lunedì 14 aprile 2014


1887




Studî e riferimenti critici.


  Balzac Onorato (De), in AA.VV. [Società per l’emancipazione intellettuale], Lexicon Vallardi. Enciclopedia Universale Illustrata. Grande dizionario geografico, storico, artistico, letterario, politico, militare, tecnico, commerciale, industriale, agronomico, ecc. Volume II – B-CA. Illustrato da 826 figure, con tavole e carte geografiche, Milano, Casa Editrice Dottor Francesco Vallardi, s. d. [ma 1887], p. 81.
  Celeberrimo romanziere francese, nato a Tours nel 1799, morto a Parigi nel 1850. Compiuti gli studi, venne dalla famiglia posto nell’ufficio di un notaio di Parigi, ma egli ben presto, invece di attendere gli atti forensi, prese a scrivere articoli ne’ giornali. Dal 1822, o poco innanzi, fino al 1829, pubblicò vari romanzi, sotto il nome di Orazio di Saint-Aubin, di Veillergé e di lord Rhoone (anagramma di Honoré). Nel 1826, associatosi allo stampatore Barbier per la pubblicazione degli Annali romantici, cominciò ad esercitare la triplice professione di libraio, di stampatore e di scrittore. Procurò allora un’edizione delle opere di La Fontaine. Nel 1829 mise in luce sotto il proprio nome il romanzo: Le dernier Chouant (sic) e, l’anno dopo, la Fisiologia del matrimonio che ebbe un grande successo. Seguirono altre opere in gran numero, nelle quali, sotto i titoli di Scene della vita privata, di provincia, militare, di campagna, politica o di Studi filosofici o analitici, prese a dipingere con vivi colori il gran quadro della civiltà moderna, collegando tutti que’ suoi scritti sotto un’idea comune, ch’ei chiama commedia umana. Di lui così scrisse Victor Hugo: «Tutti i suoi libri fanno un libro solo, libro vivente, luminoso, profondo, per entro al quale tu vedi andare e venire, e muovere e discorrere con un certo che di trafelato e terribile, misto del vero, tutta la civiltà presente, un libro che piglia tutte le forme, tutti gli stili, che sorpassa Tacito e va sino a Svetonio, che trascorre da Beaumarchais fino a Rabelais». Balzac si provò anche nell’arringo drammatico, ma con minor ventura, quantunque il Mercadet, commedia rappresentata dopo la sua morte, avesse grandi accoglienze e sia oggi ancora vivamente applaudita.


  Notizie del giorno. Un fiore al giorno, «Il Piccolo della sera», Trieste, Anno VI, N. 1824, 6 Gennaio 1887, p. 1.

  Avete voi letto le lys dans la vallée di Honoré di Balzac? La signora di Mortsinf (sic) è un giglio, un giglio che si consuma e muore di amore.


  Paolo Féval, «Il Piccolo della sera», Trieste, Anno VI, N. 1896, 19 Marzo 1887, p. 2.

  Io ho visto, in una sfera diversa, più fine, di emozioni, piangere sul “Cousin Pons” di Balzac, quel lungo strazio: ho visto piangere sulla pietosa storia della “Donna bianca” di Wilkie Collins, ma giammai, giammai, giammai ho visto piangere sulla “Joie de vivre” di Emilio Zola e sul “Crime d'amour” di Paolo Bourget.


  Ultima posta. L’apologia di Victor Hugo, «L’Indipendente», Trieste, Anno XI, N. 3561, 2 Aprile 1887, p. 3.

  “Lo chiameranno [afferma Dumas] l’autore della Legende des siècles come Dante Ali­ghieri si chiama l'autore della Divina Commedia, come Balzac si chiama l’au­tore della Commedia Umana”.


  Cronaca locale e fatti vari. La moda che va e che viene, «Il Piccolo», Trieste, Anno VI, N. 1926, 18 Aprile 1887, p. 2.

  Il crespo della Cina è nello stesso tempo molle e fitto e attraente: è una stoffa pieghevole, seducente e severa, che conviene alle fanciulle, alle giovani spo­se e anche alle donne di Balzac, la femme de trente ans.


  Wagner vestito da donna, «Il Piccolo della sera», Trieste, Anno VI, N. 1929, 21 Aprile 1887, p. 2.

  Niccolò Macchiavelli, come si vede nella famosa lettera che tutti sanno a memoria, si metteva vestiti signorili per scrivere le Deche; Buffon non po­teva dettare una linea che in grande costume di corte; Balzac si vestiva, quando lavorava, da cappuccino, Miche­let componeva senza mai sedersi, coi piedi nudi sul terreno.


  Fatti e fantasie. Le Tragedie Provinciali, «Il Piccolo della sera», Trieste, Anno VI, N. 1953, 15 Maggio 1887, p. 2.

  Tutto un gran mistero, che aveva per base il denaro e l’avarizia. E invece, ora, la provincia diventa vanitosa di ricchezze che non ha; e avendo uno, spende venti; e sentendo il vuoto sotto di sé, si regge con favolosi espedienti; e arriva alla speculazione disastrosa, essa che aveva sospetto delle più semplici speculazioni; e invece della lira, non può parlare che del milione, non sa far altro che desiderare il milione; e discende al sotterfugio, discende alla cabala, discende al fallimento; e mentre Onorato de Balzac ha creato le pére (sic) Grandet questo Shylock provinciale, non vi è forza di romanziere che dipinga la provincia, pazza di prodigalità.


  Corriere giudiziario. Zanetti Giuseppe, «Corriere della Sera», Milano, Anno XII, Num. 136, 17-18 Maggio 1887, p. 3.

  È tipo degno d’un Balzac per farne un Mercadet alla rovescia.


  Balzac scolaro, «La Scena Illustrata. Periodico quindicinale di letteratura, musica e drammatica», Firenze-Roma, Anno XIII, Numero 12, 15 Giugno 1887, p. 5.

  In un vecchio registro, firmato M. Duplessis, direttore del collegio di Vendôme, tro­vasi scritto:

  — «Balzac è un allievo detestabile. Nulla si può trarre da lui. Ripugnanza invincibile a occuparsi d’un lavoro qual­siasi. Passa il suo tempo in castigo, ora nella sua cella, ora nel granaio dove fu imprigionato per una settimana intera. Lo si considera come l’inventore, almeno pel nostro collegio, della penna a tre punte, colla quale aveva l’abitudine di fare i suoi pensum.

  Sua fisonomia e suo carattere:

  Grosso giovinastro, paffuto e rubicondo. L’ inverno co­perto di geloni alle mani ed ai piedi ... Grande noncuranza, taciturnità, nessuna cattiveria, originalità completa».


  Libri. “Fuochi fatui” di Luigi Testa. – Roma, Libreria Manzoni, di Euseo Molino, «Gazzetta Letteraria», Torino, Anno XI, N. 33, 13 agosto 1887, p. 267.
  Delle tre novelle, delle quali si compone il volume, la prima, Maria, è una cosa mediocre. La seconda, Fosca, è la migliore e racchiude parti discrete, guaste dall’abuso di ipnotismo mal digerito; nella vendetta finale si sente la derivazione dalla Cousine Belle (sic) del Balzac. Della terza, L’album di Malvina, non mette neanche conti di discorrere.

  Notizie di letteratura e d’arte (Notizie estere), «Nuova Antologia di Scienze, Lettere ed Arti», Roma, Direzione della Nuova Antologia, Terza Serie, Volume Nono Della Raccolta, Volume XCIII, Fascicolo XI, 1 Giugno 1887, pp. 593-596.
  p. 593. L’autore Calmann Lévy ha pubblicato un curioso volume nel quale i signori Cerfbeer e Cristophe (sic) hanno ricostruita la vita di tutti i personaggi che agiscono nelle opere di Balzac. S’intitola il Repertorio della Commedia Umana, e vi ha premesso una vivace prefazione Paolo Bourget.

  Notizie di letteratura e d’arte, «Nuova Antologia di Scienze, Lettere ed Arti», Roma, Direzione della Nuova Antologia, Terza Serie, Volume Undecimo Della Raccolta, Volume XCV, Fascicolo XIX, 1 Ottobre 1887, pp. 522-525.
  p. 524. – A Tours sarà inaugurata una statua al Balzac.

  Il prezzo d’un manoscritto, «La Scena Illustrata. Periodico quindicinale di letteratura, musica e drammatica», Firenze-Roma, Anno XXIII, Numero 20, 15 Ottobre 1887, p. [5].

  Un giorno, un editore va da un giovane autore, il cui talento aveva suscitata la sua ammirazione.

  – Gli offrirò mille scudi, dice a se stesso il commer­ciante, cercando l’indirizzo del suo uomo.

  Poi, come ricordandosi che lo scrittore dimorava ne’ pressi del mercato:

  – È un plebeo! ... non gli offrirò più di due mila franchi.

  E va al domicilio del letterato.

  – «Al quarto piano» gli grida il portiere.

  – Al quarto! ... pensa l’editore. Così in alto appollaiato? ... Gli darò mille e cinquecento franchi soltanto.

  E picchia ad un usciolino a muro.

  Si apre.

  La mobilia è poverissima.

  – Della miseria! Non darò che mille franchi, conclude l’onesto editore.

  Ed entra e sorprende il suo individuo, mentre inzuppava un panino in un bicchier d’acqua, sobrio e rassegnato conte uno spartano.

  — Della miseria! pensa ancora l’editore. Non pagherò più di cento scudi.

  Ed a questo prezzo gli viene rilasciato un vero capo d’opera.

  Il povero scrittore chiamavasi Onorato de Balzac!


  Da una settimana all’altra, «L’Ape. Giornale della Domenica», Foggia, Anno I, Num. 21, 16 Ottobre 1887, p. 3.

  Non dico di no. — Qualche differenza, fra il sottoscritto e il signor Honoré de Balzac, l’autore della interminabile Comédie Humaine, è probabile che ci corra: ma non per questo io mi so persuadere che le Piccole miserie della vita gior­nalistica, alle quali sto dando l’ultima mano, avranno un successo minore delle medesime della vita coniugale del prelodato signor Honoré.


  Arti e Scienze. Il bottone di rosa, «Gazzetta Piemontese», Torino, Anno XXI, N. 328, 27-28 Novembre 1887, p. 3.
  Lo Zola col Bottone di rosa, come prima negli Eredi Rabourdin, intese fare un tentativo di commedia sullo stampo di alcune di Ben Jonson e del Molière: una commedia, cioè, che dalle situazioni più che dai frizzi provocasse le risa. Egli ne trasse l’idea fondamentale dai Contes Drolatiques del Balzac e precisamente dal Frère d’armes, in cui si racconta come il cadetto di Mailles affidasse sua moglie, Maria d’Annebault, in custodia al sito di Lavallière, e con quale stratagemma e dopo quali sacrifizi questi riconsegnasse intatto all’amico il deposito affidatogli. Lo Zola trasportò l’argomento nell’ambiente moderno ed in una piccola città di provincia.

  Edmondo de Amicis, Ricordi di Parigi, Milano, Fratelli Treves, Editori, 1887.
  Cfr. 1878; 1879.

  Raffaello Barbiera, Ancora di “Renata” di Emilio Zola, «Fanfulla della Domenica», Roma, Anno IX, N. 49, 4 dicembre 1887, p. 1.
  Io credo che verrà un giorno in cui molta della cristalleria del teatro moderno sarà frantumata, mentre i getti di bronzo più o meno nitidi di Emilio Zola rimarranno intatti. Non li ammirerà il gran pubblico; ma chi si pasce di godimenti intellettuali aristocratici non disprezzerà quella che oggi si chiama l’arte da strapazzo, mentr’è l’arte più penosamente pensata, e meno volgare.
  Già Onorato di Balzac, nel Mercadet, tratta quell’arte, e persino quel tipo d’affarista che innamorano lo Zola; e il Mercadet non fu coronato di gloria; oppure, a mano a mano che si recita, acquista ammiratori. Ciò deve succedere anche per i più vitali tentativi drammatici di Emilio Zola, che mira a svelare i combats intérieurs des personnages, i palpiti umani, in una parola, non sempre nobili, ma proprii della natura, fuori della quale non si può che abilmente imbottire della nebbia.


  Giuseppe Benetti, Impressioni letterarie. [...]. “Le Vice Suprême”, di Josephin Péladan, «Conversazioni della Domenica», Milano, Anno secondo, N. 17, 24 Aprile 1887, pp. 132-134.

 

  p. 132. Il voler esagerare quello che l’immenso Balzac tentava in «Séraphitus-Séraphita» ed in «Ursule Mirouet»; ecco l’errore enorme nel quale pare che una specie di morbosa mania faccia smarrire il Péladan.


  G.[iuseppe] Benetti, Bollettino Bibliografico. Romanzi e Novelle. Le Vice Supreme. – “La décadence latine”, Ethopée par Josephin Péladan, Paris, Librairie de la Presse, «Cuore e Critica. Rivista Mensile di studii e discussioni di vario argomento pubblicata da alcuni scrittori eccentrici e solitari», Savona, Anno I, Num. 5, Maggio 1887, p. 94.

  Come il grande Balzac, abbracciò in quella sua opera immortale che è la Comédie humaine la grandiosa sintesi della Società in cui visse, così il Péladan mostra di non paventare il temerario soggetto di una sintesi della moribonda razza latina.

  Giuseppe Benetti, Ancora a proposito di «Recitazione», «Gazzetta Letteraria», Torino, L. Roux e C.ia Editori, Anno XI, N. 31, 30 luglio 1887, pp. 250-251.
  p. 250. Il mio interlocutore [Romolo Prati] si preoccupa della eventualità che il palcoscenico venga trasformato in tanti salons, ed esclama: “Che delizia! Una fotografia della vita ordinaria, con babbo, mamma e Stefanino che miagola”.
  Ma ora egli mi dica: Che cosa sono le scene più culminanti del repertorio ancora in giro, da Balzac a Augier, a Sardou, a Dumas, a Ferrari, a Torelli, ecc. ecc.?

  Matteo Camera, L’antica Stabia. In seguito detta Castellammare, «Arte e Storia», Firenze, Anno VI, Num. 11-12, 2 Maggio 1887, pp. 82-85.
  p. 85. Ma tali sollazzi, per quanto tornar possono piacevoli in sulle prime, diventano anch’essi a lungo andare noiosi, e come scrisse Balzac «à force de s’amuser, on s’ennuye».

  Felice Cameroni, Appendice. Rassegna bibliografica, «Il Sole. Giornale commerciale-agricolo-industriale», Milano, Anno XXXIV, N. 129, 3 Giugno 1887, p. 1.
  Emile Zola: “La Terre”. – Paris, “Gil-Blas” Journal.
  L’azione ha luogo in un dipartimento meridionale della Francia, conosciutissimo dall’autore e vi si agiteranno le più vitali questioni del proletariato rurale, con quella serenità d’oggettivismo e con quella imparzialità di criteri, che resero sì importanti, anche dal lato della sociologia, L’Assommoir ed il Germinal. Dopo Les paysans di Balzac, questo dello Zola sarà il maggior lavoro della letteratura verista contemporanea intorno al contadino francese.


  Guglielmo Cantarano, Inversione e pervertimenti nello istinto sessuale, «La Psichiatria, la neuropatologia e le scienze affini. Gazzetta trimestrale», Napoli, Anno V. Vol. V, 1887, pp. 195-221.

 

  p. 215. Balzac, facendo un passo più innanzi, non si fermò sul tema dell’amore invertito, ma nel suo romanzo une Passion au dèsert (sic) e nell’altro Sarrazine (sic), descrive del tutto le unioni bestiali tra esseri umani ed altri animali, senza per altro tralasciare un saggio di lesbismo nella Fille aux yeux d’or.


  Giulio Capone, Bourget e Sainte-Beuve (a proposito del Beyle), «Napoli Letteraria», Napoli, Anno quarto (Nuova serie), Numero 5, 30 Gennaio 1887, p. 1 e in «Battaglia Bizantina», Bologna-Firenze, Anno I, N. 43, 23 Ottobre 1887.
  In tutti i campi dell’arte è così: quando si arriva ai grandi, ai sommi, si vede, che essi si sono imposti alla gente volgare, ma piacciono ad uno scarso numero di lettori. Quanti hanno letto Eschilo, Dante, Goethe, Shakespeare, Balzac, e quanti, pur leggendoli, li hanno compresi? La gloria, che circonda quei grandi è tale, che nessuno dice di non capirli, per non isvelare la propria ignoranza. […].
  Per far bene intendere ed apprezzare il metodo del Beyle il meglio è paragonarlo con quello di due altri romanzieri, Balzac e Flaubert.
  Fra Beyle e Balzac c’è questo di comune, che entrambi amano le lunghe analisi, ed entrambi, personali nel loro modo di narrare, intervengono nell’azione, per ispiegarla e considerarla: però c’è una capitale differenza. Mentre Beyle, come ho detto, non si cura dell’esterno, non descrive, Balzac spende metà del romanzo nel presentarci i personaggi, nel figurarceli lineamento per lineamento, nel dirci, con infinita cura, quale è l’ambiente, in cui vivono.
  Chi ha letto la Comédie Humaine, non può aver dimenticate le famose descrizioni d’interni: gli hotels dei Du Guenic (Béatrix), dei Yan Claes (sic) (Recherche de l’Absolu), la casa del père Grandet (Eugénie Grandet) ecc., restano scolpite nella fantasia del lettore, e si può dir quasi che piglian parte all’azione.
  Questo è uno dei punti che distinguono Balzac da Beyle; l’altro è che il Balzac abbonda in considerazioni: esse sono sempre generali, e si riferiscono più all’avvenimento, che ai personaggi. La cura di entrare nelle coscienze è lasciata in parte al lettore; il romanziere si riserba, starei per dire, la parte del Coro: riassume e comenta l’azione. Infine Beyle ci mostra direttamente l’anima ed il cuore, e Balzac ce li svela per vie indirette. […].
  Si potrà preferire Balzac al Beyle, o Flaubert a Balzac, o Balzac ad entrambi; è quistione di gusto. Per me i tre romanzieri si equivalgono e debbono essere accettati tutti e tre.
  Guardiamo agli effetti del metodo: Balzac ci ha dato la Comédie Humaine; Flaubert ha creato M. Bovary, Salammbô, Frédéric Moreau, M. Arnoux; Beyle ha analizzato con incomparabile acume, i cuori di Julien Sorel, di Madame de Renal, di Fabrice del Dongo, di Clelia Conti ecc.: noi, che non possiamo emulare questi grandi, possiamo almeno essere in grado di comprenderli e di amarli.

  Carpes, È una commedia, «Sciosciammocca. Giornale soporifero! … a dosi settimanali», Napoli, Anno II, N. 36, 4 Settembre 1887, p. 4.

Un poeta di vaglia assai, satirico
Scrisse una Poesia: la vita è un ballo;
E io benché fossi un povero poetucolo,
Vò dimostrar, senza cadere in fallo,
Che questa vita è proprio una commedia;
Ed è, l’ultimo atto, una tragedia.
Se studiate invero e donne e uomini,
Vedrete che ciascuno è un buon attore.
È forse eguale l’uniforme e l’abito,
Ma è diverso in ognun l’accento e il core.
Uno è tiranno, l’altro è un mesto agnello,
Uno è lo scemo, e l’altro un menestrello.
Siam tanti attori, e in ogni giorno, e in pubblico,
Rappresentiamo ben la nostra parte,
Gli episodii, le scene, si succedono,
Con tanta maestria, sveltezza ed arte,
Da formare una grande opera arcana,
Che può chiamarsi: la Commedia umana.


  G. A. Cesareo, Rassegna di Letteratura straniera (spagnuola), «Nuova Antologia di Scienze, Lettere ed Arti», Roma, Direzione della Nuova Antologia, Anno XXIII, Terza Serie - Volume XIV (Della Raccolta, Vol. XCVIII), Fascicolo VI, 16 Marzo 1887, pp. 323-339.
  pp. 328-329. Un altro difetto di questo romanzo [La Reggente] è nei caratteri; i quali restan quasi tutti ondeggianti, indefiniti, vaporosi, in una mezz’ombra d’esitazione psicologica: finito di leggere il libro, il lettore non li conosce a bastanza. Ora, la riprova della piena e animata realtà d’un carattere ideale è in quell’intensità d’impressione ch’ei lascia nel lettore, quasi di persona nota e vivente. Chi ha letto i Promessi Sposi del Manzoni, resta con l’illusione d’aver assistito alle paure stizzose di don Abbondio; chi ha letto la Fiera della vanità si figura d’aver visto all’opera l’astuta e calcolatrice miss Rebecca Sharp; chi ha letto la Commedia Umana del Balzac, può credere d’aver conosciuti il barone di Nucingen, Luciano di Rubempré, l’avaro Grandet, Cesare Birotteau, l’impiegato, L. (sic) Marcas e tutti gli altri. Queste creature vivono, si muovono, agiscono da sé, balzanti dal seno stesso della realtà co’ gesti loro, col loro linguaggio, con le loro fissazioni, co’ loro segni particolari; sono animate e complete, al punto che diventan segni proverbiali di raffronto con le persone vive che le rassomigliano; e come d’un tiranno superbo si dice: - Fa il don Rodrigo; - così d’un fanfarone bonario si dice: - È un Tartarin; - come d’un attaccabrighe sfortunato, generoso e cavalleresco, si dice: - È un don Chisciotte; - così d’una borghesuccia ambiziosa, corrotta e romantica si dice. – È una signora Bovary. – Questo è il più gran merito e il più gran compenso dell’artista vero, che allora soltanto è poeta, dico creatore.

  G. A. Cesareo, Rassegna di Letteratura straniera (spagnuola). Il Congresso letterario a Madrid – Il rappresentante dell’Italia: Don Gaspar Nuñez de Arce – Il romanzo in Ispagna – Il naturalismo – I critici del romanzo: Juan Valera ed Emilia Pardo Bazán – I romanzi della Pardo-Bazán – I romanzi di Benito Pérez Galdós, «Nuova Antologia di Scienze, Lettere ed Arti», Roma, Direzione della Nuova Antologia, Terza Serie, Volume Undecimo Della Raccolta, Volume XCV, Fascicolo XX, 16 Ottobre 1887, pp. 672-691.
  pp. 679-684. Fino al 1880, ella [Emilia Pardo Bazán] non sapeva nulla né d’arte, né di letteratura, né di critica; quando, invitata da’ medici a ristorar la salute malferma co’ bagni di Vichy, quivi conobbe qualche scrittore francese che le diede a leggere la Signora Bovary del Flaubert, dei romanzi del Balzac e l’Assommoir dello Zola. […]
  Del rimanente, non è a dire che difettino le belle pagine, segnatamente nell’analisi del rimorso, al primo romanzo [Un viaje de novios] della signora Pardo Bazán; ma io preferisco a ogni modo il suo ultimo libro, interamente pubblicato, dopo tre o quattro altri romanzi, fra cui La Tribuna, potente imitazione del Germinal dello Zola, con una magnifica descrizione del porto di Marineda e della fabbrica de’ tabacchi. I Pazos d’Ulloa (Los Pazos de Ulloa). È un romanzo rurale; ma si accosta più al carattere della Palude del diavolo di Giorgio Sand che a quello de’ Contadini d’Onorato Balzac. Ciò basterà a far intendere come la signora Pardo Bazán abbia cominciato a liberarsi dalla smania irragionevole del naturalismo consuetudinario. […].
  Anche, secondo la signora Pardo Bazán, il vero capo della scuola realista non fu né il Balzac né lo Zola; ma il russo Nicola Gogol, una questione di lana caprina anche questa! In letteratura, come non esistono scuole, così non esistono capi. Se un’idea è al punto, sia in arte sia in politica, convien per forza ch’ella viva, cresca, si diffonda per tutto. Nulla accade per volontà di qualcuno: tutto accade per la necessità progressiva della storia. Se il bisogno di rappresentare, di sapere, di rivendicare la verità si manifestò, s’intenda bene che si manifestò da per tutto ed in tutto, in Russia come in Italia, nella letteratura come nella scienza. E il positivismo scientifico a punto corrisponde al realismo artistico. […].
  Doña Perfecta [Benito Pérez Galdós] ha, prima di tutto, il gran merito di cogliere in pieno il dramma della Spagna moderna, la lotta fra l’antico e il nuovo, la tradizione e la rivoluzione, a cui accennammo sopra. L’azione è rapida, immediata, di getto, senza fronzoli o impacci di descrizioni oziose e d’analisi ambiziose, e trascina il lettore nel suo progresso semplice e violento. Un giovine ingegnere, José de Rey, giunge a Orbahosa, un paese dove una zia, largamente beneficata dal padre di lui, l’aspetta a braccia aperte. Il padre di José vorrebbe ch’egli sposasse la figlia di quella zia, Rosario, una buona ragazza, gracile e pura come un giglio. Arrivato a Orbajosa, José s’accorge che certi suoi poderi ch’egli ha trascurati colà, sono già in preda de’ contadini, segnatamente d’un tal Licurgo, che umile, avido, malizioso com’è, ricorda troppo per avventura il tipo del contadino balzachiano, qualcosa tra Michaud e Rigou.

  Eugenio Checchi, Per «Francillon», «Fanfulla della Domenica», Roma, Anno IX, N. 5, 30 Gennaio 1887, p. 1.
  Più d’una volta, nelle opere dell’immaginazione, non possiamo disgiungere dal nome la fisonomia d’un carattere; l’uno e l’altro si fondono siffattamente, che nel carattere vediamo il nome e nel nome il carattere. […] Anche i nomi hanno la loro musica; devono anch’essi obbedire a certe leggi misteriose dell’armonia, che escludono il disaccordo e la stonatura. Il più grande romanziere del secolo, il Balzac, passeggiava giornate intere per le vie di Parigi, cercando sui cartelli e sugli sporti delle botteghe il nome di cui aveva bisogno per intitolare un suo nuovo libro; […].

  Chicot, Corriere di Parigi. […]. Alberico Second. […], «L’Euganeo. Politico-Letterario», Padova, Anno VI, N. 165, 16 Giugno 1887, p. 1.

  Nato nel 1817 ad Angoulême, venne ancor giovane a Parigi, ove fece parte del cenacolo di Balzac. Dalle orgie ar­tistiche del grande romanziere passò nell’amministrazione come sottopre­fetto di Castellane, ma ritornò subito alla bohème letteraria. […].

  Lasciò in testamento d’essere se­polto ad Angoulême, presso la madre sua, mentre il posto che gli spettava era al Père Lachaise, presso la tomba del suo maestro Balzac.


  Cimone [Emilio Faelli], Il «Vapereau» fantastico, «capitan Fracassa», Roma, Anno VIII, N. 183, 4 Luglio 1887, p. 1.
  Nel secolo nostro c’è stata una società al di fuori di quella in cui tutti vivevano, una società sconosciuta ai profani, eppure perfettamente organizzata, composta di uomini non vivi che nel pensiero delle persone colte, eppure pieni di passione, di sentimento, di energia, di vizi e di virtù.
  Una società fantastica era quella, ma uscita dal pensiero di un uomo capace in potenza di creare un mondo. E appunto perché usciva dal genio, non era dessa che rifletteva la società moderna, ma piuttosto ella precorreva quella reale che venne dopo di lei, e la società vera anzi sentì l’influenza della società fantastica.
  Tanta e così poco discutibile è la influenza esercitata dal genio di Onorato de Balzac, così umano ed oggettivo sulla vita di questo secolo.
  Quando la breve massoneria dei Tredici riempì di stupore il mondo dei lettori e fece correre brividi di terrore per le ossa di molti, come se si trattasse veramente di una associazione di uomini a tutto pronti e capaci di rinunciare alla loro individualità per non vivere che della passione di uno di loro facendola trionfare coll’astuzia e colla forza, vi furono dei nobili, dei ricchi, degli uomini colti che si riunirono in associazioni consimili, e non si spaventarono di questa strana missione di ultimi Mohicani.
  E chi, avendo letto con intelletto d’amore la Comédie humaine, non ha creduto di vedere in una donna amata, lo spirituale, candido giglio delle valli; o scorgendo fermo davanti alla mostra di un librivecchiaio un bibliofilo del marciapiede, non ha detto: - Ecco il cugino Pons? – O non si è incontrato in qualche sala col barone di Nuckingen (sic)? O giovane, e pieno d’illusioni, e di quella fede nel proprio ingegno che si perde così presto, non ha sognato la fortuna improvvisa di Luciano de Rubempré, o in un poeta giovane, acclamato, bello ed elegante, non ha creduto di vederlo? O piegando il capo sovra una spalla bianca facilmente concessa con dolcezza ai baci, non ha pensato agli Splendori e miserie delle cortigiane? E Bixiou non è vivo o non incarna tanta parte della generazione giornalistica in mezzo a cui viviamo, quella che avendo a dire una cosa spiritosa, la dice dovessero pure quelle tre parole costare la vita ad una persona cara?
  Onorato de Balzac indovinava noi, o non è piuttosto, come dicevo l’opera sua che è entrata nel sangue e nei nervi della società venuta dopo di lui?
  Aveva egli conosciuto o supposto un uomo più avventuroso del conte di Casanova, più forte di Orlando, più attivo dell’on. Bonghi e quando occorreva più inerte dell’on. Depretis, più eloquente dell’on. Mancini o più silenzioso dell’on. Faustino Pellegri, più perfido di Jago o più generoso di Mecenate, quando usciva dal suo genio la maravigliosa e terribile incarnazione di Vautrin, o non piuttosto sorride a qualche grande malfattore, che Iddio tenga lontano, l’ideale di quel demolitore sublime d’orrore?
***
  Certo tutti i personaggi della Comédie humaine sono più veri e più vivi delle ombre che a noi sembrano persone, dal loro nome che il grande Onorato sceglieva sulle insegne delle botteghe correndo Parigi sulle imperiali di un omnibus, fino alle loro azioni, così vere che l’autore, distrattosi a parlare cogli amici di qualche cosa che non fosse l’opera sua, subito si correggeva dicendo per esempio:
  – Torniamo dunque alla realtà: - che farà il conte di Mortsauf adesso che la Muse du département lo ha abbandonato?
  Miracolosa illusione che si potrebbe dai necrologi studiare come una applicazione dell’ipnotismo al genio; e potrebbe farci dimandare a noi stessi: - Ma costoro a cui crediamo di parlare, non potrebbero essere per caso i figli di un mio romanzo fantastico?
***
  Siamo noi gli uomini veri o quelli che Onorato de Balzac credeva di creare, e che certo furono o saranno vivi ed egli conobbe soltanto per suggestione?
  Ecco il problema che mi metto innanzi seriamente, leggendo di un libro, compilato dai signori Christophe e Cerfbeer (sic), e nel quale si dà l’elenco preciso alfabetico, colle nozioni genealogiche e biografiche, di tutti i personaggi della Comédie humaine.
  Rivedere tutti questi uomini, coi quali realmente ci pare di aver vissuto, rivederli incasellati, documentati, corredati delle loro date, coi fatti loro ridotti alla nuda esposizione del Michaud, del Larousse, e non pensare che quelli sono più reali di tutti gli illustri contemporanei che furono degni del Vapereau, vuol dire essere più razionalisti del professore razionalista che comparve dopo morte ad Enrico Heine per venirgli a spiegare che mancava la ragion sufficiente dell’esistenza degli spettri.
  Senonchè, finito il suo ragionamento, lo spettro del filosofo volle trarre di tasca l’oriuolo, e ne trasse una manata di vermi.
  Così il giglio della valle, e la musa del dipartimento, Luciano de Rubempré ed il barone di Nukingen (sic), vivi nell’ambiente di Balzac, furono tanto uomini, che collocati in questo fantastico Vapereau, se non sono vermi, certo sono mummie.


 M. Civiletti, La donna, «L’Amico del Popolo. Cronaca scientifica, letteraria, politica», Roma, Anno XII, N. 33-34, 21 Settembre 1887, pp. 263-266.

 

 p. 266. È vero che «leggendo drammi e romanzi, la donna, creatura più suscettibile di noi nell’esaltarsi, deve provare estasi inebbrianti. Ella si crea un’esistenza ideale, vicino alla quale impallidisce; ella non tarda a tentar di trasportare in sè la magia. Involontariamente, passa dallo spirito alla lettera e dall’anima ai sensi (1)». Ebbene; non è questo soventi volte funestissimo per lei?

 

 (1) O. di Balzac, Fisiologia del matrimonio, part. II, medit. XI.


  Giuseppe Depanis, Due romanzieri italiani, «Gazzetta Letteraria», Torino, L. Roux e C.ia Editori, Anno XI, N. 17, 23 aprile 1887, pp. 133-135.
  [Su: Vita e avventure di Riccardo Joanna, romanzo di Matilde Serao. – Fedele ed altri racconti, di Antonio Fogazzaro. – Milano, Giuseppe Galli, editore].
  p. 135. [su Fogazzaro]. No, caro ed illustre scrittore; la vecchia fede serve ancora a qualcosa pur frammezzo al positivismo dilagante. No, seguiti a sventolare la sua bandiera di idealista; seguiti a pugnare per la sua arte nobile e severa. Concretando ciò che pensa e sente, obbedendo alla natura intima del proprio ingegno, l’artista fa opera originale, e per questo merita stima e rispetto. Gli arrabbiati soli, idealisti o naturalisti non monta, vorrebbero ridurre l’arte e la letteratura ad un’unica forma, ed in un unico stampo modellare le produzioni dell’ingegno umano. Ma l’arte è superiore ai pettegolezzi di scuola o di conventicola; l’arte irradia splendida da un romanzo del Balzac o del Flaubert e da una poesia del Leopardi e dell’Hugo, dai Promessi Sposi di Alessandro Manzoni e dal Germinal di Emilio Zola. Potrà discutersi quale delle varie forme rispecchi meglio le tendenze dell’epoca ed appaghi meglio i bisogni intellettuali del momento; ma non potrà contestarsi mai la genialità alla manifestazione di una personalità artistica potente e sincera unicamente perché si esplica in un campo opposto al nostro.

  Giuseppe Depanis, Tra l’idiotismo e l’imbecillità. Ancora a proposito di alcuni romanzieri russi, «Gazzetta Letteraria», Torino, L. Roux e C.ia Editori, Anno XI, N. 36, 3 settembre 1887, pp. 288-290.
  Ivan Gontcharov.
  [Sulla traduzione francese di: Semplice storia. Simple histoire, roman russe traduit par Halpérine – Paris, Librairie Académique Didier, Perrin et C.].
  p. 289. Passano due anni; se Alessandro rinunziò in parte alle velleità letterarie, non rinunziò alle illusioni del cuore. Egli, dimentico oramai della provinciale Sonia dalle mani ruvide e dalle guancie paffute, una Nadinka, una ragazza seducente di spirito e di civetteria, non meno che corta a quattrini! Lo zio invano cerca di distorglielo da ciò che egli chiama una follia: “Ammogliarsi per calcolo, cioè per la dote, è un’azione vile; ma ammogliarsi senza un calcolo qualunque, è un’azione stupida. Se ti ammogli senza amore, passerà l’amore e rimarrà la consuetudine; se ti ammogli con amore, non cambieranno le cose, ti assuefarai del pari a tua moglie. L’amore è amore, il matrimonio matrimonio, due cose che non procedono sempre e che non devono procedere di conserva”. Ma quale influenza possono esercitare sull’animo di Sacha tali massime che derivano in linea retta dalla Fisiologia del matrimonio del Balzac? Da quando in poi una teoria ebbe la virtù di attutire gli impeti di una passione? Ahimè! La teoria lo trovò cieco e sordo alle esortazioni della ragione; la realtà lo costringerà a schiudere gli occhi e ad aprire le orecchie.

  Giuseppe Depanis, Tra l’idiotismo e l’imbecillità. Ancora a proposito di alcuni romanzieri russi, «Gazzetta Letteraria», Torino, L. Roux e C.ia Editori, Anno XI, N. 38, 17 settembre 1887, pp. 304-305.
  p. 305. [su: Notti bianche di Dostoevsky].

  D’altronde nel tipo del vecchio sognatore, il quale celebra gli anniversari di casi che non gli capitarono, ma che gli sarebbero stati cari, il Dostoevsky trasfuse parte di se stesso. Non meno del Balzac, egli fu un sognatore di vera intuizione; la sua potenza evocatrice fu tale che, illuso egli stesso dalle proprie visioni, le scambiò per la vita reale.

  Giuseppe Depanis, “La Terre” di Emilio Zola, «Gazzetta Letteraria», Torino, L. Roux e C.ia Editori, Anno XI, N. 48, 26 novembre 1887, pp. 381-384.
  p. 383. Anche a proposito della Terre vennero messi in campo i romanzi ed i romanzieri russi, ed il signor Michel Delines pubblicò un libro, La Terre dans le roman russe, in cui si vorrebbe istituire un parallelo fra il concetto zoliano dei contadini e della campagna ed il concetto dei romanzieri russi [Tourguenev, Dostoevsky, Tolstoi] […].
  La differenza è sostanziale. Lo Zola invece volle ritrarre la vita contadina all’infuori di ogni elemento estraneo. Egli non raffigura, come il Balzac nei Paysans, la lotta fra il piccolo proprietario campagnolo ed il grande signore; ma la lotta fra contadino e contadino per un palmo di terra, per una misura di grano.


 Elvira di Roccabruna, Schiarimenti e consigli, «Giornale delle donne», Milano, Anno XIX, N° 4, Aprile 1887, pp. 31-32.

 

 p. 32. La vecchia scuola francese vuole si entri coi guanti, il cappello, la mazza alle mani (benché questo punto sia assai delicato, e meriti uno studio speciale). La gioventù elegante di Balzac: i Rastignac, i De Marsay, i D’Aiuda (sic) Pinto. i Vandenesses. i Rubempré entravano presso le duchesse di Beauséant e Monfrigneuse (sic) con guanti, cappello e mazzetta alle mani.



  Emilio Faelli, Curiosità di bibliografia. Un bibliofilo imperiale, «Cronaca Minima. Rassegna settimanale di letteratura e d’arte», Livorno, Tipografia Raffaello Giusti, Anno I, Num. 9, 6 Marzo 1887, pp. 65-67.

 

  p. 65. Sapere quello che i grandi maestri hanno letto, fare le proporzioni fra i vari generi di letteratura onde si giovavano, è interessante per una specie di igiene dell’intelligenza (se la frase coniata lì per lì non vi dispiace), come il fisiologo trova interessante sapere l’alimentazione degli uomini fortissimi. Non chè, avendo la serie precisa e ordinata di quello che Onorato de Balzac ha letto, si debba giungere a scrivere anche una pagina sola della Commedia umana, perché la lettura non è che il combustibile che la macchina dell’intelligenza consumi, e la produzione dipende essenzialmente dalla perfezione della macchina; ma anche il conoscere la qualità del combustibile, gli esperimenti che se ne sono fatti, e il cercarne l’eccellenza non può che riuscire utile alla storia della cultura ed all’avvenire dell’educazione.


  Onorato Fava, Giovanni Faldella, «Rassegna Pugliese di Scienze, Lettere ed Arti», Trani, Vol. VI, Num. 20, 31 Ottobre 1887, pp. 309-310.
  p. 310. Ma io son d’opinione che nel popolo è dove meglio si potranno attingere i materiali per il romanzo nostro – nel popolo vergine e non corrotto come lo sono le classi più alte dalle scimmiottature straniere, al punto che chi di quelli si occupa, sebbene ritragga con fedeltà quell’ambiente, è involontariamente tratto ad imitare l’arte straniera che se ne è servita e ne profitta.
  Quando ogni nazione avrà fatto i suoi romanzi veramente nazionali, un grande Linneo potrà raggrupparli e dare il sostrato per la costruzione del romanzo umano, qual è richiesto dalle genti progredite dell’avvenire.
  Ma il futuro genio destinato a scrivere il grande romanzo umano, dovrà avere una vista ben più lunga dei nostri miopi, i quali vedono e scrivono solo il piccolo tratto di terra in cui vivono.
  Dovrà mettersi dinnanzi un importante problema – quello per esempio dell’evoluzione della razza umana e risolverlo con un ingegno più forte di quello del michelangiolesco Balzac, il quale ci ha dato dei tipi scultorii, ma non l’ambiente e l’armonia dell’insieme – più forte di quello del delicato Daudet che divaga per i sentieruoli attraentissimi degli episodi – più forte di quello del buon Manzoni, del Tolstoi e del Dichens (sic), e di quello dello Zola, partito da un concetto scientifico troppo particolare e già da parecchi critici dimostrato falso, per quanto poderoso.
  Dovrà essere insomma una mente che abbia l’intuizione universale della vita.

  Antonio Fogazzaro, Un’opinione di Alessandro Manzoni. Discorso letto al Circolo filologico di Firenze il 28 marzo 1887, e quindi inserito nella «Rassegna Nazionale».
  Sempre il grande amore, cette divine passion, scrive Balzac in una lettera dont chacun parle et que si peu ont connu, diventa più grande quando la specie umana non vi ha più interesse, quando uno degli amanti è portato via dalla morte.


  F. Forcignanò, Liriche, Roma, Tip. della Camera dei Deputati, 1887.

 

Sollione.

Sonettucci

1886

 

  p. 8.

Mentre l'autore si proibiva

di pensare al libro che doveva

comporre, il libro si mostrava

dappertutto.

O. di Balzac.



  Ermelinda Fornis, Sentimento dell’amicizia fra le donne. Lettera aperta al signor Vittorio Borla, «Emporio Pittoresco. Illustrazione universale», Milano, Anno XXIV, N. 1184, Dal 8 al 14 Maggio 1887, p. 221.

 

  Lei mi cita per incidenza il Balzac, desiderando di possedere, per così dire, un momento la finezza di osservazione e di analisi dello scrittore francese per difendere meglio il suo assunto. Ma crede ella ancora, come tutti gli scrittori d’Italia oggidì, che il Balzac abbia scrutato tanto addentro nell’anima della donna?

  Le ragioni del Balzac sono buone, è vero, ma si può dire, senza tema d’errare, che lo studio suo sia fatto tutto su una classe di persone e riguardi piuttosto una specie di donne che non tutte in generale. La donna del Balzac, se mi fosse lecito definirla riassuntivamente, è molto, molto ideale, artistica, di salotto, e bisogna andare bene a rilento prima di prestare fiducia alle parole di lui.


  G. Frosina-Cannella, Sopra un recente giudizio del Prof. A. D’Ancona intorno ad una lettura su Ciullo d’Alcamo, «Il Buonarroti. Scritti sopra le arti e le lettere di Benvenuto Gasparoni continuati per cura di Enrico Narducci», Roma, Tipografia delle Scienze matematiche e fisiche, Serie III, Vol. III, Quaderno VIII, 1887, pp. 272-283.
  pp. 272-273. È un fenomeno degno di studio questo che ci presenta l’Italia contemporanea, la quale da un lato conquista la sua unità e le sue franchigie, dall’altro si trascina sulle grucce nel campo della Letteratura e dell’Arte. […].
  Ma, e vorrei ingannarmi, né pure il tentativo vero ed efficace parmi si sia fatto, perché ieri ricalcavamo le orme de’ Francesi, oggi e di questi e dei Tedeschi altresì, cogl’Inglesi per giunta: segno certo che se non facciamo progressi a ritroso, veniamo avanti a passi di formica. Sainte-Beuve, Heine, Balzac, Baudelaire, Zola e Sardou informino per la critica letteraria e l’arte […].

  Gabardo Gabardi, Cose vedute(1), «Gazzetta Letteraria», Torino, L. Roux e C.ia Editori, Anno XI, N. 25, 18 giugno 1887, p. 200.
  (1) Choses vues, di Victor Hugo. Un volume, Hetzel et Quantin, editori.
  Ma, pur volendo procedere con qualche discernimento, trovo che la scelta deve cadere su qualcheduna delle pagine più intime dove Hugo ha disegnato con mano vigorosa i tipi più noti. Fra questi, due egli ha tratteggiato in modo meraviglioso: Napoleone e Balzac. Ed anche qui, argomentando per via di selezione, comprendo che fra il primo e il secondo debbo accordare la preferenza al gran romanziere, come soggetto più idoneo all’indole del giornale.
  Prendiamo dunque la Mort de Balzac, e, staccandone qualche brano, auguriamoci che la traduzione non profani troppo ed appanni lo scintillìo dell’originale.
  Dopo aver narrato come, il 18 agosto 1850, gli giungesse la fatale notizia che l’autore della Commedia umana era giunto all’ultimo atto della sua propria, che Onorato Balzac stava per chiudere la sua faticata e gloriosa esistenza, aggiunge quasi a mo’ di postilla:
  “Balzac era colpito da 18 mesi d’una ipertrofia al cuore. Dopo la rivoluzione di febbraio era andato in Russia e vi si era ammogliato. Qualche giorno avanti la sua partenza l’avevo incontrato sul Boulevard, si lamentava di già e respirava rumorosamente. Nel maggio 1850 era tornato in Francia, ammogliato, ricco e moribondo …”
  (ricco e moribondo … ecco l’antitesi, la parola che vale un discorso … ecco Victor Hugo!) …
  “… Arrivando, aveva già le gambe enfiate. Quattro medici, riuniti in consulto, lo esaminarono. Uno di essi, il signor Louis, mi disse il 6 luglio: - Non ha sei settimane da vivere. – Era la stessa malattia di Federico Soulié …”
  Hugo vuol rivedere Balzac ancora una volta. Va alla casa di lui. Suona due volte. Gli apre una serva piangente, con una candela in mano … Sopraggiunge un’altra donna, pure in lacrime, e gli dice:
  “Muore. I medici l’hanno abbandonato ieri. Ha una piaga alla gamba sinistra. C’è la cancrena. I medici non sanno quel che si fanno. Dicevano che l’idropsia del padrone era un’idropsia cotennosa, una infiltrazione, è la loro parola, che la pelle e la carne erano come del lardo e che era impossibile fargli la puntura. Ebbene! il mese scorso, nel coricarsi, il padrone ha urtato contro un mobile istoriato; la pelle si è rotta e tutta l’acqua che aveva in corpo è sgorgata fuori. I medici han detto: - Oh! guarda! – Ciò li ha sorpresi e da allora in poi gli fanno la puntura. Essi hanno detto: - Imitiamo la natura. – Ma è sopraggiunto un ascesso alla gamba. È il signor Roux che l’ha operato. Ieri si è tolto l’apparecchio. La piaga, invece di aver suppurato, era rossa, secca ed ardente. Allora essi hanno detto: - È perduto! – e non son più tornati. Siamo andati a cercarne quattro o cinque, inutilmente. Tutti hanno risposto: - Non c’è nulla da fare. – La notte è stata cattiva. Stamattina, alle 9, il padrone non parlava più. La signora ha fatto chiamare un prete. Il prete è venuto e ha dato al padrone l’estrema unzione. Il padrone ha fatto segno che capiva. Un’ora dopo ha stretto la mano a sua sorella Mme de Surville. Dalle 11 rantola e non vede più nulla. Non passerà la notte. Se lo volete, o signore, vo’ a cercarvi il signor Surville che non è ancora andato a letto …”.
  Ho voluto riportar per intero il discorso della serva. C’è un’affettuosità, una semplicità così commovente … C’è tanto realismo in quell’abbandono dei medici, che mette i brividi … E c’è tanta amicizia vera in Victor Hugo che tutto ricorda, nota, stenografa per solo suo uso e consumo! …
  “La donna mi lasciò. Aspettai pochi istanti. La candela rischiarava appena la splendida mobilia della sala … Il busto di marmo di Balzac, opera colossale di David, si disegnava vagamente nell’ombra come lo spettro dell’uomo che stava morendo. Un puzzo di cadavere riempiva la casa …
  Sentii un rantolo alto e sinistro. Ero nella camera di Balzac … Egli era nel suo letto, colla testa appoggiata in un monte di guanciali cui eransi aggiunti dei cuscini di damasco rosso presi al canapè della camera …”
  (Stando così più alto, il moribondo respirava meglio. Victor Hugo non lo dice. Ma il realismo del dettaglio, più sobrio, è tanto più efficace) …
  “… Aveva il viso violetto, quasi nero, piegato a destra, la barba non fatta, i capelli grigi e tagliati corti, l’occhio aperto e fisso. Lo vedevo di profilo, e somigliava così all’imperatore.
  Una vecchia assistente e un domestico, in piedi ai due lati del letto, tacevano con una specie di terrore, e ascoltavo il morente rantolare con strepito.
  La candela, al capezzale, illuminava vivamente un ritratto d’uomo giovine, roseo e sorridente, sospeso vicino al caminetto …”
  (Anche qui non dice, ma lascia capire. Il ritratto era di Balzac. L’effetto del contrasto è tremendo) …
  “… Un odore insopportabile si spandeva dal letto. Alzai la coperta e presi la mano di Balzac. Era madida di sudore. La strinsi. Egli non rispose alla stretta …”
  Il lugubre della messa in scena è completa. Con uno dei soliti contrasti, Hugo passa a ricordare i giorni felici e spensierati trascorsi coll’amico in quella medesima stanza …
  … L’assistente mi disse: - Morrà allo spuntar del giorno. – Riscesi, portando nel mio pensiero quella figura livida. Attraversando il salone, ritrovai il busto immobile, impassibile, altero e vagamente radioso, e paragonai la morte all’immortalità …
  … Rientrato in casa (era una domenica), trovai parecchie persone che mi aspettavano; fra le altre, Riza Bey, l’incaricato d’affari di Turchia; Navarreta, il poeta spagnuolo, e il conte Arrivabene, proscritto italiano. Dissi loro: - Signori, l’Europa sta per perdere uno spirito grande.
  Morì nella notte. Aveva 51 anni. Lo seppellirono il mercoledì … Giraud, il dì stesso della sua morte, gli aveva fatto il ritratto. Volevano fargli la maschera, ma non si potè, tanto la decomposizione fu rapida. L’indomani della morte, gli operai modellatori trovarono il viso deformato e il naso caduto sulla gota …
  In chiesa, accanto alla bara, pensavo che la mia seconda figlia era stata battezzata lì, e che non c’ero più entrato da quel giorno. Nei nostri ricordi la morte tocca la nascita.
  Il ministro dell’interno, Baroche, mi disse: - Era un uomo distinto. – Io gli dissi: - Era un genio.
  Il convoglio attraversò Parigi e andò per i Boulevards al Père Lachaise. Cadevano delle goccie di pioggia … Era uno di quei giorni in cui sembra che il cielo versi delle lagrime.
  Facemmo a piedi tutto il tragitto. Io camminavo a destra in testa alla bara, tenendo una delle nappe d’argento della coltre. Alessandro Dumas dall’altra parte. Quando giungemmo alla fossa, che era proprio in cima alla collina, c’era una folla immensa, la strada era aspra e stretta, i cavalli penavano, salendo, a trascinare il feretro, che rinculò. Io mi trovai preso fra una ruota e una tomba. Poco mancò non rimanessi schiacciato. Degli spettatori dritti in piedi sopra il sepolcro mi tirarono su per le spalle vicino a loro.
  Si calò la bara entro la fossa, che era vicina a Carlo Nodier e a Casimiro Delavigne. Il prete disse l’ultima preghiera, ed io pronunziai qualche parola. Mentre parlavo, il sole calava. Tutto Parigi mi appariva lontano nella nebbia splendida del tramonto. Ai miei piedi succedevano quasi delle smotte entro la fossa ed ero interrotto dal rumore sordo di quella terra che cadeva sopra la cassa …”
  I foschi colori di Gherardo delle Notti e di Meglinger, il pittore della morte, s’incontrano e si fondono sotto la penna di Victor Hugo nel quadro finale del cimitero …
  E dire che in quei giorni saranno usciti almeno cento giornali che avran creduto d’illustrare degnamente la morte e la sepoltura di Onorato Balzac! …

  Gaetano Gattinelli, Clelia o la Plutomania. Prefazione, in Teatro drammatico di Gaetano Gattinelli. 2.a edizione, Roma, Tipografia Dionisio Squerci, 1887, pp. 105-106. [Torino, 25 marzo 1856].
  p. 105. La Borsa, la Plutomania, la Cupidigia del guadagno, che rende le menti tante macchine calcolatrici di cifre numeriche e agghiaccia ogni slancio generoso del cuore, è il tema di questa commedia. […].
  Ai giorni nostri Balzac osservò che:
  - On entre à la Bourse avec son honneur;
  - On laisse sa canne à la porte;
  - En sortant, on ne retrouve que sa canne !!!
  Mi sembrò un argomento degno di essere tradotto alla tribuna scenica. In Italia, nessuno, ch’io mi sappia, avealo trattato.

  Giuseppe Giacosa, A proposito della “Renée”. II, «Gazzetta Letteraria», Torino, L. Roux e C.ia Editori, Anno XI, N. 19, 7 maggio 1887, pp. 149-150.
  p. 150. Nella Renée il primo atto finisce con una battuta del Saccard, il quale, volto a Parigi, che gli appare da un’ampia finestra, sicuro di possedere nel denaro piovutogli per male via la leva capace di smuoverlo dalle fondamenta, esclama: “A moi Paris!” L’attore profferì quelle parole con accento di sdegnosa sfida e di nobile orgoglio e atteggiandosi a eroe vendicatore. Recata al pubblico in tal modo, la frase parve a tutti falsa e romantica; tutti ricordano, udendola, il Rastignac del Père Gordot (sic). Or bene, le stesse parole dette in tono di cinica compiacenza e con un sogghigno di sprezzo sarebbero riuscite la precisa espressione del basso animo del personaggio.

  Luigi Gianotti, Ricordi di un antico allievo della regia militare Accademia di Torino, Torino, Tipografia G. Candeletti, 1887.

  Capitolo VII.
  pp. 65-66. Trovandomi solo doveva divertirmi da solo e quindi si capirà come io mi dedicassi specialmente alla letteratura, servendomi oltre il bisogno delle due biblioteche nelle quali trovava sempre modo di introdurmi, quella cioè di mio padre, ricca d’opere storiche e militari, e quella della nonna dove si trovava un po’ di tutto. […].
  Immaginiamoci quale amalgama potesse farsi nella mia testa, a quella età, col divorare i viaggi di Cook, di La Pérouse e quelli di Gulliver! Gil Blas, Manon Lescaut, le Chevalier de Faublas, e Télémaque! L’Ariosto, il Tasso ed i Reali di Francia! Senofonte, Rollin e Les scènes de la vie privée di Balzac! Le poesie di La Martine e Les galanteries de la Bible!


  Luigi Gualdo, Paolo Bourget, «L’Illustrazione Italiana», Milano, Anno XIV, N. 51, 4 Dicembre 1887, pp. 406-407 e 410.

 

  p. 406. Come immaginare che in un paese dove Balzac fu misconosciuto durante tutta la sua vita, Flaubert e i Goncourt compresi soltanto ora, […] un esordiente della loro famiglia letteraria, e per di più apportatore di formole e ricerche nuove, potesse ottenere un trionfo immediato? […]. Forse invece i romanzi di Bourget si rivelarono in un momento singolarmente opportuno da un certo lato; forse furono subito favorevolmente accolti, perché meno raffinati e morbosi di quelli dei Goncourt, meno brutali di quelli di Zola, e in apparenza meno amari di quelli di Flaubert. Poi, e soprattutto, vi è in essi una ricerca nuova, che fu avvertita ed interessò, siccome un tentativo di penetrare più in fondo che non siasi saputo finora nei segreti moventi delli atti e delle passioni umane, e specialmente di tali atti e passioni nella vita dell’oggi. In ciò egli non può essere confrontato che a Balzac, — da lui anche talvolta imitato, come nei primi capitoli di Cruelle Enigme — e a Stendhal; con la differenza che i tempi sono ben più maturi e più adatti per tali studi. All’infuori di questi due, che del resto esercitarono solo una influenza di maestri scelti, Bourget non rassomiglia che a sè medesimo.

  p. 407. È perciò e per altre ragioni, tutta l’opera di Bourget dev’essere considerata specialmente nel suo insieme: ogni volume forma una parte del grande studio sull’animo dell’uomo del nostro secolo, vivente della vita moderna e da essa modificato, che lo scrittore ha intrapreso e seguitato tanto nei suoi romanzi quanto nei suoi articoli di critica. I suoi libri non si seguono come quelli di Balzac e di Zola, non vi è anzi nessun filo, nemmeno tenue, collegante i vari volumi, eppure essi sono quasi invisibilmente riuniti da una segreta unita di concetto, ad onta della diversità delli argomenti e dei personaggi.


  Angelo de Gubernatis, Rassegna di Letteratura straniera (francese). – “Répertoire de la Comédie humaine” de H. De Balzac, per Anatole Cerfbeer et Jules Cristophe (sic), «Nuova Antologia di Scienze, Lettere ed Arti», Roma, Direzione della Nuova Antologia, Terza Serie, Volume Undecimo Della Raccolta, Volume XCV, Fascicolo XVIII, 16 Settembre 1887, pp. 305-309. [302-322].
  La commedia della vita non passa tutta sulla scena; una gran parte della commedia moderna è pure entrata nel romanzo contemporaneo e nessun romanziere francese ne ha fatti vivere un maggior numero di tipi che Onorato Balzac nella sua Comédie humaine. In vita, il Balzac fu più letto che considerato; ora si vede il rovescio; egli è più considerato che letto. Si scoprono nel suo ingegno e nelle opere di lui qualità straordinarie che erano sfuggite a’ suoi contemporanei; la sua filosofia sociale vien commentata; lo si ammira non solo come il precursore del romanzo degli odierni naturalisti, se bene il Balzac, se fosse vivo, ne ricuserebbe la paternità, e lo Zola e i suoi seguaci si vantino d’essere entrati in una via nuova, il che è verissimo, poiché la loro via è molto più sudicia dell’antica. Si attribuisce ora al Balzac il merito che fu già concesso ad alcuni romanzieri inglesi e russi, allo stesso Werther di Goethe, d’avere cioè fondati, coi tipi creati dall’immaginazione, dei tipi reali nella società; si studia, si analizza, si commenta ogni suo romanzo, ogni suo tipo, ogni sua sentenza; si fa la bibliografia minuziosa e ragionata delle sue opere; si prepara finalmente un Dizionario biografico de’ personaggi de’ suoi romanzi: e a questo Dizionario scrive la prefazione Paul Bourget, affetto egli pure da Balzacolatria; di questo Dizionario, che ho sott’occhi e che si intitola: Répertoire de la comédie humaine intendo qui ragionare.
  Incominciamo dal proemio del Bourget, un giovine scrittore di merito, che è in molta voga, e che aveva egli stesso pensato, ne’ suoi venti anni, ad un lavoro simile a quello condotto pazientemente a termine dai signori Cerfbeer e Cristophe.
  Senza accettare la frase finale con la quale il Bourget termina il suo studio, frase che mi produce tutto l’effetto di una cannonata, qualificando egli il Balzac niente meno che come Napoléon littéraire, senza neppure potermi associare all’esclamazione con la quale il Bourget lo incomincia proclamando Balzac «le plus prodigieux magicien des lettres qui se soit rencontré depuis Shakespeare», due sentenze esagerate, sproporzionate che fuorviano il giudizio del lettore anzi che illuminarlo, trovansi nel proemio del Bourget parecchie osservazioni speciali assai giuste sui meriti letterarii del Balzac, e sopra i motivi del suo trionfo postumo, trionfo, ben inteso, che riceve la sua consacrazione soltanto presso i suoi ferventi accoliti, ma che ha pure un grande significato nella storia letteraria contemporanea. «La fascination! scrive Paul Bourget, est le seul mot qui convienne pour caractériser la sorte d’influence que Balzac exerce sur ceux qui le goûtent vraiment, et ce n’est pas aujourd’hui que date ce phénomène. Vallès le signalait, voici des années déjà, dans une page éloquente des Réfractaires sur les victimes du livre. Sainte-Beuve, peu suspect de partialité à l’égard du rédacteur en chef de la Revue Parisienne, raconte une anecdote plus étrange et plus significative que toutes les autres. A un moment, toute une société réunie à Venise, et des plus aristocratiques, s’avisa de distribuer entre ses membres différents rôles tirés de la Comédie humaine, et certains de ces rôles, ajoute mystérieusement le critique, furent bel et bien poussés jusqu’au bout. – Expérience dangereuse, car on sait que les héros et les héroïnes de Balzac côtoient souvent les plus dangereux abîmes de l’Enfer social. Cela se passait aux environs de 1840. Nous sommes en 1887, et il s’en faut que le sortilège soit épuisé. L’ouvrage auquel ces notes servent d’introduction en est la preuve. Même, on a remarqué que les hommes de Balzac, tant dans la littérature que dans la vie, sont apparus, surtout après la mort du romancier. Balzac semble avoir moins observé la société de son époque qu’il n’a contribué à en former une. Tel ou tel de ses personnages était plus vrai en 1860 qu’en 1835 (Cosa un po’ difficile a provare). Lorsqu’il s’agit d’un phénomène de cette donnée et de cette intensité, il ne suffit point de prononcer les mots d’engouement, de vogue et de manie (questo non sarebbe, se il fascino fosse generale; ma essendo di pochi, si può anche supporre che vi entri un po’ di posa convenzionale, come si ritrova ora in Francia nell’entusiasmo fittizio per i romanzi del Tolstoi ; certo, senza un merito reale, neppure questa voga sarebbe possibile, ma quando si entra nel culto, non si discute più; i credenti in Balzac come i credenti in Tolstoi adorano ad occhi chiusi). La séduction d’un auteur devient un fait psychologique d’une importance capitale et que l’analyse doit expliquer. Je crois voir deux raisons à cette force particulière du génie de Balzac. L’une réside dans le caractère spécial de sa vision, l’autre dans la portée philosophique qu’il a su donner à toute son œuvre. Feuilletez-le au hasard, et calculez la quantité de faits imaginés que supposent ces deux mille biographies, c’est-à-dire prenant le personnage à sa naissance pour ne le quitter qu’à sa mort». Il Balzac stesso diceva ch’egli aveva co’ suoi romanzi fatto concorrenza allo stato civile. Egli era nelle sue informazioni d’una esattezza scrupolosa, tanto che, dopo averli creati, per una specie di allucinazione, credeva egli stesso alla realtà de’ suoi personaggi. «Vraisemblablement, osserva il Bourget, il s’emparait des donne de l’expérience et les jetait comme dans un creuset de rêveries».
  Vediamo ora in qual modo i due idolatri di Balzac, Cerfbeer a (sic) Cristophe, riuscirono a compilare il loro Dizionario; cito i primi sei nomi che basteranno a provare con quale scrupolo l’intiero lavoro fu condotto. Ma chi lo leggerà? Il libro è fatto, senza dubbio, ad uso e consumo dei soli devoti di Balzac. Gli altri non hanno bisogno di questo lavoro anatomico; basta loro ricordare i tipi essenziali, che rivelano un vero genio creativo; De minimis non curat praetor. Un manzoniano d’Italia potrebbe intraprendere a beneficio de’ soli manzoniani, un lavoro consimile dei Promessi Sposi; e potrebbe riuscir curioso; ma ciò che conviene agli adepti del culto è indifferente al pubblico, al quale basta ritenere le linee generali e le grandi impressioni d’un capolavoro letterario. Ma la fatica durata dai signori Cerfbeer e Cristophe ha ancora un altro vantaggio; porge alla critica gli elementi per meglio apprezzare il lavoro colossale dell’immaginazione inventiva del Balzac. È tuttavia giusto lo aggiungere che un lavoro simile si potrebbe anche meglio intraprendere sui romanzi di Alessandro Dumas padre. Se i dati biografici sono meno precisi, se la biografia è meno compiuta, i personaggi creati dalla fantasia del Dumas non sono meno attraenti. E il lettore che s’è divertito coi romanzi di Paul de Kock potrebbe desiderare egli pure un inventario dei personaggi della commedia leggiera rappresentata dagli eroi in farsetto e dalle eroine in gonnella, di quelle gaie novelle; ma dove si andrebbe a finire con questi inventarii? Noi ci aspettiamo da un momento all’altro l’inventario dei personaggi di Zola. Ecco intanto un breve saggio del Dizionario di Balzac.
  Abramko, juif polonais d’une force herculéenne, entièrement dévoué au brocanteur Élie Magus, auquel il servait de concierge et dont il gardait, avec trois chiens féroces, la fille et les trésors, en 1844, dans un viel hôtel situé Chaussée des Minimes, près de la place Royale, à Paris ; Abramko s’était laissé compromettre dans les événements de Pologne, et Magus l’avait sauvé par l’intérêt (Le Cousin Pons).
  Adèle, grosse et bonne Briarde au service de Denis Rogron et Sylvie, sa sœur de 1824 à 1827, à Provins. Elle se montrait, au contraire de ses maîtres, pleine de sympathie et de pitié pour leur jeune cousine Pierrette Lorrain (Pierrette).
  Adèle, femme de chambre de madame du Val-Noble, au moment où celle-ci était brillamment entretenue par l’agent de change Jacques Falleix, qui fit faillite en 1829 (Splendeurs et misères des Courtisanes).
  Adolphe, petit jeune homme blond, était commis chez Fritot, marchand de châles, à Paris, dans le quartier de la Bourse, sous le règne de Louis-Philippe (Gaudissart II).
  Adolphus, chef de la maison de la banque Adolphus et C.ie de Manheim, père de la baronne Wilhelmine d’Aldrigger (La Maison Wucingen [sic]).
  Agathe (Sœur) religieuse du couvent de Chelles, refugiée, sous la Terreur, avec la sœur Marthe et l’abbé de Marolles, dans une pauvre maison du faubourg Saint Martin, à Paris. – Sœur Agathe était née Langeais (Un épisode sous la Terreur).
  Come il lettore vede, convien proprio essere un iniziato di Balzac, per trovar gusto in questo spicilegio.
  Il Balzac ci ha fatto passare sotto gli occhi ogni maniera di tipi della società moderna, ma, come accade a chi scrive la commedia, si è fermato specialmente a rappresentarci il lato vizioso o ridicolo de’ personaggi ch’egli mise in scena. Difficilmente nella commedia s’incontrano nobili e grandi caratteri; alla rappresentazione di questi suppliscono meglio il dramma, la tragedia, il romanzo; ma, sopra tutto, può riescire efficace la biografia, quando il biografo ha la fortuna d’incontrarsi in un personaggio di cui tutta la vita sia stato uno specchio di grandi pensieri, di grandi sentimenti e di grandi esempii.

  Dott. Raffaello Gucci, I nomi degli alienati, «Lo Sperimentale. Giornale italiano di Scienze mediche», Firenze, Tipografia Cenniniana, Anno XLI, Tomo LX, Luglio-Dicembre 1887, pp. 605-615.
  pp. 608-609. Un simbolismo dello stesso genere, ma ancora più recondito, che, con un poco di buona volontà è pur possibile ammettere, è quello che si esplica nel fatto frequentissimo di imporre ai figli, il nome di una persona a cui di porti o si abbia portato moltissimo affetto, come un parente strettissimo, un benefattore, un maestro; questo simbolismo però, caso mai, non è apprezzato e sentito che da un ristretto numero di persone, né, specialmente il nome per sé, dà sentore di alcuna traccia. […].
  Un’altra dimostrazione di questo fatto si ha, sebbene molto più indirettamente, nella cura grandissima che i babbi di un altro genere, gli autori sia di romanzi che di commedie a soggetto non storico, come ben si comprende, pongono nello scegliere i nomi dei loro protagonisti, perché bene corrispondano a quel concetto che si sono creati nella loro mente in rapporto a quel cotal personaggio. Qualora la cosa non emergesse da sé, almeno presso i migliori, ce lo ha confessato chiaramente il Balzac nella introduzione alla sua novella Z … Marcas.

  Il Duca Minimo [Gabriele D’Annunzio], Grotteschi e rabeschi, «Cronaca Bizantina», Roma, 1° Novembre 1887. Ora, col titolo: Spigolature, in Pagine disperse. Cronache mondane – Letteratura – Arte di Gabriele D’Annunzio coordinate e annotate da Alighiero Castelli, Roma, Bernardo Lux Libraio Editore di S. M. la Regina Madre, 1913, pp. 385-389.
  [p. 387]. Ben di rado la forma esteriore di un artefice ha una qualche rispondenza con l’opera. Gavarni quando vide per la prima volta Balzac, in una libreria, lo prese per un commesso.

  Il Saraceno [Luigi Lodi], Rovina, «capitan Fracassa», Roma, Anno VIII, N. 233, 24 Agosto 1887, pp. 1-2.
  p. 1. Per di più l’autore della Terra non ha nessuna umana idealità, e Louis Ulbach ricorda opportunamente in questi giorni il credo estetico d’Onorato Balzac: Le roman doit être le monde meilleur.
  Principio estetico al quale il creatore della Comédie faceva seguire questo postulato:
  Le roman ne serait vrai si, dans cet auguste mensonge, il n’était pas vrai dans les détails.
  Priva di queste qualità, l’opera di Emilio Zola doveva ridursi a forza sterilmente e monotamente meccanica, e quindi farsi odiosa pel pubblico.
  È precisamente quello che è seguito.


 Io Fanfulla, Giorno per giorno, «Fanfulla», Roma, Anno XVIII, N. 123, 6-7 Maggio 1887, p. 1.

 

 Honoré de Balzac dev’essere morto sotto una cattiva stella. I suoi adepti hanno pensato di fargli erigere un monumento a Tours, ma le sottoscrizioni non vengono. I municipi di Parigi e di Tours hanno elargito mille lire ciascuno, poi non si è andato più in là. E occorrono invece quaranta biglietti da mille lire.

 Il grande romanziere fu ed è ancora popolarissimo e in Francia e in Italia e altrove; ma le tasche sono vuote a furia di sottoscrizioni, e il pubblico si mostra sordo agl’inviti dei comitati.

 Il pubblico non ha torto. Ma l’autore di Papà Goriot non dovrà avere anch’egli la sua statua?

 Speriamo che l’abbia.

 

***

 

 D’altra parte, anche da vivo ce gros indécent – come Francisque Sarcey chiamò il Balzac – ebbe a subire alcune amare disillusioni.

 Come Alessandro Dumas, come Teofilo Gautier, Onorato di Balzac non fu mai dell’Accademia, quantunque desiderasse di sedere tra gl’Immortali.

 Ricordo in proposito l’aneddoto curioso, narrato da Riccardo Leschide, sul modo con cui Balzac riuscì ad ottenere due voti quando si presentò candidato.

 È Victor Hugo che parla. Io riassumo:

 «Passavo in vettura nella via del sobborgo di Sant’Onorato, quando, dinanzi all’Eliseo, scorsi il Balzac che mi fe’ segno di fermare. Io volli discendere, ma egli me lo impedì, e mi disse stringendomi le mani:

 «— Venivo a trovarvi; sapete che mi porto all’Accademia?

 «— No.

« — Ebbene, che ne pensate?

 «— Penso che giungete troppo tardi: avrete il mio voto solo.

 «– È il vostro, sopratutto, ch’o voglio

 «E mi lasciò. Nell’Accademia, per motivi politici, tutti eransi schierati dalla parte dell’altro candidato signor Vatout. Io cercai ad ogni costo di procurare almeno un altro voto al Balzac.

 «Il giorno dell’elezione trovandomi seduto presso l’ottimo Pourgeville, il migliore degli uomini, gli domandai a bruciapelo per chi avrebbe votato.

 «— Per Vatont, come saprete.

 «— Lo so così poco che vi prego di votare per Balzac.

  «— Impossibile! Ecco la mia scheda preparata. Vedete? Vatout.

 «— Oh! non fa nulla.

 «E su due schede scrissi Balzac. L’usciere che raccoglieva i voti si avvicinò a noi; io gli presentai una delle schede già preparate. Pourgeville allungò il braccio per gettare nell’urna la sua scheda col nome del Vatout, ma io gli diedi sulle dita un leggiero buffetto ... la scheda cadde al suolo.

  «Pourgeville mi guardò indeciso, e poiché io gli offrivo quella su cui stava scritto Balzac, ei sorrise, la prese e la gettò allegramente nell'urna».

 L’autore della Commedia umana aveva saputo adulare Victor Hugo. Il celebre poeta lo ricompensò del suo meglio.

 Ed ecco come Onorato di Balzac ebbe due voti.

 

***

 

 Strana coincidenza!

 Balzac ebbe due voti soli, e naturalmente non fu eletto Immortale.

 Il comitato per il suo monumento ha avuto solo due mila lire. Fallirà anche il progetto del monumento?


  Lady Waterproof, Papaveri fatali, «La Commedia Umana. Giornale-Opuscolo settimanale», Milano, E. Sonzogno, Editore, Anno III, Punt.a N. 143, 11 Settembre 1887, pp. 26-29.
  pp. 26-28. Gianfranco [Eccheli] rimasto solo, s’era lasciato scivolare sopra una bella poltrona a dondolo coll’aria soddisfatta d’un uomo che ha ben mangiato ed a cui non manca più nulla.
  Dunque era in procinto di farla questa gran corbelleria? … Chi l’avrebbe mai sospettato un anno prima, quando giurava a tutti gli echi che il sindaco non l’avrebbe gabellato di certo!? … Ed erano stati due occhioni birbanti che l’avevano obbligato a condannar alla polvere il caro Balzac, il catechismo di tutta la sua vita! … Ma inspirava poi simpatia vera? … Chi lo può dire? Quella mattina stessa, avea saputo cogliere un momento, che la mamma, affaccendata intorno ai fiori, voltava l’occhio per domandare a Giulia se si sarebbe accontentata d’un marito come lui … […].
  La sera Gianfranco partiva per Milano. […].
  L’indomani a Giulia veniva consegnata una lettera di Gianfranco … la prima ch’egli le avesse indirizzato:
  «Gentile Signorina,
  Era scritto lassù ch’io non dovessi ingrossar la falange dei fortunati a cui sorride il nido domestico. Non mi faccio illusioni; l’incidente di ieri non me lo permetterebbe. Ho dissotterrato Balzac, e fra i predestinati trovai in prima fila coloro che sono affetti dall’infermità grave ch’io non mi conoscevo. Nella sua perfetta innocenza, Ella, signorina mia, non può dare a questa classificazione il suo giusto valore; ma ne parli a sua madre, e la buona signora giustificherà il mio modo d’agire. […]».


  Fernando Lafargue, Potenza femminina …, «La Scena Illustrata», Firenze, Anno XXIII, N. 5, I° Marzo 1887, p. 11.

 

  Giuseppina s’annoiava ne’ suoi ventott’anni, e aspirava, con ogni sua possa, a raggiungere la trentina per sapere se Balzac avesse realmente indovinato il cuore femminile a quell’età, decisa d’altronde a tentare l’esperienza nelle identiche condizioni di luogo della marchesa d’Aiglemont.



  A. Lavoit (sic), La Fisiologia dell’ammogliato. Osservazioni dal francese per A. Lavoit. L’ultima conquista – In Pretura. Racconti di Adolfo Lovati, Milano, Romeo Mangoni, s. d. [1887].

 
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  La paternità di questo saggio fisiologico sul matrimonio (pp. 3-84) viene attribuita ad un enigmatico autore, A. Lavoit, quando, in realtà, siamo di fronte alla traduzione in lingua italiana dello studio di Charles Paul de Kock: Physiologie de l’homme marié, pubblicato nel 1841 (Paris, Jules Laisné, Éditeur, Pass. Véro-Dodat, Aubert et Ce, Lavigne). Si noti, inoltre, che il nome fallace dell’autore pare non essere altro che l’anagramma di A.[dolfo] Lovati (di cui vengono pubblicati, in questo volumetto, due racconti) al quale, con tutta probabilità, si devono la traduzione dell’opera e il breve prologo intitolato: Cenni preliminari (pp. 3-6) che porta la firma de: L’Autore. In questo scritto preliminare, che non risulta affatto essere la versione italiana delle Réflexions préliminaires del Kock, ma un intervento autonomamente redatto dal curatore e qui arbitrariamente inserito, si fa cenno alla Physiologie du mariage del Balzac di cui viene riprodotta la traduzione (rimodulata per l’occasione) di una breve sequenza testuale tratta dall’Introduction, che qui trascriviamo integralmente:
  pp. 4-5. «Il matrimonio non deriva punto dalla natura. La famiglia orientale differisce intieramente dall’occidentale. L’uomo è il ministro della natura, e la società s’innesta sovr’essa. Le leggi sono fatte pei costumi, e i costumi variano.
  Il matrimonio può dunque subire il perfezionamento graduale, a cui tutte le umane cose paiono sottomesse».
  Queste parole furono pronunziate davanti al Consiglio di Stato da Napoleone I, allorchè trattossi della discussione del Codice civile, e non possono a meno di colpire profondamente per la vastità del concetto che esse compendiano, e che tenteremo di svolgere nel nostro meglio in queste povere pagine.
  Di questo testo, saranno pubblicate due edizioni successive, nel 1901 e nel 1910, nelle quali verrà indicato erroneamente il nome di Balzac quale autore del saggio.
  Una traduzione italiana della Physiologie de l’homme marié sarà edita, questa volta con corretta attribuzione del nome dell’autore a P. de Kock, nel 1889, a Napoli, dall’editore Carlo Zomack.


  Amedeo Levreti, Sudor di sangue di Carlo IX, «La Scena Illustrata», Firenze, Anno XXIII, N. 19, I° Ottobre 1887, p. 10.

  Tutti conoscono l’ammirabile ritratto che Balzac ha tracciato di re Carlo IX.
 «Ei si distingueva allora per una maestà tetra che ai re mal non si addice. La grandezza de’ di lui segreti pensieri, si rifletteva sul viso, notevole per la tinta italiana, che traeva da sua madre. Quel pallore d’avorio, così bello sotto la luce, così favorevole all’espressione della malinconia, faceva vigorosamente risaltare il fuoco degli occhi, d’un bleu nero, che, come pressati fra palpebre grasse acquistavano così l’acutezza acciaiata che l’immaginazione vuole nello sguardo de’ regnanti; il colore ne favoriva la dissimulazione. Gli occhi di Carlo IX eran sopratutto terribili per la disposizione delle ciglia rialzate, in armonia con una fronte spaziosa e che egli poteva alzare od abbassare a volontà.
  Aveva un naso largo e lungo, grosso in punta, un vero naso di leone; orecchie grandissime, capelli d’un biondo ardente, bocca quasi sanguigna, come quella d’un etico, col labbro superiore sottile, ironico; l’inferiore abbastanza grosso per lasciar supporre le più belle qualità del cuore. Le rughe impresse su quella fronte da spaventevoli cure, ispiravano un violento interesse; i rimorsi, causati dall’inutilità del Saint-Barthelemy, misura strappatagli coll’astuzia, ne avevan generata più d’una di quelle rughe ... e non eran sole quelle della fronte. Ne aveva altre due nel volto, che sarebbero state ben più eloquenti per un dotto, a cui un genio speciale avrebbe permesso di divinare gli elementi della fisiologia moderna. Quelle due rughe producevano un solco vigoroso dai pomelli ai due angoli della bocca, e accusavano gli sforzi interni d’un organismo stanco di provvedere e ai lavori del pensiero e ai violenti piaceri del corpo». [Cfr. Sur Catherine de Médicis].
  Puossi immaginare, come ritratto, niente di più eloquente, di più energico e deciso?


  Cesare Lombroso, L’homme criminel. Étude anthropologique et médico-légale par Cesare Lombroso traduit sur la IVe édition italienne par Mr G. Regnier & Mr A. Bornet avec préface par L. Letourneau. Criminalité – Fou Moral Épileptique, Paris-Turin, Félix Alcan – Bocca Frères, 1887.

Chapitre III.
Anthropométrie et physionomie de 3839 criminels.

   p. 227. Balzac nous dépeint le fripon du Tillet avec des cheveux très-noirs, comme s’ils avaient été teints.


Chapitre XI.
Littérature des criminels.

  p. 517. On ne peut, donc, affirmer positivement que ces grands hommes aient terni la pureté de l’art par les souillures de leur âme. Des bas fonds du monde où se parle l’argot, au sommet de la république des lettres, s’étend toujours un abîme. Ce n’est que dans ces derniers temps, grâce à Balzac, à Victor Hugo, à Dumas, à Sue, à Gaboriau, à Zola, que ce triste miasme du bagne et du lupanar, digne conjoint du bagne, a essayé de pénétrer dans la littérature. Mais c’est là un phénomène isolé, qui ne saurait durer; le vain plaisir, la saveur âcre et nouvelle que provoquent des ordures pareilles, doivent rapidement s’effacer devant le mépris qu’elles font naître, même dans les esprits les moins scrupuleux. – En tout temps l’art aima à planer dans les régions pures et sereines; et cela avec d’autant plus d’ardeur qu’il voyait autour de lui un plus grand contraste.


  Vittorio Luraghi, Un bozzetto alla Balzac, «Emporio Pittoresco. Illustrazione universale», Milano, Anno XXIV, N. 1166, Dal 2 all’8 gennajo 1887, pp. 10-11.

 

  Su: Contessa Lara: «Per le Signore: Festa in Provincia» apparso nel n. 43 de: «La Farfalla».


  D. Mantovani, Il gran romanzo dell’anno, «capitan Fracassa», Roma, Anno VIII, N. 355, 26 Dicembre 1887, p. 3.
  Non so se la prima idea del romanzo sia stata attinta dai Paisans (sic) del Balzac, o, più probabilmente, dal Re Lear della Steppa di von Turghénieff; so bene che in nessun paese e da nessun scrittore l’agricoltura e gli agricoltori sono stati dipinti a questo modo. […].
  Ma, in tutto ciò, quanta distanza dallo Zola al padre suo, al Balzac, che pur ne’ Paysans rappresentò i villani francesi e il loro carattere in guisa non dissimile! Anche il Balzac li mostra ingordi, immorali, capaci di ogni malvagità per acquistare un lembo di terreno e per vivere dell’altrui, anch’egli fa della vita campestre di Francia un quadro fosco e ributtante; ma almeno egli lascia sussistere l’eterna magnificenza della natura e penetrar fra le nuvole qualche raggio di sole che viene a rischiarare qualche suo personaggio e qualche scena, poiché egli dice la verità e nella verità c’è sempre e dovunque alcun che di buono. […]
  Così nel libro dello Zola, come in quello citato del Balzac e d’altri studiosi dipintori del vero, la popolazione rurale francese appare corrotta, sanguinaria, viziosa, ignara di probità e di virtù, cupida, non curante di Dio e del diavolo, esperta in ogni frode.

  Ferdinando Martini, Rassegna di letteratura straniera (Francese). – La riforma del naturalismo – Guy de Maupassant: “Pierre et Jean”, «Nuova Antologia di Scienze, Lettere ed Arti», Roma, Direzione della Nuova Antologia, Terza Serie, Volume Nono Della Raccolta, Volume XCIII, Fascicolo V, 1 Marzo 1887, pp. 138-147.
  p. 140. Finalmente, rispetto al terzo canone «niente altro che la verità», si diceva: sì, se intendete che nulla sia nell’opera dell’artista di non vero o di non verosimile, nulla che egli non abbia visto o bene imaginato; no, se per verità intendete soltanto ciò che cadde sotto i sensi di lui. Lo Shakespeare non vide mai Otello, il Manzoni non conobbe mai D. Abbondio; e se il Balzac avesse vissuto cento anni, non gli sarebbero bastati a cercare, a studiare, a conoscere i mille personaggi della Comédie humaine. L’arte del romanziere e del commediografo non consiste tutta e sempre nell’osservazione; è spesso una divinazione logica.

  Ferdinando Martini, Rassegna di letteratura straniera (Francese). – “Le roman russe” par le viscomte E. M. De Vogüé, «Nuova Antologia di Scienze, Lettere ed Arti», Roma, Direzione della Nuova Antologia, Terza Serie, Volume Nono Della Raccolta, Volume XCIII, Fascicolo IX, 1 Maggio 1887, pp. 127-151.
  p. 146. Tutta questa discussione si compie dal De Vogüé in una ampia introduzione che, se bene un po’ pesa, rimane un modello di alta e profonda critica letteraria e filosofica. Vi raccolgo un’osservazione a proposito del realismo di Balzac: «En résumé, il n’est pas absolument exact de dire que Balzac décrit la vie réelle; il décrit son rêve; mais il a rêvé avec une telle précision de détails et une telle force de ressouvenir, que ce rêve s’impose à nous comme une réalité. Et cela nous explique une étrangeté qu’on a remarqué bien souvent ; les peintures du romancier sont plus fidèles pour la génération qui l’a suivi que pour celle, qui posait devant lui. Tant ses lecteurs s’étaient modelés sur les types idéaux qu’il leur proposait !». Ma questa osservazione si può, con molta maggior ragione, ripetere per i romanzieri russi.

  Tullo Massarani, Carlo Tenca e il pensiero civile del suo tempo. Seconda edizione, Milano, Ulrico Hoepli Editore – Libraio della Real Casa, 1887.
  Cfr. 1886.

  C. Mérouvel, L’eredità De-Sorbe, «Corriere della Sera», Milano, Anno XII, Num. 61, 2-3 Marzo 1887, p. 2.

  Fra le tante prefetture di provincia non ce n’è una che possa rivaleggiare con Alençon per la tranquillità delle strade e la vita patriarcale degli abitanti, turbata appena dai rumori e dalle effervescenze della politica.

  Tal quale Balzac l’ha descritta ai tempi del Cabinet des Antiques, ha sussistito fino ai nostri giorni. Soltanto, la profezia del romanziere s’ è avverata.


  C. Mérouvel, L’eredità De-Sorbe, «Corriere della Sera», Milano, Anno XII, Num. 68, 9-10 Marzo 1887, p. 2.

  Un mattino, ai primi di novembre, verso le nove, due uomini con dei soprabiti neri, giunsero alla casa che il riccone si era comperata al Val-Noble; un quartiere che Balzac ha reso ce­lebre, collocandovi il palazzo della signorina Cormon, la zitellona.


  C. Mérouvel, L’eredità De-Sorbe, «Corriere della Sera», Milano, Anno XII, Num. 71, 12-13 Marzo 1887, p. 2.

  La vita del De-Sorbes era sempre sembrata straordinaria in un paese i cui abitanti sono positivi, o, secondo la espressione di Balzac, fanno più caso di poche are di terreno, che d’un volume di versi.


  C. A.[ndrea] Mondello-Nestler, La Massoneria, Roma, Tipografia Editrice Romana, 1887.
  Cfr. 1886.

  Saverio di Montépin, Figlia di Cortigiana di Saverio di Montépin. (Costumi galanti del Secondo Impero) [Continuazione. 2], «La Commedia Umana. Giornale-Opuscolo settimanale», Milano, E. Sonzogno, Editore, Anno III, Punt.a N. 126, 15 Maggio 1887, pp. 35-54; [Continuazione. 9], Anno III, Punt.a N. 133, 3 Luglio 1887, pp. 35-54.

III.
  pp. 42-43. […] La mia vita [Gabriella alla madre] somiglia a un romanzo che ho letto …
  – Un romanzo! esclamò la giovane signora con manifesta inquietudine, tu leggi dunque dei romanzi?
  – Oh! uno solo. Una assistente me lo aveva prestato segretamente; l’ho divorato in una notte, nella mia camera e mentre leggevo mi batteva il cuore sì forte che a volte mi sembrava di rimaner soffocata, giacchè puoi bene imaginarti come ci sia proibito di leggere di nascosto.
  – Ma infine, questo romanzo cos’è?
  – Un libro scritto da un autore che si chiama il signor di Balzac ed ha per titolo: I Marana.
  – I Marana! ripetè la straniera con vice sorda.
  – Sì. Ed è bellissimo, credilo, fa rabbrividire; l’autore narra d’una donna perversa, ch’egli chiama una cortigiana, della quale i principi e i signori di Venezia sono innamorati, che vive nelle feste, nelle ricchezze, mentre nasconde la sua unica figlia in casa di povera gente, in fondo a un villaggio della Spagna. Conosci quel libro, mamma?
  – Sì, sì lo conosco, balbettò la giovane donna con un turbamento che non riescì a dissimulare.
  – Allora, riprese Gabriella, giacchè lo conosci, devi ricordare che la madre perversa è punita. Quanto essa fa contro lei si ritorce, ed è giusto, dopo tutto, giacchè essa non amava sua figlia, no, non l’amava … Quando si amano davvero i propri figli, non li si allontanano.
***
XX.

  pp. 47-48. – Siete letterato, signor Dravet, mormorò Olimpia, che sorrise involontariamente ad onta dell’amarezza del suo dolore.
  – Oh! rispose l’ex agente con modestia, ho letto qualche cosa, ecco tutto. Amo i classici, i grandi autori dei due ultimi secoli, e per l’epoca presente, Balzac, quel colosso che vale Molière! Per tutto il resto della minuzzaglia, non darei il becco d’un quattrino.


  Federico Musso, Opere postume di V. Hugo, «Cronaca Minima. Rassegna settimanale di letteratura e d’arte», Livorno, Tipografia Raffaello Giusti, Anno I, Num. 24, 19 Giugno 1887, p. 192.

 

  Leggete la Mort de Balzac. Vedete il contrasto tra Balzac morente ed il suo busto collocato a pochi passi da lui, «je redescendis – scrive Hugo – emportant dans une pensée cette figure livide; en traversant le salon, je retrouvai le buste immobile, impassible, altier et rayonnant vaguement , et je comparai la mort à l’immortalité». Continua: «Le lendemain de la mort, le matin, les ouvriers mouleurs qui vinrent, trouvèrent le visage déformé, et le nez tombe sur la joue». Un po’ più in là; «Il se faisait, presque à mes pieds, des éboulements dans la fosse, et j’étais interrompu par le bruit sourd de cette terre qui tombait sur le cercueil».



  Neera, Zia Severina, «Cronaca Minima. Rassegna settimanale di letteratura e d’arte», Livorno, Tipografia Raffaello Giusti, Anno I, Num. 29, 24 Luglio 1887, pp. 227-230.

 

  p. 230. Che squilibrio però, che ingiustizia! Ella non si sentiva vecchia. Se sapessero i giovani come è difficile uccidere i desideri ... Balzac diceva trent’anni evidentemente per non scoraggiare troppo quelle di venti.


  Enrico Nencioni, Fedele, «Nuova Antologia di Scienze, Lettere ed Arti», Roma, Direzione della Nuova Antologia, Terza Serie, Volume Decimo Della Raccolta, Volume XCIV, Fascicolo XV, 1° Agosto 1887, pp. 409-426.

  [Su: A. Fogazzaro, Racconti].
  p. 410. Il Fogazzaro è ingegno originale, e che istintivamente ripugna da ogni imitazione; ma la naturale indole del suo ingegno lo avvicina molto più ai romanzieri tedeschi che ai francesi o agli inglesi. Egli è della famiglia dei Richter e degli Hoffmann, degli Auerbach e degli Heyse; e non ha nulla o quasi nulla di comune col Balzac, col Thackeray, col Flaubert. Il suo modo di concepire una situazione, di descrivere un paesaggio, di fare un ritratto; il suo metodo di analisi e di esposizione, la sua mise en scène, il suo umorismo, il suo stesso dialogo, hanno sempre qualche cosa di nordico, di germanico.

  Enrico Nencioni, Donne e Romanzi. Roundabout Paper, «Fanfulla della Domenica», Roma, Anno IX, N. 34, 21 agosto 1887, pp. 1-2.
  Con Volupté di Sainte-Beuve, si cominciò a decorare e raffinare il sensualismo, consacrandolo in certo modo col linguaggio della poesia e dell’ascetismo. In questo genere equivoco scrisse anche, più spesso che non si creda, il Balzac. Ma la donna di Balzac e di Sainte-Beuve ha un’anima, e agisce liberamente. Il romanzo sperimentale ne fece invece un bell’animale discendente dall’atavismo e dall’ambiente, che si agita entro un cerchio fatale ed insuperabile […].
  Di tutti i romanzieri realisti le donne in fin dei conti non amano cordialmente che Balzac fra i morti, e Bourget fra i vivi. […].
  Ma il loro idolo è sempre Balzac; specialmente se son vicine alla trentina o l’hanno di poco passata. Esse adorano in lui il pittore, stavo per dire il poeta – Balzac è spesso un grande poeta – di Enrichetta Mortsauf, di Eugénie Grandet, di Ursule Mirouet, di Madame de la Chanterie, della contessa di Maufrigneuse, della duchessa di Langeais, di Madame de l’Estorade, di Séraphita.
  Le donne aman Balzac anche per un sentimento di gratitudine. Egli ha prolungata la gioventù della donna. Egli ha per primo accaparrata al romanzo la donna di trenta, di quarant’anni, purchè la fisonomia e la toelette possan supplire alla perfezione del profilo e alla freschezza della prima gioventù. Egli dorò e carezzò i languidi e dolorosi tramonti delle femmes abandonnées, delle nervose, delle convalescenti. Sentì es espresse come nessun altro romanziere, la poesia di un profumo, di un guanto, di una trina, di uno scialle di cachemire, di un mazzo di fiori. Contesse dell’Impero e Duchesse della Restaurazione, par che tutte gli abbiano rivelato i segreti più riposti e più intimi del loro cuore – anche certe cose che le donne sogliono dire soltanto al medico e al confessore … E allora la pagina di Balzac ha una efflorescenza e una morbidezza vellutata e magnetica; il suo periodo diventa una carezza musicale, un profumo femineo. Appetto a lui, i suoi discepoli, il Flaubert, i Goncourt, lo Zola, lo stesso Daudet, ci appariscon brutali. In certe pagine di ineffabile delicatezza, non gli è paragonabile che l’autrice delle due adorabili novelle La Marquise e Lavinia.

  Enrico Nencioni, Rassegna di Letteratura straniera (inglese). – “Juvenilia” di Vernon Lee – Lettere inedite di Thackeray e di Dickens – La “Walt Whitman Society, «Nuova Antologia di Scienze, Lettere ed Arti», Roma, Direzione della Nuova Antologia, Terza Serie, Volume Undecimo Della Raccolta, Volume XCV, Fascicolo XVII, 1 Settembre 1887, pp. 123-133.
  pp. 130-131. Leggendo queste buone, affettuose lettere del grande umorista [Thackeray], comprendiamo meglio l’intendimento dei suoi romanzi. Nell’uomo che batte così terribilmente la sferza, e scaglia il fuoco greco del suo sarcasmo, sulle ipocrisie e le viltà aristocratiche; nel tremendo satirico della high life di Londra, vi era una bontà semplice, affettuosa, patriarcale: e l’ideale dell’umanità gli era sempre presente.
  Infatti, notate bene, le follie e i vizii son da lui descritti in modo da far capire e sentire al lettore che sono anormalità e deviazioni: all’opposto di Balzac, di Flaubert, e di Zola, che dipingendo la corruzione sociale lo fanno, o almeno sembrano farlo, con un contagioso compiacimento. Nella pittura fedele che Thackeray fa della società come è, si sottintende e non si perde mai di vista, la società quale potrebbe e dovrebbe essere.

  Enrico Nencioni, Gian-Paolo Richter e l’umorismo tedesco, «Nuova Antologia di Scienze, Lettere ed Arti», Roma, Direzione della Nuova Antologia, Terza Serie, Volume Undecimo Della Raccolta, Volume XCV, Fascicolo XIX, 1 Ottobre 1887, pp. 373-388.
  pp. 374-376. Dimorò come precettore in case patrizie; poi aprì scuola in casa propria – e lottando sempre contro ostacoli di ogni sorta, scrisse un dopo l’altro, con un coraggio, una perseveranza e una imperturbabile serenità, paragonabili a quelle mostrate più tardi da Onorato Balzac nei primi anni della sua vita letteraria, una serie di volumi satirici, fantastici, romanzeschi, dai titoli stravaganti, e nei quali fra densi vapori scintillava pure la fiamma del genio: genio originale, strano ed eccentrico, che prima di ricavare anche scarso guadagno dalle proprie creazioni, dovè lottare con l’avarizia degli editori, i sarcasmi dei critici e l’inattenzione del pubblico. […]
  Così, i Fantasiestücke di Hoffmann furono da lui scritti durante gli anni più poveri e più agitati della febbrile sua vita, nell’epoca tempestosa delle guerre napoleoniche. Il Vaso d’oro, un vero capolavoro, ammirato da Balzac e tradotto da Carlyle, fu scritto in Dresda pochi giorni prima della battaglia di Lipsia, mentre il cannone degli alleati bombardava la città. […].
  pp. 385-387. Questo grande umorista è stato paragonato dai suoi biografi e dai suoi critici a Rabelais, a Montaigne, a Swift, a Sterne, a Hoffmann, a Dickens, a Balzac, al Guerrazzi … «spaventosa concordia in un desio». – Tutti questi confronti hanno qualche fondamento. Infatti egli ricorda Rabelais, nell’audacia dell’invenzione, nell’abbondanza e profusione pittoresca di certe scene – Montaigne, nelle allusioni erudite, nelle digressioni, nella predominante personalità – Balzac, nella realtà descrittiva, sia di personaggi, sia di località provinciali o parigine; e anche nel misticismo poetico che l’autore dei Contes drôlatiques infuse (o miracolo!) nelle pagine di Louis Lambert e di Séraphita. […].
  Cosa curiosa; i critici tedeschi più insigni, in generale, sono o troppo severi o addirittura ingiusti con Hoffmann. Carlo Hillebrand e Vernon Lee hanno fatto una identica e giustissima osservazione sul carattere dei romanzi e delle novelle di Hoffmann; cioè, che egli, autore di racconti fantastici, è fra tutti i novellieri tedeschi quello che ha più vivo e preciso il senso della realtà. Verissimo! Lo studente Anselmo, l’archivista Lindhorst, Krespel, son veri quanto un personaggio di Balzac. Dirò di più: l’influenza di Hoffmann è evidentissima in molte pagine della Comédie humaine. E il grande e buon Balzac non ne faceva mistero. E chi non riconosce lo spirito e la ispirazione Hoffmanniana in Consuelo e nell’Homme de neige della Sand?

  Enrico Nencioni, Tra Libri e Carte(*), «Fanfulla della Domenica», Roma, Anno IX, N. 42, 16 ottobre 1887, pp. 1-2.
  (*) Tra Libri e Carte. Studi letterari di Guido Mazzoni – Roma, Pasqualucci editore, 1887.
  p. 1. Le pagine sul Capitan Fracassa di Teofilo Gautier, sono un bello studio biografico critico su quell’abile orefice della parola. […] Vede bene, e basta. È già molto, lo so, e non lo dissento, ma gli manca l’essenziale per essere un gran poeta e un gran romanziere. Victor Hugo e Balzac vedon bene quanto Gautier – ma dietro i loro occhi c’è un cervello che pensa, e un cuore che sente: e però Balzac e Hugo sono due grandi scrittori; e Gautier non è che il più abile dei dilettanti.

  Enrico Nencioni, «Cose viste» da Victor Hugo, «Nuova Antologia di Scienze, Lettere ed Arti», Roma, Direzione della Nuova Antologia, Terza Serie, Volume Dodicesimo Della Raccolta, Volume XCVI, Fascicolo XXIII, 1 Dicembre 1887, pp. 433-450.
  pp. 443-445. La morte e i funerali di Balzac sono fra queste Choses vues quelle che deterranno nel mondo letterario più vivo interesse. Il 18 agosto 1850 la signora Hugo, che era stata a far visita in casa Balzac, entrò pallida e commossa nella stanza del poeta e gli dette la triste nuova: «Monsieur de Balzac se meurt!» - E il poeta accorse subito dall’amico.
  Balzac da più di due anni era attaccato da una ipertrofia al cuore. Nel maggio del ’50 era tornato di Russia, maritato, ricco, e moribondo.
  Quando il gran poeta entrò nella camera dove agonizzava il gran romanziere, Balzac non dava più nessun segno di conoscimento. Una vecchia serva vegliava questo prossimo cadavere.
  «Je traversai un corridor, nous montâmes un escalier couvert d’un tapis rouge et encombré d’objets d’art, vases, statues, tableaux, crédences portant des émaux, puis un autre corridor, et j’aperçus une porte ouverte. J’entendis un râlement haut et sinistre. J’étais dans la chambre de Balzac. Un lit était au milieu de cette chambre. M. de Balzac était dans ce lit, la tête appuyée sur un monceau d’oreillers auxquels in avait ajouté des coussins de damas rouge empruntés au canapé de la chambre. Il avait la face violette, presque noire, inclinée à droite, la barbe non faite, les cheveux gris coupés courts, l’œil ouvert et fixe. Je le voyais de profil, et il ressemblait ainsi à l’Empereur … Une vieille femme et un domestique se tenaient debout des deux côtés du lit … Une odeur insupportable emplissait la chambre … Je soulevai la couverture, et pris la main de Balzac. Elle était couverte de sueur. Je la pressai. Il ne répondit pas à la pression … La garde me dit: Il mourra au point du jour. Il mourut dans la nuit. Il avait cinquante et un ans».
  Nelle eloquenti parole che il poeta disse nel cimitero del Père-Lachaise sulla tomba dell’amico, è condensato in germe, per dir così, tutto ciò che di più giusto fu poi scritto dai critici sul gran romanziere. Vi è poi accennata una cosa alla quale la critica non ha posto abbastanza mente nel giudicare Balzac – cioè che egli era un grande poeta, quanto, e forse più, che un grande realista. «Ce travailleur puissant, ce poète, ce génie, à travers les réalités brusquement et largement déchirées, laisse entrevoir tout à coup le plus pur ou le plus tragique idéal … tous ses livres ne forment qu’un livre, livre vivant, profond, lumineux, où l’on voit aller er venir et marcher et se mouvoir, avec je ne sais quoi d’effaré et de terrible mêlé au réel, notre société contemporaine: livre qui est l’observation et l’imagination».
  Infatti, in Balzac, accanto al realista, vi è non solo un poeta, ma un visionario ed un mistico. C’è in lui del Ballanche e del Saint-Martin. Louis Lambert, Séraphita, le Médecin de campagne, la Histoire des Treize, gran parte del Lys dans la vallée, son opere essenzialmente poetiche. E anche nei romanzi suoi più realistici, la fortuna rapida e inesplicata di un personaggio, un mobiliare impossibile anche in appartamenti imperiali, una metamorfosi di carattere improvvisa e spesso illogica come quella di Filippo Brideau, o una trasfigurazione shakespeariana come quella della Cousine Bette, ci avvertono che sotto il realista vi è una vulcanica immaginazione di poeta.
  E il Vogué, nei suoi eccellenti studi sul romanzo moderno, scriveva queste giuste e notevoli parole. «Balzac, cet ouvrier du réel, demeure le plus fougueux idéaliste de notre siècle, le voyant qui a toujours vécu dans un mirage ; mirage des millions, du pouvoir absolu, de l’amour pur, et tant d’autres. Les héros de la Comédie humaine ne sont parfois que des interprètes de leur père, chargés de nous traduire les systèmes qui hantent son imagination. Suivant les préceptes de l’art classique, ses personnages de premier plan sont poussés tout entiers vers une seule passion ; voyez le père Grandet, Hulot, Nucingen, Balthazar Claes, Béatrix, Madame de Mortsauf … Certes, Balzac nous donne l’illusion de la vie, mais d’une vie mieux composée et plus ardente que celle de tous les jours : ses acteurs sont naturels, mais du naturel qu’ont les bons acteurs à la scène. Quand ils agissent et parlent, ils se savent regardés, écoutés». – Verissimo: di rado, o quasi mai, i personaggi di Balzac vivono semplicemente per loro stessi, come i personaggi di Thackeray, di Giorgio Eliot e di Tolstoi – i veri e schietti realisti.
  Balzac più che la vita reale ha descritto il suo sogno della vita. Ma lo ha fatto con tanta precisione di particolari e con una tale forza di memoria, che il suo sogno s’impone a noi come una realtà. Anzi, il Vogué fa una fine ed argutissima osservazione: cioè che le pitture di questo gran romanziere son più fedeli per la generazione che gli è succeduta, che per quella che posava davanti a lui: tanto i suoi lettori, e soprattutto le sue lettrici, s’eran modellati sui tipi ideali descritti da lui!
  Le lettrici! Esse hanno fatto la gran propaganda balzacchiana, specialmente dal 1830 al 1860, assai più di tutti i critici … Le donne amano Balzac anche per un sentimento di gratitudine. Egli ha prolungata la gioventù della donna. Egli ha, per il primo, accaparrata al romanzo la donna di trenta, di quarant’anni, purchè la fisonomia e la toelette possan supplire alla perfezione del profilo e alla freschezza della prima gioventù. Egli dorò e carezzò i languidi e dolorosi tramonti delle femmes abandonnées, delle nervose, delle convalescenti. Sentì ed espresse come nessun altro romanziere la poesia di un profumo, di un guanto, di una trina, di uno scialle di cachemire, di un mazzo di fiori. Contesse dell’Impero e duchesse della Restaurazione, par che tutte gli abbiano rivelato i segreti più riposti e più intimi del loro cuore – anche certe cose che le donne dicon soltanto al medico e al confessore. E allora la pagina di Balzac ha una vellutata morbidezza, una efflorescenza magnetica; il suo periodo diventa una carezza musicale, un sospiro femineo. Apetto a lui, i suoi discepoli, il Flaubert, i Goncourt, Emilio Zola, lo stesso delicato Daudet, ci appariscono grossolani.

  Giambattista Passano, Balzac (Di) Onorato, in Dizionario di opere anonime e pseudonime in supplemento a quello di Gaetano Melzi, compilato da Giambattista Passano, Ancona, A. G. Morelli Editore, 1887, p. 31.
  Il vicario delle Ardenne, del signor di Balzac. Versione di L. M. (Luigi Masieri). Milano, Truffi, 1837, vol. 4. In -16. Fig.
  In fine v’è: Il re di quadri, novella di Eugenio Scribe, pubblicata già nella Revue de Paris, tradotta dal predetto Masieri, nella Fama del 24 e 28 luglio, 2 e 4 agosto 1837.
  2. Storia della grandezza e decadenza di Cesare Birotteau profumiere ecc. Versione e riduzione di L. M. (Luigi Masieri), Milano, a spese degli editori, 1838, vol. 2. In -16.
  3. Tre racconti del signor di Balzac. Prima versione italiana di E. R. (Ercole Rivolta), Milano, Lampato, 1838. In -16.

  Ferdinando Petruccelli Della Gattina, Il re prega. Romanzo, Fratelli Treves, 1887.
  Cfr. 1874.

  Icilio Polese, Rivista Drammatica del 1886, in Prof. Enrico Carozzi, Annuario Teatrale Italiano per l’annata 1887, Milano, Tipografia Nazionale, 1887, pp. 721-731.
  pp. 723-724. Ripresa, al Filodrammatico [di Milano], dell’Alcibiade di Cavallotti, e del Mercadet di Balzac. […].
  Nel presentare il Mercadet l’Emanuel ha una grande trepidazione, e ne dice il perché. Si è provato a farlo pochi mesi avanti, due o tre volte di seguito, e glie lo hanno inesorabilmente fischiato, e poi non si può ancora dimenticare dell’accoglienza poco lusinghiera che ebbe in quella parte al Manzoni.
  Oh! pubblici b … irboni! ci vuole del fegato a fischiare il Mercadet, e fatto poi da Emanuel. Infatti, al Filodrammatico, si va in brodo di giuggiole; e quando il voluminoso Brizzi vuol fare una piena, sa che cosa scrivere sul cartellone: Mercadet for ever.


  Francesco Quevedo, Zoliana, «Conversazioni della Domenica», Milano, Anno secondo, N. 35, 28 Agosto 1887, pp. 273-274.

 

  Anche Balzac, ha trattato lo stesso argomento, cioè la vita dei campi, ne’ suoi Paysans.

  Ma tra i Paysans e la Terre — c’è addirittura un’abisso (sic); e se Zola ha preteso di imitare Balzac, convien dire che vi è riuscito molto infelicemente.

  Les Paysans di Balzac, ha il gran merito di essere un’opera completa.

  Il romanzo delta terra, c’è tutto, intiero — dalla sublime poesia dei boschi alla sanguinosa lotta fra il proprietario e il lavoratore, dalle macchiavelliche (sic) combinazioni dello strozzino campestre, alle passioni brutali del contadino imbestialito della miseria — i contadini furbi che fingono delle caccie alla lontra per farci dare la mancia, i contadini dispettosi che tagliano la corteccia degli alberi per farli morire, i contadini oziosi che passano il tempo a ubbriacarsi, i contadini onesti che si fanno assassinare per non tradire il padrone.

  C’è dentro una congiura enorme, per spogliare il signore del suo dominio, e investirne lo strozzino; e la congiura ha le sue file che partono da tutti i punti e si raggruppano intorno a un punto solo, e restringendosi a poco a poco fino alla catastrofe, formano la trama di uno dei drammi più potenti che siano nati nella mente umana.

  A questo proposito dice benissimo, in un suo recente articolo, lo Scarfoglio:

  «Con un colpo, Balzac atterrò tutte le finzioni bucoliche, georgiche, pastorali e arcadiche [...]. E Balzac stesso intese che oramai sarebbe stato inutile ammazzare dei morti, e non tornò più sull’argomento».

  Vi ritornò invece lo Zola, ma restringendolo, rimpicciolendolo, e facendone una descrizione dirò così unilaterale.


  Edouard Rod, Gli eroi del Balzac(1), «Gazzetta Letteraria», Torino, L. Roux e C.ia Editori, Anno XI, N. 28, 9 luglio 1887, p. 225.
  (1) Répertoire de la Comédie humaine de H. De Balzac, par A. Cerfbeer (sic) et J. Christophe, avec une introduction de Paul Bourget – Paris, Calmann Lévy, éditeur.


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  L’idea di compilare un repertorio della Commedia umana non è nuova; parecchi entusiasti del Balzac la coltivarono, ma nessuno ebbe la costanza di tradurla in atto. Anatolio Cerfbeer e Giulio Christophe, più perseveranti, eseguirono in comune ciò che indipendentemente l’uno dall’altro avevano ideato; pigliando note con un’assiduità esemplare e ripartendole a tempo e luogo, riescirono a concretare un dizionario biografico meraviglioso in cui i personaggi, per quanto immaginari, non sembrano meno vivi e veri. Di volume in volume, attraverso l’opera complessiva e piramidale del loro romanziere, essi raccolsero i tratti principali dei personaggi, e le proporzioni del loro lavoro indicano abbastanza che cosa sia la loro galleria; gli eroi di prima qualità vantano appena due pagine, le comparse quattro o cinque righe, e tuttavia il catalogo descrittivo non conta meno di 557 pagine in grande formato. Sfogliando il volume, il rispetto che si risente per la laboriosità dei due compilatori non è minore dell’ammirazione pel genio prodigioso a cui si deve la creazione di tutta quella umanità.
  Imperocchè la Comédie humaine sia una vera e propria creazione. Nella sua splendida prefazione, Paolo Bourget non durò fatica a dimostrare tale verità: «Balzac n’a pas eu le temps de vivre», egli osserva a proposito. «La liste de ses ouvrages, année par année, dressée par sa sœur, démontre que, depuis son entrée dans la renommée jusqu’à sa mort, il ne prit jamais le loisir de se reposer, de regarder autour de lui, d’étudier les hommes, ainsi que le firent Molière et Saint-Simon, par un contact quotidien et familier». Egli intuì, non vide e non conobbe i più vivi ed i più reali fra i suoi personaggi, li intuì per fatto di una simpatia spinta al suo apogeo e, d’altronde, da lui stesso descritta e notomizzata nel singolare racconto di Facino Cane: « … chez moi, l’observation était déjà devenue intuitive, elle pénétrait l’âme sans négliger le corps; ou, plutôt, elle saisissait si bien les détails extérieurs, qu’elle allait sur-le-champ au delà; elle me donnait la faculté de vivre de la vie de l’individu sur laquelle elle s’exerçait, en me permettant de me substituer à lui comme le Derviche des Mille et une nuit (sic) prenait le corps et l’âme des personnes sur lesquelles il prononçait certaines paroles».
  Egli inseguiva chi incontrava per la strada, operai, mendicanti, una madre coi suoi figli, due camerata, marito e moglie, ecc. ecc. Osservava attentamente e cercava cogliere al volo qualcuna delle loro parole: tanto bastava per dar la spinta alla sua immaginazione che, se così posso esprimermi, si compenetrava in loro. «En entendant ces gens, je pouvais épouser leur vie, je me sentais leurs guenilles sur le dos, je marchais les pieds dans leurs souliers percés; leurs désirs, leurs besoins, tout passait dans mon âme, ou mon âme passait dans la leur. C’était le rêve d’un homme éveillé. Je m’chauffais avec eux contre les chefs d’atelier qui les tyrannisaient, ou contre les mauvaises pratiques qui les faisaient revenir plusieurs fois sans les payer. Quitter ses habitudes, devenir un autre que soi par l’ivresse des facultés morales, et jouer ce jeux (sic) à volonté, telle était ma distraction. A quoi dois-je ce don ? Est-ce une seconde vue ? est-ce une de ces qualités dont l’abus ménerait à la folie? Je n’ai jamais recherché la cause de cette puissance ; je la possède et m’en sers, voilà tout».
  Quest’ultimo tratto, se non ci spiega nella sue interezza una figura così complessa come la figura del Balzac, ce ne rivela per lo meno uno dei lati; lo stupefaciente analizzatore, che collo sguardo penetrava nell’intimo ripostiglio delle anime altrui, anche di quelle più dissimili dalla sua, che scopriva con una chiaroveggenza straordinaria i segreti moventi dei loro atti e che leggeva nella loro mente, non ha mai scrutato se stesso, e, senza impastoiarsi in raffinatezze di pensiero, riprodusse puramente e semplicemente lo spettacolo vario ed instabile della vita quale lo rispecchiava l’anima sua. Al postutto, che serve la sola osservazione diretta? che cosa si vede della vita? Niente, o quasi niente, estrinsecazioni particolari, fenomeni non collegati tra di loro ed insufficienti a costituire un volume. I fatti non rivestono un valore e non racchiudono un significato se non in quanto la nostra mente loro li attribuisce. Donde, l’enorme importanza della misteriosa facoltà posseduta dal Balzac. Certi prestigiatori, addestrando assiduamente lo sguardo, riescono ad abbracciare con un solo colpo d’occhio un numero considerevole di oggetti racchiusi in una vetrina e ad imprimerne il ricordo nella mente per modo da poterli noverare; così, ad un dipresso, si comportava il Balzac, e se egli si fosse impuntato ad osservare con minuzia i particolari, l’uno dopo l’altro, come la generalità degli uomini o gli osservatori volgari, non avrebbe mai scritto la Comédie humaine.
  Ed è sempre in virtù di questa doppia vista che egli riescì ad infondere una vita così poderosa ne’ suoi personaggi, eziandio in quelli scaturiti interamente dalla sua fantasia. Vautrin, per fermo, non esistette mai; nel nostro secolo borghese ed incoloro, un tipo così energico sino alla ferocia è del tutto inverisimile; eppure quanta verisimiglianza non gli attribuì il suo creatore! Parimenti non esistono nella realtà anime così spoglie del corpo e viventi una vita così serafica come Luigi Lambert; eppure Luigi Lambert ci si impone e ci appassiona come se lo conoscessimo di persona, e, pel solo fatto di averlo incontrato nella Comédie humaine, non lo dimentichiamo più. – Gli è che creature simili al Vautrin ed al Lambert, per quanto chimeriche, vissero davvero nel cervello del Balzac, vi rivestirono una forma materiale e sensibile, divennero per lui più reali che non i suoi parenti ed i suoi amici. È conosciuta la sua risposta al Sandeau che, imbattutosi in lui per via, lo intrattenne della malattia della sorella: «Ebbene, ritorniamo ora alla realtà. Preoccupiamoci del matrimonio di Eugenia Grandet». Il libro della signora Surville, sorella del romanziere, è zeppo di aneddoti di tal fatta che dimostrano l’intensità delle visioni del Balzac.
  Ma se in proposito sussistesse il menomo dubbio, il «Répertoire» basterebbe a scancellarlo. A forza di particolari fitti e serrati, di segni caratteristici, di abitudini narrate per filo e per segno, di motivi arguti e profondi, il Balzac ci fa dimenticare l’origine cervellotica de’ suoi eroi; per virtù dell’arte sue di scrittore, che non appare inferiore alle sue doti di mago e di evocatore, ci trae nell’illusione da cui egli stesso è tratto, ci inganna sull’esistenza della sua galleria. Ma di fronte alla biografia de’ suoi personaggi, riassunta per sommi capi, ogni dubbio, ripeto, scompare. I personaggi sono dotati di uno stato civile perfettamente regolare; nacquero il tal giorno del tal anno nel tal luogo, si sposarono in tale età colla tale figlia del tale banchiere di nostra conoscenza, ebbero tanti figli, ecc. ecc.; tutto ciò è corretto – e chi lo contesta? – ma i tratti che segnano il succedersi degli anni ci appaiono singolarmente deficienti, le lacune si rivelano nel «Répertoire» larghe e profonde. Sotto questo aspetto si può chiedere sino a qual punto il Cerfbeer ed il Christophe abbiano reso servizio alla causa cui sono stati consacrati.
  Se non che non si esita a lungo; non è nel loro repertorio che si leggerà la Comédie humaine, e se essi ci tolgono qualche illusione, il rimedio è pronto nell’opera stessa del Balzac. Il lavoro, a cui il Cerfbeer ed il Christophe si accinsero, è un lavoro utilissimo che servirà di guida efficace a coloro i quali dell’opera complessiva del Balzac intendono fare uno studio speciale.

  Edoardo Sylvin, Come sorga e come cada il naturalismo nell’arte, «La Scena Illustrata. Periodico quindicinale di letteratura, musica e drammatica», Firenze-Roma, Anno XIII, Numero 12, 15 Giugno 1887, pp. 4-5.

  p. 5. Chi ricorse a questo mezzo [la rappresentazione delle «più laide passioni umane»] fu scrittore sperimentalista; lo Zola emulo di Balzac e di Victor Hugo, vi ricorse con maggior maestria del Flaubert, con più vigore del Gauthier (sic), dei Goucourt e di parecchi altri, e fu salutato principe degli scrittori naturalisti


  Paolo Trombetta, Donatello, Roma, Ermanno Loescher, Editore, 1887.
  p. 208. Dio – ha detto in qualche luogo Balzac – è un gran cuore di madre. Con l’affetto infinito onde accarezza i suoi putti, l’immensa e fiera anima di Donato, mostra anche in questo come il genio sia la più alta incarnazione di Dio […].

  G.[iovanni] Zannoni, Nuovo codice coniugale. «Felice benché ammogliato», «capitan Fracassa», Roma, Anno VIII, N. 212, 2 Agosto 1887, pp. 2-3.
  p. 2. Non mai autore, più ardito nel titolo, è stato più mite nel testo. Balzac impallidisce dinanzi al nostro Laureato: la sua terribile Fisiologia del matrimonio diventa un’ambra nera. Si potrebbe appena confrontare con l’opera del Michelet: lo stesso sentimentalismo eletto, lo stesso romanticismo gentile, appena appena annacquato da un poco dell’arcipotente positivismo.

Marco Stupazzoni

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