lunedì 2 settembre 2013


1867




Traduzioni.


  Onorato di Balzac, Amore e civetteria. Racconto di Onorato di Balzac. Volume unico, Napoli, M. Lombardi editore, 1867 [1868 in copertina], pp. 159.[1]

  Un volume in 24°. Il racconto di Balzac si trova alle pp. 1-155; da p. 155 a p. 159, è presente Il Canto di una Zingarella [versi] di David Chiossone.


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  La traduzione, anonima, è condotta sul testo dell’edizione Furne (1843). Rispetto all’edizione fiorentina del romanzo, segnalata e inserita nella sezione dedicata all’anno 1866, questa versione napoletana, osserva L. Carcereri, «sembra tenersi più aderente al testo della Duchesse de Langeais»[2] nonostante la presenza di numerosi tagli rispetto al testo originale. Tuttavia, il modello di riferimento resta sempre la traduzione di Giuseppe Lubrano per l’edizione del romanzo pubblicata a Napoli nel 1856.


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Studî e riferimenti critici.


  Costumi moderni. Come si diverte Parigi (1), «L’Universo Illustrato. Giornale per tutti», Milano, Anno I., N. 21, 21 febbraio 1867, pp. 323-327.

  p. 323. Non si nasce Parigino, lo si diventa. V’hanno parecchie maniere di diventarlo e d’esser tale. Ciò dipende dall'ambiente, nel quale la sorte, gl’istinti, i gusti e le inclinazioni ci portano. Parigi non è una città, ella è una massa enorme di grandi villaggi, ciascuno de’ quali ha costumi ed abitudini particolari; talchè il villaggio, di cui la Sorbona e il Panteon son le parrocchie, nulla ha di comune con quello, i cui bouvelards des Capucines e des Italiens formano il Corso. V’han trentasei Parigi: a ben conoscerli, convien avere l’ingegno penetrante e sagace di Balzac. La sua opera, ch’ei giudiziosamente appellò La commedia umana, è il codice di quel trentasei Parigi. Ora, fra tutti que’ Parigi ve n’ha uno, il quale è talmente persuaso della sua preminenza sugli altri, che, coll'amor proprio ond’egli si distingue in sommo grado da essi, ei non esita intitolarsi Tout Paris: tutto Parigi!

  (1) Da uno spiritosissimo corriere parigino della Gazz. di Venezia togliamo questo articolo caratteristico.


  Un po’ di tutto. Il lavoro delle donne (Dal Corriere italiano. Lettere del Cav. Carlo Emanuel, Torino), «Il Diavoletto», Trieste, Anno XX, N. 77, 3 Aprile 1867, p. 315.

 

  Ho udito spesso accusare le donne di simulazione e di falsità: uno scrittore francese (credo che sia Balzac) dice che – le jésuite le plus jésuite est encore moins jésuite que la femme la moins jésuite. Sarà vero. Ne dicono tante sulle donne!



  La festa del 17 e del 19 maggio, «La Baba», Trieste, Anno VI, N.ro 16, 26 Maggio 1867, p. 1.

 

  Altri periodici si occuparono a descrivere la festa religiosa, e noi per non cadere in ripetizioni ci limiteremo parlare della serata musicale; e qui ci sarebbe necessario il genio descrittivo di Balzac o di Dumas per narrare condegnamente la cosa.


  Uno scrittore italiano in Francia, Pier Angelo Fiorentino, «L’Universo Illustrato. Giornale per tutti», Milano, Anno I., N. 45, 11 agosto 1867, pp. 723-726.

  p. 726. Ci permetta il lettore la scelta di due aneddoti intorno a due personaggi non meno celebri, Balzac e Meyerbeer.

  Trovandosi un giorno de Balzac alla famosa villa di Jardie (sic), Fiorentino vide tra gli altri cartolari che avevano titoli conosciuti come Contes philosophiques, Contes drolatiques, un piccolo volume rilegato in pelle di sagrì che sul frontespizio aveva per titolo: Contes mélancoliques.

   – Guarda! io ignoravo questi racconti, diss’egli a Balzac.

  – Sono inediti, mio caro; potete leggere, questi rispose.

  Fiorentino apre a caso e legge: burro, radici, prezzemolo, vitello, carote, insomma la lista delle spese. Ecco ciò che Balzac chiamava i suoi Racconti Melanconici.


  Romanzieri contemporanei italiani e stranieri. Giorgio Sand, «Il Romanziere Contemporaneo Illustrato», Milano, Anno I, Num. 4, 26 Decembre 1867, pp. 13-15.

  p. 15. Ma l’ingegno straordinario della Sand, come quello di Balzac, sovrano nel romanzo, è mediocre nel dramma.

  Lucio-Ottavio Boni, Discorso storico sulla musica classica profana e sacra, in Scritti varii dell’Abate Lucio-Ottavio Boni bellunese, Venezia, dalla Tipografia di F. A. Perini, 1867, pp. 134-168.

  p. 134, nota (1). Intorno alla musica classica si possono consultare […] per conto poi della moderna il Teatro musicale di Arteaga, Corniani, Secoli della letteratura italiana, colla continuazione del Ticozzi, Cantù nelle sue tre Storie principali, Balbo nel Sommario della storia d’Italia, ed altre opere, Balzac in parecchi romanzi, dove analizza varie delle più riputate opere moderne; […].

  P. Antonio Bresciani, Opere del P. Antonio Bresciani della Compagnia di Gesù. Volume XII. Lorenzo o il Coscritto. Don Giovanni ossia il benefattore occulto, Roma, Ufficio della Civiltà Cattolica; Torino, Pietro di G. Marietti Tip. Pontificio, 1867.
  pp. 209; 344. Cfr. 1856; 1858.

  Luigi Buonopane, Del romanzo in Francia, in Del romanzo moderno per Luigi Buonopane. Prima Edizione, Napoli, Stabilimento Tipografico di P. Androsio, 1867, pp. 62-69.[3]

  pp. 67-69. Se nei romanzi francesi, che pur abbiamo confessato migliori, noi incontriamo tanta borra, che diremo degli altri? Che diremo di quella turba amente e boriosa, che all’ingegno che penetra l’interior midollo delle cose, sostituisce lo spirito che si ferma alle relazioni esterne, all’affetto le passioni, all’amore la galanteria, alla gloria l’ambizione? Che diremo del vuoto Dumas, del leggerissimo Balzac, del lubrico De Kokh (sic)?
  Diremo che i loro volumi di romanzo non hanno che il nome. Qualcuno di essi avrà talvolta delineato un vivo carattere, proceduto ad un felice scioglimento, conta una graziosa avventura, ritratta con forti colori una forte passione. Ma il legame che stringe ed aduna questi diversi elementi, la virtù che sola può trasmutarli in bellezza, o manca o è assai debolmente rappresentata. Ad essa si sostituisce una dote particolare dei francesi, e di cui essi menano gran vampo, lo spirito.
  Che cosa è lo spirito? […] Non è dote della fantasia, non dell’intelletto, non dei sensi, ma piuttosto un’abito (sic) di raffrontare i caratteri esteriori delle cose e delle parole, di cui per lo più non è altro che un giuoco; infatti gli scrittori più spiritosi tirano innanzi a furia di Calembourgs.
  L’abuso di una simile dote riesce funesto alla scienza, pernicioso alla morale, esiziale all’arte, la quale imita la natura non fermandosi alle parvenze esteriori, ma penetrando nell’insito suo essere, e guardandola alla luce dei tipi di lei. Applicato alla rappresentazione delle umane azioni nel romanzo, lo spirito è impotente a snodarle a seconda dell’invisibile legge che le governa, e deve limitarsi a descriverle divelte dai loro principii e dalle loro conseguenze.
  I romanzi ispirati da questa decima Musa, ignota al vecchio Olimpo classico, non riescono che ad un più o men felice lavorio di analisi, ove sarebbe vano ricercare traccia alcuna di poesia.

  Luigi Capuana, “Comédie et Comédiens”, feuilletons de P. A. Fiorentino, Paris, Michel Lévy frères, 1866-67 – Due volumi, «La Nazione», Firenze, Anno Nono, N. 176, 25 Giugno 1867, pp. 1-2.[4]

  p. 2. Ci permetta il lettore la scelta di due o tre aneddoti intorno a due personaggi non meno celebri [di A. Dumas], Balzac e Meyerbeer.
  Trovandosi un giorno da Balzac alla famosa villa di Jardie (sic), Fiorentino vide tra gli altri cartolari che avevano titoli conosciuti come Contes philosophiques, Contes drolatiques, un piccolo volume rilegato di pelle di sagrì che sul frontespizio aveva per titolo: Contes mélancoliques.
  – Guarda io ignoravo questi racconti, diss’egli a Balzac.
  – Sono inediti, mio caro; potete leggere questi rispose.
  Fiorentino apre a caso e legge, burro, radici, prezzemolo, vitello, carote ec. Ecco ciò che Balzac chiamava i suoi Contes mélancoliques.
  Durante il desinare Balzac aveva detto che Parigi è la città degli estremi; e dopo aver provato alla sua maniera che soltanto i poveri ci stanno bene
  – Rivoltiamo la medaglia, continuò. Siete voi ricco? Pel puro necessario vi occorrono almeno dugento mila franchi all’anno. – E qui dettagliò l’impiego della somma: tanto per fitto, tanto per domestici, tanto per le monderie, tanto per la tavola. Ma in onta che accrescessero sempre ogni articolo non arrivava mai al totale. Ricominciò due o tre volte il suo calcolo.
  – Ebbene! disse Gautier ch’era presente: tutto ciò non fa che cento settanta mila franchi.
  – Ebbene! trenta mila franchi di burro, disse Balzac: siete contento?

  Luigi Capuana, Raffaello Massimiliano Giovagnoli, “La vedova di Putifarre”, commedia in tre atti – Teatro Arena Goldoni; Leo di Castelnuovo, “Un cuor morto e L’X incognita d’un Giornale”, commedia in quattro atti – Teatro Arena Nazionale, «La Nazione», Firenze, Anno Nono, N. 252, 9 Settembre 1867, pp. 1-2.

  p. 1.
  Oh! me l’imaginavo. La vedova di Putifarre ! Preferisco sempre la moglie.
  Perché? Domandai rivolgendomi con curiosità verso il mio vicino.
  Per una teorica tutta mia sul conto delle vedove, caro signore, rispose il vicino, accostando la sua sedia un poco più.
  E siccome terminava in quel punto l’atto secondo, così egli potè continuare senza disturbo di nessuno.
  Io non so le sue opinioni sulle donne in generale, ma credo che non saranno molto dissimili dalle mie. In quanto alle vedove però oso dire anticipatamente che non andremo d’accordo. Le fo una sola domanda. Pensa lei che la vedova sia una donna?
  Diavolo! non vorrebbe darmi ad intendere …
  Basta, caro signore; noi siamo agli antipodi. Per mia disgrazia io ho dovuto studiare profondamente questo soggetto che fin Balzac, se non isbaglio, ha trascurato. L’autore della Physiologie du Mariage ne avrebbe squattrinate delle belle sopra un tema così importante … Badiamo ve’! Può darsi l’abbia fatto in qualcuno de’ suoi quaranta volumi che per caso non ho letto. Ma in ogni modo io voglio dir questo: se ne ha scritto, son sicuro di saperne quanto lui; se non ne ha scritto, di saperne quanto avrebbe potuto egli stesso in persona.
  Ecco un vero originale! E così pensando mi misi nell’attitudine di chi non vuol perdere una sola parola.

  Luigi Capuana, “Eliodoro Lombardi, Carlo Pisacane, o la Spedizione di Capri”, poemetto, Firenze, tipografia di G. Barbèra, 1867, «La Nazione», Firenze, Anno Nono, N. 253, 12 Settembre 1867, pp. 1-2.[5]

  p. 2. Ostinarsi alla ricerca dell’epopea, secondo noi, vuol dire non accorgersi che le forme dell’arte, in generale ed in particolare, abbiano subíto straordinarii e radicali cambiamenti. Vuol dire non avvedersi che noi possediamo al giorno d’oggi un’opera d’arte non meno difficile dell’epopea e popolare quant’essa al tempo stesso, ma più seria, più variata, più efficace, diremmo quasi più eccellente, e questa è il romanzo. Non già il romanzo storico, parto ibrido e falso, nato in un momento d’esaltazione archeologica e morto subito con essa; bensì quello che dipinge caratteri e costumi della società contemporanea: sicchè non sappiamo capire perché, per esempio, Les parents pauvres e Le Père Goriot di Balzac non possono mettersi accanto all’Iliade e all’Odissea nella storia dell’arte.


  Andrea Cittadella Vigodarzere, Cenni sulla contessa Teresa de Lazzara Malmignati, Firenze, 26 dicembre 1867, pp. 3-7.

 

  p. 4. Declinata alquanto la fortuna della Vostra cospicua famiglia, la contessa Teresa tramutavasi da Verona in Lendinara a segnalare nella domestica decadenza la propria fermezza; perché, quantunque sobillata da autorevoli ma non sani consigli, mostrò la saggia come fosse persuasa, che il matrimonio dà agli affetti la forza inviolabile di una legge, e ad una legge la sicura dolcezza delle affezioni.

  Amare, soffrire, sottoporsi vittima ai sacrifizi dev’essere, dice Balzac, il testo della donna; e fu di questa.


  L. David, Sulla moderna tendenza alla lettura, «La Gioventù. Rivista nazionale italiana di Scienze, Lettere ed Arti», in Firenze, nella Tipografia Galileiana di M. Cellini e C., Nuova Serie – Volume IV, XI della Collezione, Dispensa 1a. e 2a., Gennaio-Febbraio 1867, pp. 65-73.

  pp. 67-68. Non può, chi è savio, non disapprovare la stoltissima folla dei leggicchianti, che per iscorcio di tempo, o per contentare e corromper sempre meglio la corrotta loro coscienza; perdono il tempo nella lettura di perversi scrittori. Ma di questi non è utile farne parola, giacchè intristisce sempre più chi è vecchio nel vizio. […].
  La più parte de’ libri, che son diretti al matto piacere, sono i Romanzi stranieri, senza parlare affatto di altri che nemmeno hanno la sfrontatezza di star nelli scaffali librari, ma che circolano nelle tenebre del segreto, e passano da tasca in tasca, da scrigno a scrigno della gente spudorata e rotta alla corruzione, arsenico delle anime oneste ed incaute, dovizia infernale dei trafficanti della umana corruzione. I romanzi stranieri, che ci vengono dalla Senna, sono il pascolo principale di certe anime che cercano l’istruzione. Ma quale istruzione vi traggono? Principj d’incertezze, d’incontentabilità, d’irrefrenata libertà, e quel che è peggio vi trovano dipinto un mondo che non è di questo mondo, vi leggono caratteri, tempi e persone attraverso un cristallo, che invece di trasmettere i raggi vi seducono con una rifrazione che guasta il vero. Vi trovano l’ebbrezza trionfante del vizio, e la povera virtù come per eccezione. Vi apprendono un egoismo, una corruzione giustificata dalla necessità, ed una religione a modo di chi non ne ha alcuna. Insomma la gioventù si tuffa, s’insozza in cotali esagerazioni, e si guasta. E quanta parte di giovanetti e di giovanette, non s’ispira ai romanzi di Dumas, De Koch (sic), Balzac, Sue e di tanti altri di simil conio! È debito dunque di ogni buon cittadino alzar la voce contro tali letture, sviare, se è possibile, la nostra gioventù da sì lacrimevole abuso, col mostrare a nudo le piaghe che fanno cotali letture sul cuore dei giovanetti, e quanto lutto arrechino alla società, alla patria; così si farà senno, e si starà sull’avviso da tutti.


  Niceforo Filalete [Vincenzo Scarpa], Bibliografia. “Mirette” par Élie Sauvage, Paris, 1867, Librairie des Auteurs, rue de la Bourse, N° 10, «Annali dello spiritismo in Italia. Rivista psicologica diretta da Niceforo Filalete», Torino, Anno IV, N° 7, Luglio 1867, pp. 73-79.

 

  p. 73. Il romanzo per sua natura segue il cammino morale e intellettuale della umanità, e ci rende evidenti i varii periodi della costei vita con la fedele descrizione de’ suoi reggimenti religiosi e civili, de’ suoi usi e costumi; onde ogni nuova idea, ogni nuovo passo fatto da questa in sulla fatale sua via, vi si trova incarnato. Altramente non poteva essere con lo Spiritismo, la gigantesca innovazione morale de’ nostri giorni, e già da qualche anno la Francia, il paese più romanziero d’Europa, ha principiato a provarsi in simil genere di libri, cui servì di precursore la Séraphita del Balzac, romanzo filosofico basato sulla dottrina dello Swedenborg.


  Augusto Franchetti, Rassegna drammatica, «Nuova Antologia di Scienze, Lettere ed Arti», Firenze, Direzione della Nuova Antologia, Anno Secondo, Volume Quarto, Fascicolo Quarto, Aprile 1867, pp. 772-786.

II. Marianna, Dramma in tre atti di Paolo Ferrari.

  pp. 781-782. Dei ripostigli del cuore e dei moti dell’animo il signor Ferrari è soprattutto sottilissimo scrutatore; e sarebbe poi patente ingiustizia l’affermare che alla considerazione psicologica egli sacrifichi affatto lo studio dei particolari costumi; ma crediamo non andare errati dicendo che molti tra i tipi da lui creati son troppo generali ed astratti; lo scettico, il cinico, la colpevole, amante, il marito freddurista ec. rappresentano categorie morali più che persone vive, o talora quasi sdoppiandosi ti mostrano un ente ideale e un individuo reale non bene immedesimati. Il Tartufo, l’Alceste, il Fra Timoteo, il Burbero benefico e (per togliere un esempio dal nostro autore medesimo) il padre nella Prosa sono di quei tipi che bene possono dirsi con le parole dell’Emerson rappresentativi; ma in pari tempo sono uomini in carne ed ossa; e ognuno di essi mangia, bee, dorme e veste panni. Similmente Plauto, il Gelli, Lorenzino de’ Medici, Molière, Goldoni, Balzac ed altri più scrittori ci ritrassero l’avaro; tutti questi tipi si somigliano alquanto; hanno una cert’aria di famiglia; eppure non ve n’ha uno che possegga le fattezze dell’altro, perché sotto la pittura d’una qualità generale si manifesta rigogliosa la vita d’una determinata persona.


  Augusto Franchetti, Rassegna drammatica. “I Mariti”, commedia in 5 atti di Achille Torelli, «Nuova Antologia di Scienze, Lettere ed Arti», Roma, Volume Sesto, Fascicolo Duodecimo, Dicembre 1867, pp. 807-819.

 

  p. 817. Nulla conferisce come simili ricordi a dare alla finzione un colore di verità; uno dei più alti pregi della Commedia umana di Balzac sta appunto in quest’arte; ed egli la spinge fino a riprodurre nella più parte dei suoi romanzi le medesime famiglie e le medesime persone; sicchè i Popinot, i Marneffe, i Nucingen, i Magus, i Du Tillet, i Gaudissart e tante altre creazioni vedute molte volte, e sempre sotto nuovi aspetti, si configgono nella memoria, acquistano vita e moto, e compongono, in grazia del magico stile, una Commedia immensa e meravigliosa.


  G. Generali, Igiene del sistema nervoso pel Prof. G. Generali. Lettura fatta nella Sala di S. Vincenzo in Modena il 9 Aprile 1867, Firenze, Stabilimento Civelli, 1867 (Serie 1a «La Scienza del Popolo. Raccolta di letture scientifiche popolari fatte in Italia», Vol. 6).

  pp. 38-39. Tissot diceva: se a dieci anni vostra figlia legge i romanzi, a venti anni avrà i vapori. – Se Tissot avesse scritto a nostri giorni, invece di isterica avrebbe detto qualcosa di più.
  Michelet scrive che questa letteratura morbosa non intacca le anime sane – esso dice, che è capace solo di far ammalare i già infermi. – Per le menti sane il matrimonio di Balzac (è sempre il Michel che parla) avrebbe il fetore di un cadavere.

  Francesco Guidi, Parte Prima. Esposizione dei fatti (Genesi). Capitolo X. Alienazioni mentali, ed altri pericoli dello spiritismo, in I Misteri del moderno spiritismo e l’antidoto contro le superstizioni del secolo XIX per Francesco Guidi, Milano, Libreria di A. Bettoni, 1867, pp. 89-99.

  pp. 91-92. In Francia non poche furono le vittime, anche fra le classi più alte della società. […].
  Il signor A. S. Morin nel suo libro sul magnetismo e sulle scienze occulte, pubblicato in Parigi nel 1860, narra che madamigella Ottavio P. …, dell’età di diciannove anni, si occupò come medium; fece muovere un piccolo tavolino, ma le bastava che il piede di quel mobile battendo le desse il principio di una frase, perché il resto, come essa diceva, le era dettato all’orecchio dallo spirito di Balzac. Varii eminenti spiritisti raccolsero le sue comunicazioni e furono incantati dalle sue brillanti qualità. Quella giovane sembrava molto calma, e pareva nulla doversi in lei tenere per eccesso di esaltazione. Ma dopo qualche mese la sua salute fu gravemente alterata, la sua ragione si smarrì, e nessun rimedio potè sollevarla dalle crudeli sue sofferenze.

  Avv. Paolo Locatelli, Del ricovero coattivo dei minori oziosi e vagabondi (Commenti all’articolo 441 del Codice penale), «Effemeride carceraria. Rivista ufficiale delle Carceri del Regno d’Italia diretta dal Cav. Napoleone Vazio Ispettore delle Carceri del Regno presso il Ministero», Firenze, Tipografia delle Murate, Tipografia Fodratti, Anno III, Gennaio e Febbraio 1867, pp. 597-605.

  p. 600. Vorremmo innanzi tutto che non si dimenticasse un istante che la spinta al delitto, come abbiamo superiormente osservato, ha la sua origine prima nelle perverse passioni che malauguratamente tiranneggiano certe nature umane anche nel loro esordire nella vita, e che le passioni umane sono tanto più violente e tremende, quanto più sono alimentate dal vigore dell’età, e non frenate dalla esperienza, dalla riflessione, dalla educazione del cuore e della mente.
  Un celebre romanziere, O. Balzac, da quell’arguto e spiritoso scrutatore del cuore umano che egli era, non si peritò dal sostenere che a 20 anni la lotta della passione colla ragione finisce quasi sempre colla peggio di quest’ultima; mentre a quaranta le passioni più violente non hanno il più delle volte il potere di far prevaricare il meno saggio dei galantuomini; e noi accettiamo senza commenti l’osservazione del brioso scrittore della Phisiologie du Mariage (sic), tanto più che in materia di passioni vuolsi che egli avesse appunto tanta esperienza da poterne trattare ex professo senza inciampare.

  P. G. Maggi [a cura di], Nala. Poemetto indiano estratto dal Terzo Libro del Mahàbhàrata. Versione con Note di P. G. Maggi, «Rivista Orientale», Firenze, Anno I, Fascicolo 1°, 1° aprile 1867.
Lettura settima.
Il Giuoco, pp. 294-297.

  pp. 296-297; p. 297, nota (1).


Con voce da le lagrime interrotta,
Da l’angoscia agitata, la Bhimide
A Nala disse, e l’animo, il dolore
  Le percoteva: «O re! sta la cittade
  Di vederti bramosa in su le porte,
  Di vederla ti piaccia». E ciò dicea,
    E ancor ciò ridicea, ma non rivolse
  Il re da Cali invaso un motto solo
         A lei, che tanto avea dolce degli occhi
    L’angolo (1), e tanti gemiti mettea.

  (1) Se il signor Fauche si ricordava del Lavater, non avrebbe qui forse tradotto: avec les angles rouges des yeux. È da credere ch’egli pensasse piuttosto alla Veronica nel capo XVI del Curato di un (sic) villaggio del Balzac.

  Paolo Mantegazza, Rio de la Plata e Tenerife. Viaggi e Studj di Paolo Mantegazza Deputato al Parlamento Italiano Profess. all’Università di Pavia e Membro dell’Istituto, Milano, per Gaetano Brigola Editore, 1867.

Capitolo XLI, pp. 573-589.

  pp. 574-575. Non scorderò mai la strana impressione che mi fece l’entrata della città della Laguna. […]. Io mi credeva in pieno cinquecento e mi pareva di veder sognando quelle scene, che il genio plastico di Balzac e la fantasia feconda del Doré hanno illustrato nei Contes drolatiques.

  Francesco Mastriani, Un mese, in Novelle, scene e racconti di Francesco Mastriani. Prima edizione. Volume secondo, Napoli, Giosuè Rondinella Editore, 1867, pp. 106-111.

  p. 106.

I.

Il giovine dagli occhi neri.

Aux cœurs blessés l’ombre et le silence.[6]
Balzac.

  Enrico Nencioni, Poeti e romanzieri inglesi contemporanei. I. Robert Browning, «Nuova Antologia di Scienze, Lettere ed Arti», Firenze, Direzione della Nuova Antologia, Volume Quinto, Fascicolo Settimo, Luglio 1867, pp. 468-481.
  pp. 474-475. Si è detto e ripetesi che questa del dipingere è una delle piaghe della moderna poesia, che gli artisti della parola hanno invaso il campo degli artisti del colore e della forma, che con tanti dettagli e minuzie poeti e romanzieri mancan sempre dell’effetto voluto, che in certi loro ritratti una vena ed un nèo hanno il valore d’un occhio, sì che spesso invece della bella donna che s’è voluta dipingere, al confuso lettore raffigurasi un mostro, che per ottenere moltissimo agli antichi bastavano pochi semplici tratti ec. Potrebbe rispondersi: Non citate ad esempio chi ha ecceduto, ed è riprovevole. Fra il dipingere vago, convenzionale, a grandi masse di certi scrittori, e il minuzioso e faticoso particolareggiare dei Gautier, dei Flaubert, e talvolta dello stesso grande Balzac, vi è una strada di mezzo. Vi è il paesaggio di Wordworth e di Leopardi, della Sand e di Browning, i quali han saputo esser pittori restando poeti.

  Edoardo Maria Oettinger, Rossini. Romanzo comico di Edoardo Maria Oettinger recato in lingua italiana da Adolfo Pick, Venezia, Tipografia del Commercio, 1867.  

Volume I.

  p. 30. In questo punto, entrò senza essere annunziata, una dama abbastanza giovine ed interessante. […] Era dessa una di quelle donne [Isabella, Angelica Colbrand] di trenta anni, il cui intiero essere, le cui parti tutte non seppe dipingere sì fedelmente che il pennello imparagonabile di Balzac, in guisa ch’esse ci stanno dinanzi quali immagini vive.

Volume II.

  p. 93. A quel tempo [negli anni di composizione de La Gazza ladra] Rossini amava il «liquido nero», assai forte, molto dolce e ben caldo. […] Qualcuno potrebbe ingannarsi giudicando Rossini l’unico artista pel quale la tazza da caffè fosse l’ippocratismo donde egli traesse la propria ispirazione. Per ispirarsi, il gran Schiller soleva attingere alla medesima fonte. Anche il signor di Balzac non era ispirato se non dopo aver vuotato da sei ad otto tazze di caffè. Allora egli abbondava dei più belli pensieri, colla stessa facilità come Rossini – in quella volta – abbondava delle più belle melodie.

  Marie Rattazzi, L’Aventurière des colonies, drame en cinq actes précédé d’un prologue, par madame Marie Rattazzi, née Bonaparte Wyse, Florence, Imprimerie des Successeurs Le Monnier 1867.

Acte Troisième.

Scène première.

  pp. 127-128.
  Laverpillière
  (qui feuillette des journaux à une table)
  Tiens ! c’est ce cher M. Tayeur !
  Tayeur.
  Parfaitement. Seriez-vous par hasard étonné de me rencontrer à Bade?
  Laverpillière.
  D’abord, nous autres faiseurs de chronique nous ne devons plus nous étonner de rien; puis Balzac n’a-t-il pas dit qu’en se promenant, de une heure à quatre, de la rue Poissonnière à la Chaussée d’Antin on rencontrait tout Paris ? Quand vient l’été, Bade remplace le Boulevard … On y voit des hommes d’Etat, des banquiers …
  Clara.
  Des journalistes.
  Laverpillière.
  Des jolies femmes.
  Tayeur.
  En un mot, tout le Paris de Balzac.

  Giuseppe Ricciardi, Etica Nuova. Capo XXXIII. Del matrimonio, in Opere scelte di Giuseppe Ricciardi. Volume Quarto. 1. Etica Nuova. 2. Silvio, in Napoli, dalla Stamperia del Vaglio, 1867, pp. 108-113.

  pp. 109-110. Io non so se il sistema di Silvio possa o no venire applicato alla società nostra; ma questo so bene, che dalla sua applicazione scaturirebbero inconvenienti di gran lunga minori di quelli che vediamo al presente, ed i quali, il matrimonio rimanendo qual è, attenuare si possono, ma non rimovere al tutto. Alcuni di tai palliativi troverà il leggitore nel noto libro di Onorato Balzac, intitolato: De la physiologie du mariage, nel quale, accanto a molte leziosaggini e inezie, rinvengonsi ammaestramenti utilissimi. Fiato buttato, dicevami Silvio, a proposito di tal libro, chè i matrimonii si fanno per amore o per interesse, e l’amore non sa né può ragionare, mentre l’interesse nel matrimonio altro non vede che un buon negozio. […].
  p. 112. Chiuderò questo capo con tre precetti, dei quali i due primi sono indiritti ai giovani sposi, il terzo alle mogli.
  Precetto primo. Scompagnarsi il meno possibile, e soprattutto, giusta l’opinione del Balzac, non cessar mai di dormire nel medesimo letto.

  Giuseppe Rizzini, Studi storici, letterari e morali sul romanzo dell’Abate Giuseppe Rizzini bresciano. Operetta dedicata al merito illustre del Rev. Sac. Dott. Teologo Geremia Bonomelli già professore di teologia dogmatica e filosofica di religione nel Seminario Vescovile ora prevosto di Lovere, Chiari, Tipografia F. Buffoli, 1867.

Capitolo VII.
De’ principali romanzieri che fecero mal uso del romanzo, pp. 31-36.

  pp. 31-34. Walter-Scott stesso, sebbene nella maggior parte de’ suoi romanzi non offenda il buon costume, non intacchi le religiose credenze, pure in alcuno, principalmente ne’ Monaci e ne’ Crociati, denigra il cristianesimo e le sue istituzioni e fa il più lusinghiero elogio della supposta virtù filosofica e naturale a scapito della fede e della morale dell’evangelo. Lamartine indifferentista riscontra il bello in ogni culto, quasichè il bello possa esservi laddove manca il fondamento del vero. Egli è cristiano ardente se dipinge Gerusalemme teatro de’ Miracoli, de’ patimenti, e de’ trionfi dell’Uomo-Dio, e se descrive una moschea lo fa col linguaggio di un maomettano entusiasta. – Vittor-Hugo ne’ suoi romanzi applicò la teorica del brutto: per non esser scettico ammise qualche cosa di certo la fatalità.
  Nel Notre Dame des Paris (sic) combatte la religione (l’unica che possa temperare l’amarezza de’ mali ed infondere il coraggio di sopportarli) come quella che venga a complicare tristamente gli umani destini, e ad accrescere le fonti della infelicità. Nei Miserabili incolpa gli ordinamenti sociali, se alcuni individui, ed alcune classi di cittadini vengono spinti alla miseria, al delitto e poscia all’odio comune ed alle tremende punizioni della giustizia umana: anche qui sopprime il libero arbitrio, e cangia in urto irresistibile l’influsso delle circostanze. E nell’ultimo romanzo: I lavoratori del mare mostrò inevitabile la sconfitta nelle lotte d’amore; necessarie le disperate rivoluzioni; virtù d’animo il non sopravvivere ai sinistri destini ed il cercar la morte entro i gorghi del mare. La Sand, donna che ha pochi uomini pari per la forza delle immagini, ed il nerbo dei concetti, anch’ella tende a rompere l’unione ed a scalzare le basi della società, col mostrare inutile, impotente, fittizia la virtù, coll’indebolire il freno della religione scemandone la riverenza: talvolta spinge a desiderii immensi che trascinano l’uomo a tentar l’impossibile, e mettono in una agitazione minacciosa le masse. Eugenio Sue diguazza nel lezzo più torbido; snuda le piaghe più stomachevoli della umana società, onde mostrare il bisogno di sfacellarla (sic), per ricomporla poi con nuovi diritti, nuovi principj, nuove forme di pubblico regime, e dogmi e riti novelli di religione. Paolo di Kock come lubrica verme bulica nel pantano e non si pasce che di ributtanti sensualità. Alessandro Dumas anch’egli fu vinto dall’interesse di lusingare il pubblico col pascerne, oltre la fantasia, le passioni: secondò la corrente e soggiacque di grado in grado all’infezione comune. Anche Balzac, dopo essersi co’ suoi primi romanzi procacciata la lode degli onesti e la stima dei dotti, prostituì la fama e l’ingegno coll’oscenità dei racconti; col dipinger caratteri d’anime viziose, maligne crudeli, e scene di cascante mollezza, o di frenesia la più esaltata.
  E perché si conosca qual sia comunemente il genere di morale che tiene il fondo di questi romanzi, e perché non si dubiti ch’io abbia giudicato questi stranieri con opinioni individuali o con eccessiva severità, riferisco quanto scrive il Zoncada [cfr. 1853] là ove parla de’ romanzi che ci piovono a dirotta dal cielo di Francia.
  “Che diremo dunque di quei romanzi nei quali l’uomo virtuoso è sempre la vittima; il tristo, il perverso finisce sempre a trionfare; di que’ romanzi nei quali certe virtù son sempre sì maltrattate che riescono ridicole; nei quali si scalzano le basi della civile convivenza, talchè l’orgoglio che aspira in alto ha sempre ragione, il diritto che vuol mantenersi ha sempre torto? […] Ecco i belli insegnamenti che ci danno tanti e tanti romanzi che, quasi da impura officina, ci vengono ogni giorno dalla Senna. E che altro c’insegnano i Balzac, i Sue, i Dumas, i Kock, i Dudevant per tacere di altri il cui nome è un’insulto (sic) al pudore?” […].


Capitolo IX
Del romanzo rispetto alla donna, pp. 44-50.

  p. 45. Ma sventuratamente le eroine di molti romanzi o spettano ad una natura aerea, o sono un accozzamento di qualità tra loro contrastanti, o lusinghiere personificazioni del vizio: molte non spiccano che per diabolica astuzia, o perché hanno il maschio ardimento di compiere grandi delitti. Mi sembrano tali la Giulia di Rosseau (sic), le donne libere ed affatto sciolte dalla patria podestà dell’uomo di cui parla San-Simon (sic), Madama Allart e Giorgio Sand; quelle altre consapevoli d’ogni maligno artifizio e mezzane de’ più sordidi ed inviluppati intrighi, che han parte nei racconti di Balzac e di Sue.

  Raffaele Sonzogno, Beno de’ Gozzadini podestà di Milano. Storia del XIII secolo per Raffaele Sonzogno. Vol. VI, Milano, Libreria Sonzogno, 1867.


Capitolo LXIII. Cleopatra, pp. 297-338.

  p. 330. Lo specchio ripeteva inesorabilmente il vero, forse perché non aveva la parola; il profumo della giovinezza era scomparso; quel profumo irresistibile onde Dio ha armato la donna. E quanto più ella [Stefanetta?] si sentiva spezzata in mano l’armi a quella conquista, che un istante era parsa arriderle dinanzi, tanto più l’immaginazione le cresceva il prezzo, e la voluttà di quel frutto a lei negato. E vendemmiatrice assidua della vigna dell’amore, provava, strano a dirsi, lo stesso supplizio, gli stessi rimorsi d’una vergine, che muore senza mai aver gustato le gioje della vita; supplizio, rimorsi che Balzac ha così bene descritti nel Giglio della valle (sic).

  Ferdinando Verardini, Studi sulle malattie del pancreas. Memoria del dottor Ferdinando Verardini, «Memorie dell’Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna», Bologna, Tipografia Gamberini e Parmeggiani, 1867, pp. 249-302.

  p. 283. Dirò ancora a maggiore sostegno di questo argomento […] intorno i mali effetti dell’abuso del tabacco sia posto quasi all’evidenza il nocumento che alla umana salute arreca questa pianta; la quale, riferirò qui un detto arguto di Balzac che mi corre alla mente «si elle endort le chagrin, elle engourdit encore infailliblement l’énergie» [citazione tratta da La Muse du Département] e consento che guidi a profonde alterazioni ed in particolare ne’ visceri che servono alla digestione de’ cibi ed alla loro chilificazione.



  [1] Segnalato ed analizzato da L. Carcereri, Editoria e critica balzachiana … cit., p. 515. L’opera è presente nella Biblioteca Casanatense di Roma.
   [2] Ibid.
   [3] Segnalato da L. Carcereri, Editoria e critica balzachiana … cit., pp. 540-541.
   [4] Pubblicato successivamente, con il titolo di: Pier-Angelo Fiorentino, in L. Capuana, Il teatro italiano contemporaneo … cit., pp. 361-370.
   [5] Pubblicato successivamente, con il titolo di: Eliodoro Lombardi, in L. Capuana, Il teatro italiano … cit., pp. 382-393.
   [6] Celebre citazione tratta da Le Médecin de campagne.

Marco Stupazzoni

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