domenica 23 giugno 2013


1852




Traduzioni.


  Onorato Balzac, Laura di Rastignac al fratello, in AA.VV., Il Libro dell’Adolescenza femminile, Milano, Dottor Francesco Vallardi Tipografo-Editore, 1852, pp. 327-329.

 

  La tua lettera è giunta a proposito, caro fratello. Agata ed io volevamo impiegare il nostro denaro in differenti maniere, sicchè non sapevamo a quale acquisto risolverci. Tu hai fatto come il servo del re di Spagna quando rovesciò gli orologi del suo padrone, ci hai messe d’accordo. In vero, eravamo sempre in quistione per sapere a quale de’ nostri desiderii daremmo la preferenza, e non abbiamo indovinato, buon Eugenio, l’impiego che soddisfacea a tutti i nostri desiderii. Agata balzava di gioia. In somma parevamo pazze per tutta la giornata, a tal segno, (stile della zia) che mia madre ci dicea col suo tono severo: Che avete mai, signorine? Se fossimo state sgridate, credo che saremmo state contente. Una sorella dee provare un gran piacere nel soffrir pel fratello che ama. Io sola era pensierosa e disgustata in mezzo alla mia gioia. Io sarei certamente una cattiva moglie; spendo troppo. Io m’era comperato due cinture, un bel puntale onde far i buchi ne’ corsetti, altre coserelle inutili, sicchè io avea meno denari che quell’Agatuccia, la quale è economa, ed ammassa gli scudi come una gazza. Essa avea duecento franchi, ed io, povero amico, non ne ho che cento cinquanta. Sono punita, e vorrei gettare la mia cintura nel pozzo; mi sarà sempre una cosa penosa il portarla. Io l’ho rubato. Agata è stata amabile. Essa m’ha detto: Mandiamo i trecento cinquanta franchi da noi due. Ma io ti ho raccontato le cose come sono accadute. Sai come abbiamo fatto per eseguire i tuoi ordini? Abbiamo preso il nostro glorioso denaro, siamo state amendue al passeggio, e presa la strada maestra siamo giunte ben presto a Ruffec, ove bonariamente abbiamo dato la somma al signor Ganimbert (sic) che tiene l’ufficio delle Messaggerie reali. Al nostro ritorno eravamo leggiere come rondini. Forse la felicità ci rendeva si leggiere? mi domandava Agata. Abbiamo detto mille cose che non vi ripeterò; si trattava troppo di voi signor parigino. Ah caro fratello, t’amiamo assai, ecco tutto in due parole. In quanto al segreto, secondo mia zia, noi piccole meschine siamo capaci di tutto, anche di tacere. Mia madre è stata misteriosamente ad Angoulême con mia zia, ed amendue, hanno osservato silenzio, intorno alla sublime politica del loro viaggio, il quale non ha avuto luogo, senza lunghe conferenze dalle quali siamo state bandite; noi, come anche il signor barone. Grandi congetture occupano gli spiriti nello Stato di Rastignac. La reste di mussola cospersa di fiori a giorno, che le fanciulle ricamano per Sua Maestà la regina, s'avanza nel più profondo segreto, e non vi mancano più che due gigli. È stato deciso che non v’avrà più mura dalla parte di Verteuil, v’avrà una siepe. Il popolo minuto vi perderà i frutti delle spalliere, ma vi si guadagnerà una bella vista pei forestieri. Se l’erede presuntivo avesse bisogno di fazzoletti, è prevenuto che l’usufruttuaria di Marcillac frugando ne’ suoi tesori e bauli, denotati sotto i nomi di Pompeja ed Ercolano, ha scoperto una bella pezza di tela d’Olanda ch’essa non conosceva. Le principesse Agata e Laura, metton all’ordine il filo, l’ago e le mani sempre alquanto rosse. I due giovani principi don Enrico e don Gabriele hanno conservata la trista abitudine di satollarsi di mosto cotto, di far arrabbiare le loro sorelle, di non voler imparar nulla, di divertirsi a snidare gli uccelletti, di strepitare, e di tagliare malgrado le leggi dello Stato, i vinchi per fare delle bacchette. Il nunzio del papa, chiamato volgarmente il signor parroco, minaccia di scomunicarli se continuano a lasciare i canoni della grammatica pei cannoni del bellicoso sambuco. Addio, caro fratello, nessuna lettera ha mai contenuti tanti voti fatti per la tua felicità, né tanto ancora contento. Tu avrai adunque assai di cose a dirci al tuo ritorno, e dirai tutto me che sono la primogenita. Mia zia ci ha lasciato travedere che hai fortuna nel mondo.

  Dunque Eugenio, se tu volessi, noi potremmo far senza delle camicie e ti faremmo delle camicie. Rispondimi presto su tal proposito. Se ti facessero d’uopo subito delle camicie ben cucite, noi saremmo costrette ad applicarvici tosto; e se a Parigi vi fossero delle mode che non conoscessimo, tu ci manderai un modello, soprattutto per l’orlo delle maniche. Addio, t’abbraccio sulla fronte dal lato sinistro, sulla tempia che a me appartiene esclusivamente. Lascio l’altra parte del foglio ad Agata la quale m'ha promesso di non legger nulla di quanto ti scrivo io; ma per essere più sicura, resterò vicino a lei intanto ch’essa ti scriverà. Tua sorella che t’ama

Laura di Rastignac».

 

  Cfr. Le Père Goriot.



  O. Balzac, Una Passione nel deserto di O. Balzac, in La Collana della regina di A. Dumas. Prima versione italiana. Vol. VI, Milano, presso la Libreria Ferrario, Contrada di Santa Margherita, num. 1106, 1852, pp. 169-187.[1]
  Volume in 16° (160 x 100 mm.) di complessive 189 pagine; 1 tavola. Il racconto di Balzac è preceduto da: Storia di un morto narrata da lui medesimo: inverosimiglianza di A. Dumas (pp. 129-158) e da: Un’Anima nascitura di A. Dumas (pp. 159-168).


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  La traduzione è esemplata sul testo dell’edizione preoriginale, apparsa nella «Revue de Paris» del 26 dicembre 1830.[2]


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Studî e riferimenti critici.

 

  Appendix Librorum Prohibitorum a die 1 septembris 1840 ad 6 septembris 1852, in Index Librorum Prohibitorum SS. Domini Nostri Gregorii XVI Pontificis Maximi jussu editus Romae MDCCCXLI, Monteregali, Excudebat Petrus Rossi Impressor Episcopalis cum speciali approbatione Summi Pontificis Pii IX, 1852, pp. 450-451.


  Balzac (M. de). Le Lys dans la vallée.
  – Phisiologie (sic) du mariage ou méditations de philosophie éclétique sur le bonheur et le malheur conjugal. – Le livre mystique. – Les cent contes drolatiques, colligées des abbaïes de Touraine, et mis en lumière. – Nouveaux contes philosophiques. – Contes Bruns. – L’Israélite (seu sub ficto nomine) de Horace de saint-Aubin. – L’excommunié. Roman posthume. Dec. 16 sept. 1842.
  – Un grand homme de province à Paris. – Berte (sic) la Repentie. – Contes drôlatiques. – Jane la pâle (seu sub ficto nomine) de Horace de saint-Aubin. Dec. 28 jan. 1842.
  – La femme supérieure. La maison Nucingen. La torpille. – Le vicaire des Ardennes (seu sub ficto nomine) de Horace de s. Aubin. Dec. 5 aprilis 1842.


  Balzac (Onorato), in Manuale didascalico universale ossia Insegnamento elementare di grammatica, lingua italiana, letteratura, rettorica, poesia, eloquenza, filologia, aritmetica, algebra, geometria, meccanica, fisica, chimica, ricreazioni scientifiche, astronomia, meteorologia, istoria naturale in generale, geologia e mineralogia, botanica, zoologia, anatomia e fisiologia, igiene, medicina e chirurgia, geografia, istoria, biografia, archeologia, numismatica, blasone, religione, filosofia, mitologia, scienze occulte, legislazione, governo e sue forme, industria e pubblica economia, agricoltura ed orticultura, arte militare, marina, stampa, musica, disegno, pittura, scultura, intaglio e litografia, architettura, educazione, riflessioni sull’elezione d’uno stato. Seconda Edizione. Volume Unico. III. Biografia di alcuni degli uomini più notabili nelle arti e nelle scienze, Prato, Tipografia Aldina, 1852, pp. 412-413.


  Cfr. 1851.



  Non v’ha giornale francese che non siasi finora occupato, o che non si occupi tuttavia, del nuovissimo dramma di Alessandro Dumas figlio: La Dame aux Camélias, il di cui successo in Parigi è stato così straordinario, che sembra quasi favoloso. Essendo stato tradotto in italiano dal sig. De Pasquali, quello stesso che ha dato a parecchie nostre Compagnie la traduzione del Mercadet del celebre O. Balzac, e della Madamigella de la Seiglière del rinomatissimo G. Sandeau, così restano avvertiti i signori Capi Comici e Direttori di Compagnie, che laddove ne volessero fare prontamente l’acquisto, si potranno dirigere per lettera Al sig. Gaetano De Pasquali, Torino, Tipografia Fory e Dalmazzo.


  Mode (Dal Corriere delle Dame), «Gazzetta dei Teatri. Si pubblica in continuazione alla “Moda”», Milano, Anno XV, N. 16, 20 Marzo 1852, p. 62.

  Malgrado la smania dei ricami, dobbiamo avvertire che la semplicità, anche su questo particolare, non vuol essere trascurata: i fazzoletti di mattino ad orli smerlati senza ricami, senza pizzi, ma d’un’eccessiva finezza, di batista, e con rigature serpeggianti a disposizione nel tessuto sono i più nuovi. Questa raccomandazione è pure del succitato giornale [Moniteur de la Mode], il quale sostiene, come Balzac di buona memoria, che la donna elegante si riconosce dal suo fazzoletto.


  Cose locali. Teatro Filodrammatico. “Mercadet le faiseur” di Balzac, «Il Diavoletto. Giornale triestino», Trieste, Anno V, N. 205, 26 Luglio 1852, p. 824.

 

  Uno di que’ tanti che hanno la smania di far affari, e per quante volte vadano in rovina, ricominciano sempre, che pieni di debiti da ogni lato si volgano, conservan pur sempre un’aria ilare, ed abbindolano con promesse, con chiecchiere, con prospetti d’affari i lor creditori, che vengon chiamati guastamestieri, o faci-tutto, aventi in sè la sensazione, come dice Fourier, dell’imbroglio: ecco il carattere del protagonista della postuma commedia di Balzac; in cui la dipintura fedele dei caratteri, la satira vivente su tutto e su tutti che spira nell’intera commedia, l’esposizione semplice dell’intreccio, ed il vivace dialogo ed interessante rivaleggian fra loro a tener desta l’attenzione del pubblico. Da alcuni si trovò immorale la conclusione. Perché? perché Mercadet affogato dai debiti, per una felice ed inaspettata combinazione, riesce a liberarsene. Osserverò in prima che ciò succede in quel punto in cui già non c’era più scampo pel faci-tutto, e doveva andar in carcere, sicchè è bastantemente mostrato quanto infelice sia la fine di codesti imbroglioni più per passione che per mestiere: ora il finir la produzione colla prigionia del protagonista sarebbe stato in primo luogo discorde dalla felice conclusione che dee essere una commedia e poi avrebbe disgustato il pubblico; nè si dee calcolar poca cosa l’effetto scenico, massime poi quando questo non fa a pugni colla moralità. Difetto, voglio dir neo della commedia è piuttosto la quasi nessuna parte delle donne, ma questo è ben compensato dalla batteria di frizzi mordaci con cui Mercadet bombarda continuamente i suoi interlocutori, e di rimbalzo il pubblico.

  Passando alla parte della recitazione, loderemo il signor Pougin, (di cui quelle sera era la beneficiata, e beneficiata in vero benefica, chè il pubblico accorse numeroso) che egregiamente fece la difficile parte di Mercadet, la Signera Dorsan (Mad. Mercadet) che ci spiace veder recitar sì di rado, ed i sigg. Meynadier e Cossard che con soddisfazione universale fecero la parte di creditori.


  Ruggero Bonghi, Diario, 13 aprile 1852. Ora in I Fatti miei e i miei pensieri. Pagine del diario con introduzione e note di Francesco Piccolo, Firenze, Vallecchi Editore, 1927, pp. 47-48.[3]
  Balzac.
  In questi giorni di malattia da mercoledì insino ad oggi 13 aprile ho letto parecchi libri. Da quattro o cinque volumi del romanzo già incominciato del Balzac: Les enfants (sic; lege: Parents) pauvres. Lettura che stanca, perché storia troppo lunga e troppo lurida: vera, ma anatomicamente: pittura senza eleganza e tutta nudi in atteggiamenti storpii e strani. L’ingegno di quell’uomo è potente ma uniforme: non ha abilità descrittiva, la quale del resto manca a tutti i romanzieri moderni francesi: non fecondità o spontaneità negl’intrecci: non correttezza e fluidità nel dialogo, troppo pieno di spezzature e sprezzature, o lavorato troppo a tratti e motti e lampi, insino a perdere qui e là ogni opportunità e naturalezza: infine indigestione di parecchie idee giuste e vere, viste in un barlume, e mostrate in una penombra. La sua qualità principale una certa cognizione, esatta, coraggiosa, terribile della corrotta natura umana, e della varia vita parigina: cognizione che rivela un ingegno acuto e alto, tanto più che è accompagnato da un sentimento e un giudizio morale, più virile, più diritto e più rigido, che non è ne’ suoi fratelli. Il Balzac pare capace di meglio di un romanzo o almeno d’un romanzo buono: buono in un genere; che non sarebbe l’ottimo. Avrebbe potuto scrivere pensieri come quelli del Leopardi, e venirne a conclusioni meno erronee sull’ordine intero delle cose. Se volessi giudicare I genitori poveri, andrei alla lunga: mi basta ricordare la «home» ed il carattere di quella Madama Marneffe, borghese, che fa bottega di consenso del marito, rovina parecchie famiglie, e busca duemila franchi di rendita per via d’una gravidanza supposta, di cui dà il merito a quattro amanti diversi, che s’affrettano ciascuno a mettere nei panni il futuro loro figliuolo.

  Ruggero Bonghi, Diario, 19 aprile 1852. Ora in I Fatti miei e i miei pensieri …, 1927, pp. 53-54.[4]

             La Scuola di Belle Arti e altro.
  p. 53. Ho rivisto la scuola di Belle Arti, il bel fresco del Delaroche, che mostra un ingegno potente di invenzione, e la bella copia del «Giudizio» del Sigalon. Lì si vede meglio che alla Sistina, dove è tutto affumigato. Tra i gessi c’era una copia del «Pensatore» di Michelangelo, statua che non aveva osservato, e a cui ho ripensato per la menzione che ne fa il Balzac, e l’osservazione che ci fa su, che è che quella statua, come la vergine del Dürer, dimostrano come il nudo non sia punto essenziale alla espressione del marmo.

  Ruggero Bonghi, Diario, 19-20 e 21 ottobre 1852. Ora in, I Fatti miei e i miei pensieri … cit., pp. 155-156.[5]

             Balzac.
  Ieri lessi un romanzo del Balzac, Il Padre Goriot. Feci male: questi libri, anche quando non son pessimi, infiacchiscono, snervano, ammalano l’animo. Mi dico, che a me non fanno nulla: mi confermano nel ghignare a tutto e nello stringermi nelle spalle di tutto. Il fatto, raccontato dal Balzac, è pur troppo vero e laido: la società, che dipinge, è pur troppo quella che conosco e anco il sentimento col quale la dipinge lui è certo di disgusto e di orrore: eppure non fa nulla questo agli effetti morali del libro. Quella laidezza e quell’orrore, ve lo dipingono come abituale ormai, ordinario, e cosa di cui tutti si contentano, su cui tutti ballano e tutti s’addormentano: e la vita va. Non vi mettono innanzi caratteri vigorosi di virtù indomata: sempre vizi più o meno nascosti, più o meno deboli e risoluti: e c’inducono una persuasione, che a questo mondo non si può credere di scegliere il bene se non per una illusione, e infatti non si sceglie se non un male diverso. Questa persuasione, che vi si insinua soppiatta nell’anima, vi fa quell’effetto che farebbe a un albero la recisione di quella radice colla quale più succhia di vita. Questa radice è all’anima la persuasione del bene: senz’essa, vengono su rami ammalati o storti. Virtù false, e vizi veri: una falsa pietà, una compassione al delitto, che chiamano filantropia: un’inclinazione al piacere dei sensi, come quello che ci sia di più reale nella vita, che chiamano sentimentalità; una voglia di far correre l’acqua alla china, che chiamano umanità: una fiacchezza nel lodare e vituperare altrui ed una indifferenza alla lode o vituperio altrui, che chiamano nobiltà e coscienza: e tante altre simili qualità.
  Il Balzac ha molto ingegno, e qual cosa di sano e di buono nel cuore. E per questo esagera troppo il male, e l’ingrossa e l’allarga troppo. Mente capace d’osservazioni profonde, ma non forte e paziente abbastanza per chiarirle a sé medesimo e verificarle; si avviluppa talvolta, in modo, che è malagevole a seguirla e stanca. Accoppia e muove bene i suoi gruppi: ma il dialogo ha rare volte spontaneità ed eleganza. Vero nei caratteri, ma non capace di descrivergli altrimenti che a tratti ed a salti. Non fa tutta la trama della sua storia e ne lascia parecchi fili interrotti.

  Ruggero Bonghi, Diario, 25 ottobre 1852. Ora in I Fatti miei e i miei pensieri … cit., p. 157, e in Colloqui col Manzoni di N. Tommaseo, G. Borri, R. Borghi, Roma, Ultra, 1944, p. 377.[6]

  Balzac.

  Il Balzac scriveva giù come in abbozzo il suo romanzo: poi lo dava così allo stampatore, che glielo stampava in lettere assai grosse e a righi molto larghi. Su questa specie di stamponi rifaceva il suo scritto.
  Andò a far visita al Manzoni e gli disse parecchie cose insulse. Gli voleva dare di sé un gran concetto: parlò sempre lui. Disse che tre uomini in Francia avevano capito Rabelais, lui, Chasles e non so chi altro.


  A. Borella, Progetto di legge. Sull’Ordinamento dell’Amministrazione centrale, «Gazzetta del Popolo», Torino, Anno V, Num. 304, 23 Dicembre 1852, pp. 2-3.


  p. 2. Non è mia intenzione di entrare nelle aziende, santuarii dell’assolutismo, nei quali si trovano quei veri tipi d’impiegato definito da Balzac: «un homme à lunettes, qui écrit, assis dans un bureau». No, per carità, non penetriamo là entro, per non sollevare un tale polverio di regolamenti, di circolari, di biglietti regii, e d’altre emanazioni ministeriali, da far tossire il pubblico per mezz’ora di filo contro ogni legge di carità e di galateo. 

  p. 3. Per l’avvenire poi sarà anche procurata una maggior economia, essendo necessario un minor numero d’impiegati; quest’avvenire sarà più o meno lungo, secondo che piacerà agli attuali impiegati di vivere più o meno tranquillamente domiciliati nell’Erario pubblico. Il che pur troppo sarà per molto tempo, poichè, secondo Balzac, la vita pacifica, regolare, metodica dell’impiegato, lo predispone a quella longevità promessa solamente dal Decalogo a chi onora il padre e la madre.



  G. Boué, Varietà. Letteratura magiara, in AA.VV., La Ungheria antica e moderna. Sua storia, arti, letteratura, monumenti. Scritta da una Società di letterati sotto la direzione di M. J. Boldenyi, Pistoja, a spese dell’editore, 1852, pp. 170-178.

  p. 172. All’emulazione entrata fra questa numerosa falange di giovani autori, deesi in gran parte la traduzione di capolavori francesi, inglesi e tedeschi. Quasi avesse avuto impazienza di pareggiare d’un tratto le nazioni più culte, in pochi giorni, può dirsi, divorò le opere prodotte negli aurei secoli delle lettere, e quelle dei più celebri contemporanei; e le stesse penne che faceansi interpreti di Shakspeare (sic), di Corneille, di Dante, di Goëthe, o di Schiller, volgarizzavano anche i drammi e i romanzi partoriti dalla immaginazione di un Dumas, di un Balzac, di un Eugenio Sue. Così sotto il crudo clima dei Carpazi si è rapidamente sviluppata una letteratura forte, energica, splendida; ed ha per corifei poeti, storici e filosofi.


  Antonio Bresciani, Prose scelte del Padre Antonio Bresciani della Compagnia di Gesù seguite dall’Arte di ben governare del P. Binet tradotta dal medesimo. Volume unico, Napoli, a spese della Società Editrice, 1852.

 

  Ammonimenti di Tionide al giovine Conte Di Leone per conservare il frutto della buona educazione.

 

Le società secrete.

 

  p. 93. Il semplicetto che legge sulla gazzetta di Ginevra il suo nome infranciosato, che reca l’i finale in ipsilon, si pavoneggia, divisandosi che tutto il mondo debba parlare di lui, come di Lord Byron, e del Signor di Balzac. Ell’è guerra vinta. Il giovinetto dall’ipsilonne è già ascritto al ruolo de’ Carbonari letterati.

 

  Avvisi a chi vuol pigliar moglie. Continuazione degli Ammonimenti di Tionide.

 

La ricerca.

 

  p. 20. Conversando poi co più grandi uomini dell’età nostra, li pregò per conforto dell’anima sua, che scrivessero nel vezzoso suo Album i nomi loro; e mostra agli ospiti e agli amici colla più soave albagietta la sottoscrizione di quell’onnipotente Gros, che per chimica sapienza creò l’Accarus horribilis. V’è il nome di quell’uomo miracoloso, che insegnò a camminare sull’acqua, e corrervi in cocchio a sei cavalli, qual novello Nettuno. Havvi i santi nomi di Balzac, di Dumas, di Victor Ugo, che al nome loro aggiunsero per ciascuno una sentenza spirituale, per buono ammaestramento della casta pulcella.

 

La scelta.

 

  p. 39. Amico, se tu la richiederai in moglie, credimi, che non avrai d’uopo d’apprestare l’appartamento nuziale secondo le regole della fisiologia del Balzac, né d’osservare al nodo della cravatta di chi va e di chi viene in casa tua.

 

Il savio sposo.

 

  p. 43. I nostri maggiori per contrario riputavano argomento di non pura coscienza il veder le giovani donne starsi lontane dai santi lavacri di vita eterna; ma eglino eran semplici i nostri vecchi, nè era venuto ancora il Balzac a dar loro sì leggiadra novella.

 

  Del Romanticismo italiano rispetto alle lettere alla religione alla politica e alla morale.

 

  p. 46, nota (1). Che si direbb’egli adesso che ci venner di Francia i demoniaci del Balzac, gli spergiuri, i falsari, gli adulteri, gli incestuosi, i sicari con tutte le altre luride e nere abbominazioni, onde insanguinarono i loro scritti i Dumas, i Victor Ugo (sic), e le Georges Sand? Si dirà che sì deliziose e amabili cose è d’uopo render volgari all’Italia ristampandole, traducendole, acconciandole alle nostre scene: anzi perché più dolci e spirituali divengano, egli è da accordarle colla celeste armonia della musica, e cantando e suonando insegnare al popolo i più truci e stomacosi delitti.


 

  [Antonio Bresciani], Lionello, Ariel e Doralice, «La Civiltà Cattolica». Pubblicazione periodica per tutta l’Italia il 1° e 3° sabbato di ciascun mese, Roma, All’Uffizio della “Civiltà Cattolica”, Anno Terzo, Volume IX, 1852, pp. 501-518.

  p. 518, nota 1. Ciò che narra Lionello noi lo vedemmo in Roma assai delle volte, massime in certe occasioni de’ maggiori sconvolgimenti, come il dì 1.° di Maggio, il dì 15 e 16 Novembre del 1848, e nel tempo dell’assedio, in cui vedeansi certe facce così spaventose, e cert’occhi tanto sinistri, biechi, truci che pareano di dragone e basilisco. Niuno potea sostenerne la vista; e avvegnachè alcuni fosser giovani di bello aspetto, avean pur l’occhio di bragia con cipiglio sì fiero e truculento, che parean demonii incarnati. Eran proprio i demoniaci di George Sand e di Balzac.

  Cesare Cantù, Letteratura – Il Romanticismo, in Storia di cento anni [1750-1850]. Seconda edizione accresciuta ed emendata. Vol. II, Firenze, Felice Le Monnier, 1852, p. 466-520.

  In questa seconda edizione dell’opera, C. Cantù corregge l’errore tipografico delle edizioni precedenti trascrivendo correttamente, in Eugenia Grandet, la traduzione del titolo del romanzo balzachiano.

  pp. 500-501. Balzac, con acuto vedere, potente descrizione, arte d’appropriarsi l’altrui, piacque anche a gente serie (Luigi Lambert, Eugenia Grandet) prima che s’abbandonasse alla sensualità, alla quale pretendendo mescolare non so che di spirituale, produsse un bastardume indecente. Dimostrazione di teorie, appoggio di sistemi fece i romanzi una donna che, per forza di pensiero o potenza di stile, ha pochi pari fra gli uomini. Nessuno confonda lei colla ciurma de’ romanzieri, né tutte le creazioni sue con quelle prime, scritte con sangue stillante da cuore di donna: ma a lei pure potrà domandarsi conto severo di cotanto scalzare la società, mostrare il nulla della virtù, delle credenze, fin della voluttà; spingere fra passioni violentissime e nell’immensità dei desiderj, anzi che agguerrire contro le inumane o ingenerose inclinazioni.


  Andrea Cittadella-Vigodarzere, Scherzi poetici di Andrea Cittadella-Vigodarzere. Per le nozze Colloredo-Pappafava, Padova, co’ tipi di Angelo Sicca, 1852.

 

  Il Leone bimano, pp. 7-16.

 

  p. 16. Annotazione.

 

  (*) Questo Scherzo fu scritto nel 1846, e stampato nel primo Numero del Caffè Pedrocchi, poi ristampato dalla Gazzetta di Venezia e dall’Eco di Genova. D’allora in poi alcune delle fogge qui irrise si sono mutate; e forse (Dio lo voglia) la razza dei Lioni bimani è spenta. In questo caso lo si guardi come una pagina d'istoria de’ costumi.

 

  p. 11.

 

  Giorgio Sand, Eugenio Sue

  Leggo invece avidamente,

  Ed apprendo da que’ due

  I gran dubbi del presente;

  In quei libri sta ogni lue

  Del tapino e del potente;

  Là si libra, là si snoda

  Ogni idea venuta in moda.

  Dal Dumas, dal de Musseto

  So degl’Itali e dei Mori;

  Entro all’Ugo (sic) m’impoeto

  Nella gloria degli errori;

  Il Balzac ogni segreto

  Mi rivela degli amori,

  E in qual forma ben s’annoda

  L’Imeneo giusta la moda.

 

 

  pp. 17-22.

 

  Leo Bimanus. (*)

 

  (*) Questa versione latina del Lione bimano, fatta dal Parroco di Saonara D. Antonio Moscon Gazza, è bella prova di piegare la lingua latina a tanta di versità d’idee e di costumanze.

 

  p. 20. Victor, et errorum efficiunt me gloria vatem,

  Mî per Balzacum cuncta revelat amor.



  O. D., Teatri, «L’Opinione», Torino, Anno V, N. 343, 14 Dicembre 1852, p. 1.

 

  L’ altra sera correva al Gerbino la beneficiata di Vestri. [...].

  C’era dunque una bell’accolta di popolo. E come si sapeva applaudire al bravo attore! Applaudirlo per sè e per la compassione che destava grande in quegli animi non avvezzi nè restii forse abbastanza per celarla. Giacchè si rappresentava quel terribile dramma di Papa Goriot, la generosità e l’avidità, il cuor aperto e la dissimulazione, il sagrificio e l’ingratitudine, l’uomo povero di spirito ma grande d’affetto, di carità, di perdono, ed altri uomini potenti per posizione e ricchezze, ma poveri di cuore, anzi tristi ed infami. E tutto questo miserando spettacolo, in una stessa famiglia, tra un padre e (orribile a dirsi!) le figlie sue e gli sposi di queste figlie!

  Non vogliamo parlare del dramma. Ci sarebbe molto a ridire e sotto il rapporto della verità umana e sotto quello della forma letteraria, massime poveramente ridotto, come l’abbiamo trovato. Quel padre, in ogni modo, circondato da tanta miseria, miseria di corpo, miseria d’animo; quell’uomo che non vuole, non sa credere al triste compenso d’una nera ingratitudine, era pure una creazione che esigeva potenti mezzi per essere sostenuta sulla scena, Ebbene, il nostro Vestri ebbe tutto; e l’ingenuità del plebeo, e gli artificii dell’incredulità, e le gioie sentite del ritorno sperato, e la rassegnazione calma, e lo stordimento morale, e, infine, quando dovette pur cadere la benda dagli occhi del povero padre il furor santo e severo della giustizia ingannata e tradita.

  E gli spettatori applaudivano e fischiavano. Fischi che tornavano pur essi in applausi, poiché non volevano già colpire l’attore, ma il personaggio del dramma, l’ipocrisia e la ferocia dei tormentatori dell’anima generosa e credula del povero Papa Goriot.


  Paolo Emiliani-Giudici, Beppe Arpia. Racconto di Paolo Emiliani-Giudici, Firenze, Luigi Ducci e Comp. (Tipografia di Mariano Cecchi), 18522.

  Cfr. 1851.

  Leonardo Fea, Considerazioni sul romanzo, in Saggi di critica letteraria di Leonardo Fea, 2a edizione, Torino, dalla Stamperia Reale, 1852 [1841], pp. 7-93.[7]

  In queste equilibrate Considerazioni sul romanzo di Leonardo Fea, diversi sono i luoghi in cui viene richiamata la figura di Balzac romanziere. Il primo riferimento è presente nel capitolo primo della seconda parte quando l’A. riflette sui limiti di Victor Hugo come narratore.
  pp. 42-44. Ma quanto abbiamo fin qui detto vien fatto anche evidente col paragonare alcune parti delle produzioni di questo scrittore [V. Hugo] con alcune altre di quelle di tre suoi compaesani contemporanei, Balzac, Dumas, Sand, qual sarebbe per esempio la dipintura del momento supremo e decisivo del dramma o del racconto, quando lo sviluppo delle passioni e de’ caratteri è nella sua maggiore importanza, di uno di quei momenti, dico, poi quali sembra che tutto il restante dell’opera dello scrittore non sia che l’apparecchiamento. Balzac, Dumas, Sand, al pari talvolta di Victor Hugo, per impadronirsi di uno di questi momenti singolari, per preparare insomma ciò che dicesi una grande e nuova situazione, adoperano bensì mezzi che non avrebbero mai con verosimiglianza potuto generare una tal condizione di cose; ma signori una volta di questa situazione a cui anelano, la sanno colorire in modo forte, vivo, evidente.[8]

  Nelle pagine seguenti, il Fea, dopo aver discusso del romanzo storico e di quello psicologico, riflette sul romanzo di costume e sulle sue implicazioni morali.

  pp. 45-46. Chi ha maggior grido in questo genere [il romanzo di costume] è il francese Balzac; e veramente ne’ caratteri, nelle passioni, e nei costumi principalmente, ha spesso una meravigliosa evidenza, e non può negarsi che egli abbia originalità e abbondanza né che la sua analisi del cuore non desti talvolta anche stupore. È giusto però osservare che quest’analisi perde della sua verità ed evidenza quando l’autore tenta di descrivere le azioni umane sublimi, e diventa evidentissima solamente quando s’interna nei fatti semplici e consueti, nelle passioni mezzane ed anche nelle malvagie. Ciò dimostra nello scrittore un sentimento morale non bastantemente sicuro, né un’intelligenza bastantemente alta e serena per contemplare la verità nel bello e nel sublime. Fanno più chiaro quanto qui asseriamo due suoi difetti, le troppo minute descrizioni e la mancanza di scopo. La strabocchevole abbondanza di particolari, di costumanze soverchiamente locali e momentanee e talvolta inutili, di che egli inzeppa con tanta facilità i suoi romanzi, oltre d’interrompere il corso del racconto, fa sì che la parte accessoria diventando spesso maggiore della principale, il romanzo piglia forme mostruose e diventa non di rado anche oscuro e monco, perché l’autore imbaldanzito della fiducia acquistatasi sul lettore coll’evidenza de’ suoi minuti particolari, e persuasi d’essere, dirò così, creduto ormai sopra parola, non si cura talvolta di rischiarare con irrecusabile evidenza quelle azioni, appunto, per le quali una profonda e solida analisi sarebbe maggiormente necessaria. La sua mancanza di scopo, o per dir meglio la sua ammirazione per tutto quanto ha apparenza di forza e d’intelligenza a qualunque mira essa sia rivolta, mostra che l’autore non ha una profonda conoscenza della vera forza e della vera grandezza morale e intellettuale. Ma tutto ciò s’intenda con qualche riserva essendochè sonvi racconti di questo scrittore illustre pregevolissimi quasi per ogni verso.[9]
  Nel capitolo terzo sempre della seconda parte, l’A. stabilisce un parallelo tra l’opera narrativa di Madame de Staël e quella di George Sand e si mostra particolarmente critico verso la produzione romanzesca non soltanto di quest’ultima, ma dell’intera schiera di romanzieri francesi di cui la Sand fa parte.

  pp. 67-68. Questa scrittrice [G. Sand] non diede la prima l’esempio di gittare il disordine morale nelle lettere perché ella non seguiva che l’esempio de’ suoi predecessori, o contemporanei, Dumas, Balzac, Vittore Hugo. Costoro tutti, chi più chi meno, trovarono la società incerta, confusa, trovarono scrittori grandi come Goethe e Byron, che già più fosca e confusa l’avevano dipinta di come ell’era, e si misero alla loro volta per quella via, a dipingere, cioè, la società in quel modo. Di più, volendo riuscir nuovi e diversi da quei due grandi scrittori si appigliarono allo strano, all’abbietto, e talora al turpe, per il semplice motivo che trovare il nuovo ed il vero per questa via era più facile d’assai che per la via del grande e del bello. Così, invece d’ammonire, essi turbarono maggiormente la società, invece di porle rimedio, la mostrarono nei loro scritti come disperata di guarigione, e, a nostro avviso, essi la calunniarono, perché pigliarono la parte pel tutto, e questa stessa parte ingigantirono e stravolsero assai più del reale. Infatti quell’accozzare, che essi fanno, qualità opposte nel medesimo individuo in un grado impossibile o esagerato, quel trasfondere, nelle persone tenute dall’universale oneste, qualità estremamente meschine e viziose, ed in quelle tenute viziose, virtù grandi in un modo non meno erroneo che immorale; e quel quasi idolatrare un vizio, od una virtù equivoca, perché ha qualche cosa d’abbagliante, tutto ciò, dico, mostra non solo che essi pigliarono nell’ordine sociale, nella famiglia, nell’individuo la parte pel tutto, ma che questa parte fu pure talora da essi falsata e stravolta. E questo misto di falso, di vero, di vizio e di virtù che trovasi sì stranamente accozzato in molti lavori di questi scrittori, dovette senza dubbio accrescere e moltiplicare la confusione d’ogni idea nelle menti più peritose de’ lettori; e ciò fu mal grande, male che fu rarissimamente compensato dallo scopo cui pare che tendano alcuni loro scritti, quello cioè di nobilitare alcuni individui creduti più colpevoli di quanto sono di fatto. Quindi non è meraviglia se questa letteratura dovette pure influire efficacemente sopra una giovane ardente ed orgogliosa come la Sand, onde spingerla per quella via letteraria più facile, ma obliqua e perigliosa, in che tanto progrediva.[10]

  Marzio, Rapporto n. 3836 all’Eccelso imperial regio Presidio [del Governo veneto], Venezia, 24 luglio 1841, in Carte segrete e atti ufficiali della polizia austriaca in Italia dal 4 giugno 1814 al 22 marzo 1848, Capolago, Tipografia Elvetica; Torino, Libreria Patria [indicazione contenuta in copertina], pp. 32-40.
  Questo rapporto è segnalato da R. de Cesare, La prima fortuna di Balzac … cit., Vol. II, pp. 719-720.



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  Alla relazione di questo funzionario veneto è acclusa la copia di un Elenco dei libri proibiti asportati alla Ditta il “Gondoliere” che raccoglie i risultati di una perquisizione nei locali del libraio-editore Giovanni Bernardini e che è firmato in calce da F. Brembilla, capo dell’Ufficio centrale di revisione dei libri.
  Oltre alla presenza di sei opere di Balzac, è interessante rilevare la trascrizione, fra i libri vietati Erga Schedam, de La Canne de M. de Balzac di Madame de Girardin e delle Aventures du grand Balzac di P. Lacroix [le Bibliophile Jacob].


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  Giuseppe Piolanti, La Filosofia del senso comune così poco apprezzata dai dotti sebbene la più verace e sicura. Dialogo terzo dell’Abbate Giuseppe Piolanti fra l’autore ed un odierno saputo, Macerata, dalla Tipografia Bianchini, 1852.

 

  p. 134. Balzac asserisce di guadagnare annualmente co’ suoi Romanzi cento mila Franchi, Dumas, e Sue vivono principescamente a Parigi coll’annuo frutto del loro ingegno.



  Laura Solera Mantegazza, Lettera del 5 Maggio 1852, in Paolo Mantegazza, La mia mamma, Milano, Tipografia Fratelli Rechiedei, 1876, pp. 201-203.

 

  Mio caro Paolo,

  [...] «Balzac, che ne’ suoi romanzi frammischia spesso osservazioni fisiologiche, asserisce che nei figli il sangue è del padre e il sistema nervoso della madre» che i vizii organici, sebben leggeri, si risentono degli strappazzi fisici, forse più ancora che delle scosse morali, e che tu nelle vacanze non risparmii fatiche che parecchi giovani sani, non hanno forza di sostenere e non ne soffri, vorrei perfino dirti che io sebbene non mi sia mai illusa su’ miei dolori, nè sia di un carattere molto facile alla speranza, pure tengo scritto in cuore, che le ingiustizie e gli strazii che ho sopportati, mi devono aver ottenuta la felicità de’ miei figli, nella quale ho tutta la mia fede e vorrei farla passare in te ...



  Antonio Zoncada, I Romanzi, in AA.VV., Il Libro dell’Adolescenza. Fasc. VII., Milano, Dott. Franc.o Vallardi Tipografo-Editore, 1852, pp. 755-765.

 

  p. 758. Quando si pensi che non pochi autori francesi improvvisano romanzi come qui da noi un sonetto, che taluno di essi ha pubblicato i cinquanta, i sessanta volumi di romanzi nel giro di pochi anni, come per tacere dei minori, un Balzac, un Dumas, bisogna far le meraviglie e quasi si griderebbe al miracolo. Ma cessa alquanto lo stupore quando poi si fa mente alla qualità del lavoro, quando, dopo lettine parecchi, vieni a scoprirne il segreto meccanismo che è presso a poco il medesimo per tutti. Nel resto ognun vede come tali opere colla stessa rapidità con che salgono in grido cadono in dimenticanza; i romanzi si succedono ai romanzi, i nomi ai nomi, e l’ultimo è sempre il più lodato. Ormai gli scrittori di romanzi somigliano ai cantanti e ai ballerini, fra i quali quei dell’ultima stagione sono di solito anche i più applauditi. Oggi splende sull’orizzonte la stella di Balzac, domani quella sorgerà dell’autore dei Tre Moschettieri, e invano cercherete in cielo l’astro del signor Onorato.



  Antonio Zoncada, Antonio Muratori, «Gazzetta della Provincia di Lodi e Crema», Lodi, N. 5, 31 Dicembre 1852, pp. 33-34.[11]

 p. 34. Di che si vedrà, ci si perdoni questa digressioncella, che non è nuova l’invenzione dei romanzi eterni di che va tanto superba la Francia, e i moderni Sue, Dumas e Balzac, quanto a mole e volume, hanno dei formidabili rivali nel gran secolo, come così lo chiamano.



Eventi teatrali.


  Cose locali. Teatro Filodrammatico, «Il Diavoletto. Giornale triestino», Trieste, Anno V, N. 200, 21 Luglio 1852, p. 805.

 

 (Ore 8 1/2). Représentation extraordinaire au bénéfice de monsieur Pougin – Abonnement suspendu.

 

Mercadet

ou

Le jeu de la Bourse.

Comédie en 3 actes, par De Balzac.

Distribution.

 

Mercadet M.r Pougin

Minard, commis M.r Léopold

Violette, Goulard Créanciers de Mercadet M.r Cossard ; M.r Hypp. Meynadier

Verdelin M.r Béjuy

Pierquin M.r Paul

M.r de la Brive M.r Fleuret

Méricourt M.t Prioleau

Justin M.r Henri

Mad. Mercadet M.e Dorsan

Julie M.e Victor Henry

Virginie M.e Pougin

Thérèse M.e Honorine


   [1] Edizione segnalata e analizzata da L. Carcereri, Editoria e critica balzachiana… cit. pp. 509-510. La libreria e la casa editrice dei Fratelli Ferrario, scrive il Carcereri, era «un’impresa a conduzione familiare e le collane di romanzi popolari, precipuamente di autori francesi, erano realizzate molto spesso in proprio, dalla scelta dei testi delle traduzioni – opera per lo più di Oreste Ferrario – alla stampa e così via, fino alla commercializzazione». La pubblicazione di questo racconto potrebbe essere quindi «il frutto di una traduzione estemporanea», oppure che si possa trattare «di una ristampa o di una contraffazione di una precedente edizione» (p. 509) di cui ignoriamo anche noi l’esistenza.
  [2] L’opera è presente nelle seguenti Biblioteche italiane: Biblioteca Comunale Vallesiana di Castelfiorentino; Biblioteca Ambrosiana di Milano; Biblioteca Nazionale Braidense di Milano; Biblioteca Comunale di Milano; Biblioteca del Seminario Vescovile della Facoltà Teologica del Triveneto dell'Istituto Filosofico Aloisianum di Padova; Biblioteca Cameriniana di Piazzola sul Brenta (PD); Biblioteca Civica ‘Pietro Ragazzoni’ di Marostica (VI).
  [3] Segnalato da L. Carcereri, Editoria e critica balzachiana … cit., pp. 520-521.
  [4] Segnalato da L. Carcereri, Editoria e critica balzachiana … cit., p. 521.
  [5] Segnalato da L. Carcereri, Editoria e critica balzachiana … cit., pp. 521-522.
  [6] Segnalato da L. Carcereri, Editoria e critica balzachiana … cit., p. 522.
  [7] Segnalato da L. Carcereri, Editoria e critica balzachiana … cit., pp. 522-523 e, per quel che riguarda la prima edizione dello scritto (Torino, Tip. Mussano, 1841), da R. de Cesare, La prima fortuna di Balzac… cit., pp. 707-711.
  [8] Cfr. R. de Cesare, La prima fortuna di Balzac… cit., pp. 708-709.
  [9] Ibid., pp. 709-710.
  [10] Ibid., pp. 710-711.
  [11] Letterato (Codogno 1813 – Pavia 1887), Antonio Zoncada fu avviato al sacerdozio ma lasciò a ventun anni l’abito talare. Partecipò ai moti del ‘48, e si dedicò poi all’insegnamento privato, finché nel 1863 fu nominato professore di letteratura italiana nell’Università di Pavia. L’opera sua più fortunata è un'ampia antologia: I fasti delle lettere in Italia nel corrente secolo (1853) che segnaleremo nella sezione corrispondente. Scrisse anche un Corso di letteratura classica (4 voll., 1858), discorsi, biografie, saggi di estetica, studî storici, opere narrative, poesie.

Marco Stupazzoni

 


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