sabato 9 novembre 2013


1875




Traduzioni.

  Balzac, Appendice. Contro l’azzurro. Paradossi di Balzac, raccolti da Pessimista, «L’Arte Drammatica», Milano, Anno IV, N. 42, 28 Agosto 1875, pp. 2-3.

 

  Nel matrimonio, come in letteratura, l’arte risiede nella leggiadria delle tinte.

 

  Com’è imbecille, colui, il quale non riesce a far credere alla moglie, ciò che la lusinga!

 

  Non mentire e non dire la verità, giovarsi dello spirito capriccioso della moglie e lasciarle credere ch’ella vi domina, allora appunto che voi la stringete in un collare di ferro ... ecco il machiavellismo dei mariti.

 

  La moglie non s’irrita, ma si compiace della gelosia del marito.

 

  Le donne hanno l’istinto dell’amore, perché è tutta la loro vita e della gelosia, perché è quasi l’unico mezzo cui posseggono, per dominare gli uomini.

 

  Nutrir gelosia verso la moglie, è dubitare di sè stesso.

 

  Esser geloso, è il colmo dell’egoismo, l’amor proprio in difetto e l’irritazione d’una falsa vanità.

 

  Parlare d’amore, è far all’amore.

 

  Un amante ha tutti i pregi ed i difetti, che mancano al marito.

 

  L’amante non solo dà la vita a tutto, ma fa dimenticare la vita. Il marito invece non dà la vita a niente.

 

  Tutte le sdolcinature sentimentali della moglie fanno breccia nell’amante: là ove i mariti scrollano le spalle, gli amanti ammirano.

 

  Un marito di talento, apertamente non suppone mai, che la moglie abbia un amante.

 

  L’amante della moglie altrui obbedisce a tutti i di lei capricci e siccome un uomo non è mai ridicolo fra le braccia dell’amica, egli impiegherà per piacerle anche quei mezzi, che ripugnano al marito.

 

  L’amante insegna alla moglie tutto ciò, che il marito le ha nascosto.

 

  L’amante non parla mai alla moglie altrui, sua amica, se non di ciò che la fa insuperbire, mentre il marito (anche se l’ama) non può trattenersi dal darle certi consigli, i quali assumono aspetto di biasimo.

 

  L’amante ha sempre il desiderio di sembrar amabile. Avvi in questo sentimento un lato ridicolo, di cui il marito deve saper approfittare.

 

  L’amante non ha mai torto.

 

  L’amante è un araldo che proclama od il merito, o la beltà, o lo spirito d’una donna. Che proclama il marito?

 

  Nella moglie, l’amore è un’immensa vanità; nel suo amante, è egoismo.

 

  Trent’anni è l’età critica per la virtù delle mogli.

 

  Non avvi alcun mezzo per impedire ad una moglie, di corrispondere coll’amante.

 

  Il marito che non s’accorge quando la moglie ha scritto all’amante, o quando ne ha ricevuta risposta, è incompleto.

 

  Per un marito, sarebbe di troppo combattere contro la devozione e la galanteria: la moglie deve votare per la prima, o per la seconda.

 

  Il matrimonio, come legge, è la riproduzione della specie; come contratto, è la trasmissione della proprietà; come istituzione, è una garanzia, le cui obbligazioni interessano tutti gli uomini.

 

  La maggior parte degli uomini non hanno per iscopo nel matrimonio, se non la riproduzione o la proprietà, ma nè questa nè quella costituiscono la felicità. Domandare ad una giovanetta, che si è vista quattordici volte in quindici giorni, dell’amore, da parte della legge e della giustizia, è un’assurdità degna della maggior parte dei predestinati.

 

  L’amore è l’accordo dell’istinto col sentimento e la felicità, nel matrimonio, risulta da un perfetto accordo fra gli sposi.

 

  Dopo aver usato del beneficio della legge sociale, che consacra l’istinto, il marito deve obbedire alle leggi secrete della natura, che fanno nascere il sentimento.

 

  L’amore è la poesia dei sensi.

 

  Tutti gli uomini sentono il bisogno della riproduzione, come tutti hanno fame e sete, ma non tutti riescono a diventare amanti o gastronomi.

 

  L’amore e una scienza.

 

  Un uomo non deve prender moglie senza aver studiato l’anatomia e disseccato almeno una donna.

 

  In amore la donna è una lira, che non accorda i suoi segreti se non a colui, il quale sa farla vibrare.

 

  I piaceri sono idee materiali.

 

  Se esiste differenza di piaceri fra un momento e l’altro, l’uomo può esser sempre felice colla stessa donna.

 

  Trovare abilmente tutte le gradazioni del piacere, svilupparle, dar loro un nuovo stile, un’espressione originale, costituisce il genio dei mariti.

 

  Fra due esseri che non si amano, ciò è libertinaggio; invece le carezze a cui presiede amore, non diventano mai lascive.

 

  La moglie più casta può essere altresì la più voluttuosa.

 

  La moglie più virtuosa può, senza saperlo, essere la più indecente.

 

  Far nascere il desiderio, nutrirlo, svilupparlo, ingrandirlo, irritarlo, soddisfarlo, è tutto un poema.

 

  Il marito, che comincia dal ditirambo è un imbecille.

 

  Ciascuna notte deve avere la lista de’ suoi piaceri.



  Onorato Balzac, Appendice. Il Colonnello Chabert di Onorato Balzac, «L’Italia Centrale. Giornale di Reggio nell’Emilia ufficiale per le inserzioni degli atti giudiziari ed amministrativi», Reggio nell’Emilia, Anno XII, N. 1, 2 Gennajo 1875, pp. 1-2; N. 2, 5 Gennajo 1875, p. 1; N. 5, 12 Gennajo 1875, pp. 1-2; N. 6, 14 Gennajo 1875, pp. 1-2; N. 10, 23 Gennajo 1875, pp. 1-2, N. 14, 2 Febbrajo 1875, pp. 1-2; N. 15, 4 Febbrajo 1875, pp. 1-2, N. 16, 6 Febbrajo 1875, pp. 1-2; N. 17, 9 Febbrajo 1875, pp. 1-2.
  Cfr. scheda successiva.

  Onorato Balzac, Il Colonnello Chabert di Onorato Balzac. Traduzione dal francese [di C. F.], Reggio nell’Emilia, Tipografia di Stefano Calderini, 1875, pp. 97.[1]

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  Un volume in 8°. La sigla C. F. è presente alla fine della dedica rivolta da questo sconosciuto traduttore ad Emilia Lolli.

  Questa traduzione del romanzo balzachiano ha avuto il suo primo luogo di pubblicazione, a puntate (32 Appendici), nel periodico «L’Italia Centrale» di Reggio Emilia dal 3 settembre 1874 al 9 febbraio 1875. Vista l’assenza di riferimenti precedenti, potrebbe verosimilmente trattarsi della prima traduzione integrale dell’opera di Balzac. Essa è condotta sul testo dell’edizione Furne del 1844, ma non viene però trascritta la dedica a “Madame la Comtesse Ida de Bocarmé née du Chasteler”.

  Nonostante alcune sviste tipografiche, qualche errore di interpretazione del costrutto francese, l’omissione di alcuni brevi passi del testo di riferimento o la resa a dir poco colorita di certe espressioni balzachiane: “mordait” reso con “dava de’ denti” (p. 13); il sostantivo “bonhomme” tradotto, a poche righe di distanza, con “invalido” e con “galantuomo” (pp. 13 e 15); l’aggettivo “drôle” reso con “mariuolo” (p. 15); la frase rivolta con tono minaccioso da Godeschal a Simonnin: «Prends garde que je ne te gifle, toi», tradotta in «Guarda ch’io non ti cresimi» (p. 16), la traduzione risulta essere complessivamente fedele e corretta.


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  H. de Balzac, Pene di cuore d’una gatta inglese, in G. Sand – G. Droz – J. Janin – C. Nodier – A. Musset – J. Stahl – H. de Balzac, Gli Animali dipinti da sè medesimi. Scene della loro vita pubblica e privata. Illustrato con 64 incisioni, Milano, Tipografia Editrice Lombarda, 1875 («Biblioteca di un curioso»), pp. 97-115.[2]


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  Un volume in 8° con illustrazioni di Grandville. Per un errore tipografico, la p. 115 è indicata erroneamente con 315. Tra gli altri racconti compresi in questa silloge, segnaliamo: Viaggio d’un passero a Parigi di G. Sand; I Rammarichi d’un vecchio rospo di G. Droz; Il primo articolo critico di Pistolet di J. Janin e Storia d’un merlo bianco di A. de Musset.

  Si tratta della ripubblicazione, in volume, della versione edita l’anno precedente ne «La Varietà. Letture illustrate» (cfr. 1874).


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Studî e riferimenti critici.


  Cose di questo mondo, «Il Risorgimento. Giornale della Città e Provincia di Pisa. Amministrativo – Politico – Scientifico – Letterario», Pisa, Anno III, Num. 11, 10 Febbraio 1875, pp. 1-2.

  p. 1. «È un fatto che il tuo racconto, amico mio, ha un po’ dello strano, per quanto sembri somigliare a molti altri che accadono ogni giorno. Tuttavia siccome mi assicuri che positivamente è accaduto, lo voglio pubblicare in qualche giornale, ben inteso se sei contento. Se chi legge ci troverà del romantico e dell’inverosimile, non sarà né tua né mia colpa, ma solamente delle cose che succedono in questo mondo, le quali a quanto sembra si piccano qualche volta di offrir materia di scrivere alle penne di Balzac e di Sand, di Alessandro Manzoni e di Tommaso Grossi, i quali essendo italiani sono meno letti, e giustamente, dai connazionali, vaghi di balbettar un pardon e d’imprecare un energico goddan, salvo poi a terminare con una bestemmia tedesca, prima di sapere se amico si scrive con o senza l’acca, e …».

  “Ditta Fromont e Risler”, romanzo di Alfonso Daudet, «Museo di Famiglia», Milano, Stabilimento Tipografico-Letterario dei Fratelli Treves, Vol. III (Nuova Serie), Num. 22, 16 aprile 1875, p. 256.

  Questo nuovissimo romanzo è stato universalmente giudicato un capolavoro. Alla commozione vivissima che nasce dal racconto nuovo, interessante, pieno di peripezie; si unisce un’arte sovrana di descrizioni reali della società contemporanea in tutti gli strati. H. Taine, nel Débats, disse ch’è il più bel romanzo uscito dopo quelli di Balzac.

  Attualità, «Museo di Famiglia», Milano, Stabilimento Tipografico-Letterario dei Fratelli Treves, Vol. III (Nuova Serie), Num. 20, 20 maggio 1875, p. 310.

  Michel Lévy, celebre editore francese è m. a Parigi, in età di anni 60 circa, il 4 maggio; era nativo dell’Alsazia. […] Gli autori più celebri come Hugo, Lamartine, Janin, Guizot, Saint-Beuve (sic), Renan, Balzac, Scribe, Karr, Heine e tanti altri, che sarebbe troppo lungo ricordare, stamparono loro scritti dal Lévy.


  Pensieri e Massime, «Libertà e Lavoro. Cronaca del presente», Trieste, Anno IX, Nro. 15, 10 Agosto 1875, p. 119.

 

  L’umore ha il suo istinto; esso sa trovare la strada del cuore, come l’insetto più debole si avvia al suo fiore con una volontà irresistibile, che di nulla teme. Epperciò quando un sentimento è verace non è dubbioso il suo destino.


Balzac.



  Pisa, «Il Risorgimento. Giornale della Città e Provincia di Pisa. Amministrativo – Politico – Scientifico – Letterario», Pisa, Anno III, Num. 64, 14 Agosto 1875, pp. 2-3.
  p. 3. Come tutto è relativo! In Corsica per vendicarsi si ammazza il proprio avversario; nella nostra società civilizzata si cerca di ucciderlo con la calunnia; in campagna presso quei buoni villici che il Balzac ha immortalato e il Sardou ha messo in parodia, rare volte si uccide, spesso si calunnia, più spesso si picchian giù botte da orbi e talvolta […] si sciupano i cocomeri, i meloni, i fagiuoli al nemico per unico scopo di vendetta.


  G.[iorgio] Arcoleo, Letteratura contemporanea in Italia, «Giornale Napoletano di Filosofia e Lettere, Scienze Morali e Politiche», Napoli, presso Riccardo Marghieri di Gius. Editore, Volume Secondo, Agosto 1875, pp. 1-32; Ottobre 1875, pp. 157-193; Napoli, Stab. Tip. Perrotti, 1875.[3]

2.° Scetticismo.
  p. 24. La critica e lo scetticismo, guardatesi finora come due lati di una parentesi, minacciano stringersi in una cerchia di ferro intorno all’arte; sicchè questa può appena sorreggersi a forza di osservazioni, di analisi, di reticenze, di raffronti scientifici; donde una sterilità d’ispirazione e di fede, una rigidezza di forme, un andare guardingo come di bandito, e d’altro lato nuovi desiderii, nuovi ideali, nuovi bisogni.
  Da tal riscontro violento è surta in questo secolo una perenne contraddizione, che accusa sotto aspetti diversi lo stesso fondo scettico; ora lo scetticismo mistico di Lenau, Michelet, Quinet, Lamartine, ora lo scetticismo epicureo di Balzac e degli ultra-realisti della scuola francese; ora lo scetticismo critico di Heine, Musset, Leopardi; indirizzo psicologico che è fenomeno di una nuova fase nell’arte, perché quando il dissidio tra lo spirito e la natura, tra il concetto e il fantasma, tra la mente e il cuore sarà composto, quella lirica, forma transitoria, metterà capo a due forme complete che abbracciano tutti gli elementi del mondo moderno; la commedia e il romanzo. […].
Realismo.
  p. 28. Il realismo come scuola, surse in Francia auspicato da potenti ingegni, diversi che fossero tra loro; Balzac fu il grande realista. Egli ha tirato su alla superficie, quando stava negli ultimi strati sociali, ha studiato fin sotto ai pianterreni delle case, è disceso nei covi e nelle taverne, ha fatto la Commedia umana, come altri avea fatta un tempo la divina; ma spesso dietro la macchinetta vedi il filosofo e il naturalista, che va incarnando nei diversi personaggi tutto un sistema prestabilito di esperienze e d’idee.
Forme letterarie.
  p. 166. In Italia, dopo il capolavoro del Manzoni e la sua scuola, si volle tentare altra via: i romanzi di oltremonte ci allagavano; era l’epoca delle nuove speranze nazionali; si volea far della politica anche sull’arte. Surse allora una forma parassita di romanzo, in cui c’era una miscela di Balzac e di Dumas, di Karr e di Kock, scritti con una specie di gergo sibillino e singhiozzato, come di chi congiura; sparsi qua e là di osservazioni filosofiche, storiche, politiche, sopra un fondo di avventure private, intrecci antesi coi pubblici avenimenti; eroi tra il 1848 ed il 60; la guardia civica che assume la camicia rossa; preti che si fanno tribuni, monache innamorate; amazzoni dubbiose tra la gonna e i calzoni; donde scene inaspettate e inverosimili, caratteri scolpito con l’accetta, quali li producono le sommosse popolari, fatte coi bravo e gli abbasso. Li chiamarono romanzi sociali, e v’era la nostra società studiata nei libri francesi, come poi facemmo i filosofi e gli umoristici, a somiglianza dei tedeschi e degl’inglesi.


  Arnaldo degli Arnaldi, Balzac e la “haute volée” milanese, «L’Anno passato. Almanacco indipendente», Milano, Natale Battezzati Editore, Anno II, 1875, pp. 41-42.

 

  Anche il Dickens fu dagli stessi inglesi appuntato di over-observation; e il Balzac che prestava delle attenzioni alle poltrone ed ai cortinaggi, peccò più che altri in questa pretesa di voler scorgere troppo addentro nelle minime cose. Ed ora che ho nominato l’autore di Eugenia Grandet, non voglio lasciarmi indietro un aneddoto che lo concerne, e che udii narrare caldo caldo una trentina d’anni fa.

  La voga di Balzac era allora al suo zenith. Tradotti sto per dire prima che venissero a stampa, i suoi romanzi psico-clinici facevano le delizie delle signore di Milano. Le quali non s’incontravano senza chiedersi delle impressioni ricevute dalla Peau de Chagrin, dal Père Goriot, dal Lys dans la Vallée, dalla Physiologie du Mariage etc.

  Erasi nel parossismo dell’entusiasmo quando, apriti o cielo! un bel giorno del 1837, Onorato Balzac cade a Milano come una bomba. Figuriamoci la sensazione prodotta dalla sua venuta su le belle leggitrici aristocratiche, e l’impegno che fecero pour se l’arracher, e poter attingere alla viva fonte di tante peregrine cose! Una sera che il gran romanziere stava alla Scala nel palco della contessa B..., questa tra un atto e l’altro fissandolo in volto (Balzac era di una bella bruttezza) come per preparare una domanda indiscreta, gli dice: «Pardonnez-moi M. De Balzac: avez-vous reellement éprouvé tous ces sentiments délicats et profonds que vous analisez si bien? — Balzac fa un po’ di pausa, poi secco secco rispondo: — «Madame, je n’écris que pour gagner de l’argent».

  La contessa si morse le labbia e si volse a udir la Norma.


  Cletto Arrighi, Il Teatro milanese (dal Giornale della mia vita). Un’idea. 2 gennaio 1875, in AA.VV., Strenna-Album della Associazione della Stampa Periodica in Italia. Pubblicata per cura della Commissione esecutiva per l’aumento del patrimonio sociale (Seconda edizione), Roma, Forzani e C., Tipografi del Senato, 1881, pp. 146-147.

  Voglio che il Filippi ripeta quello che ha scritto l’altro giorno nella Perseveranza a proposito della messa in scena del Nodar e Peruchèe [di Maggi]:
  «In questa come nelle altre commedie date al Milanese è ammirabile l’accuratezza della messa in scena. Nel Nodar e Peruchèe essa è spinta fino allo scrupolo. Alla bottega da parrucchiere del primo atto non manca proprio niente; basterebbe trasportare la roba che è sul palcoscenico in una bottega qualunque per avere bella e allestita una vera bottega da parrucchiere. – Se Balzac fosse stato impresario non avrebbe fatto più di lui».

  A. B., Bibliografia. “La Figlia del Re”, racconto di Medoro Savini. Firenze, 1875, «L’Italia Centrale. Giornale di Reggio nell’Emilia ufficiale per le inserzioni degli atti giudiziari ed amministrativi», Reggio nell’Emilia, Anno XII, N. 16, 6 Febbrajo 1875, p. 3.

   L’intreccio è semplice, forse troppo semplice, ma ciò poco ne importerebbe ed anzi potrebbe divenire un pregio quando invece d’un succedersi vertiginoso di fatti e di persone si trovasse nel libro quell’analisi delle passioni e degli affetti del nostro cuore, sana, giudiziosa e piena di vita che ci rende più cari i racconti del Balzac, del Souvestre, dell’Auerbac, del Barrili e del Verga dei romanzi di Dumas e di Ponson du Terail (sic).


 E. B., Appendice. La Donna. Il male che si è detto della Donna. IX, «Gazzetta Ferrarese. Gazzetta officiale per gli Atti Amministrativi e Giudiziari della Provincia di Ferrara», Ferrara, Anno XXVIII, N. 214, 15 Settembre 1875, pp. 1-2.

 

 p. 1. Altrove [la signora Girardin] osserva:

 «Eh! mio Dio! ma che forse il sig. di Balzac ne ha colpa, se l'età di trent’anni è oggi l’età dell’amore? Il signor di Balzac, volere e non volere, è costretto di andar a cercare la passione dove la trova, ed è ben sicuro che non la potrà ritrovare in un cuore di sedici anni. In altri tempi una giovane si faceva rapire da un moschettiere; essa fuggiva dal convento dando la scalata al muro, e i romanzi di quell’epoca riboccano di conventi, di moschettieri, di scale e di rapimenti. [...].

 Voi parlate degli autori antichi; essi dipingono il loro tempo: lasciate che il signor di Balzac dipinga il nostro. [...].

 Il signor di Balzac ha dunque ragione di cercare la passione là dove può trovarla, vale a dire fuori di tempo».


  Giacomo Barzellotti, La Rivoluzione e la letteratura in Italia avanti e dopo gli anni 1848 e 1849, Firenze, coi tipi dei Successori Le Monnier, 1875.

  pp. 48-49. Ma in tutti gli altri campi della letteratura amena la vena inventiva e l’attività dello scrivere corrono molto più scarse; scarsissime e appena, si può dire, visibili nel romanzo, in cui la nostra povertà, ormai tradizionale, non dà segno per ora di voler punto scemare. Anche su questo argomento io lascio volentieri la parola al critico valoroso che deve trattarne; e noto soltanto che mentre a far rinascere (almeno quanto all’effetto scenico e alla naturalezza dei caratteri) la nostra commedia, poteva bastare l’istinto drammatico del popolo e la sua passione pel conversare, a far nascere il romanzo, o a tenerlo degnamente nella via che gli aveva mostrato il Manzoni, era necessaria un’altra condizione: quell’abito profondo e fino dell’osservazione psicologica, che è sempre il resultato di un moto potente delle scienze morali, e che ha dato alla Francia il Rousseau, il Diderot e il Balzac, e fa dell’Inghilterra (la cui letteratura e la scienza sono state sempre intimamente psicologiche) il paese più ricco anche oggi di buoni e bei romanzi.

  Vittorio Bersezio, Appendice. Rivista bibliografica. “Tigre Reale”, di G. Verga (Milano, tip. editrice G. Brigola, 1875), «Gazzetta Piemontese», Anno IX, Num. 176, 28 Giugno 1875, pp. 1-2.

  p. 2. Ahimè! La maliarda riesce nell’iniquo intento: l’antico fascino ha effetto di nuovo sull’incanto angelico; si lascia attirare, dimentica la moglie sofferente, il figliuolino infermo e minacciato da estremo pericolo, per accorrere ad una notte di funebre voluttà dove s’accoppiano alla Dame aux camélias il Giglio della valle (sic) di Balzac e la Fosca di Tarchetti, in un terribile scoppio di sensualismo morboso, in cui la nuda femina, già quasi avvolta dal sudario del sepolcro, si arrabatta e spasima nelle più empie voluttà della colpa.

   Bibliofilo [Emilio Treves], Attraverso libri e giornali, «L’Illustrazione Universale. Rivista italiana», Milano, Anno II, N. 14 e 15, 17 gennaio 1875, pp. 115-118.

  pp. 117-118. La Conquête de Plassans è la storia di un prete che conquista una città. Poco verosimile, per noi, è pei francesi del realismo più puro. Qui il Zola vi pare un Balzac redivivo; tanto è fedele e miniata la pittura delle città di provincia. Egli fa manovrare un centinaio di personaggi così, che chiuso il volume li sogna ancora. Son tutti vivi. […].
  A proposito di Fromont jeune et Risler aîné di A. Daudet, si osserva che:
  L’autore fa piangere e fa ridere a sua volontà. Se Zola ricorda Balzac, qui Daudet ha del Dickens, è meno prolisso.

   Bibliofilo [Emilio Treves], Note letterarie, «L’Illustrazione Italiana», Milano- Roma, Anno III, N. 2, 7 Novembre 1875, pp. 23 e 26.

  p. 23. Salvatore Farina è uno dei novellieri più amabili del nostro paese. Ogni suo nuovo scritto è un progresso nell’arte, e gli aumenta il favore del pubblico. Amor bendato è tradotto in tedesco; le sue tre novelle pubblicate testè sotto il titolo: Un tiranno ai bagni di mare (Milano, Brigola) sono graziosissime; di Capelli biondi si dice già un gran bene da chi l’ha letta in appendice. Evidentemente, egli segue la scuola del Dickens, come Verga quella di Balzac: ma paragonarli ai maestri, è un’esagerazione. In quei maestroni v’è la grandezza, non solo dei particolari, ma anco dell’invenzione; ammirabili nell’impasto, nella fusione dei colori, nelle scene intime, nei caratteri, lo sono ugualmente nell’intrecciare il soggetto, nello stendere la tela, nel tener sospeso l’interesse. Ciò che forma la decadenza del romanzo, – parlo in generale, – è che gli scrittori del giorno sono, parte mestieranti che fanno delle grandi macchine e parte artisti che lavorano di bei bozzetti. I maestri sapevano fare le due cose insieme. Nella necessità di scegliere, io preferisco i secondi; disgraziatamente il pubblico grosso corre ai primi e dà la palma a Ponson du Terrail.

  Felice Calvi, Il Patriziato milanese secondo nuovi documenti deposti negli Archivi pubblici e privati di Felice Calvi. Seconda edizione, Milano, presso Andrea Mosconi Libraio, s. d. [ma 1875].

  p. 15. Cfr. 1874.

  Eugenio Camerini, I Bardi o la Tregenda di Merlino la notte del 19 marzo 1865, in Nuovi Profili letterari di Eugenio Camerini. Volume I. Parte straniera, Milano, N. Battezzati e B. Saldini coeditori, 1875 («Biblioteca contemporanea», III), pp. 85-119.

  p. 104. E di nuovo mi si velava l’occhio, e nel dormi veglia mi appariva la fontana di Merlino, co’ suoi begli intagli descritti dall’Ariosto, ma avvicinandomi per meglio vederli, la confusione delle rimembranze mi tramutava le imagini guerresche in guazzabugli letterari. Da una parte mi pareva veder la caldaia di Macbeth, e intorno ad essa, non le streghe, ma strani diavoli, che stracciavan libri e ne gettavano i brani dentro a bollire. Anzi i libri prendendo figura de’ loro scrittori, mi pareva che l’uno lacerasse Ciullo d’Alcamo e Heine, l’altro Prati e Victor Hugo, un terzo mettesse insieme i trucioli di Balzac e della Sand, e i frammenti di Ugo Foscolo.

Carlo Dickens, pp. 129-154.

  p. 130. Il gran romanziere, la cui morte aggiunge una tenerezza di più a tutte quelle che la sua potenza nel patetico ci ha lasciate nell’anima, rappresentò al vivo le durezze della legge e le fallacie della filantropia inglese, e la sua Commedia umana è un eloquente comentario del Sermone della Montagna.

  Eugenio Camerini, Romanzieri e poeti. Massimo D’Azeglio, in Nuovi Profili letterari di Eugenio Camerini. Vol. II. Parte italiana, Milano, presso Natale Battezzati e B. Saldini coeditori, 1875 («Biblioteca contemporanea», volume IV), pp. 33-87.

  p. 85. Niuno ammira più di noi quell’ingegno sovrano che dalla Battaglia di Benevento al Pasquale Paoli ha corso per tutti i generi e le forme dello scrivere; ora emulando l’altezza lirica o la passione di Byron, ora vincendo le strazianti anatomie psicologiche di Balzac, ora fantasticando come Hoffmann o mordendo come Heine.

Giovanni Prati, pp. 155-166.

  p. 164. Riguardando poi a’ suoi sparsi lavori, e vedendoli esprimere i maggiori momenti dell’intelligenza e del progresso moderno s’invoglia di farne un tutto; così il Balzac dei suoi stupendi romanzi volle fare la Comédie humaine: così Lamartine e il Prati de’ loro episodj il poema di Dio e l’Umanità.

Poligrafi. Emiliani Giudici1, pp. 226-240.

  1 Prefazione alla seconda edizione del Compendio di Storia della Letteratura italiana di Paolo Emiliani Giudici (Milano, Guigoni, 1861) firmata Carlo Téoli.
  pp. 237-238. Una nuova gloria dell’Italia, gloria che può dirsi un’espansione della sua vecchia gloria nel novellare, avrebbe toccato il Giudici: i Promessi Sposi e il Marco Visconti, i romanzi dell’Azeglio e del Guerrazzi avrebbero ottenuto i primi onori nel convito imbandito da lui. Il Manzoni ha fatto un solo romanzo, e Walter Scott, Balzac, la Sand le serque. […].
  Del Guerrazzi non si può dir tanto che basti. Fecondo some (sic) Balzac e più variato di lui, egli va dal lirismo byroniano della Battaglia di Benevento al fantastico di Fides, dall’umoristico del Moscone e del Buco nel Muro all’austerità storica del Pasquale Paoli.

  F.[elice] Cameroni, Appendice. Rassegna bibliografica. Emile Zola – “Les Rougon-Macquart”. (5 vol.) – Nouveaux contes à Ninon, (1 vol.) – Paris, Charpentier, «Il Sole. Giornale quotidiano, commerciale-agricolo-industriale», Milano, Anno XII, N. 89, 16 Aprile 1875, pp. 1-2.
  p. 1. Non si meravigli il lettore, se ancora una volta, anzi più diffusamente che in ogni altra appendice, insisto nel raccomandargli, come un’opera della massima importanza letteraria e sociale, Les Rougon-Macquart di Emilio Zola. A mio avviso, la Storia naturale e fisiologica d’una famiglia sotto il secondo impero, costituita (finora) da cinque romanzi, distinti l’uno dall’altro riguardo lo svolgimento, ma collegati tra loro dal concetto fondamentale, può considerarsi il capolavoro realista della letteratura contemporanea, sicchè non esiterei a collocarlo, subito dopo la Comédie humaine di Balzac. Questo, che a me sembra il più grande fra gli elogi, cui si possa dirigere ad un romanziere, lo arrischio senza perplessità, tanto più vedendo lo Zola combattuto con tutte le armi (non escluse le scortesi), cincischiato dalla coalizione dei pedanti cogli ipocriti, dei sistematici avversari d’ogni arditezza cogli eterni panegiristi di tutte le anticaglie dell’arte. […].
  Siccome Balzac colla Commedia Umana, Sue coi Misteri del Popolo, Rovani coi Cento Anni, così lo Zola raggruppa in un solo intendimento veri romanzi e per mezzo dei membri d’una famiglia, ci delinea l’intiera società […].
  V’ha nello Zola il magistero delle descrizioni Manzoniane congiunto alla magica fantasia di Sue nell’ideare scene dramatiche, – l’uso … e talvolta l’abuso … di V. Hugo nel contrapporre tinte affatto diverse – ed uno studio sì minuto d’ogni lieve manifestazione del così detto animo umano, da emulare Balzac. […].
  E tutto ciò senza, enfasi, senza declamazione, senza rettorica; Balzac doublé par Gautier. Non è il settario che fa delle tirate contro Badinguet ed i suoi, ma l’osservatore che coglie la verità sul fatto.

  Felice Cameroni, Il repertorio della Compagnia Francese, «L’Arte Drammatica», Milano, Anno IV, N. 23, 17 Aprile 1875, pp. 1-2.
  p. 1. [Sui Samedis de Madame di Labiche e Durn]. È la biblica storia del frutto proibito, riprodotta colle varianti, richieste dalla odierna vita sociale. È un capitolo della Fisiologia di Balzac, la continuazione della Visite de noces e della Petite Marquise, l’arguta dimostrazione dell’assioma: L’amore è la donna d’altri.
[…]
  10 aprile. – Fleur de Satan di Petruccelli della Gattina […] fa plauso alle pagine più arrischiate del romanzo contemporaneo, alle scene più ardite del nostro e del teatro francese, a Balzac ed agli scrittori della «Vie parisienne», a Verga ed a Fantasio, a quelle novelle ed a quelle commedie, le quali destano lo scandalo nei puritani.

  Felice Cameroni, Emilio Zola e Gustavo Droz. Teatri e libri. Cronaca letteraria, «L’Arte Drammatica», Milano, Anno IV, N. 46, 25 Settembre 1875, pp. 2-3.

  p. 2. Nell’autore della Thérèse Raquin, della Curée e del Ventre de Paris avvi (già tentai di provarlo) il successore di Balzac, non senza manierismo nella patologia sociale, ma con tale ricchezza di tinte da avvicinarsi a Gautier. […]
  Da una parte, un romanziere-fisiologo, che continua coi Rougon-Macquart il colossale capolavoro di Balzac La Commedia umana; dall’altra, uno scrittore, che occupa co’ suoi schizzi (tutta eleganza e verità) un posto speciale tra il romanziere e l’umorista.

  F.[elice] Cameroni, Appendice. Rassegna bibliografica. Emilio Zola e Gustavo Droz (Parigi, Charpentier – Parigi, Hetzel), «Il Sole. Giornale quotidiano, commerciale-agricolo-industriale», Milano, Anno XII, N. 227, 29 Settembre 1875, pp. 1-2.

  Cfr. scheda precedente.

  Lodovico Cobianchi, Histoire du roman français et utilité et péril de la lecture des romans, Bologne, Typographie de Jacques Monti, 1875, pp. 36-37, 43-45.[4]
  Parler de Balzac, d’Eugène Sue, de George Sand, des Dumas, de Paul de Kock, de Victor Hugo, c’est parler de toute une bibliothèque de romans, de peintures de mœurs et d’impressions artistiques.
  Si la lecture exclusive de cette sorte de livres est et sera un fait déplorable, qu’on peut signaler sans pédantisme, cette même lecture faite avec choix et mesure, peut être justifiée, parce qu’elle correspond à un besoin de la condition sociale moderne. […].
  La Comédie humaine d’Honoré de Balzac est une collection de cent volumes de romans, qui commencent à se couvrir de l’honorable poussière des bibliothèques. Trois ou quatre seuls, en qualité de chefs-d’œuvre, échappent encore à la triste fin de presque tous les livres. Ce sont : Eugène (sic) Grandet, le Père Goriot, Le Lis de la Vallée (sic), le Médecin de Campagne. [il corsivo è nostro].
  G. Arnaud a fait observer très-judicieusement que dans les œuvres de Balzac, la soif d’investigation est poussée jusqu’aux procédés diniques (sic); le style est excessivement élaboré et plein de néologisme (sic) ; les effets trop recherchés dans les accessoires et dans les particularités. Avec un grand apparat de protase, presque tous ses romans finissent à queue de poisson. Ou (sic ; lege : On) y aperçoit cependant un grand talent inventif, très-habile a (sic) dresser l’inventaire des maux de l’humanité.
  Certes, Balzac est un peintre fidèle des mœurs de notre temps : il analyse les passions et les sentiments du cœur avec une rare observation ; mais il ne recule devant aucun tableau, et se plait dans les peintures les plus sensuelles, sans même s’arrêter devant les répugnances de la pudeur. La lecture de ses ouvrages ne peut que relâcher le sens morale (sic) et pervertir à la fois le cœur et l’imagination. On peut citer comme exception le roman Eugène Grandet. En général les romans de cet écrivain très remarquable d’ailleurs, vous font le même effet des œuvres de Byron ; après les avoir lues vous vous sentez comme poussé à des mouvements de haine contre la race humaine.

  Luigia Codemo di Gerstenbrand, Capitolo XIV. Una primavera a Napoli – Puoti – La Guaci a Capodimonte – Roma – Classici e romantici, in Pagine famigliari artistiche cittadine (1750-1850), Venezia, Tipografia del Commercio di Marco Visentini, 1875, pp. 287-300.
  pp. 297-298. Ed è appunto per ciò che più di tutti mi è rimasto impresso il professor Betti, il quale, a udir quei versi, quasi andò in accidente, e agitava le braccia come chi affoga, accennandomi di tacere … Già non ne volea sapere né di Dumas, né di Balzac, li teneva per grulli e peggio: l’autore di questo ponte che s’inarca gli parve l’anticristo alla prima: e la similitudine della vita un segnale della forza del mondo, profetate dalle Scritture.

  Cap. XIX. Genova – Cose intime – Pio IX – La Villetta di Negro – Cenacolo aereo al Bisagno – Primi moti – “O butin!” – Inaugurazione del “Lombardo” – Un pranzo a Pegli tra il diavolo e i fiori, pp. 383-404.

  pp. 391-392. Di Balzac, della Sand si ricordavano gli ospiti fedeli di quel piccolo eliso: e diceano che questa ci stette senza aprir bocca, fumando e guardando superbamente in giro. Che fumasse non vi è niente da opporre, chè la padrona di casa, marchesa Fanny, tanto la era alla buona, dava ella l’esempio, tenendo il suo bravo zigaro in bocca, colla massima disinvoltura.

  Cap. XXVII. Seguita la vita di Parigi – Dumas padre e Dumas figlio – Veglie – Colonia italiana – un “vaudeville” in azione – Riflessioni, pp. 535-570.

  p. 540. Una lode io devo fare a Dumas; lode comune in generale ai Francesi. Ed è che son giusti, magnanimi per la gloria dei loro fratelli. L’invidia l’avranno anche loro perché son uomini e donne, soggetti dunque alle umane passioni; ma e’ non ci pare. Come Dumas si espresse a proposito della Sand! … - Ella ha raccolte tutte le perle del Berry – esclamò egli, con vera ammirazione ed amicizia – la è il primo poeta della Francia – e coll’istessa schietta stima il figlio esaltava Balzac. Eppure il pubblico li potea credere antagonisti!

  Domenico Di Bernardo, Appendice. Alcuni Articoli sull’Inghilterra, la Francia e la Germania. IV, in Il divorzio considerato nella teoria e nella pratica, Palermo, Tipografia Antonio Natale, 1875, pp. 799-807.

  p. 800. Quali sono i moventi dell’arte e della letteratura francese? La guadagnerai, la sete e l’ingordigia di ignobili piaceri; almeno così assicurano M. J. Meyer […] e J. Schmidt […].
  Questo signor Giuliano Schmidt inveisce contro lo spirito mercantile degli scrittori francesi, e facendo d’ogni erba fascio lancia le sue punture contro Giorgio Sand, contro Balzac e contro chi ci capita fra le ugne. […].
  p. 802. Quanto a Balzac, il Kreyzig freddamente dice ch’egli deve il suo successo ai favori dei parigini, ma che non iscrive da artista (Er schreibt nicht als Künstler, l. c., pag. 334).

  Cesare Donati, Foglie secche. Racconti. La tabacchiera del nonno. La gegia del ponte. Novelle. Una gamba rotta.--Un Figaro.--Il disertore.--Annella di Rosa. Racconti, Firenze, Successori Le Monnier, 1875.

Capitolo XVIII. Speranze deluse.

  p. 196. Finalmente, per mia industria, cadde il proposito sulla letteratura in genere, e sui romanzi in ispecie. Ella mi portò a cielo: i Miserabili di Victor Hugo, e fece l’apoteosi del Dumas, del Sue, del Balzac, e di altri molti che nella Francia odierna fanno spesso spesso coi loro libri girar il capo alle fanciulle e ai giovani di primo pelo. Io non so quale demonio nemico mi spingesse a metter innanzi i romanzieri italiani.

  Al. Dus., Varietà, «Il Risorgimento. Giornale della Città e Provincia di Pisa. Amministrativo – Politico – Scientifico – Letterario», Pisa, Anno III, Num. 49, 19 Giugno 1875, p. 3.

  Tempo addietro, ogni bambino, capisse o no quello che s’intende per letteratura ed arte, scriveva la sua brava tragedia. Ora le cose sono cambiate e ciascun giovane che s’immagina d’essere uno scrittore pensa e cava il suo romanzo.
***
  Nello stesso modo che il gran Federico è stato buttato giù da Napoleone I Balzac aspetta il Napoleone che dovrà vincerlo. Agguagliarlo non basta; chi diventasse uguale a lui sarebbe sempre un suo inferiore. […].
  Secondo Balzac tre soli scrittori francesi contemporanei sapevano la loro lingua: Victor Hugo, Teofilo Gautier e lo stesso Balzac. Il quale assicurava che Lamartine non sapeva il francese. […].
  Balzac aveva in orrore la critica stipendiata dei giornali.
  Gli seccava che con un colpo di penna si potesse abbattere un libro che egli aveva impiegato più mesi a scrivere.

  Edmondo, A zonzo, «Il Risorgimento. Giornale della Città e Provincia di Pisa. Amministrativo – Politico – Scientifico – Letterario», Pisa, Anno III, Num. 83, 20 Ottobre 1875, p. 3.

  Ed io, ripresa la mia strada, me ne torno a casa.
  Leggerò di nuovo. Ho due libri: La Recherche de l’Absolu di Balzac e Le roman de la momie di Gautier: quale scegliere?
  Certo, io preferisco Balzac, ma le sue ricerche e le sue trovate di scrittore nervoso oggi, coi nervi che ho, non mi si confanno; leggerò il libro di Gautier, lo scrittore quieto per eccellenza, che non si riscalda, non si appassiona mai e il quale, a somiglianza di Goethe, si estrae sempre dalle cose che descrive.

  Giovanni Faldella, High life contadina, in Figurine, Milano, Tipografia Editrice Lombarda, 1875.
  p. 70. Incomincia la mazurca soave, in tre tempi, che sono tre pensieri, uno per il ganzo, l’altro per la ganza e il terzo in cui si congiungono tutti e due. Andiamo a veder girare dolcemente quelle teste zeppe di capelli, che descrivono dei bellissimi cerchi, delle carissime parabole ed ellissi orizzontali. Chi l’avrebbe detto: Ernestino così leggiadro, così screziato, così dipinto, essere figlio di suo padre? suo padre, il vecchio maestro del villaggio, con le falde della giubba bislacche e lunghe, che toccavano terra, che avrebbe creduto peccato mortale il non rabbuffare i peli del suo vecchio cappello a tuba, il portare solini di cotone inamidati e staccati dalla camicia invece delle antiche e immense gorgiere floscie di tela di lino ...? Eppure le movenze, il colore dei capegli, quella ruga, quel canaletto sotto l’occipite sono di suo padre, ma ingentiliti, ammorbiditi, infiorati dalla civiltà dei nuovi tempi. Ora come accivetta bene il collo Ernestino, il figlio del lurido e sciamannato maestro del villaggio! Come torce il suo busto! Come inclina con grazia da Satana il suo capettino verso l’orecchia della sua danzatrice! Chi sa che cosa le dice? Chi sa, se ciò che egli le susurra lo hanno detto o lo hanno immaginato i più appassionati scrittori d’amore, Longo Sofista che ne scrisse con tanta semplicità, Dante che scrisse con tanto intelletto, Balzac che scrisse con tanta vigoria e consumo di muscoli? Forse Ernestino bisbiglierà delle cose chete e piane, forse dirà, che quando egli ha dei crucci non fa altro che passare avanti la bottega di lei (che è merciaiuola) ed i suoi crucci svaniscono.

  Fantasio [Ferdinando Martini], Appendice. Una attrice, «Fanfulla», Roma, Anno VI, Num. 89, 2 Aprile 1875, p. 2; «La Provincia di Pisa. Giornale politico», Pisa, Anno X, Num. 29, 11 Aprile 1875, pp. 1-2.


  Su Aimée-Olympe Desclée.

  p. 2. Una delle caratteristiche dei grandi artisti è la fede intiera, ingenua, costante nell’esistenza delle loro fantastiche creature. Il Balzac, al capezzale di morte, nella pienezza delle proprie facoltà, diceva a sua sorella: «Se non mi cura il dottor Bianchon, sono un uomo spacciato».
  Il dottor Bianchon, un personaggio di non so quale de’ suoi romanzi! […].
  Poeti, romanzieri e attori, che monta? Bisogna vivere e morire per lei [la Musa]. Ho citato il Balzac e il Talma, che, un’ora avanti di spirare vedendosi nello specchio, emaciato, livido, esclamava: - Peccato aver questa faccia e non poter recitare il Tiberio!

  Salvatore Farina, Carlo Dickens, «Le Serate italiane. Raccolta italiana di letture per le famiglie», Firenze, Anno II, Volume II, N. 54, 10 gennaio 1875, p. 18.[5]

  Cfr. 1872 in «Rivista Minima».
  Dickens è, a mio avviso, il romanziere più compiuto e vero che abbia esistito, quello che ha inteso meglio il suo uffizio, e che ha saputo far convergere tutte le forze dell’ingegno ad un intento. Non cercate altri nomi da porgli a lato; non ne trovereste. […].
  Balzac, che lesse nel cuore dei suoi simili come in un libro aperto, che corse e misurò palmo a palmo tutte le fasi e tutti gli aspetti della vita, ha un sorriso troppo amaro sulle labbra, e un cinismo troppo saldo nel cuore; la sua scienza è minuziosa e fedele come quella dell’anatomico, ma del pari spietata e sconfortante; vi mostra la verità tutta nuda, ma vi fa portare il lutto delle ultime illusioni; non vi fa del bene se non a patto di farvi del male. […].
  Dickens […] ha la fantasia di Victor Hugo, l’occhio d’aquila di Balzac e sa muovere le pedine del suo scacchiere non meno abilmente di Walter Scott […].

  Filippi, Il romanzo realistico in Francia e in Italia. G. Verga. “Tigre Reale”. – Milano, Libreria editrice G. Brigola, «La Perseveranza», Milano, Anno XVII, 28 Giugno 1875, pp. 1-2.

  p. 1. Onorato De Balzac è il padre legittimo del romanzo francese; Alessandro Manzoni lo è dell’italiano. Il primo ebbe imitatori in maggior copia del secondo, e la ragione è ovvia quando si consideri la radicale differenza dei due ingegni. Il Manzoni spazia in un ideale così elevato da scoraggiare qualunque coraggioso imitatore: il suo libro aggiunge ai pregi dell’invenzione e dell’osservazione una tale perfezione di forma, di stile, di lingua, da non lasciar campo che all’ammirazione; l’imitazione diventa impotente, compassionevole.
  A Balzac era più facile formare una scuola e trovare imitatori, più o meno fortunati: appigliatosi al reale nelle sue inesorabili apparenze, improvvisò i suoi numerosi romanzi in uno stile nel suo genere meraviglioso, in armonia colle cose narrate e descritte, coi personaggi, non già creati poeticamente ed idealmente, ma osservati, studiati, tolti dal vero. Egli ebbe una fortuna da aggiungere alla sua potenza di osservazione e di descrizione; quella di vivere in un’epoca di transizione, nella quale la commedia umana era in uno stato di gestazione da cui doveva escire la società moderna. La società francese conservava allora ancora vivi tutti gli elementi dei passati regimi, e nello stesso tempo covava, in germe, tutte le rivoluzioni posteriori alla Ristorazione: assiso in mezzo a questi due grandi periodi storici, Balzac fu pittore del passato e dell’avvenire, e in quest’ultimo senso fu il vero precursore del realismo moderno, che differisce dal suo, come le pécheresses d’Arséne (sic) Houssaye differiscono dalle cortigiane della Comédie humaine. Balzac, col suo realismo, abbracciava tutto l’ambiente sociale: nei suoi romanzi c’è il bello ed il brutto, il buono, il turpe; nei suoi tipi sono incarnati dei vizi, ma anche delle virtù. Il realismo moderno, che pretende di seguire le orme di Balzac, non cerca che il lato frivolo, malsano della vita umana; il realismo di Balzac era generale, il moderno è particolare. L’autore del Père Goriot colpiva tutte le debolezze, ritraeva tutti i partiti, tutte le condizioni sociali, delineava qualunque carattere, purchè tipico, comico o drammatico. Nel vasto pandemonio dei suoi romanzi s’incontrano realisti, repubblicani, bonapartisti, liberali, ufficiali à demi solde, borghesi, aristocratici, fornitori arricchiti, cortigiane, pinzochere, dame d’alto lignaggio e crestaie. Il realismo moderno, dappertutto, ma in Francia specialmente, è ristretto, limitato, unilaterale; nella donna non vede che la cortigiana, nella famiglia l’adulterio, nell’amore la venalità, il capriccio e quasi sempre la passione fisica, cioè il possesso, e quasi mai l’affetto.
  Di questa scuola sono lo Zola, l’Houssaye, Feydeau, Flaubert colla Bovary, Barbey d’Aurevilly ed altri ancora. Uno dei pochi che può degnamente far riscontro al Balzac è il Daudet col suo bellissimo recente romanzo, Fromont jeune et Rister aîné, pittura fedele della commedia umana odierna, ma impernato anch’esso sul tema dell’adulterio.
  Non metto la Sand nel numero dei realisti, perché la Sand è anzitutto un insigne scrittore ed un romanziere tutto individuale, che non potrà avere imitatori. Nel campo dell’osservazione materiale, minuta delle cose, lo Zola si è annunziato splendidamente come un legittimo successore di Balzac; i risultati posteriori non corrisposero più alle splendide promesse.


  Luigi Gualdo, Costanza Gerardi. Seconda edizione, Milano, Fratelli Treves, Editori, 1875.

 

  p. 34. Il conte d’ Alviano era modello di quei mariti che Balzac battezza col nome di predestinati.


  Paolo Lioy, LVIII. [La sessualità nel regno vegetale. – La diocità. – I fiori], in Sulla legge di produzione dei sessi. Saggio di Paolo Lioy. Seconda edizione coll’aggiunta di una lettera al signor Marsh sul lato destro e sinistro, Milano, Fratelli Treves, Editori, 1875, pp. 229-232.

  Cfr. 1872.

  Cesare Lombroso, Antropologia. – Letteratura dei delinquenti – Nota del S. C. professore Cesare Lombroso, «Reale Istituto Lombardo di Scienze e Lettere. Rendiconti», Milano, Napoli, Pisa, Ulrico Hoepli, Serie II, Vol. VIII, Fasc. I. Adunanza ordinaria del 7 gennajo 1875, pp. 21-31.

  p. 31. Non si può recisamente affermare, che questi grandi abbiano potuto inquinare la purezza dell’arte colle brutture dell’animo loro. Dai bassi fondi del mondo che adopera il gergo, dall’infame gora dei bagni, alla vetta della repubblica letteraria, v’è sempre un abisso, specialmente in Italia, che si pregia forse più di tutte le nazioni d’Europa per castità nelle lettere e nelle belle arti. Solo in Francia, per opera di Balzac, di V. Hugo, poi di Dumas, di Sue, di Gaboriau, e di rimbalzo di poi in Inghilterra, va penetrando il triste miasma del bagno e del meretricio, suo degno congiunto, per entro alla letteratura: – ma è questo un fenomeno isolato, forse eccezionale, dipendente dalle continue rivoluzioni di quella terra, che ne sconvolsero e ne fecero ripullulare gli infimi strati; né credo sarà duraturo, poiché il vano solletico, il sapore acre e nuovo, provocato da quelle brutture, deve ceder presto il passo al ribrezzo che all’ultimo lascia negli animi anche meno scrupolosi. In ogni tempo l’arte amò poggiare in regioni pure e serene, e tanto più quanto men l’erano quelle che le spiravano intorno.

  Mauro Macchi, I romanzi di A. G. Barrili, in Annuario istorico italiano in continuazione dell’Almanacco istorico d’Italia di Mauro Macchi, Anno Nono, 1876, Milano, Natale Battezzati Editore, 1875, pp. 472-474.

  p. 473. Colla Val d’Ulivi, lavoro di altro genere, il Barrili s’incamminava a gran paesi verso la perfezione. In quel racconto lo stile è fiorito, delicato, analitico, tale da rammentarci l’autore della Comédie Humaine; l’analisi del core umano esatta, le tinte e mezze tinte piene d'attrattiva, il dialogo ricco di morbidezza e di flessibilità, il lavorìo interno dei personaggi, condutto felicissimamente.


  Minimus, Stravaganze di grand’uomini, «Omnibus. Giornale di Milano umoristico, politico, artistico, letterario, illustrato, quotidiano», Milano, Anno I, Num. 122, 12 Ottobre 1875, pp. 1-2.
  p. 2. Balzac non poteva lavorare che di notte e a furia di caffè nero.

  P.[ompeo] G. Molmenti, Impressioni letterarie Seconda Edizione riveduta ed ampliata dall’autore, Milano, N. Battezzati e B. Saldini Coeditori, 1875.

  Cfr. 1873; pp. 19; 170.

  Marchese Gino Monaldi, Barbiere di Siviglia. Otello e Mosè, in La Musica melodrammatica in Italia e suoi progressi dal principio del secolo sino ad oggi. Cenni storici, critici, analitici, biografici di Marchese Gino Monaldi, Perugia, Tip. V. Bartelli, 1875, pp. 23-30.

  pp. 28-29. Dopo il Barbiere e l’Otello, Rossini, forte del suo genio, a provare la sua vena feconda e versatile del suo ingegno, compose a Napoli l’Oratorio «il Mosè». Questo colossale lavoro fè stupire il mondo musicale e straniero e gli stessi suoi nemici ne restarono confusi e meravigliati tanto sembrava loro incredibile che il brillante autore del Barbiere avesse potuto trovare stile così nobile, maestoso e severo degno di un soggetto qual è il Mosè. […].
  La novità della cosa appunto tentò Rossini componendo il suo Mosè per le scene del S. Carlo di Napoli, dove malgrado la prima sera ricevesse un’accoglienza fredda anzichenò, la seconda arricchito dalla famosa preghiera (dal tuo stellato soglio) musicata da Rossini in soli 10 minuti, procurò al Maestro un vero trionfo. Narrasi che Balzac, commovendosi al divino canto intonato dal popolo d’Isdraele prima di traversare il mar Rosso, esclamasse: «Sembrami veramente assistere alla liberazione dell’Italia tanto questa musica insinua speranza ne’ cuori assopiti, tanto rialza gli animi più abbattuti».

  C. Nasi, Corriere, «Serate Italiane. Letture per le Famiglie», Torino, Tip. C. Favale e Comp., Anno II, Vol. IV, Numero 99, 21 Novembre 1875, pp. 326-329.
  p. 327. La città va assumendo il suo solito aspetto: le solite cose, il solito pubblico dei giorni feriali, e quello endimanché, come direbbe quel grande artista che è Balzac, le solite abitudini, i soliti spettacoli, il solito tran-tran prettamente piemontese; dirò meglio, torinese.

  E.[manuele] Navarro della Miraglia, Appendice. Critica sociale. “Madamigella Erminia. Artista drammatica”, «Gazzetta Piemontese», Torino, Anno IX, Num. 217, 8 Agosto 1875, pp. 1-2.
  p. 2. Innanzi a siffatti fenomeni, io penso mio malgrado alle donne di Balzac, e dico a me stesso che certi tipi degradanti non sono finzioni di poeta.

  L. Novali, Un giro intorno all’anno. 18 Agosto, «Gazzetta d’Italia», Firenze, Anno X, N. 230, 18 Agosto 1875, p. 3.
  1850. «La sua morte ha riempito di stupore Parigi. Da qualche mese era rientrato in Francia. Sentendosi morire aveva voluto riveder la patria, come il giorno prima d’intraprendere un gran viaggio, si viene ad abbracciare la madre.
  La sua vita è stata breve ma piena, più ricca d’opere che di giorni.
  Ahimè! quel lavoratore possente e mai stanco, quel filosofo, quel pensatore, quel poeta, ha vissuto in mezzo a noi questa vita di tempeste, di lotte, di guerriglie, di combattimenti, comune in ogni tempo a tutti i grandi uomini. Oggi eccolo in pace. Esce dalle contestazioni e dagli odii, entra lo stesso giorno nella gloria e nella tomba. Egli brillerà oramai al disopra di tutte le nubi che stanno sulle nostre teste, fra le stelle della patria».
  V. Hugo pronunciava queste parole nel cimitero del padre Lachaise in mezzo ad un’immensa folla. Balzac era venuto a riposare a sua volta, lì, vicino a Nodier e a Delavigne che ivi dormivano da lungo tempo. Senonchè l’elogio del gran romanziere parmi soverchio. Pensatore profondo, analista d’un’acutezza senza pari, Balzac scorretto, confuso, lambiccato nello stile, resterà senza dubbio, ma meno grande di quello che ci apparve 30 anni fa.
  L’autore del Père Goriot aveva un singolare modo di comporre e di vivere. «la vita di Balzac – dice G. Sand – era abitualmente quella d’un anacoreta, e benché abbia scritte molte laidezze, benché sia stato creduto esperto in materia di galanteria, benché abbia fatto la Physiologie du mariage e i Contes Drôlatiques, egli era molto meno Rabelaisiano che Benedettino. Quel gran anatomista della vita lasciava vedere, come avesse tutto appreso, il bene e il male, dall’osservazione del fatto e la contemplazione delle idee, niente affatto dall’esperienza».
  Ecco in qual guisa componeva. Gettava giù trenta o quaranta pagine, le mandava senza rileggerle, allo stampatore, che gliele rimandava con spropositato margine, e Balzac ritoccandolo, allungandolo sulle bozze stesse, ne faceva tirare ventisette prove della sua Pierrette. Insomma egli era lo spauracchio degli sfortunati compositori, che imploravano «due ore sole di Balzac per giorno».
  Aveva il coraggio di girare giornate intere per Parigi a braccietto del povero Gozlan, mezzo morto di stanchezza, per cercare un nome ai suoi eroi.
  Avete letto Z. Marcas? Ebbene! Balzac trovò in siffatta guisa il titolo della sua novella. Visto quel Z. Marcas nell’insegna d’un sarto, vi scorse un non so che di cupo, di fantastico, di predestinato. Chi non conosce poi le sue velleità di speculazioni, i subiti entusiasmi, l’estrema bonomia che faceva quasi amare quel filosofo come un fanciullo?
  Balzac ha battezzato l’opera dell’intera sua vita: la Commedia umana, e la divise in otto grandi parti. 1a Scene della vita privata, 2a Della vita parigina, 3a Della vita di provincia, ec ec. Forse l’autore di Eugénie Grandet non è sempre vero in quello spietato esame. Forse, come un oggetto fissato a lungo, il cuore umano sotto lo stanco suo sguardo prendeva a poco a poco forme strane ed impossibili.
  Ancora una parola ed ho finito. Balzac mostrava un giorno per la prima volta, a Champfleury, la sua galleria di quadri.
  «Ma io conoscevo questa galleria – esclama Champfleury – aspettate un po’ … sì è quella del Cousin Pons!».
  Leggete G. Sand, V. Hugo, e troverete troppo fredde, monotone e quasi puerili le descrizioni di Balzac. Non gli sfugge una foglia, un fiore, una screpolatura di roccia, ma non coglie forse l’intimo senso della natura che gli sta dinanzi.

  G. L. Patuzzi, Cesare Betteloni (Continuazione), «La Rivista Europea», Firenze, Tipografia Editrice dell’Associazione, Anno VI, Volume II, Fascicolo I, 1875, pp. 77-85.

  pp. 84-85. - «Non crediate, scriveva egli a un amico, al Balzac, né agli scapoli calunniatori del bel sesso. Le donne sono di molto migliori di quello che il mondo le crede (24 luglio 1839) - «In questa fede egli durò fino all’ultimo, anche quand’ebbe a dolersi di qualcuna e non ne mosse quasi lamento.


  Pessimista [Felice Cameroni], Cronaca e critica di “O bere o affogare”, in Leo Di Castelnuovo, O bere o affogare. Commedia in un atto di Leo Di Castelnuovo con prefazione di Pessimista, Milano, Alessandro Gattinoni, Editore, 1875, pp. 5-11.

 

  pp. 6-7. D’altronde, se il mostrarsi sublime, durante i cinque atti d’una tragedia, la vi sembra ardua impresa, dal lato letterario non costa minore studio il raggiungere la perfezione nel genere, rappresentato dal Caprice di Musset e dal Gas de conscience di Feuillet, dal Bacio dato non è mai perduto di De Renzis, dal Chi sa il giuoco non l’insegni di Fantasio e dal Bere o affogare di Castelnuovo. Ad onta della loro brevità […] gli schizzi filosofici del Balzac […] non valgono artisticamente, quanto i romanzi più voluminosi delle celebrità letterarie?



  Pessimista, Realismo (Dall’Album del Pessimista). II, «L’Arte Drammatica», Milano, Anno IV, N. 10, 16 Gennaio 1875, p. 2.

 

  Il nous faut du pur Balzac, mais du Balzac sans voiles, et sans embûches, disant toutes choses harditement (sic). Ces ceintures si facilment (sic) nouées et dénouées ont un si grand attrait ! Nous allons si facilment à ces doux visages, à ces lèvres emperlées, au beau sein de ces pécheresses! — Janin.



  Pessimista, Cronaca del Teatro Manzoni. Le ultime recite della compagnia Ciotti e Marini. Le prime rappresentazioni della coppia Bellotti-Bon N. 2, «L’Arte Drammatica», Milano, Anno IV, N. 15, 20 Febbraio 1875, pp. 1-2.

 

Stagione di carnevale.

 

  p. 1. Solita storia, di Costetti. […]. Invece di ripetere, per la centesima volta, quanto si va sceneggiando sulle scene da vent’anni sulla donna, non poteva il Costetti ricorrere alle inesauribili miniere di soggetti drammatici, quali La fisiologia del matrimonio di Balzac, i romanzi di Houssaye e di Feydeau, i bozzetti della Vie Parisienne, le novelle di Droz e di Zola, ecc. ecc.?

 

 

  Pessimista, Realismo (Dall’Album del Pessimista). III, «L’Arte Drammatica», Milano, Anno IV, N. 15, 20 Febbraio 1875, p. 2.

 

  Mentre vanno succedendosi, in Italia, le prediche quaresimali contro il lezzo dei romanzieri, dei commediografi e dei poeti veristi; — mentre si grida allo scandalo, contro la Visita di nozze, la Principessa Giorgio ed il Signor Alfonso, perché compiono l’opera di demoralizzazione, iniziata colla Dama delle camelie e col Demi-monde; — mentre pubblico e critica fanno a gara per meritarsi ... a parole ... l’aureola del pudore verginale nei giudizi letterari, — i parrucconi dell’Accademia di Francia, coloro stessi, i quali reputarono indegni della propria compagnia, tutti i rivoluzionari dell’arte, cominciando da Molière sino a Balzac, Dumas padre, Gautier, Baudelaire, dovettero, di questi giorni, rendere omaggio, in Dumas figlio, al caposcuola dello scomunicato realismo.



  Pessimista, Letteratura drammatica, «L’Arte Drammatica», Milano, Anno IV, N. 16, 27 Febbraio 1875, pp. 1-2.

 

  p. 2. Riassumendo il giudizio sopra ciascuna novità drammatica della scorsa stagione, ho deplorato che il Costetti, nella Solita Storia, «invece di ripetere, per la centesima volta, quanto si va rappresentando sulle scene, da vent’ anni sulla donna,» non abbia saputo o voluto, «ricorrere alle inesauribili miniere di soggetti drammatici, quali La fisiologia del matrimonio di Balzac, i romanzi di Houssaye e di Feydeau, i bozzetti della Vie Parisienne, le novelle di Droz e di Zola, ecc. ecc.».

  Or bene, un amico di Costetti, gli muove la censura affatto opposta, d’aver tratto cioè la situazione dell’amante sul balcone, appunto da uno dei romanzi sopra indicati, dalla Fanny di Feydeau.

  Far dell’amante d’una donna maritata, un uomo geloso delle carezze coniugali, nel 1857 poteva sembrar un’idea affatto originale, oggi è divenuta solita storia, appunto perché troppo sfruttata. Riguardo poi al far ricadere, non sul marito, ma sull’amante il ridicolo, cominciando dalla famosa scena del purgante all’ufficiale d’ordinanza a pagina 218 — della Fisiologia del matrimonio di Balzac, sino ai nostri giorni, venne tante e tante volte ripetuta, che si merita davvero, anch’essa, il titolo di solita storia.

  E perciò, pur associandomi ad un critico Milanese, tutt’altro che ottimista, nel definir Costetti il primo tra i nostri commediografi di secondo ordine, pur constatando che il pubblico lo giudica generalmente con severità, e stabilita la premessa, che il successo della Solita storia tanto più deve lusingar l’autore, in quanto che l’argomento era trito e ritrito, m’ostino nell’asserire, che il Costetti avrebbe agito assai meglio, se a Balzac, a Feydeau, ad Houssaye, a Zola, a Droz, a Bertall, a Fremy, a Deschanel si fosse ispirato, per trarne idee meno exploitées, del capitolo 67 di Fanny.



  Pessimista, Appendice letteraria. I Realisti. Emilio Zola, «L’Arte Drammatica», Milano, Anno IV, N. 23, 17 Aprile 1875, pp. 1-2; N. 24, 24 Aprile 1875, pp. 1-2.
  A mio avviso, la Storia naturale e fisiologica d’una famiglia sotto il Secondo Impero, costituita (finora) da cinque romanzi, distinti l’uno dall’altro riguardo allo svolgimento, ma collegati tra loro dal concetto fondamentale, può considerarsi il capolavoro della letteratura contemporanea, sicchè non esiterei a collocarlo subito dopo la Comédie humaine di Balzac. Questo, che a me sembra il più grande fra gli elogi, cui si possa dirigere ad un romanziere […]. Oggi, non lo si conosce; domani, avverrà di Zola quanto successe a Balzac, la cui fama, nonché resistere all’azione del tempo, crebbe cogli anni. […].
  Siccome Balzac colla Commedia umana, Sue coi Misteri del popolo, Rovani coi Cento anni, così lo Zola raggruppa in un solo intendimento vari romanzi e per mezzo dei membri d’una famiglia delinea l’intera società. […].
  V’ha nello Zola il magistero delle descrizioni manzoniane congiunto alla magica fantasia di Sue nell’ideare scene drammatiche, - l’uso … e talvolta l’abuso … di Victor Hugo nel contrapporre tinte affatto diverse ed uno studio sì minuto d’ogni lieve manifestazione del così detto animo umano, da emulare Balzac. […]
  Minia con Balzac, sciupa colori con Flaubert, fa del bizantinismo psicologico alla Mérimée e della sintesi alla Cherbuliez, ci dà bozzetti d’una moralità da puritano e situazioni da far arrossire di Feydeau. […].
  [24 aprile 1875, p. 1]. Ecco la Curée, il capolavoro (già lo dissi) che mi destò la maggior impressione, dopo i Miserabili.
  E tutto ciò, senza enfasi, senza declamazione, senza rettorica; Balzac doublé par Gautier. Non è il settario che fa delle tirate contro Badinguet ed i suoi, ma l’osservatore che coglie la verità sul fatto.


  Pessimista, A’ suoi lettori. Pessimista in vacanza. Contro l’azzurro (Dalla raccolta completa … e fortunatamente inedita … dei “Paradossi del Pessimista”), «L’Arte Drammatica», Milano, Anno IV, N. 31, 12 Giugno 1875, pp. 1-2.

 

  p. 1. Come formulare, meglio di Balzac, l’educazione delle giovanette? «Dal collegio le fanciulle possono uscir vergini di corpo, ma di mente, no certo».



  Pessimista, Teatri e Libri. Cronaca letteraria. […]. “Un mariage dans le monde” di Feuillet (Paris, Lévy) […], «L’Arte Drammatica», Milano, Anno V, N. 3, 13 Novembre 1875, p. 1.

 

  Il suo è un capitolo di tisiologia conjugale alla Balzac, sceneggiato con una squisitezza di sentimento, che rasenta, non tocca mai, la sdolcinatura o la preziosità, siccome nei romanzi precedenti al Camors e nei proverbi.


  Pessimista, Letteratura ed Arte. Paradossi del Pessimista. II., «La Plebe. Giornale repubblicano-razionalista-socialista», Milano, Anno VIII, 3-4 Dicembre 1875, p. 1.
  Si può anteporre mille volte Guerrazzi a Manzoni, come scrittore civile e posporre mille volte Guerrazzi a Manzoni, come maniera. Si può considerar Vittor Hugo come il più gran genio dell’epoca e preferire, per la lettura abituale, Balzac o Zola.


  C. Pizzigoni, Impressioni di un copista, Milano, coi tipi di Giuseppe Bernardoni, 1875.

  p. 1. Il mio ... uomo (protagonista no, eroe no, osservatore nemmeno; non vorrei far ridere alle sue spalle l’ombra di Balzac!) non è un letterato, sebbene non digiuno di lettere; non è della scapigliatura, sebbene pigli gusto a bazzicarla e l’ami […].


  Pofere Maurizie, Biblioteca di Fanfulla. “Capelli biondi”. – Romanzo di Salvatore Farina, «Fanfulla», Roma, Anno VI, 6 Dicembre 1875, p. 2.
  Alcuni, quando hanno da discorrere di uno scrittore italiano, scappano sempre a fare dei paragoni stranieri, e dispensano i loro battesimi di Karr, Dickens e Balzac. Io, invece, dirò che Salvatore Farina è Salvatore Farina, un romanziere italiano, il quale non solo ha la lingua scevra di idiotismi, secondo il Monitore di Novara, ma ha altresì un carattere proprio.


  A. Presutti, Progetto di riforma delle leggi relative alle società anonime per A. Presutti Consigliere della Corte di Appello di Ancona – Sezione di Perugia - Giugno 1874, «Gazzetta del Procuratore. Rivista critica di legislazione e di giurisprudenza», Napoli, Tipografia Salita Museo Nazionale Palazzo Dini, Anno X, N. 45, 25 Dicembre 1875, pp. 531-534.

 

  p. 531. Io, dunque, proporrò la riforma del testo della legge, e ne esporrò i motivi; lieto se qualche cosa vi si troverà, che possa contribuire a [...] tutelare la buona fede, a salvare i piccoli risparmi della gente sobria e laboriosa dalla cupidigia altrui, ed a fiaccare l’audacia dei mariuoli, così bene personificati da Balzac nel Barone Nuncingen (sic), e da Dickens nel banchiere Merdle [...].


  Amédée Roux, Revue Littéraire Française. Chronique littéraire. “Portraits contemporains”, par Théophile Gautier, 1 vol., «La Rivista Europea», Firenze, Tipografia Editrice dell’Associazione, Anno VI, Volume II, Fascicolo I, 1875, pp. 100-113.

  pp. 103-104. On sait déjà ce que pense du genre de mérite de Théophile Gautier et pour constater que son talent se montre en tout son éclat dans ce dernier recueil il me suffira de glaner ça et là quelques citations empruntées à la belle biographie di (sic) Balzac ou à la jolie esquisse sur le peintre Marilhat. J’ai lu depuis vingt ans un assez bon nombre d’essais sur le puissant inventeur de la Comédie humaine, mais dans aucune, à mon sens, l’homme n’est reconstitué avec autant de vie et de relief que dans celui de Théophile Gautier qui a su peindre à merveille ce caractère où la grandeur le dispute à la trivialité, où la nonchalance est en lutte perpétuelle avec l’obstination:
  «Chose singulière, dit l’auteur, Balzac qui méditait, élaborait et corrigeait ses romans avec une méticulosité si opiniâtre, semblait lorsqu’il s’agissait de théâtre pris du vertige de la rapidité. Non seulement, il ne refaisait pas huit ou dix fois ses pièces comme ses volumes, il ne les faisait même pas du tout … Un mot pressant de sa part nous somma un jour de nous rendre à l’instant même rue Richelieu, 104, où il avait un pied-à-terre. Nous le trouvâmes enveloppe de son froc monacal et trépignant d’impatience: - «Enfin, voilà le Théo! s’écria-t-il en nous voyant. Paresseux, tardigrade, unau, aï, dépêchez-vous donc; vous devriez être ici depuis une heure … je lis demain à Harel un grand drame en cinq actes.
  Et vous désirez avoir notre avis, répondîmes-nous, en nous établissant dans un fauteuil comme un home qui se prépare à subir une longue lecture.
  A notre attitude, Balzac devina notre pensée, et il nous dit de l’air le plus simple: «Le drame n’est pas fait. Voici comment j’ai arrangé la chose. Vous ferez un acte, Ourliac un autre, Laurent-Jan le troisième, Belloy le quatrième, moi le cinquième, et je lirai à midi, comme il est convenu. Un acte de drame n’a pas plus de quatre ou cinq cents lignes; on peut faire cinq cents lignes de dialogue dans sa journée et dans sa nuits …».
  On ne saurait exposer d’une façon plus piquante les travers d’un grand écrivain, et nous aurions maintenant à transcrire une bien admirable page, si nous voulions, à l’aide de Gautier, montrer le romancier:
  Vingt fois sur le métier remettant son ouvrage …

  [Amédée Roux?], Nouvelles dramatiques. “Théâtre du Gymnase : – Les deux Comtesses”, comédie en trois actes, par M. Eugène Nus, «La Rivista Europea», Firenze, Tipografia Editrice dell’Associazione, Anno VI, Volume I, Fascicolo III, 1° Febbraio 1875, p. 568.
  La pièce a en outre l’inconvénient de rappeler un peu trop l’histoire si connue du colonel Chabert et la Femme à deux maris de Pixérécourt, mais elle abonde en scènes pathétiques admirablement jouées par Mlle Legault et Mme Fromentin, et par leurs efforts combinés, le succès a été enlevé comme par surprise.


  Amédée Roux, Revue Littéraire Française. Chronique littéraire. “Fromont jeune et Risler aîné”, par M. Daudet, 1 vol., «La Rivista Europea», Firenze, Tipografia Editrice dell’Associazione, Anno VI, Vol. II, Fascicolo II, 1° Aprile 1875, pp. 327-341.
  p. 334. Disciple de Balzac, M. Daudet peut être considéré comme un modéré, voire même comme un réactionnaire, car si l’auteur de la Peau de chagrin revenant au monde il serait certainement épouvanté des audaces de la nouvelle école.

  Amédée Roux, Revue littéraire française. Chronique littéraire, «La Rivista Europea», Firenze, Tipografia Editrice dell’Associazione, Anno VI, Volume IV, Fascicolo I, 1° Settembre 1875, pp. 141-153.
  Les premiers lundis, par M. Sainte-Beuve tomes II et III in-18.
  pp. 149-150. C’est en revanche avec un vif sentiment de curiosité que nous avons parcouru l’article par lequel Sainte-Beuve commence sa campagne de dix ans contre l’auteur de la Comédie humaine, et où il me rappelle plus que je ne voudrais la Frusta de Baretti et ses appréciations un peu partiales des œuvres de Goldoni. Quoi qu’on puisse penser, en effet, des innombrables défauts de Balzac, il est de ceux dont la stature grandit à mesure qu’elle s’éloigne de nous, et de même qu’on ne peut refuser à Alfieri une couronne royale, ne fût-ce qu’une couronne de Fer, on ne peut s’empêcher non plus de s’incliner devant le talent exagéré, mais puissant du peintre par excellence des vices et des misères de notre grande époque. Pour rendre justice à de pareils hommes, il suffit d’ailleurs de les comparer à leurs prétendus rivaux et lorsqu’il en arrive à parler de Charles de Bernard, le plus distingué sans crontredit des élèves de Balzac, Sainte-Beuve lui-même est bien contraint d’avouer que le charmant autour (sic) de Gerfaut et de la Femme de quarant (sic) ans sera tout au plus «l’Améric Vespuce de cette terre dont le père d’Eugénie Grandet sera le Christophe Colomb» et il ajoute : «Quand M. de Balzac finirait comme il a commencé, c’est-à-dire quand ses volumes heureux se trouveraient suivis d’autant d’œuvres illusoires qu’ils ont été précédés d’œuvres insignifiantes, quand lui-même, M. de Bernard serait devenu pour bien d’autres productions dont il est capable, le romancier régnant, il ne devrait pas, en avançant, séparer tout bas son progrès de son point de départ, car en littérature il est un peu comme un fils de famille ; il entre de plain-pied dans un genre ouvert, il arrive le lendemain d’un héritage riche qu’il n’a qu’à grossir après l’avoir débrouillé». Voilà bien le langage de la critique sereine et impartiale, et l’on reconnait du reste plus d’une fois la griffe du lion dans ce volume […].

  [Amédée Roux ?], Nouvelles dramatiques. Théâtre du Gymnase ; – “Le Million de M. Pomard”, comédie en trois actes de MM. Jules Guillemot et Hippolite Raymond, «La Rivista Europea», Firenze, Tipografia Editrice dell’Associazione, Anno VI, Volume VI, fascicolo II, 1° Ottobre 1875, pp. 350-351 [348-351].
  p. 351. La pièce est gaie, elle a réussi, mais elle n’est pas neuve. On y revoit les Paysans de Balzac, les Bons Villageois de M. Sardou et les auteurs ont trouvé quelque chose à prendre jusque dans le «Fermier d’Ennius», je veux dire le Candidat de M. Flaubert.


  Giovanni Siotto-Pintòr, Della potenza del carattere umano per Giovanni Siotto-Pintòr, Torino, presso la Libreria L. Beuf, 1875.

 

CAPITOLO OTTAVO

Degli impedimenti principali alla formazione e allo svolgimento del carattere.

 

  p. 77. Uno scrittore francese, e non de’ più gravi, il Balzac, c’insegna una grande verità. Le persone profonde, scrive egli, non sono intriganti. E poichè un tessuto di viluppi e di tranelli è la piccola ambizione, resta che ambiziosi di tal fatta non hanno, non possono avere carattere.


  Carlo Tèoli [Eugenio Camerini], Prefazione a Giovanni Prati, Opere varie del Comm. Giovanni Prati, Milano, Casa Editrice M. Guigoni 1875, pp. 5-15.
  p. 14. Riguardando poi a’ suoi sparsi lavori, e vedendoli esprimere i maggiori momenti dell’intelligenza e del progresso moderno s’invoglia a farne un tutto; così il Balzac da’ suoi stupendi romanzi volle fare la Comédie humaine: così Lamartine e il Prati de’ loro episodj il poema di Dio e l’Umanità.

  E. Torelli-Viollier, Appendice. Nuovi romanzi. “Tigre Reale” di G. Verga (Milano, libreria editrice di G. Brigola) – “Castel Govone”, storia del secolo XV di Anton Giulio Barrili (Milano, fratelli Treves). – “Il Segreto d’Adolfo” di Vittorio Bersezio (Milano, tipografia editrice Lombarda), «La Lombardia», Milano, Anno XVII, 25 Luglio 1875, pp. 1-2.

  p. 1. I romanzi del Verga, non si può negarlo, hanno una fisonomia propria: non sono punto didattici, come la maggior parte de’ romanzi italiani. Il Verga non ci mette per entro una piccola Provvidenza tascabile, incaricata di dirigere gli avvenimenti in modo che alla fine la virtù abbia uno zuccherino ed il vizio sia sculacciato. Egli studia le passioni come fenomeni fisiologici o patologici, e ritrae ordinariamente amori colpevoli e caratteri deboli o tristi. Veramente, questa maniera d’intendere il romanzo non è punto nuova: anzi è vecchia come Balzac, e come la dottrina dell’«arte per l’arte», ma è nuova per l’Italia. Se un romanziere mi prova che ad esser galantuomo c’è il tornaconto, e che un amore innocente dà gioie più intere d’un amore colpevole, lo approvo; ma se un altro m’insegna che molti bricconi non sono in galera e prende a studiare una passione obbiettivamente, fuor da ogni riguardo di moralità, non vado in collera. Basta che il primo non faccia il predicatore, e che il secondo non mi faccia stomaco od orrore. Non so se l’uno meriti il nome di verista e l’altro no; ma penso che tutti e due possono essere veri.

  Trottolo il Severo, Teatro, «Omnibus. Giornale di Milano umoristico, politico, artistico, letterario, illustrato, quotidiano», Milano, Anno I, Num. 127, 17 Ottobre 1875, p. 2.

  Manzoni. – Poveri scrittori gallici, come v’ha conciati per le feste il Castelvecchio! Su animo: passate le Alpi in fretta ed in frotta e sfidate a morte chi vi accusò alla pubblica opinione quali utopisti, esageratori, menzogneri, perniciosi pe’ vostri libri e per le vostre idee. Alzatevi, o spettri di Rousseaux (sic), Voltaire, Molière, Sand, Dumas, Balzac, Sue, Richard, e date una buona lezione all’autore della Donna Romantica. Che ingratitudine trattarvi così, accagionarvi delle pazzie d’una svenevole!

  X., Influenze, «Omnibus. Giornale di Milano umoristico, politico, artistico, letterario, illustrato, quotidiano», Milano, Anno I, Num. 124, 14 Ottobre 1875, p. 1.
  Ma venendo ai tempi più moderni, non vediamo noi uomini sommi prediligere piuttosto un vino che l’altro, cioè riconoscere nel liquore preferito un adjutorium potentissimo? […].
  Humboldt corroboravasi il cerebro col Sauterne – Balzac col Vouvray […].

  Y., Libri e Giornali, «Il Risorgimento. Giornale della Città e Provincia di Pisa. Amministrativo – Politico – Scientifico – Letterario», Pisa, Anno III, Num. 67, 25 Agosto 1875, pp. 3-4.

  Sotto la rubrica Libri e giornali ci sembra possiamo occuparci anche di una notizia intorno a Balzac scritta dal solito signor Novali e pubblicata nel num. 230 della Gazzetta d’Italia.
  Il Novali parla con troppa irriverenza dell’illustre autore della Commedia Umana, uno dei più grandi osservatori che abbia avuto il mondo, uno dei più grandi fra i grandi scrittori della Francia contemporanea.
  Il Novali crede che il Balzac resterà – quanta degnazione! – ma meno grande di quel che ci appariva 30 anni fa! E noi che pensavamo la fama di lui andasse ogni giorno, e giustamente, crescendo!
  Il Novali afferma che Balzac è scorretto, confuso, lambiccato nello stile. Guarda un pò! E noi avevamo, in sino a qui, creduto che Balzac, Victor Hugo, Teofilo Gautier fossero i soli che conoscessero a fondo la lingua francese e sapessero maneggiarla.
  Il Novali opina che Balzac osservasse troppo – singolare rimprovero! – e che, come un oggetto fissato a lungo, il cuore umano, sotto lo stanco suo sguardo prendesse a poco a poco forme strane e impossibili; e conclude che a leggere Balzac, dopo aver letto G. Sand o V. Hugo, si trovano fredde, monotone e quasi puerili le descrizioni di lui.
  Certe opinioni basta accennarle; a confutarle c’è da perdere il rauno e il sapone.
  Ancora una parola e abbiamo finito. Il signor Barbey d’Aurevilly, un uomo che per essere legittimista e clericale, non è però meno scrittore di polso, un critico acuto, un romanziere potente, diceva l’altro giorno: «Balzac aspetta sempre un rivale; uno scrittore che valesse quanto lui sarebbe suo inferiore».
  Non si potrebbe dir meglio in così poche parole.


[1] L’opera è presente nella Biblioteca Municipale ‘Antonio Panizzi’ di Reggio Emilia.
[2] L’opera è presente nelle seguenti Biblioteche italiane: Biblioteca Civica di Busto Arsizio; Biblioteca Civica di Carpi (MO); Biblioteca Provinciale ‘Pasquale Albino’ di Campobasso; Biblioteca Civica Popolare ‘L. Ricca’ di Codogno; Biblioteca Civica di Cuneo; Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze; Biblioteca e archivio. Civica raccolta delle stampe ‘Achille Bertarelli’ di Milano; Biblioteca Comunale ‘F. Cini’ di Osimo; Biblioteca Comunale Augusta di Perugia; Biblioteca Arcivescovile ‘Cardinale Pietro Maffi’ di Pisa; Biblioteca del Dipartimento di scienze demografiche dell'Università degli studi di Roma La Sapienza di Roma; Biblioteca Civica di Varese; Biblioteca Civica di Vercelli.
[3] Segnalato da L. Carcereri, Editoria e critica balzachiana … cit., p. 547.
[4] Segnalato da L. Carcereri, Editoria e critica balzachiana … cit., p. 548.
[5] Segnalato da L. Carcereri, Editoria e critica balzachiana … cit., p. 546.

Marco Stupazzoni


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