny? Voi la conoscete tutti, poiché tutti avrete letto le Lys dans la vallée. È madame di Mortsauf.
  Il romanziere ha idealizzato certamente, ma il modello non repugnava a questa trasfigurazione.
  «Per dodici anni, scriveva egli, un angelo ha strappato al mondo, alla famiglia, ai doveri, a tutte le mille traversie della vita di Parigi, due ore al giorno per passarle con me, senza che nessuno ne sapesse nulla: dodici anni, capito!».
  Non c’è che dire. Per Balzac la signora de Berny fu un angelo; un vero angelo, salvo beninteso i diritti e le ragioni del signor de Berny.
  «Madame de Mortsauf, du Lys, est une pâle expression des moindres qualités de cette personne; il y a un lointain d’elle …».
  Così scriveva l’autore del Lys, parlando della sua fedele amante, appena seppe la notizia della sua morte.
  Ma nel tempo in cui perdette la sua musa, Balzac cominciava a essere ben accolto non solo nelle librerie e nei gabinetti di lettura, ma anche nei salotti; quando invece la signora de Berny cominciò a prodigargli i tesori del suo affetto Balzac era quasi un ignoto che non salvava nemmeno le apparenze dell’eleganza.
  Il Lamartine lo descrive così:
  «Egli portava delle vesti che erano un’offesa al più temperato senso di eleganza: l’abito era stretto per il suo corpo enorme, il panciotto tutto sciupacchiato, la biancheria di canapé grossa, calze turchine, scarpe che lasciavano l’impronta sul tappeto, aspetto di uno studente in vacanza cresciuto troppo nell’anno, e il cui sviluppo fisico inaspettato fa scoppiare le cuciture …».
  Allora egli non poteva essere accolto e festeggiato se non in una casa addirittura letteraria come era quella di madame di Girardin. Più tardi le donne se lo disputavano, avendo scoperto in quel grosso uomo dalle maniere ruvide, un interprete sottile delle finezze femminili.
  Una sera in quel circolo di signore che alla fine del regno di Carlo X e al principio di quello di Luigi Filippo si riuniva in casa della principessa di Bagatrion, una giovine signora gli disse:
  – Come conoscete le donne, voi!
  – Le conosco tanto, disse Balzac, che mi basta guardarle un momento per potere raccontare la loro storia dal giorno della nascita. Volete che vi dica la vostra, signora?
  – Ma, non a voce alta! … – esclamò ingenuamente la signora spaventata.
***
  Il fallimento della sua impresa di fonderia e tipografia obbliga Balzac a lasciare i salotti. Egli è costretto per lavorare a fare una vita assurda: mangiare alle cinque, coricarsi alle sei, levarsi a mezzanotte per lavorare … quattordici o sedici ore senza riposo. Il caffè aiuta il romanziere a resistere al lavoro accoppante. Sicchè le donne che va a visitare il romanziere sono tutte più o meno del mestiere, perché con loro egli parla d’affari e di cose professionali: la duchessa d’Abrantès fra le altre, e Giorgio Sand. Alla duchessa di Abrantès e ai suoi libri nessuno pensa più: facciamo piuttosto uno schizzo della relazione tra Giorgio Sand e O. di Balzac.
  «Egli saliva, scrive G. Sand, con la sua grossa pancia tutti i piani della casa e arrivava soffiando, ridendo, chiacchierando, senza ripigliar fiato. Prendeva degli scartafacci sulla mia tavola, vi gettava su uno sguardo, con l’intenzione di informarsi di che si trattasse, ma immediatamente, pensando a ciò che aveva in mente, si metteva a parlare dei suoi lavori. La sua conversazione era molto piacevole, un po’ faticosa per me che non so abbastanza rispondere per cambiare argomento di conversazione. Ma la sua anima era di una grande serenità, e io non mi ricordo di averlo visto mai ingrugnato».
  Ora un giorno Balzac incominciò a leggere a Giorgio Sand un brano di Rabelais. Nel fare la lettura egli volle anche comentare a modo suo il testo. Benchè tanto austero di costumi, Balzac si dilettava dell’aneddoto grasso e della allegria licenziosetta. Giorgio Sand si mostrò offesa di quelle maniere e finì col dire:
  – Andatevene di qua, voi siete un grande sfacciato!
  – Obbedisco, rispose ridendo Balzac, ma in questo momento voi non siete altro che una bestia!
  Qualche giorno dopo avevano fatto la pace e Giorgio Sand, un altro amico e Balzac pranzavano insieme in casa di quest’ultimo, che aveva indossato per la circostanza una splendida veste da camera a fiorami di seta …
  Meno splendido fu certo il banchetto composto di una zuppa di latte, di un pezzo di lesso, di una fetta di melone e di vino di Champagna.
  Quando i suoi invitati se ne andarono, egli volle accompagnarli, e poiché il quartiere dove abitava lo scrittore era illuminato come certe contrade di Roma nuova, Balzac, senza levarsi la veste da camera, prese un bel candeliere artisticamente lavorato, accese le candele e fece loro lume per tutta la via deserta fino al teatro dell’Odéon.
  Giorgio Sand voleva dissuaderlo da quest’idea:
  – Un malfattore che v’incontri solo al ritorno …
  – Non c’è pericolo, disse Balzac, o i ladri mi prendono per un pazzo e rispetteranno la mia sventura, o vedendomi così vestito mi scambiano con un principe e mi lasceranno andare per non richiamare troppo l’attenzione della polizia sopra di loro …
  Balzac non aveva veduto mai in Giorgio Sand altro che lo scrittore, e Giorgio Sand, forse non senza una punta d’ironia, lo loda nelle sue memorie per il suo platonismo e la sua morigeratezza di costumi.
  Tuttavia il platonismo e la morigeratezza del romanziere non impedivano che egli s’innamorasse fieramente di qua e di là … Ma di questi altri amori parleremo forse la settimana ventura. Per ora le ragioni dello spazio m’impongono di far punto.
***
  Ripiglio ora dopo due numeri l’interessante volume dedicato dal signor Gabriele Ferry alle amiche dell’autore della Comédie Humaine.
  Eccoci a uno dei più strani episodi della vita di Onorato de Balzac.
  Un giorno, mentre egli nel settembre 1831 si era ridotto in provincia per lavorare, una lettera gli vien recapitata con questa firma misteriosa:
  «Una donna che non vuol farsi conoscere».
  Il romanziere non fu stupito di questa lettera, ne aveva ricevute tante di ammiratrici anonime, che l’invitavano a una relazione epistolare, alle quali egli aveva avuto quasi sempre la condiscendenza di rispondere accettando l’invito; ma questa volta la donna che gli scriveva apparteneva a quell’alta società che egli aveva guardato sempre con desiderio e predilezione di artista: Balzac lo capì dal tono, dalla carta, dalla scrittura, dal modo di suggellare le lettere.
  Il commercio epistolare con l’incognita si prolungò tanto che O. de Balzac volle sapere assolutamente il nome di lei: e seppe che la sua corrispondente ignota era la duchessa di Castries, parente dei Montmorency, una delle stelle del firmamento aristocratico del Sobborgo.
  Balzac l’aveva incontrata nel salotto della principessa Bagatrion, ma ella non gli aveva parlato mai; né aveva dimostrato di essersi accorta di lui. Nella lettera in cui gli svelava il suo nome la duchessa finiva dicendo che ella sarebbe stata contenta di accogliere il romanziere nel suo salotto.
  La duchessa di Castries era una bella donna, dai capelli d’oro, aerea, svaporata, raggiante di mille seduzioni squisite, tale da far perder la testa al romanziere. La sua bellezza aveva molto sofferto per una caduta da cavallo, mentre andava a caccia col giovine Metternich, di cui era innamorata; e però il corpo non aveva più le sue armoniose proporzioni; ma nel 1832, in pieno romanticismo, quell’aspetto addolorato di giovine donna infelice, vittima del suo amore, le conciliava invece tutte le adorazioni più ardenti e più letterarie, tanto più che il volto superbamente coronato della sua chioma veneziana era sempre quel medesimo che era stato tanto ammirato nei salotti della Ristorazione.
  La duchessa di Castries in un salotto semplicissimo, arredato all’antica, con mobili del secolo XVIII, accoglieva i suoi ospiti lunga distesa sopra una poltrona, fatta in modo da offrire un riposo alla persona sempre sofferente per la terribile caduta.
  La duchessa di Castries seguitava dalla sua poltrona a fare la strage di cuori che aveva incominciata quando oltre tutte le altre seduzioni avea anche quella della salute: i romantici forse la preferivano ora col languore della malattia, coi gesti lenti e la malinconia delle sofferenze sulla alta fronte bianca su cui ricadeva la chioma d’oro.
  Balzac subì fortemente l’influenza della bella legittimista. Incominciò dal correggere la negligenza del suo modo di vestire; e vennero fuori panciotti bianchi, soprabiti turchini a bottoni dorati, bastoni col pomo adornato di turchesi; poi immaginò di adornare la sua abitazione di oggetti d’arte, di stoffa e infine, mentre ancora lottava coi suoi inesorabili creditori, prese due servitori, comprò dei cavalli, due carrozze e ... il tono di uno dei dandyes (sic) del tempo.
  Dove era la camicia di tela grossa e le calze di cotone turchino di una volta?
  Balzac finisce con l’accompagnare dovunque ella vada la duchessa di Castries. La duchessa di Castries è ad Aix ed egli corre a raggiungerla. Ma per poter mantenere il suo lusso egli ha bisogno di lavorare, lavorare, lavorare, e non può quindi consacrare tutto il suo tempo all’adorazione platonica della bella ammalata.
  Ha promesso degli articoli alla Revue de Paris: l’editore attende il manoscritto del Médecin de Campagne e di una nuova serie dei Contes Drolatiques; egli si alza alle cinque di mattina e lavora davanti alla finestra fino alle cinque e mezzo di sera, interrompendo solo un istante in tutta la lunga giornata il lavoro per far colazione con uova e caffè. Alle sei va dalla signora di Castries, pranza insieme con lei e resta con lei fino alle undici … a farle la corte più letteraria che si possa mai immaginare. Il romanziere dell’analisi non si avvede che la duchessa doveva farsi una strana idea di un adoratore che veniva da lontano a raggiungerla per leggere insieme con lei la sera il prodotto del suo lavoro della giornata.
***
  La duchessa di Castries influì anche su Balzac per le sue idee politiche: Balzac, il quale del resto aveva troppa larghezza di pensiero per appartenere a un partito politico, passò per lei dall’opposizione liberale all’opposizione legittimista … E tutto questo non giovò ad altro che a fargli scrivere più tardi in una lettera le seguenti parole:
  «C’è voluto cinque anni di continue ferite per staccare la mia indole tenera da un’indole di ferro: questo amore, che, per quanto se ne dice, è rimasto, per volontà di quella donna, irreprensibile, è stata una delle più grandi sciagure della mia vita …».
  Quando pubblicò il Père Goriot già disgustato con la duchessa dimenticò di mandargliene una copia, ella se ne lamentò, ed egli riparando alla dimenticanza le scrisse:
  «Se voi foste qui, vi metterei sopra un gran divano su cui voi stareste come una fata nel suo palazzo, e vi direi che bisogna amare in questo mondo per vivere; e voi non amate, e, quando l’anima non è nutrita s’infiacchisce come il corpo!»
  Chi vuol conoscere meglio la duchessa di Castries, legga la Duchessa di Langeais. È quello il libro della vendetta di Balzac. Però, lealmente, egli non volle pubblicarlo prima di farlo conoscere a quella che gli era servita di modello per la sua eroina.
  La duchessa di Castries non volle riconoscersi, e non si riconobbe, e Balzac pubblicò il libro senza alcuno scrupolo di far dispiacere a una donna che aveva amata tanto.
***
  Ammaestrato dall’esperienza fatta con la duchessa di Castries, il romanziere seppe resistere alle tentazioni che gli offriva l’intimità con una non meno pericolosa e non meno bizzarra ammaliatrice, la principessa di Belgioioso. L’esempio di Alfredo de Musset aveva giovato all’autore delle Illusions perdues … Il povero poeta correndo per il giardino della principessa si era rotto una gamba ed era rimasto ospite addolorato e felice della bella e spiritosa italiana, gliene apriva una più grave e profonda, quantunque metaforica, nell’anima.
  Così, mentre il poeta immaginava di esser ormai molto avanti nel cuore della dama capricciosa, gli accadde un giorno di avvedersi improvvisamente che la principessa era molto più commossa dalle melodie di un pianista che dai versi di lui. La scena è un po’ cruda e noi non la racconteremo: basterà dire che ha qualche punto di rassomiglianza con quell’altra famosa, in cui il poeta dello Chandelier si accorse, guardando in uno specchio, che il medico italiano, venuto per curarlo, era dalla sua compagna, George Sand, accolto in un modo che il plettro si dovè ritirare sconfitto davanti al caduceo.
  Si capisce, del resto, dove attingesse Balzac la sua forza di resistenza. Egli aveva già veduta la contessa Hanska, che più tardi, dopo essere rimasta vedova del conte, doveva diventar la signora de Balzac. E quest’amore, l’ultimo, quest’amore che non chiedeva, appena la morte del conte lo permise, altro che soddisfazioni consentite dalle leggi divine e umane, quest’amore doveva finire per Balzac, in una catastrofe, come forse non sarebbe finita qualunque più scapigliata passione; la catastrofe fu la morte a cinquantun’anno dell’autore di 55 volumi di circa 350 pagine ognuno.
  Eppure quelle ventimila pagine, su cui spesso batte il raggio del genio, e sempre si vede apparire l’osservatore dalla fantasia gentile, per cui l’osservazione non resta semplice nota ma diventa premessa di teorie, di conseguenze, di strane e inaspettate visioni del mondo, non erano nel pensiero di Balzac tutta la commedia umana, che egli aveva meditato di mettere in iscena: e il giorno avanti alla sua morte egli supplicava il suo medico di dargli, di prolungargli la vita per sei mesi, per sei settimane, per sei giorni almeno, affinchè se non altro potesse accennare agli amici ciò che gli restava da fare, ciò che si doveva modificare nel lavoro fatto … Ma la scienza non seppe far altro che ratificare brutalmente la condanna della natura, e Balzac morì dello spavento di morire, senza dare nemmeno l’ultima mano a quello che aveva già fatto …
  I suoi viaggi in Russia, la lotta con l’inclemenza della temperatura e con la freddezza della contessa Hanska, la quale esitò troppo ad accettare il nome glorioso di signora de Balzac atterrarono l’Ercole del romanzo moderno, l’uomo che aveva fatto tante opere di genio per quanti aborti possono uscire dalla penna di un mestierante volgare. E si noti che mentre tutti i mestieranti hanno facile il lavoro, Balzac uomo di genio scriveva con istento, come tutti coloro del resto che pensano troppo e non sanno scrivere abbastanza da trovar la traduzione immediata del concetto nella forma compiuta.
  Balzac aveva dimenticato la sua teoria: il letterato deve astenersi da ogni relazione con le donne, che gli faccia perdere tempo.
  E poiché l’epicureo Gautier protestava, Balzac per consolarlo aveva aggiunto:
  – I letterati devono contentarsi di scrivere soltanto alle donne: è un modo di esercitarsi nello stile.
  E fino al tempo che egli aveva seguitato fedelmente la sua teoria, si era infatti esercitato in quello stile che non doveva esser mai il suo merito maggiore, ma aveva potuto resistere a un lavoro di cui tutto è fatto per sgomentare: le proporzioni, la profondità, la rapidità angosciosa, la varietà meravigliosa.
  Il Cousin Pons per cui un romanziere moderno domanderebbe un anno almeno di studi preliminari fu scritto in quattro settimane e fu pagato dodicimila lire. La Terre ha già fruttato a E. Zola cento mila lire.

  Solitarius, Note per via (A Porta Venezia), «La Commedia Umana. Giornale-Opuscolo settimanale», Milano, E. Sonzogno, Editore, Anno IV, Punt.a N. 185, 1 Luglio 1888, pp. 23-25.
  p. 24. Beati loro che possono illudersi, forse scambiando il trin trin trin delle sonagliere dell’Anonima, con quelle delle Messaggerie Svizzere o della campanella delle mandre reduci a’ casolari alpini! … Illudersi è metà godimento. Non ha forse detto Balzac che ciò che vi è di più bello nella vita sono le illusioni della vita?

  Orazio Spagnoletti, Petronio Arbitro, «Rassegna Pugliese di Scienze, Lettere ed Arti», Trani, Vol V, Num. 8, 2 Maggio 1888, pp. 118-119.
  p. 119. Petronio Arbitro, dal lato dell’humour, è un geniale precursore di Arrigo Heine. Ognuno dei due ha un’emozione poetica, se non identica, almeno vicina a quella dell’altro. Per la psicologia dell’anima, per l’analisi dei piaceri più strani e sfrenati, per il contrasto delle forme più voluttuose della vita dell’uomo, Petronio Arbitro apre gli orizzonti di quella letteratura nevrotica e impenitente che ha folgorato, in Francia, con Alfredo de Musset, con Enrico Murger, con Gerardo di Nerval, con Carlo Baudelaire; in Italia, con Emilio Praga, con Iginio Ugo Tarchetti, con Domenico Milelli e con Olindo Guerrini […]. Ma Petronio Arbitro, dal lato dei paragoni, ha un vantaggio e un merito ben sostanziali: – quello d’aver presentato la vita nella sua cruda realtà, nei meati più intimi, più diversi, più tragici: – quello insomma d’aver descritta la gran comedia umana dei suoi tempi, come ha tentato di fare, circa duemila anni dopo, Onorato di Balzac.
  Petronio Arbitro sorride, come Balzac, della comedia umana, in cui è costretto a rappresentare la sua parte; ma è anche terribile, quando ne descrive l’organismo corrotto, come Enrico Murger; ma è anche freddamente scettico, freddamente cinico, come Heine, quando resta impassibile innanzi a tutto, senza una lacrima agli occhi, senza una stretta al cuore.


 Tersite, Teatro sociale, «Giornale di Udine e del Veneto Orientale», Udine, Anno XXII, N. 67, 19 Marzo 1888, p. 2.

 

 Mercadet l’affarista, di Onorato de Balzac è un lavoro che sebbene scritto circa mezzo secolo fa, veste sempre il carattere di attualità.

 L’affarista della società contemporanea, non fa nè più nè meno di quello che faceva Mercadet.

 Naturalmente gli zii d’America e i millionari reduci dalle Indie non giungono oggi al momento opportuno e perciò si va spesso in prigione come toccò a Wilson.

 Paladini rappresentò la parte del protagonista con verismo ammirabile, e seppe far risaltare il carattere di Mercadet, che sebbene in fondo non sia cattivo, è però costretto a subire in tutte le fasi della vita l’influenza della sua mania per gli affari più strampalati.


  Tobia, Francesi in Italia, «capitan Fracassa», Roma, Anno IX, N. 1, 1 Gennaio 1888, pp. 2-3.
Lettera seconda.

  p. 2. Né il signor Narjoux né il signor Dorin sono imbecilli: scrivevano ambedue colla disinvoltura consueta ne’ francesi non soltanto, ma con garbo di stile, e si manifestano abbastanza istrutti della nostra storia; né mancano, purchè e quando vogliano, di quel senso dell’osservazione che non può difettare in un popolo il quale ha dato al mondo il Montaigne, il Molière, il Balzac che è quanto dire il più umano de’ moralisti, il più grande degli scrittori comici, il più felice dipintore di caratteri e di costumi.

  Nino Verso Mendola, Le donne dell’Inferno, in La Criminalogia dell’Inferno, Catania, Tipografia Francesco Galati, 1888, pp. 95-103.
  pp. 102-103. Le donne dei romanzi e delle commedie moderne sono nevrotiche, pettegole dinnanzi ai tipi immortali di donne, presentate da Dante. I pochi versi di Piccarda svelano una storia così lagrimevole che interessa quanto o più di qualunque eroina, per cui Balzac e Flaubert scrissero volumi.

  Ernest Vinci, Mouvement littéraire et artistique parisien. Ecrivains et artistes, «Cuore e Critica. Rivista Mensile di studii e discussioni di vario argomento pubblicata da alcuni scrittori eccentrici e solitari», Savona, Anno II, Num. 3, Marzo 1888, pp. 46-47.

  p. 46. Dans l’idée de Balzac, tel devait être aussi le rôle de la Société des gens de lettres à sa fondation [«venir en aide aux artistes et aux écrivains inconnus et pauvres, et leur donner les moyens de se produire devant le public»]. Il fut même chargé d’écrire un rapport, ce qui ne coûte rien et produit toujours son effet. Le grand romancier avait l’habitude de fair (sic) grand … sur le papier; ses projets étaient trop beaux et on s’empressa de les … abandonner. Aujourd’hui cette société qui aurait pu avoir une grande influence, n’a plus qu’une importance commerciale.

  Giovanni Zannoni, Prefazione, in I precursori di Merlin Cocai. Studi e ricerche di Giovanni Zannoni, Città di Castello, S. Lapi Tipografo Editore, 1888, pp. 5-95.
  p. 16. Il reverendo scrittore, benché sostenuto dal suo grande e illustre amico Balzac, parlò al deserto ed il suo voluminoso libro lasciò il tempo che trovò: solamente cento anni dopo doveva provocare una importante e lunga discussione.


 A. Zeta, Qua e là, su e giù, «Fanfulla», Roma, Anno XIX, Num. 201, 23-24 Luglio 1888, p. 1.

 

 Don Pedro di Braganza ha contribuito con L. 500 alla sottoscrizione che si sta facendo in Francia per erigere un monumento a O. di Balzac.

 Si vede che l’Eugénie Grandet, Le Père Goriot, Les Parents pauvres, La physiologie du mariage piacquero anche al simpatico imperatore […].


  Emilio Zola, Prefazione, in O. de Balzac, La Finta amante di O. de Balzac con prefazione di Emilio Zola… cit., pp. 7-23.
  A p. 5, è presente l’Avvertenza dell’Editore:
  Pubblicando la traduzione di questo bellissimo e commoventissimo racconto del Balzac, di cui si è tradotto pochissimo o quasi nulla in Italia, abbiamo creduto di far cosa grata ai lettori facendola precedere da pochi brani, tratti da uno stupendo e lunghissimo studio di Emilio Zola sul gran maestro del naturalismo francese, che si trova nel volume: “Les Romanciers naturalistes”.[8]

Prefazione.

  Balzac è nato a Tours, il 16 maggio (sic) 1799. Passò sette anni al collegio di Vendôme, che allora era in gran fama. Egli non fu, come Vittor Hugo, un fanciullo prodigioso; i suoi professori, al contrario, lo consideravano come una intelligenza mediocre, tarda e pigra. In verità in quella testa dagli occhi socchiusi e dall’espressione distratta avveniva un gran lavorìo. Quando la sua indolenza lo faceva mettere in prigione, egli vi divorava in segreto tutti i libri che gli capitavano sotto le mani. La passione della lettura lo torturava, e nel suo cervello si agitava un mondo d’idee così complesso per la sua età, che ne cadde ammalato. Nessuno indovinò la causa della sua malattia; fu rimandato a casa, e lì frequentò le classi del collegio di Tours. D’altronde i suoi lo tenevano egualmente in pochissima stima. Ridevano delle prime ambizioni che germogliavano in lui. Verso la fine del 1814 andò coi suoi parenti a Parigi, dove compì i suoi studii, sempre senza alcuna gloria. Frequentò successivamente lo studio di un notaio e quello di un avvocato. Ma al suo temperamento ripugnava quella vita curialesca fatta di cavilli e di raggiri, e riuscì ad ottenere da suo padre l’autorizzazione di tentar la carriera delle lettere. La sua famiglia cedeva molto a malincuore e gli accordava solo un anno per tentar la pruova. La pensione che gli assegnava, era calcolata in modo da impedirgli appena di morir di fame e da disgustarlo della vita delle soffitte. Finalmente, volendo i suoi genitori risparmiargli la vergogna di uno scacco, certo secondo essi, avevano preteso da lui che il tentativo fosse fatto in segreto, e che, anche agli occhi degli amici intimi, sembrasse che Onorato fosse andato a Montauban, presso un cugino.
  Eccolo dunque a Parigi, in una stanzetta della via Lesdiguières, libero di sognare e di scrivere come gli piaceva meglio. Dapprima volle tentare il teatro, mise su col massimo stento una tragedia in cinque atti, Cromwell, che, letta in famiglia e innanzi agli amici riuniti a bella posta, fu giudicata dell’infima mediocrità. Dovette tornare a casa, giacchè i genitori ritennero quella pruova sufficiente e decisiva. Però egli continuò a scrivere; e in quel tempo produsse una quantità di romanzetti, di cui non volle riconoscere mai la paternità. In cinque anni pubblicò con dei pseudonimi una quarantina di volumi. Egli fremeva sotto questo peso odioso; il suo genio si agitava sordamente e gli faceva trovare orribile un simile impiego del suo tempo. Se allora avesse avuto un assegno di un migliaio e mezzo di lire all’anno, sarebbe sfuggito forse agl’imbarazzi che schiacciarono l’intera sua vita. Per sottrarsi alla dipendenza in cui viveva in casa dei suoi genitori, risolse di tentare il commercio; comperò una tipografia, e mise fuori delle edizioni a buon mercato di La Fontaine e di Molière. Aveva allora venticinque anni. Avendogli rifiutato la sua famiglia di aiutarlo in questa iniziativa, dovette ritirarsi con un passivo abbastanza considerevole. Questo fu il principio del debito, che pesò sulla sua intera esistenza in una maniera così terribile. Nel 1827 si trovava di nuovo sul lastrico di Parigi, senza un soldo, abbandonato da tutti, non avendo altro che la sua penna per pagare i debiti e procurarsi da vivere. Allora incominciò la battaglia senza riposo che combattè sino alla morte. Non v’è eroe al mondo che possa vantarsi di aver fatti altrettanti prodigi di volontà e di coraggio.
  Balzac aveva ventinove anni. Era andato ad abitare in via di Tournon. Tutti i vicini ne avevano compassione e criticavano amaramente ogni sua azione. Bisogna figurarselo nella sua cameretta, senza nessuno che avesse fede in lui, giudicato anche da suo padre e da sua madre come un arruffone, incapace di procacciarsi una buona posizione. Proprio in quel tempo scrisse gli Chouans, il primo romanzo che portò la sua firma. La stampa, come succede spesso, si mostrò benevola per questo ignoto; egli non dava ancora molestia ad alcuno, e aveva la modestia d’uno che faccia le prime armi. Ma le cose si mutarono presto; non appena comparvero gli altri romanzi, tutta la critica si scatenò contro di lui, s’impegnò una battaglia, ed egli fu trascinato nel fango ad ogni libro nuovo che pubblicava. Più tardi, la dipintura che fece dei giornalisti in Illusioni perdute finì di farlo rompere coi giornali; e, malgrado i capolavori che egli gettava loro in faccia per risposta a tutti gli attacchi, si può dire che sia morto prima di avere trionfato. La sua apoteosi si è fatta sulla sua tomba.
  Io non voglio entrare nelle minuzie di una vita semplicissima e nota a tutti. Si sa che egli abitò successivamente in via di Tournon, via Cassini, via delle Battaglie, ai Jardies, in via Bassa, a Passy, e finalmente a Beaujou (sic), nella casa dov’è morto. Si sa che la sua intera esistenza fu assorbita dal debito, che egli si dibatteva tra cambiali rinnovazioni di cambiali, a profitto di usurai, facendo miracoli di lavoro, senza arrivare a liberarsene mai. La sua vita fu compendiata in un lavoro da gigante. Però avea anch’essa dei lati nascosti. Egli sfuggiva, da un momento all’altro, ai suoi più intimi amici, ed era di una discrezione feroce riguardo alle donne. Spesso scompariva, si metteva in viaggio, senza avvertire alcuno.
  Si sceglieva, per lo svolgimento di uno dei suoi romanzi, una città che non conosceva, teneva a visitarla; e percorse così quasi tutta la Francia. Poi se, preso per l’aire, si slanciava in avventure più lunghe, andava in Savoia, in Sardegna, in Corsica, in Germania, in Italia, in Russia. D’altronde la sua produzione incessante non si fermava punto ai viaggi. Egli lavorava dovunque; gli bastava solo un angolo di tavola. Nessun avvenimento grandioso spezza l’esistenza di questo lavoratore potente. Si ha Balzac tutto intero, allorchè si aggiunge che l’uomo di affari non era morto completamente in lui, e che la sua fantasia di romanziere si esercitava spesso nel campo delle invenzioni e delle intraprese: così sognò la fabbricazione di una carta nuova per stamparvi le sue opere; così fantasticò di trar profitto dalle scorie lasciate dai Romani in Sardegna, fondandosi sul ragionamento che i processi in metallurgia erano difettosissimi nell’antichità. Nel suo cervello sempre in ebollizione germogliavano dei processi sorprendenti. Volle anche essere un uomo politico e fece fiasco. Fortunatamente per la gloria della letteratura francese, egli dovette rimanere un semplice romanziere e spendere il suo genio nelle opere che la necessità gli faceva produrre così dolorosamente.
  Il romanzo della sua vita fu il suo matrimonio con la contessa Hanska. Egli aveva conosciuta questa signora maritata, e l’amava da sedici anni, allorchè la sposò finalmente un po’ prima della sua morte. Quando si celebrò in Russia il matrimonio, Balzac era già attaccato dal mal di cuore, di cui doveva morire, e non ritornò in Francia che per spirare. La sua corrispondenza, pubblicata ora, dà dei particolari interessantissimi su questa unione che Balzac aveva progettata e contratta nel più stretto mistero.
***
  La Commedia Umana è simile ad una torre di Babele che la mano dell’architetto non ha avuto e non avrebbe mai tempo di terminare. Sembra che delle ali di muro sieno lì lì per crollare di vecchiezza e coprire il suolo delle loro rovine. L’operaio che l’ha fabbricata vi ha impiegato tutti i materiali che gli son capitati sotto le mani, del gesso, del cemento, della pietra, del marmo, perfino della sabbia e della mota dei rigagnuoli. E, colle sue braccia robuste, coi materiali raccolti spesso a caso, ha innalzato il suo edifizio, la sua torre gigantesca, senza preoccuparsi punto dell’armonia delle linee, delle giuste proporzioni dell’opera. Pare di sentirlo ansare nel suo cantiere, tagliando dei blocchi con grandi colpi di martello, infischiandosene della grazie e della finezza della lima. Pare di vederlo salire pesantemente sull’impalcatura, costruendo qui una gran muraglia nuda e rugosa, allineando più in là un colonnato di una maestà serena, incavando dei porticati e dei seni a modo suo, dimenticando talvolta delle intere branche di scalinata, mescolando, colla noncuranza e la potenza del genio, il grazioso al volgare, il raffinato al barbaro, l’eccellente all’infimo.
  A quest’ora l’edifizio è là, disegnando sul cielo limpido la sua massa mostruosa. È un mucchio di palazzi e di stamberghe, uno di quei monumenti ciclopici, come se ne vedono in sogno, pieni di splendidi saloni, e di ridotti vergognosi, tagliati da larghi viali e da corridoi stretti come budelli, per i quali si può passare solo arrampicandosi. I piani si succedono a volta a volta elevati, schiacciati, di stili differenti. Ci troviamo bruscamente in una stanza, ed ignoriamo da che parte vi siamo saliti, e non sappiamo come discendere. Si va sempre innanzi, ci smarriamo venti volte, e incessantemente si presentano sempre nuove miserie e nuovi splendori. È un luogo cattivo? È un tempio? Si esita a definirlo. È un mondo, un mondo di creazione umana, fabbricato da un artefice e da un artista prodigioso.
  Dal di fuori, l’ho detto, è Babele, la torre dalle mille architetture, la torre fatta di gesso e di marmo, che l’orgoglio di un uomo voleva innalzare sino al cielo, e di cui dei pezzi di muro coprono già il suolo. In quella serie di piani sovrapposti vi si son fatti dei buchi neri; qua e là si è smussato un angolo; le piogge di alcuni inverni son bastate a sbriciolare il gesso, che la mano frettolosa dell’artefice ha adoperato troppo spesso. Ma tutto il marmo è rimasto in piedi, tutti i colonnati, tutti i fregi sono [l]ì intatti, resi più larghi e più bianchi dal tempo. L’operaio ha innalzato la sua torre con un istinto tale del grande e dell’eterno, che lo scheletro dell’edifizio sembra che debba rimanere per sempre com’è. Avranno un bel crollare delle ali di muro, sprofondare dei pavimenti, cadere delle scale, le pietre principali dell’edifizio rimarranno sempre l’una sull’altra, la gran torre si innalzerà sempre così dritta, così alta, poggiata sulla larga base delle sue colonne gigantesche. A poco a poco se ne andrà via tutto ciò che è fango e sabbia, ed allora lo scheletro di marmo del monumento comparirà ancora sull’orizzonte, come il profilo immenso e sminuzzato di una città. Anche, se in un avvenire lontano, gittasse per terra la carcassa dell’edifizio, le rovine formerebbe (sic) sul suolo una montagna così grande, che nessun popolo potrebbe passar dinanzi a questo ammasso senza dire: «Lì dormono le rovine di un mondo».
***
  Nel chiudere il libro son caduto in una gran fantasticheria. Quali vie singolari prende delle volte il destino per formare un grand’uomo! Oggi Balzac è morto, e noi non abbiamo più sotto gli occhi che il suo monumento; il quale ci sbalordisce per la sua altezza, e restiamo pieni di rispetto innanzi ad un lavoro così prodigioso. Come mai un artefice ha potuto creare da sé solo un mondo simile? E se sfogliamo la storia della vita di questo artefice, sapremo che egli lavorava solamente per pagare i suoi debiti. Sì, questo gigante instancabile, non era altro che un debitore perseguitato dai suoi creditori, che terminava un romanzo per pagare una cambiale, cercando di ammassare le pagine l’una dietro l’altra per non essere arrestato, facendo questo miracolo di superba produzione, unicamente in vista delle sue scadenze di ogni mese. Sembra che sotto necessità sempre impellenti, negli spaventevoli imbarazzi cagionati dalla mancanza di danaro, il suo cervello si sia slargato ed abbia messo fuori dei capolavori.
  Chi sa quale avrebbe potuto essere l’opera di Balzac, se egli fosse venuto al mondo con una solida fortuna e avesse vissuto una vita tranquilla e ordinata? Non è possibile immaginarselo felice. Avrebbe sicuramente prodotto meno. Non sentendosi più spinto innanzi dal bisogno, forse si sarebbe dato alla ricerca della perfezione, avrebbe avuto maggior cura dei suoi libri, scrivendo in ore determinate. Noi vi avremmo guadagnato delle opere più maturate, equilibrate meglio: ma queste opere avrebbero contenuto per forza minore fiamma interiore. Preso l’aire in questo campo delle ipotesi, si può anche giungere sino a supporre che Balzac avrebbe preferito l’azione e che ora conteremmo un grande scrittore di meno. In lui v’era un uomo di affari ardentissimo che avrebbe ceduto alla tentazione delle intraprese, dei viaggi, della politica, dell’industria. D’altronde io mi contento di accennare a queste possibili eventualità.
  La verità è che l’opera di Balzac è stata realmente prodotta dalla vita abominevole che ha dovuto menare. Dei critici delicati possono, in nome del buon gusto, commettere la colpa di desiderare un Balzac espurgato e corretto. Ma sarebbe impossibile di moderarlo, di dargli una invenzione più netta ed uno stile più castigato, senza rimpicciolirlo subito ed abbassarlo al livello dei romanzieri di second’ordine. Bisogna prenderlo così, com’è, ammirarlo prima di tutto per la sua forza. Quando egli passava le notti a scrivere per fare onore alla sua firma apposta alle cambiali, la sua febbre si comunicava alla sua penna, e le sue frasi avevano qualche cosa della sua volontà. Quanto più sentiva la frusta del debito che gli schioccava dietro le spalle, altrettanto il suo sforzo diveniva meraviglioso. Da questo deriva quella potenza che si sprigiona da tutto ciò che ha scritto. Bisogna pensare ad un naufrago che stia per annegare, e che si trasforma in eroe, nuotando per delle leghe, accrescendo del decuplo il suo sforzo, compiendo il miracolo di camminare sul mare e di comandare ai flutti adirati. Se avesse avuto l’ozio necessario per poter esser perfetto, avremmo perduto quel che di magistrale che trasporta la vita per tutta la Commedia Umana. Sono i suoi stessi tormenti, la sua stessa esistenza di lottatore, che si agitano in fondo all’opera sua con un frastuono così rimbombante e profondo.
  Ma voglio essere ancora più affermativo. Solo un uomo come lui poteva scrivere l’epopea moderna. Era necessario che egli passasse pel fallimento per compiere il suo mirabile Cesare Birotteau; il quale è così grande nella sua bottega da profumiere, come sono grandi gli eroi di Omero innanzi alla loro Troia. Bisognava che avesse camminato per le vie di Parigi con delle scarpe sdrucite per conoscere la classe infima della vita e mettere in piedi i tipi eterni di Goriot, di Filippo Brideau, di Marneffe, del barone Hulot, di Rastignac. Un uomo felice, che fa comodamente il chilo, e i cui giorni si succedono senza scosse, non sarebbe disceso mai in questa febbre dell’esistenza attuale. Balzac, autore del dramma del danaro, ha ricavato dal danaro tutto il patetico terribile che esso contiene nella nostra epoca; ed egli ha analizzato così le passioni che fanno muovere i personaggi della commedia contemporanea, ha dipinto così mirabilmente il suo tempo, perché soffriva. È il soldato, messo al centro della battaglia della vita, che vede tutto, che si batte per conto suo proprio e che racconta l’azione nell’istesso momento della lotta.
  Egli è giunto a tempo, ecco un’altra ragione del suo genio. Non è possibile immaginarselo al diciassettesimo secol, che avrebbe fatto di lui un tragico assai mediocre. Egli doveva prodursi precisamente nel tempo, in cui la letteratura classica moriva di anemia, la forma del romanzo si slargava, acquistava nuovi orizzonti e prendeva il posto della vecchia retorica, per servir di strumento alla ricerca universale, che lo spirito moderno incominciava a fare sulle cose e sugli esseri. S’imponevano i metodi scientifici, gli eroi scomparivano impalliditi dinanzi alle creazioni reali, l’analisi subentrava all’immaginazione. Allora egli, per il primo, era chiamato ad adoperare potentemente i suoi nuovi strumenti. Creò il romanzo naturalista, lo studio esatto della vita, e, tutto ad un tratto, per un’audacia del suo genio, osò far vivere nel suo quadro grandioso una società intera, copiata da quella che aveva dinanzi a sé. Era la più splendida affermazione della evoluzione moderna. Egli distruggeva le menzogne dei vecchi generi, ed era l’iniziatore dell’avvenire. Quel che v’è di più meraviglioso nel caso suo, è che compì questa rivoluzione nel fervore del movimento romantico. In quel tempo tutta l’attenzione era rivolta al gruppo fiammeggiante, alla cui testa troneggiava Vittor Hugo. Le opere di Balzac non avevano che un mediocrissimo successo. Nessuno sospettava che il vero innovatore fosse quel romanziere, che non destava ancora nessun chiasso, e le cui opere sembravano così confuse e così noiose. Vittor Hugo, rimane, certamente, un uomo di genio, il primo poeta lirico del mondo. Però la scuola di Vittor Hugo agonizza, il poeta non ha più che una influenza retorica sugli scrittori che vengon su ora, mentre Balzac s’ingrandisce ogni giorno dippiù, e in questo momento determina un movimento letterario, che sarà sicuramente quello del ventesimo secolo. Si va innanzi nella via che egli ha tracciata, ed ogni nuovo venuto spingerà l’analisi sempre più lontano e allargherà il metodo.
  Balzac è alla testa della letteratura francese del domani.



Adattamenti teatrali.


  Mercadet l’affarista. Compagnia drammatica Falconi-Paladini, Udine, Teatro Sociale, 17 e 18 marzo 1888.



   [1] Questa edizione è presente nelle seguenti Biblioteche italiane: Biblioteca Provinciale di Foggia; Biblioteca Municipale ‘A. Panizzi’ di Reggio Emilia; Biblioteca Civica ‘A. G. Barrili’ di Savona.
   [2] L’opera è presente nelle seguenti Biblioteche italiane: Biblioteca Comunale di Caserta; Biblioteca Civica di Cosenza; Biblioteca Comunale Ariostea di Ferrara; Biblioteca Comunale ‘Isidoro Chirulli’ di Martina Franca (TA); Biblioteca Nazionale ‘Vittorio Emanuele III’ di Napoli; Biblioteca Comunale ‘Giuseppe Di Vittorio’ di Noicattaro (BA).
   [3] L’interesse nei confronti di Massimilla Doni da parte della pubblicistica italiana si era già rivelato, nel 1839, con la pubblicazione della traduzione-riduzione del terzo capitolo del romanzo nel periodico Milanese «Figaro» (Balzac, Estetica musicale. Una rappresentazione del Mosè di Rossini a Venezia, «Figaro», Milano, anno VII, n. 84, 19 ottobre 1839, pp. 333-334; n. 85, 23 ottobre 1839, pp. 337-338; n. 86, 26 ottobre 1839, pp. 342-343). L’analisi attenta e dettagliata di questa assai ‘prudente’ traduzione del romanzo di Balzac è fornita da R. de Cesare, La prima fortuna di Balzac … cit., Vol. I, pp. 544-546.
   [4] Attivo collaboratore non soltanto della «Rivista Minima», ma anche di altri periodici abruzzesi, quali il «Doctor Faustus» e la «Rassegna Adriatica», Aldo Conti si distingue soprattutto per la sua attività di traduttore di opere in lingua francese (oltre a Balzac, Boileau e X. de Montépin) e in lingua inglese (Dickens).
   [5] Cfr. Anna Rita Savino, Francesco Contaldi tra cultura ed editoria, in AA.VV., Giornali e Riviste in Abruzzo tra Otto e Novecento. Atti del Convegno a cura di Gianno Oliva, Roma, Bulzoni editore, 1999, pp. 191-237.
   [6] Citazione tratta dalla lettera della Sand a Boucoiran del 9 marzo 1831.
   [7]
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   [8]
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Marco Stupazzoni

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