1915Estratti in lingua francese.
Estratti.
Traduzioni.Onorato Balzac, I Parenti Poveri II. Il cugino Pons. Traduzione di Galeazzo Falconi, Milano, Fratelli Treves Editori, 1915 («Biblioteca Amena», N. 701), pp. 309.Cfr. 1908.
Onorato Balzac, Eugenia Grandet. El Verdugo. Ufficiali di cavalleria. I guanti rivelatori, Milano, Fratelli Treves Editori (Tip. Treves), 1915 («Biblioteca Amena», N. 701), pp. 269.Struttura dell’opera:Eugenia Grandet, pp. 1-234;El Verdugo, pp. 237-252;Ufficiali di cavalleria, pp. 255-260;I guanti rivelatori, pp. 263-268.Cfr. 1906.Honoré de Balzac, Dagli “Studi Geografici” (sic: corretto in “Studi Filosofici” a partire dal numero 200). Le “Marana”, «Avanti! Giornale del Partito socialista», Roma, Anno XIX, Numero 197-98-99-200-01-07-08-10-11-14-16-18-19-22-25-26; 18, 19, 20, 21, 22, 27, 29, 31 Luglio; 1, 4, 6, 8, 9, 12, 15, 16 Agosto 1915, p. 4/6.
La traduzione del racconto filosofico balzachiano si rivela, in più luoghi, approssimativa e non del tutto aderente a costrutto francese; il modello di riferimento utilizzato dall’anonimo compilatore è quello dell’edizione Furne del 1846.
Balzac, Luigi Lambert. Prima trad. italiana di A. Morosi, Milano, Casa Editrice Collezioni Esperia, 1915 [?] (“I capolavori della letteratura amena, di tutte le nazioni. Grandiosa Biblioteca diretta da Salvatore Farina. Romanzieri di Francia. Prima Serie”, 1).
Balzac, Memorie di due Giovani Spose, Milano, Fratelli Treves, Editori (Tip. Treves), 1915 («Biblioteca Amena», N. 605), pp. XII-308.
Struttura dell’opera:
Balzac, pp. V-XII;
Memorie di due giovani spose, pp. 1-306.
Cfr. 1901, 1909.
Onorato Balzac, Storia dei Tredici. Scene della vita parigina. Ferragus. La duchessa di Langeais. La ragazza dagli occhi d’oro, Milano, Casa Editrice Sonzogno (Stab. Grafico Matarelli), 1915 («Collezione Sonzogno», 18), pp. 315.Struttura dell’opera:Prefazione, pp. 5-10;I. Ferragus, capo dei divoranti, pp. 11-127;II. La duchessa di Langeais, pp. 119-246;III. La ragazza dagli occhi d’oro, pp. 247-314.Cfr. 1903, 1904.
Studî e riferimenti critici.
Conversando intorno all’ultimo morto socialista, «La Folla. Periodico settimanale illustrato», Milano, Anno IV, N. 3, 17 Gennaio 1915, pp. 20-23.
pp. 20-22. Non ho mai avuto la passione dei funerali. Ma ho avuto la curiosità dei grandi funerali. Così non ho esitato a leggere quelli di Napoleone I, di Balzac, di Victor Hugo, di Napoleone III, di Gladstone, di Engels, di Guglielmo Morris, il poeta socialista, di Goncourt, di Sainte-Beuve, di Cavallotti, di Zola, di Verdi, di Kossuth. […].
Balzac è morto a 51 anni. Signori, ha detto un grande uomo, l’Europa sta per perdere l’autore della «Commedia Umana». Egli era spirato nell’aurora. E’ stato esposto nella cappella della chiesa attigua alla sua casa. Tutto il suo corpo aveva subito la devastazione. Le sue carni si disfacevano. Lo scultore ha dovuto rinunciare alla maschera. Il naso in poche ore gli era caduto sulla guancia purulenta. Lo si è incassato putrescente. I funerali sono passati attraverso un silenzio di commozione parigina. Un’immensa folla seguiva il suo feretro. La bara letteralmente coperta di viole di Parma, racchiudeva il padre romanzesco di Zola. La gente era a capo scoperto. Ai cordoni camminavano due uomini di celebrità mondiale. Victor Hugo a destra e Dumas padre, a sinistra. Il Père-Lachaise era stipato. La collina sulla quale era stata scavata la buca, era gremita. Le parole d’addio sono state pronunciate dall’autore della più bella cattedrale nel romanzo su Parigi. Si è udito un singhiozzo generale. La cassa discendeva e le carrucole che la calavano rompevano il cuore L’uomo che aveva scritto: quello che non ha fatto Napoleone con la spada lo farà Onorato Balzac con la penna, riceveva le ultime badilate di terra e le moltitudini si disperdevano con il ricordo immortale. […].
Ai funerali di Balzac superava la gente del libro e del giornale. A quello di Emilio Zola c’erano tutte le masse state ringiovanite e fortificate dal suo stile e dalle sue idee versate in tutti i volumi a profluvi.
I divertimenti. Cinema Splendor. “Il Principe Saltimbanco”, «La Stampa», Torino, Anno XLIX, Num. 24, 24 Gennaio 1915, p.6.Quanto prima si proietterà un nuovo grande lavoro della Pathè: L’eredità di Orsolina, dramma in 4 atti, tratto dal celebre romanzo Orsola Mirouet, dell’immortale Balzac.[1]I divertimenti, «La Stampa», Torino, Anno XLIX, Num. 28, 28 Gennaio 1915, p. 5.
Domani [al Cinema Splendor], venerdì, la première della grande film «Pathè» L’eredità di Orsola Mirouet, tratta dall’immortale romanzo del Balzac, per cui vi è una grande aspettativa.
I divertimenti. I Romanzi celebri allo “Splendor”, «La Stampa», Torino, Anno XLIX, Num. 32, 30 Gennaio 1915, p. 6.Numerosissimo pubblico, tra cui si notavano i più bei nomi dell’aristocrazia e dell’alta borghesia della nostra città, accorse ieri alla première di «Orsola Mirouet», film dal celebre romanzo del Balzac. La cronaca della giornata è molto semplice: uno schietto e grandioso successo; la Casa Pathè ed i suoi artisti per la fedele e magnifica riproduzione del romanzo e dei costumi dell’epoca, per la perfetta interpretazione, non vennero meno alle loro tradizioni ed il nome di Balzac rifulse di nuova gloria in un nuovo campo! Oggi si replica […].
I divertimenti, «La Stampa», Torino, Anno XLIX, Num. 31, 31 Gennaio 1915, p. 6.Un entusiastico successo ottenne pure ieri al Cinema Splendor il magnifico film della «Pathè» in 4 atti «Orsola Mirouet», tratto dall’omonimo romanzo dell’immortale Balzac.
Letteratura lucrosa (da “Scena illustrata”), «Giornale della libreria, della tipografia e delle arti e industrie affini», Milano, Anno XXVIII, N. 4, 31 Gennaio 1915, pp. 58-59.p. 58. La su menzionata Giorgio Sand ed Onorato di Balzac percepivano 2 lire per ogni copia di volume stampato; onde i loro scritti costavano all’editore lire 2000 al volume (di soli diritti d’autore) per ogni mille copie stampate. Balzac guadagnò così somme enormi, ma le sue spese da prodigo irriducibile soverchiavano d’assai i benefici ch’ei realizzava – ed egli era spesso costretto a chiedere ai creditori una mora sino alla pubblicazione del suo prossimo articolo o romanzo!
I divertimenti, «La Stampa», Torino, Anno XLIX, Num. 32, 1° Febbraio 1915, p. 5.Ancora per oggi e domani per aderire alle insistenti richieste del pubblico numerosissimo che affluì ieri sera al Cinema Splendor e che si vide in parte rifiutato l’ingresso per i continui esauriti, la Direzione ha deciso di ripetere il grandioso dramma in 4 atti della «Pathè»: Orsola Mirouet, tratto con gran fedeltà dal commovente romanzo omonimo del «Balzac».Fior da fiore, «La Nuova Italia», Tripoli-Roma, Anno IV, N. 36, 6 Febbraio 1915, p. 2.O. Balzac: Far nascere un desiderio, nutrirlo, svilupparlo, ingrandirlo, soddisfarlo, è un poema tutto intero.
Nostre corrispondenze. Da Genova, «Il Maggese Cinematografico», Torino, Anno III, N. 4, 15 Marzo 1915, p. 6.Cinema «Moderno».Si ripete col maggior consenso del pubblico la commedia drammatica l’Eredità di Orsola, tolta da un romanzo di Onorato de Balzac. È stata interpretata dai migliori artisti dell’«Eclair».Corrispondenza aperta, «Il Piccolo», Trieste, Anno XXXIV, N. 12121, 24 Marzo 1915, p. II.Del Balzac vi sono parecchie opere tradotte con fedeltà. Legga «Papà Goriot» e i suoi due seguiti: «Splendori e miserie delle cortigiane» e «Illusioni perdute». E’ vero che Balzac non aveva molta ammirazione per Manzoni. Veda in proposito il «Salotto della Contessa Maffei» del Barbiera.Goccie d’oro, «L’Idea. Periodico settimanale – letterario – artistico», Andria, Anno II, N. 13, 18 Aprile 1915, p. 3.Les ámes (sic) grandes sout (sic) toujours disposèes (sic) à faire une vertu d’un malheur. [Citazione tratta da : Illusions perdues – Les deux poètes]. Balzac.La gelosia è la sentinella dell’amore. [Citazione, tradotta e storpiata, tratta da Mémoires de dux jeunes mariées]. Balzac.La pagina umoristica. L’arte de nuovo, «La Vita cinematografica. Settimanale internazionale illustrata», Torino, Anno VI, N. 19, 22 Maggio 1915, pp. 65-66.p. 65. Il Direttore parlava:– Balzac, Flaubert, Maupassant? … Non me ne parli. Avevano una fantasia a scartamento ridotto, a cortissimo metraggio. Forse per i loro tempi, ma per i nostri non possono più andare.
Marginalia. Balzac e la vita militare, «Il Marzocco», Firenze, Anno XX, N. 50, 12 Dicembre 1915, p. 3.
Studiando la storia e la società del suo tempo, Balzac non poteva trascurare la vita militare. Le Scene della vita militare – scrive la Revue Bleue [2]– tengono un gran posto nella Commedia umana. Balzac, che voleva essere storico dei costumi, come avrebbe potuto trascurare i caratteri, gli avvenimenti, i tipi rappresentativi e caratteristici della vita militare? «Le scene della vita militare sono la conseguenza della vita politica» - egli faceva scrivere nel 1835. «Le nazioni hanno degli interessi; questi interessi si formulano in alcuni uomini privilegiati destinati a condurre le masse e questi uomini che stipulano per esse le mettono in movimento». Ecco, notiamolo, tutta la filosofia della guerra espressa in rilievo dal grande scrittore in una frase che riassume dei volumi. «Le scene della vita militare sono dunque destinate a dipingere – continuava lo scrittore – nelle sue principali linee la vita delle masse in marcia per combattersi. Non saranno più vedute di “interni” prese nelle città, ma pitture di un paese intero, non saranno più i costumi di un individuo, ma quelli di un esercito, non sarà più un appartamento, ma un campo di battaglia. Non più la lotta ristretta di un uomo con un uomo, con una donna o due donne tra loro, ma il corso della Francia e dell’Europa, o il trono dei Borboni che alcuni generali vogliono rialzare nella Vandea, o l’Emigrazione alle prese con la Repubblica in Bretagna; infine sarà la nazione ora trionfante ed ora vinta». Le Scene della vita militare dovevano essere quasi un coronamento della Commedia umana. È facile rendersi conto dello sviluppo che doveva prendere questa parte della Commedia umana leggendo la semplice enumerazione degli studi che l’infaticabile creatore progettava. Eccone una piccola lista: «I soldati della Repubblica – L’entrata in campagna. – I Vandeani. – I francesi in Egitto. – La guardia consolare. – Sotto Vienna. – La pianura di Wagram. – Gli inglesi in Ispagna. – Mosca. – La battaglia di Dresda. – I tentoni. – La campagna di Francia. L’ultimo campo di battaglia ecc. ecc.». A questa lista debbono aggiungersi Gli sciuani e Una passione del (sic) deserto. Anzi, queste due opere formano le sole che Balzac riuscì a scrivere. Le altre sono rimaste allo stato di nebulose nel cervello dell’inventore. Ma moltissime altre scene della Commedia umana potrebbero esser chiamate Scene militari. Nel Colonnello Chabert non troviamo un quadro di vita militare in cui campeggia un eroe della Grande Armata napoleonica? Vi è forse una pagina più impressionante del racconto in cui si crede che Chabert abbia perduto la vita? Altri storici ci racconteranno come Napoleone condusse la Grande Armata a Mosca e come essa tornò indietro dalla Russia; ma solo Balzac poteva farci vedere questa ritirata e poteva evocarcene il quadro come l’ha fatto nell’Addio in modo tale da farci passare per le stesse ansie sofferte dall’esercito napoleonico. E la Rabouilleuse che altro è se non lo studio di una psicologia profonda di due soldati dell’esercito imperiale, diventati dei miseri spostati della vita civile? Ma Balzac ci presenta anche un compenso nel suo Filippo Bridau e nel suo Massimo Gillet nell’ammirabile Medico di campagna; e i personaggi che egli mette in scena in questo romanzo non sono magnifici tipi della vita militare? E che cos’è ancora la Cugina Betta se non il parallelo tragico di due soldati, il barone Hulot, decaduto nel fango della sua passione senile e suo fratello il maresciallo, gloriosa personificazione delle più alte virtù militari? Ad ogni pagina della Commedia umana noi troveremmo delle scene militari e una scelta dei suoi racconti di guerra sarebbe come un grandioso sommario di tutta l’opera sua, con le caratteristiche direttrici di questa opera immortale.“Gabba-la-morte” di Balzac a Firenze, «La Patria il Resto del Carlino. Giornale di Bologna», Bologna, Anno XXXI, Numero 342, 13 dicembre 1915, p. 5.Al teatro della Pergola ha avuto splendido successo la riduzione del Vautrin di Balzac, che Valentino Soldani, condensando in tre atti, ha chiamato con titolo ... più chiaro Gabba-la-morte.Il capolavoro balzacchiano è stato applauditissimo in questa nuova veste, e l’esecuzione eccellente della compagnia Renzi-Gabrielli e la ricca ed elegante messa in scena hanno contribuito al grande successo. E’ un dramma a forte coloritura; ma nobilissimo, ricco di tutta la filosofia di Balzac, dramma avvincente e commovente.
Giovanni Amendola, Etica e biografia di Giovanni Amendola, Milano, Studio Editoriale Lombardo, 1915.pp. 145 e 149. Balzac ha espresso una volta l’esitazione dei popoli carichi di storia dinanzi al Vangelo. “Est-ce notre faute à nous – dit Clousier – si Jesus-Christ n’a pas eu le temps de formuler un gouvernement d’après sa morale, comme l’ont fait Moïse et Confucius, les deux plus grands legislateurs (sic) humains: car les Juifs et les Chinois existent, les uns malgré leur isolément, en corps de nation?”[3]. E fra i popoli cristiani l’italiano è certamente quello che più ha sentito questa esitazione, perché più carico di storia, e quindi più saturo di attitudine politica. […].Non vi sono due leggi – una etica e l’altra politica – vigenti entrambi nell’interno del medesimo individuo; ma vi è una stessa legge che solo sembra diversa se l’applichiamo all’individuo o agl’individui. E perciò la domanda del personaggio di Balzac è fondata su di un errore: Cristo non aveva bisogno di proclamare due leggi, poiché in realtà ve n’è una sola.
Diego Angeli, L’Opinione dell’America, in A Parigi durante la guerra. Nuove lettere parigine (gennaio a luglio 1915) di Diego Angeli, Milano, Fratelli Treves, Editori, 1915 («Quaderni della Guerra», n. 34), pp. 177-186.pp. 177-178. […] questo popolo [i Francesi] che è un così acuto osservatore della vita e della società e che ha dato al mondo Molière e Onorato Balzac, non ha la facoltà di capire la psicologia più o meno complessa dei popoli che lo circondano.Luigi de Anna, Abrégé de l’histoire de la littérature française depuis ses origines jusqu’à nos jours, in L.[uigi] de Anna, A.[ldo] Sorani, Moisson dorée. Pages choisies des meilleurs auteurs français du XVIIe au XXe siècle avec notes et notices précédées d’un abrégé de l’histoire de la littérature française à l’usage des lycées-gymnases modernes et des instituts techniques, Florence, R. Bemporad & Fils – Éditeurs, 1915, pp. 1-67.p. 58. H. de Balzac (1799-1850) est le grand maître du roman réaliste. Il a composé plusieurs volumes, réunis plus tard sous le nom de Comédie Humaine, monument impérissable que l’humanité ne perdra plus de vue. Il est l’évocateur le plus fécond et le plus profond, le plus extraordinaire créateur d’âmes et de types qui ait jamais paru ; nul n’a excellé plus que lui à expliquer tout d’abord ses personnages par une peinture minutieuse du milieu dans lequel ils vivent, de leurs habitudes, de leurs attitudes. Son style manque de grâce et de finesse; mais son observation est d’une force et d’une pénétration exceptionnelles. En dépit de beaucoup de fatras, l’œuvre de Balzac a survécu. Elle montre bien comment le romantisme, par goût de l’exception, a été amené à observer la réalité, mais de préférence la réalité brutale.p. 63. P. Bourget (né en 1852) est le maître actuel du roman psychologique […]. Il se documente beaucoup, il aime comme Balzac mêler des réflexions à son récit, expliquer ses personnages, et les secrets ressorts de leurs actes, interrompre même le récit par l’exposé d’une théorie.p. 279.H. de Balzac.
(1799-1850).
Honoré de Balzac, né à Tours le 20 mai 1799, commença ses études au collège de Vendôme et les acheva à Paris, où il devint bientôt clerc de notaire. Puis il s’associa avec un imprimeur, mais il fit de mauvaises affaires, qui ne servirent qu’à l’endetter davantage. Il se jeta alors dans le travail littéraire et publia divers romans sous des pseudonymes de 1822 à 1825, qu’il proscrivit plus tard de ses œuvres complètes. En 1829 il donna la première œuvre de son admirable Comédie humaine, qui le plaça à la tête des plus grands romanciers du XIXe siècle. Dès lors il ne cessa plus de travailler, même quinze heures par jour, ne se soutenant qu’à force de café, et toujours harcelé par le besoin d’argent. Il épousa, presque à la fin de sa vie, la contesse (sic) Hanska, avec qui il avait entretenu une correspondance passionnée de quinze ans, mais il mourut peu de temps après, le 20 (sic) août 1850, foudroyé par l’apoplexie, se débattant encore contre ses créanciers. Les Œuvres de Balzac se composent essentiellement de ses romans, dont la réunion forme la Comédie humaine. Elle contient : Scènes de la vie privée [le Colonel Chabert (1832); le Père Goriot (1835) ; la Femme de trente ans (1842), etc.] – Scènes de la vie de province [le Curé de Tours (1832); Eugénie Grandet (1833); le Lys dans la Vallée (1835); la Vieille fille (1836); Pierrette (1840); Un menage (sic) de garçon (1842), etc.] – Scènes de la vie parisienne [Histoire des treize (1833); Le Cousin Pons (1846); La Cousine Bette (1847), etc.] – Scènes de la vie militaire [Les Chouans (1827-1829), etc.] – Scènes de la vie de campagne [Le Médecin de campagne (1833); Le Curé du village (1839); Les Paysans (1845), etc.] – Scènes de la vie politique [Une ténébreuse affaire (1841); Le Député d’Arcis (1847), etc.] – Études philosophiques [Peau de chagrin (sic) (1831); La Recherche de l’absolu (1834).] – Études analytiques [La Physiologie du mariage (1829), etc.] – Il y faut ajouter son Théâtre comprenant: Vautrin (1840); les Ressources de Quinola (1842); Paméla Giraud (1843) et la Marâtre (1848); les Contes drolatiques (1832-1837) et enfin sa Correspondance p. en 1876, 2 vol.
Une bonne édition des Œuvres complètes de Balzac a été p. p. Calmann-Lévy, Paris 1885-1886, 24 vol. (Com. hum. 17 vol.; Théâtre, 1 vol.; Contes drol., 1 vol.; Oeuv. diverses inéd., 4 vol.; Corresp., 1 vol.). Voy.: Brunetière, Honoré de Balzac, Paris, 1906; M. F. Sandars, Honoré de Balzac, London, 1914.
Segue, alle pp. 279-285, un Extrait du Cousin Pons, chap. XXI intitolato: Oiseaux de proie [segnalato supra].
R. B., Varia. Lo stimolo genitale, «Il Policlinico. Sezione pratica», Roma, Anno XXII, Fasc. 8, 21 febbraio 1915, p. 274.Nel Bulletin Médical (11 luglio 1914) il dott. Chep pone il quesito se sia un pervertimento morale la consuetudine di certe nutrici di maneggiare gli organi sessuali dei bambini loro affidati. […].Lo stesso Balzac, uno degli ingegni più potenti e più fecondi che l’umanità abbia posseduto, ha fatto uso di questa eccitazione speciale, sia pure con prudenza: ecco ciò che Ed. de Goncourt ha scritto a tale riguardo: «Paolo Lacroix mi conferma la notizia confidenziale che Gavarni mi aveva data sull'economia che Balzac portava nell’amore fisico. Per lo più egli non ne traeva che un’eccitazione discreta, misurata, si limitava ad un giuoco à la petite oie, considerando l’emissione del seme quale una vera perdita di sostanza cerebrale. È così che, in occasione di usa maledetta mattinata, in cui egli aveva dimenticato le sue teorie, giunse presso Latouche gridando: «ho perduto un libro, questa mattina»!V. B., La Cronaca dei libri. Minimi di cultura, «Corriere della Sera», Milano, Anno 40, Num. 96, 7 Aprile 1915, p. 4.L’A., passando in rassegna alcuni testi pubblicati nella collana «Minimi di cultura» dell’editore Quintieri, cita anche il saggio che Giacomo di Belsito dedica a Balzac: Per conoscere Balzac; egli osserva che lo studio in questione è «una buona guida, scritta da Giacomo di Belsito, alla lettura e alla conoscenza dell’opera balzacchiana».
A. B.[acciarello], Letterature straniere. Letteratura francese. E. Faguet. — Balzac. Parigi, Hachette, 1913, 16°, pp. 201 (Collezione «Les grands écrivains français»), «Il Conciliatore (La “Cultura” di R. Bonghi)», Torino, Fratelli Bocca – Editori, Anno I, Fascicolo 3°-4°, 12 Gennaio 1915, pp. 462-463.
Il Faguet à compilato il volumetto della collezione per ripetere con dolce prolissità alcune idee che ci aveva già elargite nel suo XIX siècle e in molti articoli. Come è sua abitudine, non si è valso, almeno visibilmente, di altri contributi critici, pago di aver molto letto il suo eroe, di averne parlato moltissimo e di poterlo quindi trattare come una sua vecchia conoscenza.
Il primo merito che scopre nello scrittore è la sua esuberanza, cioè un’abbondanza e una facilità per cui egli sente una ben comprensibile simpatia. Sopra tutto in questo senso Balzac gli appare una forza della natura, capace di elevare tanta mole di romanzi e di staccare sulla desolante squallidità di uno stile borghese e di una composizione puerile e senza gusto, figure di consistenza epica. Balzac si scatenò, nella sua larga prosa facile ed enorme, indulgendo ad ogni sorta di basso romanticismo e, già allora, di basso realismo. A Flaubert toccò il compito di mondare e di armonizzare con squisita finezza la visione caotica. Ma una materia animata inesauribile è già nelle figure fantastiche e rigogliosamente vive che circolano e formicolano nell’opera colossale di Balzac.
Con Zola e Bourget, il Faguet vorrebbe chiudere la scuola del suo romanziere, intravedendo, in A. France e in altri, nuove tendenze meno moraleggianti. A proposito delle quali tendenze fa notare a più riprese quanta originalità e quanta forza d’ingegno fossero necessarie al robusto conservatore che fu Balzac, perché riuscisse a prendere così netta posizione contro la violenta corrente del secolo.
Tutto questo però enunciato senz’ordine e in capitoli amorfi e senilmente diffusi e dimessi, che rivelano la fibra stanca e ormai anche pigra del celebre critico.
Raffaello Barbiera, Luigi Capuana e la scuola naturalista italiana, «L’Illustrazione Italiana», Milano, Anno XLII, N. 49, 5 Dicembre 1915, pp. 479-480.
p. 479. Nessuna meraviglia se, dato quel temperamento atavico, Luigi Capuana si sia sacrato con fede all'arte obbiettiva, a quella scuola così detta del naturalismo che vanta per suoi capi Stendhal, Balzac, Flaubert, Zola. […].
Il Balzac non operava certo come lo Zola. Quel genio faceva e rifaceva i suoi romanzi e le sue novelle, e correggeva e ricorreggeva le bozze di stampa in modo che parevano arruffate selve druidiche di pentimenti, di cassature, e talvolta, nel correggere, avveniva che il portentoso mago creasse di nuovo e sovrapponesse creazione a creazione: ma Balzac ... era Balzac e non aveva bisogno di accumulare nel magazzino i materiali del tempio.
[...]. Rileggo le pagine riboccantii di entusiasmo ispirate al Balzac dallo spartito rossiniano: dalla bocca profumata di Massimilla Doni, la apologia del Mosè prorompe tutta impregnata di un lirismo esaltato, in cui, strano contrasto, si insinua quella ingenuamente pretensiosa ostentazione di competenza tecnica, di cui si compiaceva spesso (coi suoi contemporanei) anche Teofilo Gautier, e che il Reybaud mise così piacevolmente in burletta con la penna del suo indimenticabile Jerôme Paturot: è il Mosè nella sua forma primitiva, in due atti, sul libretto del Tottola, di cui la bellissima duchessa rivela le più riposte bellezze al medico francese che le siede vicino, a Venezia, al teatro della Fenice.
G. A. Borgese, Studi di letterature moderne di G. A. Borgese, Milano, Fratelli Treves, Editori, 1915.
Il ritorno di Oriani, pp. 63-71.
p. 71. Cfr. 1913.
Paul Claudel, pp. 145-155.
[Su: L’Otage].
p. 151. Ne sono nate alcune personificazioni vigorose, come quella di Turelure che ricorda quasi i giganti balzacchiani di Ménage de garçon o della Ténébreuse affaire […].
“Crotcaia” di Dostoievski, pp. 362-370.
p. 367. Cfr. 1913.
V.[incenzo] B.[randi] Scognamiglio, Donne di Balzac. Massimilla Doni, «Pluralia. Rivista Letteraria-Artistica-Scientifica-Teatrale», Pisa, Anno VI, N. 6, 15 Luglio 1915, pp. 344-350.
Questo studio che Vincenzo Brandi Scognamiglio dedica ad alcune delle figure femminili più significative della Comédie humaine non è altro che la riproduzione di un precedente articolo pubblicato, a firma A. d’Aurora, ne La Scena Illustrata del 1° febbraio 1902.
Quand on aime, tout arrive à l’amour.[4]Quante ne amò, e come le amò, questo singolarissimo pittore di ambienti e di anime? Nella sua esistenza eccessiva, avvolta in un mistero che neppure il tempo ha rivelato, queste donne non lasciarono l’eco del loro nome; soltanto M.me Hanska fu l’Eletta, la Benamata. Pure, attorno a lei, nell’ombra, ognuna delle altre impresse un solco nella vita di Balzac. Esse furono tante, senza dubbio; e furono, all’occhio avido di lui, la rivelazione dell’anima femminile in ogni suo aspetto. Patrizie austere e facili donnine, parigine squisite e rozze provinciali; donne che amarono e odiarono, che caddero e furono altere del loro peccato; donne che espiarono, o morirono rassegnate all’inutile sacrificio – tutte egli comprese e mirabilmente dipinse. Nel rapido volgere di ogni amore egli colse una gemma: le più alte rifulsero, ma tutte rivissero nell’opera gigantesca ed umana; solitario e misterioso, combattuto dalla miseria e dall’invidia – dal suo nido regale e segreto – egli guardò con occhi di veggente la folla e la vita. Con quale potenza denudò l’abbiezione, e di quale aureola abbellì la virtù! La lunga schiera è innumerevole; sono figure alte e complesse, sono fragili creature lucenti, sono immagini fuggevoli; ma vivono tutte, ed hanno sangue e muscoli, spirito e intelletto. Come tra stelle risplendono – belle del loro così diverso amore – Blanche Henriette de Mortsauf, Eugénie Grandet e Joséphine Claës: e pure nella fusione di tutti i vizii, nella evoluzione delle forze della corruttela latente – con pennello inarrivabile, Balzac trascina, esalta, conquista.
Quanti quadri graziosi, in Véronique [Le Curé de village]! Un paesaggio umile e comune: non volgare. Sul fondo delle ferramenta e dei serrami, la figura gentile della protagonista si distacca con verità commovente come un’ombra pallida uguale e felice per provare tutte le angoscie cui induce l’acquisto della scienza della vita; la luce dell’intelletto per perdersi là dove è racchiusa la pietosa salvezza. Come un fiore sbocciato nella solitudine, sotto i rami protettori degli antichi alberi vigorosi, che il sole brucia e l’aria aperta uccide.
Giù, nel fango della via, ridono gli occhi splendidi della Torpille. Carlo Herrera vuole risvegliare in lei, coll’amore, i più nobili sentimenti: la fede, la virtù, l’onestà. Non si può seguirne, senza rabbrividire, i primi passi misteriosi e frivoli, né, senza intenerirsi, lo svolgersi dell’anima, abbellita dalla rinunzia nella stessa violenza della passione. Ella sembra risorta, finalmente! «La fille de joie» è veramente morta, e di lei non rimane che l’involucro grazioso ov’è chiusa l’anima più semplice e più nuova della terra. Ma è così davvero? o volle, Balzac, mostrarci che l’educazione, l’istruzione, il cambiamento assoluto di vita non possono nulla sopra una giovinetta che già s’è affermata in abitudini del tutto diverse? A diciott’anni, quando l’istinto ha prevalso, alla prima occasione prevarrà ancora. Certe consuetudini s’infiltrano nel sangue, nel cervello, nella più intima essenza della natura umana: l’amore o il dolore, o qualsiasi circostanza possono dominare l’inclinazione per qualche tempo, ma, ad un tratto, una voce del passato, un profumo, uno sguardo ripiombano nel nulla l’opera preziosa e difficile: una specie di ebbrezza assale e riprende per sempre la creatura; il sacrificio è perduto. Cioè, no: qualche cosa rimane, ma qualche cosa che rischiara in guisa strana le potenze confuse e approfondisce la conoscenza della psiche umana. La redenta soffrirà di più, se è buona e se è tra i vinti; se depravata e cattiva se ne gioverà per fare il male con arte sottile, senza pietà, se vittoriosa.
Dilegua, dai saloni dorati del Faubourg St. Germain, la contessa di Beauséant, nobilmente, senza rumore, colla dignità d’una regina, col segreto di un’innamorata. Sorride Delphine, monella, affascinante, buona e semplice in fondo, ma spesso crudele come Anastasia De Restaud per il vecchio padre eroico e devoto; stella della società mondana che vive di sotterfugi, d’intrighi, di menzogne, Louise de Bargeton, la volubile; Agathe Bridau, debole e mirabile di abnegazione nella lotta quotidiana fra la rovina e l’avvenire dei figliuoli; M.lle de Verneuil, del Dernier Chouan, l’amante profondamente umana di Montéran (sic; lege: Montauran). Montéran e la Verneuil si amano: tra le lotte fratricide che dividono la Francia, in mezzo alle grida di morte e di odio – avversarii giganti – di cui l’uno ha sull’altro il prezzo della testa – si curvano l’uno verso l’altro, a ricercarsi, lividi di terrore e di dubbio, pallidi d’amore, a qualunque costo, sino alla morte – decretata da Maria all’dorato in un momento di gelosia pazza – rivendicata – troppo tardi – vestendosi delle sue vesti e cadendo esangue al suo fianco. Fantastiche e rapide si seguono le scene drammatiche e varie, si alternano le gioie e gli schianti della passione fatale, onde due anime ardenti, vincolate a partiti avversi da uno strano destino contrario, si lasciano scivolare sino in fondo all’abisso, disperatamente, fra eroismi e fra infamie senza eguale.
V.[incenzo] B.[randi] Scognamiglio, Donne di Balzac. Massimilla Doni, «La Provincia di Pisa», Pisa, Anno LI, Num. 37, 16 Settembre 1915, p. 2; Num. 38, 23 Settembre 1915, p. 2; Num. 40, 7 Settembre 1915, p. 2.È riprodotto l’articolo di Vincenzo Brandi Scognamiglio pubblicato nella rivista «Pluralia» di Pisa il 15 luglio 1915. Cfr. scheda precedente.
A.[ugusto] Brunacci, Balzac (Onorato), in Dizionario generale di cultura, tenuto a giorno dall'autore. Mitologia-biografia (anche di personaggi viventi) storia-geografia-letteratura-belle arti-bibliografia-varietà-locuzioni latine, straniere e dialettali più in uso nella conversazione-supplemento. Edizione rifusa notevolmente accresciuta e arricchita di 1700 incisioni e 37 cartine in nero e a colori, fuori testo, Torino, Libreria Editrice Internazionale, 1915 [1913], p. 139.Balzac (Onorato), di Tours, celebre romanziere francese, autore della Comédie humaine, triplice serie di romanzi con tendenze veristiche (1799 † 1850). Osservatore arguto e descrittore efficace, nei suoi romanzi intese di presentare un quadro completo della società francese. Il suo miglior lavoro è Le roman d’Eugénie Grandet (sic).
Raffaele Calzini, Venezia grigio-verde, «La Lettura. Rivista mensile del Corriere della Sera», Milano, Anno XV, N. 8, 1° Agosto 1915, pp. 725-730.p. 729. I Musei, Le Accademie, le Scuole, le Basiliche, il Fondaco dei Turchi son spoglie vacue, simili a templi sconsacrati, somigliano le nude camere della casa di Balzac sulle cui pareti disadorne l’immaginoso autore scriveva col fusain: «Qui un quadro del Murillo; qui una pala di Raffaello; una tavola di Dürer!».Francesco Cazzamini Mussi, Amore o quasi, Milano, Casa Editrice Baldini & Castoldi, 1915.Consigli al successore giovine, pp. 119-133.pp. 125-126. «L’amore il più delle volte nasce nell’anima d’una donna, e poi passa ai sensi, talvolta non vi giunge nemmeno: nell’uomo invece l’amore nasce nei sensi per andare all’anima, e non sempre v’arriva ...». Non parrebbe questa la più tragica differenza tra l’uomo e la donna? Talvolta non vi giunge nemmeno! E non sempre vi arriva!Pensa, pensa, Armando, che quella che noi chiamiamo comunione perfetta non esiste quasi mai e che il dissidio fra senso ed anima è, secondo almeno i filosofi, i psicologi e le femministe antifemministe, quasi sempre insanabile.Vorrei citarti Balzac. Ma Balzac è pericoloso. Apro la Fisiologia del matrimonio e leggo: «Il faut toujours un temps de libertinage ou dans un état ou dans l’autre: c’est un mauvais levain qui fermente tôt ou tard». Non te l’ho detto che è pericoloso il Balzac pedagogista e filosofo? Ma ammira, ti prego, il mio disinteresse. Dopo le parole del Nietzsche, del Péladan, della signora Kellen Key, quelle di Balzac sono come la risata sana d’un uomo che guarda la vita con le mani nelle tasche dei pantaloni. «Un temps de libertinage ...» L’ideale è abolito. Che te ne pare? Te la senti d’abolir l’ideale? Te la senti di chiamar «libertinage» il tuo nuovo periodo amoroso?Io no. Io, benché scettico, dò retta agli altri, a quelli che si sono divertiti a metter vicino le due parole che sembran tanto lontane fra loro: piacere-dolore ...Povero Armando, ti secchi, è vero? Hai ragione: la mia lettera è sconclusionata. Ma tu sai che io ho il vizio di scrivere come parlo. Se ti parlassi in questo momento (e mi sarebbe più facile e più simpatico, ma tu non mi lasceresti dire) parlerei così. (Solo non ti avrei citato quei tre signori e quella signora per non parerti un conferenziere).Dunque, che si diceva? Ah, Balzac! Lasciamo andare Balzac: ci ricorderemo di lui quando consiglieremo a una signorina di leggere Il giglio nella valle. Parliamo di me, di te e della signora C. F. (Carla Freschi, se permetti ...)Dunque tu sei l’amante di questa signora, la quale è (ti prego di non pensare che Gigi Melli e il tenente Dalvotti possano essere due perle di padrini), la quale è la mia amante.Sono molto calmo e ti voglio bene. E preferisco parlarti francamente.La diagnosi, pp. 297-312.pp. 297-298. Anzitutto, giunto sulla trentina, aveva sentito verso la sua libertà quel vago senso di nausea che anche le cose belle finiscono per dare a chi non sappia apprezzarle. Quel genere di vita che taluni mostravan d’invidiargli, gli appariva ora una fredda deserta e inutile cosa: inoltre, precocemente, gli anni per lui, più che a sorgere, accennavano a declinare; e poi ... e poi ... Mille altre ragioni, una più convincente dell’altra! Raimondo Raimali non aveva mai letto, con l’invidiabile prudenza di chi non vuol lambiccarsi il cervello con tormentosi quesiti, la Fisiologia del matrimonio del Balzac. Alle mille ragioni che alcuni amici gli mettevan sotto gli occhi per spingerlo ad una risoluzione eroica, egli avrebbe potuto anteporre le mille e una che lo persuadessero del contrario. Bisognava prendere moglie.
Emilio Cecchi, Storia della letteratura inglese nel secolo XIX : Volume primo, Milano, Fratelli Treves, Editori, 1915.Quest’opera è stata ripubblicata, riveduta e corretta, nel 1961 dall’editore Sansoni con il titolo di: I grandi romantici inglesi (Firenze, G. C. Sansoni Editore), ed è da quest’ultima edizione che riportiamo le citazioni riguardanti Balzac.Miss Austen e Walter Scott, pp. 159-182.p. 163. Poche o punte figurazioni d’ambienti, di personaggi: gli occhi eran così, la fronte cosà, la statura di tanti pollici, la pelle del tal colore. Posson prestarsi a buoni esercizî? Ma in arte vera ingombrano o lasciano il tempo che trovano. Balzac prendeva a descrivere lo sgabuzzino del portinaio all’ingresso d’un suo gran romanzo, tanto per riscaldarsi, montarsi, come il Taine mostrò benissimo, fissare sur un punto qualunque la sua attenzione perché si metteva a scrivere spesso completamente al buio di quel che avrebbe scritto. Da cosa nasce cosa. E guardate Tolstoi. A malgrado della preoccupazione etica, a malgrado dell’intenzione prevalente, quante volte si svagava come un pittore in campagna che avvita le gambe al cavalletto e piglia l’appunto d’una figurina, d’una piccola veduta. […]Miss Austen non è né un Balzac, né un Tolstoi, ma evita queste miserie. Illustra il personaggio dal suo esatto angolo visivo […].p. 165. E quando poi osservano che Balzac è stato il primo a metter come molla nel romanzo il denaro, bisogna dire che è vero, egli ha trattato in grande la sete del guadagno, l’arrivismo traverso l’alta finanza, l’industria, il giornale; ma qui [in Northanger Abbey], intanto, senza trovarci fra principi, articolisti ricattatori e tra finanzieri, anzi con gente che giuoca a sbaraglino, babbi che voglion passare la vecchiaia senza seccature, mamme che combattono per collocar le figliuole, ecc., ecc., i quattrini delle doti, dei lasciti, giuocano lo stesso u giuoco serrato.p. 178. Del resto, lasciando da parte lo Scott, il romanzo storico durò una giornata in Inghilterra; in Francia poco più della necessaria preparazione del Balzac; in Italia si esaurì tutto intorno al Manzoni. […]p. 182. Consapevole di potersi riallacciare allo Scott come pittore di ambienti, neppure il Balzac, per quanto di manica larga, s’illuse sempre sui personaggi. […] Ma se portando il color locale nel romanzo e nella storia, lo Scott riuscì a qualcosa da cui si avvantaggiarono il Michelet e il Thierry […], e forse un po’ lo stesso Carlyle, il Balzac dagli «interni» arrivò alle anime, alle vite: trovò all’intuito ambientale vigorìa di scienza e dal rozzo dato di fatto, storico e vero, si sforzò alla scoperta interiore, giungendo a una visione della realtà nuova, coerente, ciclopica. Basta il confronto d’una pagina del Balzac con una dello Scott, a togliere il coraggio di qualunque più intimo richiamo! Che finezza di stile nel Balzac, sotto la contraria apparenza! Egli, certo, dimanda lettori scaltri ed inquieti, meno in cinque o sei romanzi a effettaccio. Bisogna calarsi all’interno delle sue frasi, esplorarle in ogni senso, percorrerne tutti i sottintesi; allora si vede pulsare nella sua magnifica acerbità il groviglio dal quale doveva nascere la vita moderna.
Benedetto Croce, Le leggi come prodotti dell’individuo, in Filosofia della pratica. Economica ed Etica. Seconda edizione riveduta dall’autore, Bari, Gius. Laterza & Figli, 1915, pp. 323-332.p. 331. […] così il diritto canonico e il codice militare, come quel droit parisien, che un cero personaggio del Balzac aveva studiato per tre anni nel salottino celeste di una signora e in quello rosso di un’altra, e che, quantunque nessuno ne parli mai, costituisce (diceva il gran romanziere) «une haute jurisprudence sociale, qui bien apprise et bien pratiquée, mène à tout» 1.1 Balzac, Le père Goriot (ed. Paris, Calman (sic) Lévy, 1891), p. 85.Lucio D’Ambra, L’Ombra della Gloria. Romanzo di Lucio D’Ambra. Appendice N. 2, «La Tribuna», Roma, Anno XXXIII, Num. 18, 18 Gennaio 1915, p. 8.Il primo libro su cui misi la mano fu quello che scelsi solo su la fede d’un titolo allettatore, poiché ero troppo ignorante per scegliere prima di aver letto. Era un romanzo, tradotto in italiano e illustrato con dei disegni di una ingenuità infantile: Modeste Mignon di Balzac. Avevo inteso nominare questo scrittore da mia madre quando parlavano di libri e di letture e sapevo che era un autore di storie interessanti, certo più vivaci e meno gravi dei periodi di Cicerone e di Tito Livio [...]. Immaginate ora un libro, un romanzo di Balzac, fra le mani di un giovinetto di dodici anni appena che non ha letto altro finora che testi latini, trattatelli scientifici ed elementari riassunti di storia. Chi non immagina quello che io provai nelle ore febbrili di quella lettura, quello che io sentii d’innanzi all’amore romanzesco e fantasioso di Modeste Mignon per il lontano poeta parigino i cui versi le sono piaciuti e del quale ha veduto il ritratto in una stampa esposta nella vetrina d’un libraio, quello che io esaltai nella mia fantasia adolescente leggendo le glorie e i fasti del poeta Canalis, amante e protetto di un’illustre duchessa, celebre così nei salotti come nelle redazioni dei giornali, nei salotti o nei caffè? Oh, quanto mi appassionai in quelle ore ardenti ed incomparabili per l’amore silenzioso e mascherato di La Brière, il giovane segretario di Canalis, per Modeste Mignon! Oh, quel loro primo incontro nella chiesa dell’Havre, quando La Brière non riconosce Modeste nella folla delle penitenti vestite in nero, mentre questa crede che quel bel giovane – ch’entra nella chiesa e ne fa il giro, vestito col pantalone nero e gli scarpini accuratamente lucidi, col panciotto color zolfo che faceva scorgere una camicia estremamente fine abbottonata con degli opali, con una cravatta nera e una piccola redingote blu adorna d’una piccola rosa bianca all’occhiello, con dei graziosi guanti di capretto e con in mano il cappello e un leggero bastone in un gesto elegante alla Luigi quattordici – sia appunto Canalis, Canalis il grande poeta e il gran signore, il dolce semidio per le belle dame del sobborgo San Germano, Canalis il grande poeta romantico caro al re Carlo X. Se io oggi rileggo Modeste Mignon, quello che maggiormente mi interessa nel romanzo di Balzac è lo studio ch’ei compie in Canalis di un misterioso problema di psicologia: quello dei rapporti fra l’espressione e l’impressione, uno dei più interessanti e significativi problemi della sensibilità intellettuale. Oggi Canalis m’interessa unicamente per il singolare sdoppiamento della sua personalità in quella dell’artista e in quella dell’uomo, ben differenti ed opposte fra loro, in modo che il poeta esprime a meraviglia nei suoi versi appassionati e dolorosi quello che l’uomo non ha mai sentito; e questo mediante un divorzio totale, anzi una assoluta contraddizione fra l’uomo che scrive e l’uomo che agisce, fra il cervello che compone e il cuore che sente: mirabile problema che da Diderot a Balzac, a Goethe e a Bourget ha interessato tanti scrittori e tanti psicologi senza che si sia ancora potuto determinare se esistono negli artisti due sensibilità divise, anzi opposte, una delle quali può vivere senza aver bisogno dell’altra: una sensibilità reale ed una sensibilità immaginativa. Ma allora Canalis mi prese e mi afferrò per la sua aria fatale di grande poeta romantico, ancor più dolce e sentimentale di Lamartine, il grande poeta in cui le donne vedono l’amico che loro manca, il confidente discreto, il loro interprete, un essere privilegiato, che le comprende, che legge fino in fondo ai loro cuori, che può spiegar loro i misteri complicati e sottili, tutti i «crudeli enigmi» delle anime femminili. Mi sedusse in lui l’imagine del grand’uomo, celebre e ricco, giovane e seducente, poeta e gentiluomo, ricevuto alla Corte e festeggiato nei più severi salotti. Ma una pagina sopra tutte mi colpì in Modeste Mignon: quella in cui la singolare giovinetta sogna di render ricco e felice un Tasso, un Milton, un Gian Giacomo Rousseau, un Murat, un Cristoforo Colombo, e compone i balsami e inventa le ricerche, le musiche, i mille mezzi grazie ai quali avrebbe potuto calmare la feroce misantropia di Gian Giacomo e suppone di essere la moglie di lord Byron indovinandone il disdegno della realtà fino a farsi fantastica come la poesia del Manfredi e rimprovera a tutte le donne del secolo XVII la melanconia di Molière. Fu quel giorno e dopo la lettura di quelle pagine che nacque in me il primo desiderio d’essere un poeta o un grande romanziere, capace d’ispirare così ardenti e sovrumane passioni, un poeta come Canalis o un romanziere come Balzac. Da quel giorno cominciai a divorare uno a uno quasi tutti i libri della biblioteca. Dapprima il romanzo di Balzac mi servì da guida e cominciai infatti a leggere i libri e gli autori ch’egli citava nelle sue pagine. Poi un libro ne richiamò un altro e così via di seguito.
Lucio D’Ambra, Rassegna drammatica. Paul Hervieu – Edoardo Ferravilla, «Nuova Antologia di Lettere, Scienze ed Arti», Roma, Direzione della «Nuova Antologia», Quinta Serie, Volume CLXXX – Della Raccolta CCLXIV, Fascicolo 1051, 1° novembre 1915, pp. 117-129.[Su Paul Hervieu].p. 118. A questa prima influenza [quella degli scrittori francesi del XVIII secolo] si aggiunse quella di un grande umorista inglese, di quel Lorenzo Sterne così caro al Balzac che lo citava con fervore quasi in ogni libro della Comédie Humaine.
Gustavo Del Vecchio, Teoria positiva dell’interesse: Cenni di una trattazione sociologica ed applicazioni, in Lineamenti generali della teoria dell’interesse, Roma, Athenaeum, 1915 («Studi di economia, finanza e statistica editi dal “Giornale degli Economisti e Rivista di Statistica”), pp. 56-97.p. 60 e nota (1). In quei ceti [i ceti superiori] si accumulano i milioni per soddisfare delle ambizioni, che il moralista non esita a qualificare meschine, e se ne distruggono altri per soddisfare vanità non superiori. I romanzi specialmente francesi sono pieni al contrario di documenti umani (1) di primissimo ordine intorno a questi fatti.(1) In prima linea quelli immortali del Balzac e dello Zola e di altri grandi scrittori.
Giacomo Di Belsito, Per conoscere Balzac, Milano, Dott. Riccardo Quintieri – Editore, 1915 («Minimi di cultura. Collezione Quintieri», N. 4), pp. 45.
H. de Balzac.
I.
George Sand ha, in poche parole, definito con precisione e con acume l’opera di Honore de Balzac: — «Non sono romanzi come si concepivano prima di lui, i libri immortali di questo grande critico». — E tale giudizio caratterizza veramente l’importanza enorme che i romanzi di Balzac hanno avuto ed hanno tuttora nella storia della letteratura francese ed in quella del romanzo in genere.
Prima di lui due tipi di racconti si contendevano o, più precisamente, si dividevano il favore del pubblico: il romanzo personale, autobiografico — al quale si alternava quello epistolare — ed il romanzo storico. Non è il caso di dare qui un giudizio di questi due generi di narrazione, nè di segnalare i difetti e le manchevolezze di essi. Balzac intuì quale dovesse essere la via da battere per dare al romanzo un’importanza reale, seppe elevarlo ad altezze mai conosciute, lo animò di un respiro ampio, lo libero da ogni formula e da ogni modello, guardò con acutezza la vita e la ritrasse, senza pregiudizi, senza regole accademiche.
Il carattere più appariscente e più spiccato delle sue opere è appunto quello che lo distanzia dagli altri scrittori che lo hanno preceduto. I suoi romanzi non sono confessioni personali, i suoi soggetti non gli son suggeriti da speciali ragioni intime. Il suo scopo è l’obbiettività e se qualche volta gli capita di descrivere se stesso, le sue passioni o lo sue avventure, egli si maschera e non vuole esser riconosciuto. Inoltre non si preoccupa, come i suoi predecessori, di metter da parte quelle cose che possono sembrar volgari, comuni; non esita ad introdurre nel suoi racconti tutto quanto può esser materia di osservazione, materia di vita, vita reale.
Per farsi un’idea di questa diversità dagli altri scrittori o della importanza che ebbe ai suoi tempi, basterà considerare che cosa erano i romanzi dei contemporanei: Indiana o Valentina di George Sand, per esempio; Corinna, Adolfo ed altri. Oltre la vita amorosa, sentimentale o passionale, di questi personaggi noi non sappiamo altro di loro: eppure essi non possono essere, per noi, completi sotto quell’unico aspetto nel quale ci sono rappresentati. Son momenti della loro vita; ma non è la loro vita.
Balzac comprese cho un genere d’arte il quale si proponga per oggetto l’imitazione fedele della vita o, per lo meno, la rappresentazione di essa, non devo trascurare ciò che costituisce — ha scritto il Brunetière — « la trama giornaliera dell’esistenza umana» e che forma tanto la preoccupazione della grande dama nel suo boudior (sic) come quella di Cesare Birotteau nel suo gabinetto di lavoro, o di Eugenio di Fastignac (sic!)nel suo alloggio delia pensione Vauquer, o del duca di Chaulieu nel suo palazzo sontuoso.
Da ciò il distacco enorme dell’opera balzacchiana da tutta la produzione romantica del tempo.
Egli, insomma, può esser considerato quasi come il creatore del romanzo che, prima di lui in Francia — ed è inutile provarlo perchè è risaputo — non era tenuto in grande stima. Gli autori celebri eran tali per opere di diverso genere. Nessun romanziere era entrato mai alla Accademia di Francia per aver conquistato la fama scrivendo soltanto romanzi. La stessa Manon Lescaut di Prévost — come osserva il Brunetière — non era stimata quanto lo è stata in seguito e perfino della Nouvelle Héloïse del Rousseau non eran materia di discussione che le dissertazioni filosofiche.
Il momento, dunque, era più che propizio, e Balzac seppe profittarne, sorretto da una grande ambizione, spinto dal bisogno di produrre molto per pagare i suoi debiti e dotato di una tempra maravigliosa di lavoratore.
La giovinezza di Balzac.
Honoré de Balzac, o meglio, Balzac nacque il 10 maggio (sic) 1799 a Tours. Il padre, Bernardo, era leguleio all’epoca della Rivoluzione, e nell’Almanacco nazionale del 1793 figura tra gli ufficiali municipali e tra i membri del Consiglio della Comune, sezione dei «Diritti dell'Uomo».
Nel 1797, a Parigi, egli sposò la figliuola di uno dei suoi capi, Laura Sallambier, che aveva trentadue anni meno di lui. Dei quattro figliuoli che nacquero da questo matrimonio, due maschi e due femmine, Onorato era il maggiore. La sorella Lorenza sposò un certo signor de Montzaigle e morì giovane, nel 1826; il fratello Enrico partiìì, dopo un pessimo corso di studi, per le colonie e menò una vita avventurosa; l’altra sorella, Laura, che aveva soltanto due anni meno di Onorato, fu la sua amica e la sua consolatrice nelle ore di tristezza o di scoraggiamento. Ella andò sposa ad un signor Surville quando appena il fratello s’iniziava alla carriera letteraria; ma, quantunqué lasciasse la casa paterna per seguire il marito, si mantenne sempre in corrispondenza col futuro autore della Comédie Humaine, il quale le esponeva ogni suo proposito, le chiedeva pareri, le confidava speranze. Di lei ci rimane un interessante libro su la vita e le opere del fratello.
A sette anni, Honoré Balzac fu messo nel collegio di Vendôme, tenuto dai frati Oratoriani, e vi rimase per sette lunghi anni che furono, per lui, una vera prigionia. Champfleury, in un piccolo libro intitolato Balzac au Collège, dà particolari interessantissimi su quel periodo della vita del grande romanziere.
I padri erano severissimi e, ad ogni minima colpa, infliggevano rigorosi castighi agli allievi: molto spesso si trattava della segregazione cellulare in piena regola, o di pensums di lunghezza spaventosa. Nel primi anni di collegio, il Balzac fu un alunno più che mediocre, tanto che i suoi maestri disperavano di poter cavare da lui alcun profitto; poi gli venne in mente di anticipare i suoi còmplti delle classi di grammatica e si dette alla composizione ed alla lettura. A quest’ultima occupazione, specialmente, si dedicò con un tale accanimento da ammalarsi. La stanchezza mentale gli faceva confondere le idee nel cervello e, a poco a poco, anche le sue forze fisiche furono scosse. Impensieriti, i direttori del collegio avvertirono lu madre, che accorse a Vendôme nell’agosto del 1813, e ricondusse il figliuolo a Tours. A casa la salute di Onorato migliorò sensibilmente e, l’anno seguente — poichè il padre era stato nominato alla direzione dei viveri della Ia Divisione a Parigi — egli fu messo, per continuare i suoi studi, in una piccola pensione diretta dal signor Lepitre, ex-professore di retorica, accanito realista che, durante la Rivoluzione, aveva esposto molte volte la vita in favore della Famiglia Reale. Alcuni han voluto vedere, in questa permanenza del Balzac presso il Lepitre i primi germi delle sue convinzioni politiche. L’anno seguente nuovo cambiamento di maestri: Onorato fu messo in un’altra pensione, tenuta dai signori Ganzer e Benzelin, dove rimase fino ai diciassette anni.
Il padre volle indirizzarlo agli studi di Diritto, ed egli si lasciò iscrivere alla Sorbonne, frequentò i corsi, superò gli esami. Aveva vent’anni. Il padre gli propose di entrare nello studio di un notaio che, nel passato, era stato soccorso molto validamente da lui e che, lieto di poter ricambiare in certo modo il beneficio, aveva futto l’offerta a Bernard Balzac di prendere nel suo studio Onorato al quale, dopo alcuni anni di pratica, avrebbe ceduto tutto. Con grande stupore dei suoi, il giovane rifiutò. Invano il padre cercò di fargli comprendere che l’affare era vantaggiosissimo, che il suo avvenire sarebbe stato assicurato, che lo studio notarile era fiorente ... Il giovane dichiarò nettamente che voleva dedicarsi alla letteratura. A nulla valsero le interminabili discussioni originate da questo voltafaccia repentino; a nulla valsero le minacce, le preghiere, le argomentazioni paterne e specialmente quelle della madre, inquieta per l’avvenire del figliuolo.
Alla fine Onorato ottenne di esser messo alla prova. Il padre, di lì ad un mese, doveva andare in pensione e, poiché le sue entrate venivano ad essere assottigliate sensibilmente, aveva stabilito di ritirarsi con la famiglia a Villeparisis. Fu deciso che il giovane aspirante alla carriera letteraria — all’insaputa di tutti gli amici e i conoscenti, perchè il signor Balzac teneva molto all’onore del suo nome! — sarebbe rimasto a Parigi per due anni e, aiutato da una modesta pensione corrispostagli dal padre, avrebbe tentato i primi passi nell’aspra via scelta.
D’un tratto, Onorato si trovò sbalzato dalle comodità, del tetto familiare ai disagi di una cameretta fredda e disadorna e alle prese con ristrettezze d’ogni genere. Tuttavia non si scoraggiò e cominciò a scrivere un dramma in versi intitolato Cromwell.
Nel maggio del 1821, pieno di speranze e munito del suo manoscritto, il giovine scrittore si recò nella casa paterna ove s’era riunito una specie di consiglio di famiglia per giudicare l’opera sua. Quella lettura fu un vero disastra Un solo era entusiasmato: l'’’autore! Perfino la sorella Laura non si sentiva la forza di ammirare. La freddezza dei parenti dette un colpo terribile all’ardore di Onorato e, quando una persona competente — si vuole che sia stato Andrieux — chiamata a giudicare in ultimo appello il dramma, disse: «L’autore di questa tragedia deve fare qualunque cosa tranne il letterato» parve che tutto crollasse intorno a lui. Ma non per questo, egli si dichiarò vinto. Se nel teatro aveva fatto cattiva prova, non voleva dire che non potesse riuscir bene nel romanzo: ecco tutto. E si ingolfò nel suo nuovo genere di lavoro con accanimento, in un ambiente pieno di diffidenze e di ostilità. I suoi parenti vedevano in lui il fallito, l’illuso, il pazzo. La piccola città di provincia lo soffocava, la casa paterna — dalla quale già era partita Laura — non era il posto più adatto per il suo lavoro che richiedeva tranquillità e serenità. La madre era una malata immaginaria e, con le sue esigenze, metteva lo scompiglio in casa. Il padre, un po’ apata, passava le sue giornate chiuso in camera e, quando parlava col figliuolo dei suoi propositi letterari, non faceva che ripetere le vecchie argomentazioni e gli ammonimenti di un tempo. La sfiducia più completa circondava, dunque, il futuro romanziere che, abbandonato a se stesso, moltiplicava gli sforzi per riuscire nel suo intento.
In quel tempo, Balzac incontrò madame de Berny, donna di altissimi sentimenti. Antoinette Hinner de Berny, figliuola di un musicista tedesco che fu arpista di Maria Antonietta, apparve al giovane scrittore come una Musa ispiratrice. Molto più vecchia di lui, ella mise nel suo affetto per Balzac un certo che di materno e, intelligente e colta, seppe incoraggiare e sorreggere il suo giovane amante. Sotto l’affettuosa direzione di lei, il futuro autore della Comédie Humaine si mise al lavoro con lena rinnovata e mandò a termine il primo romanzo «L’Héritière de Birague», al quale successero in breve Jean Larus, l’Israélite, Annette e (sic) le criminel, Clotilde de Lusignan, Jane la Pâle. Eran lavori sui quali egli non si faceva illusioni: li aveva scritti per puro guadagno ed aveva affrontato il pubblico non con il suo vero nome, ma con i pseudonimi di Horace de Saint Aubin e lord R’hoone. In seguito accettò di scrivere Le Centenaire e Le Vicaire des Ardennes per il quale chiese la collaborazione della sorella Laura.
Ma era scontento. Si accorgeva che, continuando in quel genere di lavori, avrebbe inutilmente sprecato le sue energie che si prometteva di serbaro per opere più importanti.Tuttavia bisognava vivere. E fu allora che egli commise il più grande errore della sua vita, quell’errore che pagò con un’esistenza di lavoro accanito, interminabile e con le persecuzioni instancabili dei suoi creditori. Quell’errore fu la sua speculazione editoriale, che – a conti fatti — lo lasciò con un debito di centomila franchi. Gabriel Hanotaux e G. Vicaire, in un loro ottimo libro, danno particolari pieni di interesse su questa speculazione sfortunata di Balzac, nella quale molto lo aiutò la signora di Berny.
Liquidata giudiziariamente la sua impresa, il Balzac si vide costretto a ritornare al lavoro letterario come all’unica fonte di guadagno per le esigenze della sua vita quotidiana, delle sue non piccole aspirazioni e dei suoi creditori. E’ questo il periodo dal quale, veramente, s’inizia la sua carriera letteraria gloriosa e faticosissima.
A Fougères, nel castello del generale barone di Pommereul, il Balzac raccolse i dati e cominciò a scrivere il suo primo grande romanzo Les Chouans ou la Bretagne il y a trente ans (sic) che ottenne un considerevole successo.
Il lavoro febbrile.
Lanciato così. Honoré de Balzac si stabilì a Parigi e cominciò a preoccuparsi dell’ambiente letterario e delle relazioni che gli parevano indispensabili per la sua carriera artistica. Presentato da madame di Berny, egli trovò ottima accoglienza in casa della signora Sophie Gay. il salotto della quale era frequentato da parecchie persone celebri come Lamartine, Pagès, Spontini, M.me Desbordes Valmore, La Touche ed altre.
Cominciò così la sua tumultuosa esistenza di lavoro e, ben presto, si mise in prima linea tra gli scrittori di romanzi, suscitando dovunque ammirazione, ma anche invidia e rivalità. Con molti letterati e giornalisti le sue relazioni furono aspre, specialmente in seguito, quando — per una specie di rappresaglia contro la stampa — egli fondò una rivistina intitolata «La Revue Parisienne», disgraziata come ogni sua impresa — nella quale parlava troppo chiaramente di tutto e di tutti e, facendo la critica letteraria, sferzava senza pietà. Per non essere assolutamente boicottato dalla stampa, dovette smetterla. Ma con diversi scrittori si mantenne in relazioni amichevoli: primo fra tutti Léon Gozlan, che fu suo intimo. Théophile Gautier, Ourliac, Victor Hugo, De Musset, Baudelaire (1) (sic!) ebbero con lui rapporti di simpatica colleganza.
Il lavoro, il lavoro continuo, febbrile, instancabile fu la ragione della sua esistenza. Di fibra robustissima, sottomettendosi ad un regime igienico rigoroso fino all’estremo limite, egli riuscì a produrre in maniera addirittura prodigiosa. La sua opera vastissima ne fa fede, del resto, e non è possibile non rimanere stupefatti quando si pensi che essa è stata concepita e portata a termine in poco più d’un ventennio. Balzac, nei periodi di lavoro, era straordinario. L’editore Werdet ha narrato come lo scrittore dividesse le sue numerosissime ore di lavoro intenso. Abitualmente, alle otto di sera, dopo un pasto leggero, andava a letto e, quasi sempre, alle due di notte si metteva a tavolino per lavorare, senza interruzione, fino alle sei del mattino. Poi prendeva un bagno che durava un’ora. Alle otto beveva una tazza di caffè, senza zucchero, e ricominciava il lavoro, fino a mezzogiorno, ora in cui faceva colazione, semplicemente, senza bere vino. Un’altra tazza di ottimo caffè chiudeva il pasto frugale. E ricominciava il lavoro, fino alle sei di sera: ora del pranzo! Durante la fatica intellettuale, egli si relegava nella più completa clausura. «Una volta — narra Jules Sandeau — rimase chiuso ventidue giorni e ventidue notti, senza prendere l’aria esteriore, in una camera ammobiliata con estrema semplicità». Un precetto importantissimo della sua igiene consisteva nel bere pochissimo vino e mangiar poca carne: in compenso era un divoratore di frutti.
Quando il lavoro di composizione non lo assorbiva, Balzac viaggiava in Francia o percorreva Parigi sempre osservando, analizzando, studiando. E, certo, una caratteristica della sua opera si riscontra in ciò che si potrebbe chiamare la geografia balzacchiana. Tutta la Francia è nei suoi romanzi ed egli ha saputo compiere il miracolo di creare, per quasi tutte le regioni, lavori nei quali l’ambiente è dipinto con una verità ed una minuzia solo possibili in quel genere di libri che si dicono regionali e nei quali, per la maggioranza, gli autori descrivono i loro paesi o, per lo meno, quelli nei quali han vissuto a lungo. In Balzac, invece, si tratta dell’intera Francia. La Touraine è nel Lys dans la vallée, nell’Illustre Gaudissart, nel Curé de Tours, in Maître Cornélius; il Berry è nella Rabouilleuse; la Champagne nel Député d’Arcis; la Bourgogne nei Paysans; il Dauphiné nel Médecin de campagne; Saucerre nella Muse du Département; Saumur in Eugénie Grandet ..., ecc., ecc. E, dovunque, le impressioni son vive, i tratti caratteristici, le descrizioni improntate alla massima verità.
Era questo il frutto delle sue continue peregrinazioni, dei suoi instancabili studi d’ambiente. A Parigi ebbe pure momenti nei quali frequentò i salotti e i teatri e volle vestire con raffinatezza. Molto spesso gli amici lo incontravano nel salotto di Mane de Girardin, allora frequentato da personalità politiche, artistiche e letterarie o all’Opéra, nella loge infernale des lions, punto di ritrovo di tutti gli eleganti di Parigi.
Nel 1831, Balzac — per una di quelle lettere di donna che tanto spesso gli pervenivano — conobbe la duchessa di Castries, donna civettuola e amante della corte che non compromette. Il romanziere se ne innamorò ed ebbe non poco a soffrire per quell’avventura che non si mutò mai in un vero vincolo affettuoso. Colpa di chi? Non è stato mai assodato; certo è, però, che Balzac ne uscì addoloratissimo e deluso. Nella Duchesse de Langeais, il grande scrittore ha parlato della sua avventura e, cinque anni dopo, confessava: — «Sono occorsi cinque anni perchè la mia natura tenera riuscisse a staccarsi da una natura di ferro. Questa relazione è stata uno dei più grandi dolori della mia vita ... Io solo so quanto vi sia di orribile nella Duchesse de Langeais!».
Un’altra donna passò nella vita del romanziere e fu il suo più grande amore: l’Etrangère, quella famosa contessa Hanska su la quale il visconte di Lovenjoul, uno dei più profondi ed appassionati studiosi della vita e delle opere di Balzac, ha scritto un bellissimo libro intitolato: Un roman amour. I particolari di questa storia passionale sono interessantissimi; ma meriterebbero uno studio a parte. Non possiamo, qui, che limitarci a pochi cenni rapidi.
Un romanzo d’amore. – La morte.
Anche per mezzo di una lettera piena d’ammirazione per l’autore francese, la contessa russa entrò in rapporti con lui. Si conobbero personalmente soltanto parecchio tempo dopo, a Neuchâtel, ove Balzac era volato, dopo un’interminabile attesa feconda di lavoro e di speranze. Furon cinque giorni deliziosi, ad onta della presenza del marito della contessa. L’amore era germogliato nei loro cuori e vi divampò per molti anni, nonostante la lontananza, nonostante le rare volte che i due amanti potettero incontrarsi e parlarsi.
Il marito della contessa mori nel 1841. Balzac sognò, allora, di sposare la sua bella straniera; ma dovette aspettare ancora sette anni, durante i quali gli incontri furon rari e conquistati a furia di mesi e mesi di lavoro febbrile. La corrispondenza tra Balzac ed Eva Hanska è un vero poema di passione.
Alla fino nel 1850 (14 marzo), dopo una malattia lunghissima dello scrittore, Honorè de Balzac e M.me Hanska si univano in matrimonio. Ella, per ottenere di sposare uno straniero, aveva dovuto spogliarsi di tutte le sue ricchezze a favore dei figliuoli, riservandosi una rendita, ed egli era già stanco, invecchiato, depresso da una malattia cardiaca!
Si è detto e si è documentato che l’unione non fu felice, che — appena pochi mesi dopo il matrimonio — cominciarono i dissidi tra i coniugi i quali s’erano stabiliti a Parigi. Misera fine di un sogno d’amore accarezzato per sette anni!
Il giorno 18 agosto del 1850, Balzac si spense, dopo qualche mese di malattia che lo tenne inchiodato a letto, in uno stato — com’egli stesso scrisse a Théophile Gautier — «de momie, privé de la parole et du mouvement, état qui doit durer au moins deux mois».
Pare che la moglie non si sia trovata presente al momento della morte, cosa che ha dato ancor più ragione di credere al dissidio esistente tra i due coniugi. Ottavio Mirbeau, in un articolo pubblicato dal Temps del 6 novembre 1907, ha dato una terribile versione della morte di Balzac. Egli ha dipinto la signora Hanska, in lotta aperta col marito fin da tre mesi prima della morte di lui, e adultera sotto lo stesso tetto coniugale, mentre il disgraziato rantolava nella stanza vicina. Questa narrazione, che Mirbeau dichiara di aver raccolta dalla bocca del pittore Jean Gigoux, è stata formalmente smentita dalla figliuola della signora Hanska.
Ad ogni modo, il matrimonio fu per il romanziere illustre l’ultima e la più pungente delle delusioni che tormentarono la sua esistenza tumultuosa.
II.
La Commedia umana.
I romanzi, i racconti e le novelle di Balzac — tranne i primissimi, dei quali giù abbiamo parlato e che, del resto, non apparvero firmati col vero nome dell’autore, nè eran tutta opera sua — costituiscono la gigantesca costruzione letteraria che porta il titolo generale di «La Comédie Humaine». — A parte tutte le discussioni e le ipotesi avanzate su l’origine e la paternità di questo titolo, il prospetto generale della serie apparve nel 1842 e fu definitivamente fissato nel 1845, quando cioè già Balzac aveva pubblicato numerosi romanzi. Egli non procedette, nella composizione delle sue opere, secondo l’ordine del piano prestabilito; ma disordinatamente e, anzi, pubblicò alcuni dai suoi lavori — La Femme de trente ans, per esempio — a diverse riprese e senza neanche seguire l’ordine dei capitoli. Di più, egli aveva sul telaio sempre due o tre romanzi contemporaneamente. E, certo, di questo disordine e di questo lavorio affrettato molte sue opere risentono, sia nell’equilibrio delle diverse loro parti, sia nell’esposizione e nella descrizione di tipi.
George Sand — per questa ragione — ha osservato: — «Ed anche noi della critica, quando abbiamo letto giorno per giorno e uno per uno quei libri straordinari, a misura che egli li pubblicava, non li abbiamo gustati tutti. Alcuni di essi hanno urtato le nostre convinzioni, i nostri gusti, le nostre simpatie. Qualche volta abbiamo detto: «E’ troppo lungo» e qualche altra: «E’ troppo corto». Parecchi ci sono sembrati bizzarri e ci hanno indotti a dire a noi stessi, con dolore: «Ma perchè? A che serve? Che cosa vuol dire?» Ma quando Balzac, trovando infine la parola del suo destino, la parola dell’enigma del suo genio, ha afferrato quel titolo mirabile e profondo: La Comédie Humaine; quando, con laboriosi e ingegnosi sforzi di classificazione, ha fatto di tutte le parti dell’opera sua un tutto logico e profondo, ciascuna di quelle parti, anche la meno gustata da noi al principio, ha ripreso il suo valore, prendendo il suo posto ...».
Abbiamo riportato queste parole della Sand perchè esse riassumono esattamente il giudizio che, in generale, si è dato dell’opera di Balzac. Molti dei suoi romanzi, infatti, presi separatamente, non son piaciuti e sono sembrati troppo disuguali o troppo arrischiati o troppo oscuri a parecchi critici del suo tempo.
Il vasto piano della Comédie Humaine non è stato eseguito completamente dal romanziere, sorpreso dalla morte nel periodo della piena attività; ma, quantunque molti studi di costumi manchino all’integrità dell’immenso monumento letterario, esso ci appare, così com’è, quello che l’autore voleva fosse: ... «La mia opera — scriveva nel 1834 alla signora Carraud — dove contenere tutte le figure e tutte le posizioni sociali; essa deve rappresentare tutti gli effetti sociali, senza che nè una situazione della vita, nè una fisonomia, nè un carattere d’uomo o di donna, nè una maniera di vivere, nè una professione, nè un paese francese, nè la minima cosa dell’infanzia, della vecchiaia, della maturità, della politica, della giustizia, della guerra, sla stato dimenticato».
La Commedia Umana è cosi divisa: I Parte — Studi di costumi: Scene della vita privata — Scene della vita di provincia — Scene della vita parigina — Scene della vita politica — Scene della vita militare — Scene della vita di campagna. — II Parte — Studi filosofici. — III Parte — Studi analitici.
Per la brevità di questo articolo non ci è permesso dare un’idea del contenuto di ciascuno dei numerosissimi lavori di Balzac. Ci proveremo a parlare separatamente dei principali romanzi appartenenti ad ogni serie, enumerando soltanto i meno importanti.
Scene della vita privata.
In questa serie son compresi: La Maison du chat-qui-pelote — Le Bal de Sceaux — Mémoires de deux jeunes mariées — La Bourse — Modeste Mignon — Un Début dans la vie Albert Savarus — La Vendetta — Une doublé famille — La Paix du Menage — Madame Firmiani — Etude de femme — La fausse maîtresse — Une fille d’Eve — Le Colonel Chabert — Le Message — La Grenadière — La femme abandonnée — Honorine — Béatrix — Gobseck —La femme de trente ans — Pierre Grassou — La Messe de l’athée — l’Interdiction — Le Contrat de Mariage — Autre étude de femme — Le Père Goriot.
Tra questi lavori un successo clamoroso fu riportato dalla Femme de trente ans, che attirò su l’autore le simpatie muliebri. E, quantunque il romanzo — pubblicato, come abbiamo detto, a diverse riprese e ad anni di distanza — si chiuda in maniera non degna del principio o molto spesso scivoli nel noioso e nel grottesco, il pubblico femminile lo coronò di successo. In questo studio la donna trentenne è riabilitata, per dir così. Le è ridata la facoltà di piacere e di essere amata a preferenza delle giovanette. Balzac, per il primo, si è rivolto alle donne come un confessore e nel tempo stesso un medico: ha sussurrato al loro orecchio il loro segreto, ha messo in rilievo ed in valore tanti vantaggi che esso posseggono su le altre donne; le ha studiate e riprodotte con acume e con fedeltà, ha assegnato loro delle parti sublimi. E, per questo, è stato ripagato col trionfo.
Il tema è ripigliato in Béatrix. — Una donna matura si innamora di un uomo ammogliato e si fa preferire da lui alla giovane sposa. Béatrix, però, sarà la figura nobilissima che purificherà e nobiliterà la sua colpa dando al proprio amore per Calisto un profumo di sacrifizio e di abnegazione. Ella s’immolerà, s’annienterà per la grandezza di lui. Molte sono le pagine vigorose e commoventi in questo racconto.
Altro importante successo ebbero le (sic) Mémoires de deux jeunes mariées, romanzo epistolare nel quale abbondano le osservazioni e le considerazioni su l’educazione delle giovinette. Molto, anzi, si è discusso su le idee e le questioni esposte dall’autore; ma non è questo il posto per esaminarle. Protagoniste del romanzo sono Luisa di Chaulieu, figliuola di un duca e pari di Francia, favorito di Luigi XVIII e Renata di Maucombe, uscita da una nobile famiglia provinciale. Lasciato insieme il collegio, le due giovani donne vanno incontro ai propri destini, la prima alla capitale, ove brillerà nel mondo elegante, e l’altra in un paesello delia Provenza, ove sposerà un gentiluomo campagnuolo. Le due amiche si scambiano delle lettere nelle quali si rivelano le vicende delle loro vite, nell'intimità delle loro famiglie e nelle società che le circondano. Molte considerazioni di Balzac son sembrate ciniche ed arrischiate — specialmente perchè fatte da due giovanette appena uscite di collegio — ad alcuni critici; ma ciò non toglie che nel romanzo si trovino enunciate molte verità e brillino qua e là pagine magnifiche.
Nella Grenadière e nella Femme abandonnée, novelle ampie, intensamente concepite e svolte con vera perfezione, si riprende ancora il tema della Femme de trente ans. Due donne, deluse entrambe in amore, cercano nella solitudine l’oblio delle loro pene. Una vi trova la morte; l’altra un nuovo amore e un nuovo dolore. Per gravi ragioni il suo amante è costretto a sposare una giovinetta; ma il ricordo della deliziosa passione lo turba, lo avvinghia e lo induce a tentare un riavvicinamento con l’ex amante, la quale si ribella ad una simile condizione odiosa. Colui che l’ha amato, però, non può più dimenticarla ed il suo straziante desiderio lo conduce al suicidio.
Gobseck è una di quelle figure che Balzac sapeva scolpire da maestro. Che importa la trama del racconto? In Gobseck c’è tutto un poema su l’usura: Gobseck è, anzi, la personificazione dell’usura. Egli, avido, accorto, farabutto, è il banchiere di tutta la gioventù dissipata e piena di debiti, dei commercianti su l’orlo del fallimento, dei vecchi libertini rovinati, di una folla di gente alle prese col bisogno o con i creditori. E’ un ritratto mirabile: perfino il nome è trovato con abilità, e serve a completare la maravigliosa dipintura del personaggio.
La fausse maîtresse ha uno spunto originale ed è un racconto pieno di delicatezza. Contiene le vicende dell’amore di Paz per la moglie di un suo amico fraterno. Paz, per non tradire l’amico e per evitare che la moglie di lui si accorga del suo amore e lo ricambi, finge di avere per amante una cavallerizza; otterrà così lo scopo, facendosi disprezzare da colei che ama. — Balzac, spesso, è stato efficacissimo nella descrizione dello stato d’animo dell’innamorato infelice.
Nella Maison du «Chat-qui-pelote» il romanziere fa uno studio minuzioso e qualche volta un po’ troppo lungo della vita di esseri che da anni ed anni son relegati dietro il banco di un negozio a smerciare cotonina e indiana. Di tanto in tanto, a traverso il grigiore dell’ambiente che pare si trasmetta alla narrazione, balza qualche particolare bellissimo.
In Modeste Mignon Balzac ha voluto, in certo modo, riprodurre un caso simile ai tanti che son capitati a lui, ed ha messo in scena una giovanotta che invia lunghe lettere ad uno scrittore da lei conosciuto soltanto a traverso le sue opere. — Il lavoro non è, certo, tra i suoi migliori.
La Grande Bretèche contiene i racconti di tre atroci vendette di mariti traditi. Nel primo il direttore di un penitenziario, accortosi che un prigioniero, il signor de Beauvoir — che egli proteggeva ed accoglieva alla sua mensa – è diventato l’amante di sua moglie, finge, per vendicarsi, di volerlo salvare. Nella notte Beauvoir si avvede che la scala di corda inviatagli dal preteso salvatore, è troppo corta.
Nel secondo, un marito spagnuolo, gelosissimo, non fa che torturare la moglie. Una volta – per un sospetto vago: l’asserzione di un tale di aver visto un segno nero sul braccio della donna – egli recide il braccio dell’infedele, va dall'indiscreto e lo pugnala, dopo di avergli mostrato l’arto sanguinolento.
Nel terzo, un marito, entrando nella camera coniugale, ha l’impressione che la porta di un piccolo gabinetto si sia discretamente chiusa. Sospettoso dell’esistenza di un amante in quel nascondiglio, egli fa giurare a sua moglie, su una croce, che là dentro non c’è nessuno. Ella giura. Il marito fa immediatamente murare il piccolo gabinetto e, per venti giorni e venti notti, non lascia un istante la camera. E, sepolto vivo in quella tomba di pietra, un ufficiale si estingue per non tradire la donna amata. Il romanziere, in ciascuno di questi tre racconti, ha raggiunto una intensissima efficacia. Molti punti fan fremere d’orrore. Inoltre va considerata, anche in questi componimenti, la forza descrittiva dell’autore.
Il protagonista di Un début dans la vie è un giovane che, recatosi dal suo paese a Parigi, intraprende la propria strada nella vita. I disagi e le ostilità cominciano, per lui, fin dal momento in cui si trova a contatto col suo prossimo in una diligenza da viaggio. Balzac lo segue passo per passo e colpisce l’occasione per dipingere un superbo quadro dell’accanita lotta contro la necessità e gli ostacoli. Si trovano, in questo lavoro, delle verità profondissime e c’è una vigorìa non comune d’impressioni e di quadretti.
Pierre Grassou è tra le caratteristiche figure di Balzac. Egli è un pittore che, quantunque non sorretto dalla minima genialità, persevera nella sua arte e riesce a sbarcare il lunario vendendo i suoi quadri ad un vecchio ebreo per una miseria. Il suo ... mecenate gli procura anche di tanto in tanto la commissione di qualche ritratto di borghese ignorante e ricco. Uno di questi, speziale, capo di una tipica famiglia, è un preteso intenditore d’arte. Un giorno egli invita Grassou a visitare la sua galleria ed il pittore, che intravede la possibilità di un matrimonio con la figliuola dello speziale, accetta. La sua sorpresa e la sua indignazione non hanno limiti quand’egli scorge, nei pretesi capolavori di Raffaello, Veronese ed altri, i suoi poveri quadri venduti per una manciata di fave! Ma lo speziale ha una maniera tutta propria di aggiustare le cose: — «Poiché — egli dice — voi potete essere a vostro piacere qualsiasi di questi sommi maestri, valete più di loro!» E il brav’uomo gli offre la mano di sua figlia.
Le Colonel Chabert è l’eroe di un piccolo capolavoro.
Non si può, qui, parlare che della sua dolorosa e semplice storia; ma quanta finezza di tocco in certe pennellale, quanto acume d’osservazione! Il colonnello Chabert, lasciato per morto su un campo di battaglia, all’epoca napoleonica, torna in Francia e, dopo molte peregrinazioni interessantissime, trova che il suo decesso è stato regolarmente registrato e che sua moglie si è rimaritata. Egli non esiste più! E cominciano allora la lotta e le corse negli studi notarili e legali per riconquistare almeno una pensione vitalizia. La moglie, in pubblico, fìnge di non riconoscerlo e gli dà del pazzo; ma nei colloqui intimi non può sottrarsi alle prove fornito dal disgraziato. Dopo lunghe avventure e in seguito ad una complicazione sentimentale, Chabert, infìne, fa la grande rinunzia e termina la sua povera esistenza nel dolore e nella miseria.
Le Père Goriot è un monomane, un eccessivo. Per lui non esistono che le figliuole, al benessere delle quali si sacrifica, considerando che sia il più imprescindibile dei suoi doveri fare tutto ciò che ad esse possa esser gradito, anche se si tratti di cose indegne o immorali. Niente esiste al disopra del suo amore paterno. E, per le figliuole, si riduce in miseria: per far piacere ad una di esse, Delphine, che si è invaghita di Eugène de Rastignac, egli incoraggia, consiglia, guida l’ambizioso giovane e lo getta tra le braccia di lei. Abbandonato, moribondo e miserabile, dalle figliuole che han fatto fortuna, non si lamenta: le scusa anzi. E, al momento della morte, un’ultima illusione lo sorregge: che esse siano là, presso il suo povero giaciglio. Balzac ha dato a questo tipo di padre un’elevatezza ed un’espressione mai raggiunte.
Tra gli altri lavori di questa serie citeremo ancora le due novelle bellissimo: l’Interdiction — nella quale si svolge un fosco dramma d’interesse e che ha due figure dipinte con mano da maestro, un vecchio magistrato rigido e, nel tempo stesso filantropo, e un uomo che deve combattere contro la malvagità dei parenti i quali a torto vogliono che sia interdetto — e la Messe de l’Athée — nella quale si narra il singolare episodio d’un famoso avvocato, ateo convinto, che annualmente fa celebrare una messa e l’ascolta per esaudire l’ultima volontà di un povero diavolo che lo soccorse, facendo sacrifizî, nei primi e magri anni di quella carriera che lo portò alla ricchezza ed alla rinomanza.
Scene della vita di provincia.
Appartengono a questa serie: Eugénie Grandet — I celibi: I. Pierrette - II. Le curé de Tours - III. Un Ménage de Garçon (La Rabouilleuse) - Le Lys dans la vallée — Illusions perdues: I. Les Deux poètes - II. Un grand homme de province à Paris - III. Ève et David — Les parisiens en province: I. L’Illustre Gaudissart - II. La Muse du Département — Rivalités: I. La vieille fille - II. Le cabinet des Antiques — Ursule Mirouet.
Eugénie Grandet è una storia dolorosa e commovente, nella quale abbondano i tipi osservati e ritratti con perfezione. Il romanzo ebbe un enorme successo e, per molto tempo, Balzac fu indicato come l’autore di Eugénie Grandet, cosa che lo irritava non poco. Grandet, un avarissimo commerciante di Saumur, è riuscito a far fortuna negli affari; ma, quantunque ricco, lascia che la moglie e la figlia, Eugénie — due tipi di donne sottomesse, affezionate, nobili, sempre disposte al sacrifizio, come molte creature di Balzac — vivano nelle ristrettezze, confinate in una città di provincia. La figura di Grandet è tra le più notevoli del romanzo. Eugénie serba in fondo al cuore un affetto intenso per suo cugino Carlo, il quale, dopo il fallimento del padre, è partito per le Indie in cerca di fortuna. La fanciulla vive nell’attesa e nella speranza. Cinque anni dopo, morti i suoi genitori, ella si trova in possesso di 17 milioni e crede di poter sposare Carlo; ma questo, che a sua volta ha fatto fortuna, si è fidanzato con una signorina di famiglia nobile. Delusa, Eugénie, dopo aver pagato due milioni di debiti del padre di Carlo, concede la sua mano al vecchio presidente Cruchot de Bonfons a condizione che il matrimonio sia soltanto formale. Ben presto la giovane donna rimane vedova ed impiega il suo denaro in opere di beneficenza. La descrizione dell’ambiente provinciale è molto efficace, in questo lavoro, ee tutti i tipi sono di una verità potentissima.
La serie dei Celibi — anch’essa molto notevole e molto fortunata — si compone di tre racconti: Pierrette, che è la storia di una fanciulla infelice, maltrattata da due vecchi celibi: Le Curé de Tours, nel quale Balzac ridiventa il superbo pittore d’ambiente e di caratteri, facendoci assistere alla lotta feroce e inesorabile che una vecchia zitella, la signorina Gamard, alleata all’abate Troubert, fa al povero e buon curato Birotteau, figura egregiamente ritratta: Un Ménage de Garçon (La Rabouilleuse) nel quale è dipinta una vera lotta ad oltranza tra Filippo Bridau e Flore Brazier, avventuriera che si è introdotta in casa di un vecchio zio del Bridau come governante e amante. Filippo Bridau è il tipo caratteristico di quegli ufficiali napoleonici, avventurosi e violenti, i quali, durante il ritorno dei Borboni, non avevano voluto rimanere in servizio, nè accettare impieghi civili, e vivevano d’espedienti. A differenza del fratello, egli è poco amorevole per la madre alla quale sottrae sempre che può del denaro. La signora Bridau ha un fratello molto ricco che vive a Issoudun sotto la dominazione diretta di Flore Brazier e quella indiretta dell’amante di lei, il comandante Gilet. Già la madre di Filippo e il fratello han tentato di liberare il vecchio scapolo; ma, troppo onesti e leali, non sono stati capaci di vincere in furberia la Brazier ed il Gilet. Filippo Bridau s'incarica della faccenda. Installatosi in casa dello zio, egli domina la Brazier e la obbliga a sposare il vecchio, dopo di averle ucciso in duello l’amante. Alla morte dello zio, procurata un po’ da lui per mezzo di eccessi, l’ex-ufficiale si fa sposare dalla avventuriera e la lascia morire negli stravizi, mentr’egli, con la fortuna ereditata, conquista una posizione elevatissima. La vecchia madre, intanto, muore nella miseria senza che il figliuolo la soccorra. In seguito alcune speculazioni sfortunate rovinano totalmente il Bridau, che va in Africa, ov’è ammazzato.
La signora di Mortsauf — altro tipo di donna eroica in fatto di abnegazione — è la protagonista del Lys dans la vallée, romanzo nel quale abbondano gli episodi delicati. La signora di Mortsauf, moglie di un conte infermo ed irascibile, alla cura del quale si dedica con fervore mirabile in un castello della vallata dell’Indre, nutre per il giovane Félix de Vandenesse un’amicizia pura, ma amorosa e gelosa. Vandenesse, che è innamorato, accetta il legame platonico; ma, lontano da lei, è avvinto dai lacci di una passione sensuale per la marchesa Dudley. Henriette de Mortsauf, divorata dalla gelosia, si spegne nel dolore. Si è detto — e con molto fondamento di verità — che Balzac abbia ripreso, in questo libro, il tema del romanzo di Sainte-Beuve: Volupté, per modificarlo nelle conclusioni. A proposito del romanzo di Sainte-Beuve, l’autore della Comédie Humaine aveva, infatti, scritto a M.me Hanska: «E’ un libro puritano. Madame de Couaën non è abbastanza donna, e il pericolo non esiste!». Egli ha, quindi, aggiunto al tema di Sainte-Beuve le sofferenze di madame de Mortsauf nella lotta contro le tentazioni sensuali. Quantunque infiorato di troppa retorica, il romanzo ha dei tipi ottimamente ritratti, come, per esempio, quello del conte egoista ed infermo.
La figura di Henriette di Mortsauf si presterebbe ad essere paragonata alla signora di Berny. Balzac, però, ha scritto in proposito: «Madame de Mortsauf del «Lys» è una pallida espressione delle minime qualità di quella persona ...» e, più avanti, fedele alle sue convinzioni di non far della letteratura soggettiva, aggiunge: ... «perchè io ho orrore di prostituire le mie emozioni al pubblico e mai nulla di ciò che m’accade sarà conosciuto ...».
Altro gruppo importante è quello delle Illusions perdues. Un giovane scritturo provinciale, Lucien Chardon, che si fa chiamare Lucien de Rubempré, amante della signora di Bargeton, si fa da questa condurre a Parigi. Non è possibile dare qui un’idea delle sue lotte per entrare nell’ambiente giornalistico e letterario, dipinte benissimo da Balzac, e che costituiscono la parte più importante dei tre lavori. Lucien de Rubempré, in breve, morta l’amante, scivola nell’abiezione, e nel momento in cui è per uccidersi s’imbatte nel falso prete spagnuolo Carlos Herrera (il forzato evaso Vautrin che è l’eroe di altri lavori del Balzac) e si abbandona pienamente al suo malefico influsso. Anche Rubempré ricompare in altri romanzi balzacchiani. Nel terzo racconto Ève Chardon, sorella di Luciano, ci appare onesta, laboriosa, coraggiosa al fianco del marito David Sechard il quale, coinvolto in una trama d’affari, è rovinato dai falsi del cognato, ed è costretto a vendere a prezzo vile una sua scoperta per fabbricare economicamente la carta ai suoi concorrenti della ditta Cointet, Balzac, in questo lavoro, ha rievocato con vivacità l’ambiente commerciale ed affaristico di provincia insieme con quello giudiziario.
L’Illustre Gaudissart, che appartiene al grupo dei Parisiens en province, è notevole per il tipo mirabile di commesso viaggiatore, tratteggiato con evidenza, arguzia e profondità d’osservazione.
In Ursule Mirouet, Balzac torna a quel soprannaturale che tanto prediligeva. Un medico incredulo è convertito da una serie di esperimenti di doppia vista e di telepatia. Più che un romanzo è un vero e proprio studio.
In complesso le Scene della vita di provincia son costituite da romanzi nei quali, forse più che negli altri, il genio di Balzac ha potuto esplicare le sue facoltà di descrizione e di osservazione. La parte più importante di tutti questi lavori è data da ciò che non si può racchiudere in un riassunto scheletrico, e cioè da quelle che — parlando dell’opera di Balzac — si possono chiamare le biografie dei tipi, anche secondari, dalle descrizioni dei luoghi e dell’ambiente, sfondo magnifico delle sue creazioni.
Scene della vita parigina.
Le scene della vita parigina comprendono più d’un romanzo di quelli che sono stati giudicati i migliori di Balzac: César Birotteau — Les Parents pauvres: I. Le Cousin Pons — La Cousine Bette — Splendeurs et misères des courtisanes — La Dernière Incarnation de Vautrin. L’Histoire des Treize: I. Ferragus — II. La Duchesse de Langeais — III. La Fille aux yeux d’or. — Les Employés — La Maison Nucingen — Un prince de la Bohème — Un homme d’affaires — Gaudissart II — Les secrets de la princesse de Cadignan — Sarrasine — Facino Cane.
Parleremo dei più importanti. César Birotteau è classificato tra i principalissimi romanzi di Balzac. La trama del racconto è molto tenue: Birotteau è un profumiere arricchito che ambisce agli onori e, ossessionato dalla sua idea, appare ora pieno d’energia, ora debole in maniera spaventosa. Diventato preda di falsi amici, preso sempre più dalla sua monomania, egli finisce per andare incontro alla rovina. Questo romanzo è uno studio completo e minuzioso della vita commerciale e borghese e in esso i particolari osservati con cura sagace sono assai numerosi.
Les Parents pauvres comprendono due romanzi bellissimi: Le Cousin Pons e la Cousine Bette. — Nel primo giganteggia un tipo mirabile: il cugino Pons, monomane anche lui per le collezioni di oggetti, quadri e ninnoli antichi. I suoi parenti ricchi, presso i quali — per turno — egli va a desinare, lo chiamano pique-assiette; i servitori gli giocano dei tiri, gli altri commensali lo deridono. Nessuno sospetta che l’appassionato collezionista è riuscito, a furia di sacrifici inauditi, a riunire un museo che vale un milione. E quand’egli, ammalato, non può più desinare fuori di casa, la verità è conosciuta. Allora s’inizia intorno a lui la commedia ributtante dei falsi amici, dei parenti premurosi, degli interessati di tutte le specie, dalla portinaia che gli prepara da mangiare ad un lurido strozzino che ha già adocchiato il tesoro. E’ facile imaginare come Balzac abbia saputo far vivere questo piccolo mondo avido. Moribondo, il Pons ha affidato la sua collezione ad un vecchio amico il quale, ignaro del valore di essa e ritenendo di alleviare le ultime ore dell’infermo, vende per somme irrisorie gli oggetti preziosi e, con le lacrime agli occhi, ringrazia quelli che lo derubano! E Pons muore col dolore di assistere allo sperpero del suo tesoro.
Nel secondo racconto — la Cousine Bette — son riunite parecchie figure d’una vigoria straordinaria. In prima linea quella del barone Hulot, personaggio di altissima importanza nel mondo politico, il quale — maniaco per l’amore — si lascia trascinare dalla sua viziosa passione fino ai più bassi gradini sociali E, quando per lui è finito anche il gusto della vita dissipato, gli resta l’abitudine di essa. Il romanziere ha saputo dare a questo tipo un rilievo magnifico. Il barone Hulot, rimbecillito completamente — e Balzac narra da maestro le fasi di quel progressivo avvilimento — si fa sorprendere dalla moglie mentre abbraccia la cuoca e le dice: — «Mia moglie non ha molto ancora da vivere: se vuoi, potrai essere baronessa ...». La povera signora, inferma, esausta dai dolori che le ha procurati la vita del marito, muore. E il barone sposa la cuoca. Accanto a questa figura magistrale bisogna ricordare quelle della Cousine Bette, perversa e te¬tarda che da contadina riesce a mutarsi in grande dama; l’infame coppia Marneffe e il vizioso Celestino Crevel.
L’Histoire des Treize è divisa in tre episodi. Ferragus è il capo di un’associazione di persone del bel mondo le quali, per riuscire nella vita, non esitano neanche davanti ad un delitto. Nel primo romanzo è raccontata la storia di un giovane, punito dalla società per avere scoperto alcuni suoi segreti. Il secondo è La Duchesse de Langeais. La protagonista — che come abbiamo detto ricorda la duchessa de Castries — s’innamora di uno dei Tredici, Montriveau, si vede disprezzata da lui e, disperata, si rifugia in un convento. Montriveau, commosso, vuol trarla dal suo isolamento; ma ella muore. La Fille aux yeux d’or è basata su uno sbaglio di sesso. Non è un lavoro notevole.
La Maison Nucingen è interessantissima come quadro della vita dei banchieri, degli usurai, di tutti coloro che esercitano il clandestino traffico del denaro.
Splendeurs et misères d’une courtisane (sic) è una serie di quattro lavori che possono essere considerati come una continuazione di Illusioni perdues. Nei primi tre Luciano di Rubempré, il quale — come si è visto — s’è legato anima e corpo a Vautrin che ha fatto di lui una sua creatura, il fantoccio del quale egli sarà l’anima, è innamorato di una cortigiana, Esther Gobseck che lo riama ardentemente. Tra loro si frappone Vautrin, il quale ha deciso di unire in matrimonio Luciano con una signorina dell’aristocrazia e vendere Esther al finanziere Nucingen. Esther, desolata, si avvelena. Luciano e Vautrin sono arrestati e il primo — quantunque si tenti di salvarlo dal carcere — s’impicca dopo di aver fatto rivelazioni compromettenti per Vautrin. Siamo all’ultimo romanzo della serie: La Dernière incarnation de Vautrin, il quale ha un po’ i caratteri di un romanzo d’appendice. Messo alle prese con la giustizia, l’astuto delinquente trova modo di diventare nientemeno che capo della polizia. Il personaggio di Vautrin è stato molto rimproverato a Balzac; anzi qualcuno ha asserito che l’autore della Comédie Humaine non è andato all’Accademia di Francia per Vautrin.
Les Employés costituiscono una vera e propria monografia su la gente che vive negli uffici. Balzac, come sempre, ha trovato e messo in rilievo particolari caratteristici.
Degli altri lavori delle Scènes de la vie parisienne non ò il caso di parlare particolarmente in questo rapido riassunto.
Scene della vita politica.
Di questa serie — composta di sei lavori, tra romanzi e racconti: Une ténébreuse affaire — Un Episode sous la Terreur — Madame de La Chanterie — L’Initié — Z. Marcas — Le Député d’Arcis —- sono più importanti Une Ténébreuse Affaire e Madame de La Chanterie.
Nel primo si svolge, un po’ con metodi da romanzo a forti tinte, un intricatissimo affare giudiziario. Ci sono grovigli di fatti, una cospirazione, persecuzioni di polizia e condanne capitali che dànno al racconto un vivo interesse; ma, a parte ciò, è di somma importanza la dipintura dell’ambiente. Essa raggiunge una grande perfezione in questo lavoro, sì da farlo classificare, nonostante la sua struttura — che ha dato occasione a molti critici di trattarlo da «romanzo poliziesco» — tra i capolavori balzacchiani. — «Ch’io sappia — ha scritto con ragione il Brunetière —- in nessun altro romanzo e, forse, in nessun libro di storia, è stata meglio ricostruita la pesante atmosfera che respirava la Francia dal 1804 al 1812».
In Madame de La Chanterie c’è la lotta politica dei realisti al tempo del Direttorio e del Consolato. Il conte de Tours-Minières, vizioso e rovinato, crea e poi denuncia un complotto che termina con la condanna a morte di sua moglie. Anche questo racconto ha grandi pregi di ricostruzione d’ambiente.
Scene della vita militare.
Dovevano esser parecchie; ma Balzac non mandò a termine che due racconti, Les Chouans e Une passion dans le Désert. Il primo è un quadro delle lotte che succedettero alla Rivoluzione, in Francia: in esso c’è uno studio accurato e molte volte geniale dei costumi e degli usi della Brettagna all’epoca della lotta tra les Chouans e les Bleus. In quell’ambiente si svolge il dramma della signorina di Verneuil, la quale, incaricata di far la spia al marchese di Montauron, finisce per restar presa nei lacci d’amore e trova il coraggio, che la riabilita, di confessare la sua disonorevole missione. Il romanzo — il primo che portasse la firma di Balzac — iniziò, come abbiamo detto, la serie dei suoi successi letterari e fu giudicato ottimo sia come rievocazione storica che come narrazione.
Scene della vita di campagna.
Comprendono tre romanzi: Le curé de village — Le Médecin de campagne e Les Paysans.
L’abate Bonnet, protagonista del Curé de Village, anima nobile, retta, caritatevole, uomo di grande intelligenza e di nobili sensi, riesce a creare, nella sua meschina parrocchia, una specie di colonia d’eletti, nella quale si realizza quell’organizzazione pura e sana della società che Balzac sognava e della quale non trovava tracce in quella uscita dalla Rivoluzione. L’autore coglie l’occasione per criticare la società del suo tempo e la accusa di esser divorata dall’individualismo. La figura del curato Bonnet è schizzata magnificamente.
Il tema è quasi simile nel Médecin de Campagne: il dottor Benassis somiglia, in molti punti, al curato Bonnet e le sue idee son quasi identiche a quelle esposte dal prete; ma il romanzo ha tutto uno sfondo diverso e le altre figure che vi son dipinte, lo stesso passato di errori del medico filantropo, lo rendono interessantissimo.
Les Paysans — appartenente allo stesso genere — è una specie di studio dei costumi campagnoli. L’Autore ha delineato benissimo la lotta che si svolge tra un proprietario di vasti terreni ed i suoi contadini, lotta ora aperta e violenta, ora sorda e tenace, ed ha avuto occasione di presentare molti tipi caratteristici come quelli di una coppia losca: un ubbriacone e una donna arrogante e cinica; fanciulle che corrono i campi con i giovanotti; una specie di caporione insolente, astuto, bugiardo, pieno di odi e di invidie, il quale dirige tutte le agitazioni. — Il romanzo non è stato terminato da Balzac.
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La seconda parte della Comédie Humaine comprende gli Studi filosofici e gli Studi analitici.
Balzac ha classificato tra gli studi filosofici molli suoi lavori che non possono chiamarsi romanzi sia per la loro struttura, sia per la loro lunghezza: parecchi di essi son vere e proprie novelle. — Ecco i titoli delle opere appartenenti a questa serie: La Peau de chagrin — La Recherche de l’Absolu — Jésus-Christ en Flandre — Melmoth reconcilié — Le Chef d’oeuvre inconnu — L’Enfant maudit — Gambara — Massimilla Doni — Les Marana — Le Réquisitionnaire — El Verdugo — Un Drame au bord de la mer — Adieu — L’Auberge Rouge — L’Elixir de longue vie — Maître Cornélius — Catherine de Médicis — Le Martyr calviniste — La Confidence de Ruggieri — Les Deux rêves — Louis Lambert — Les Proscrits — Séraphîta.
La Peau de chagrin è tra i lavori di questa serie uno di quelli che ebbero maggior successo. Un giovane entra in possesso di una magica pelle di zigrino. Quel talismano gli permette di realizzare tutti i desideri espressi; ma, a grado a grado che essi prendono forma reale, si restringe, diminuisce e, quando sarà scomparso, sarà anche terminata la vita del suo proprietario.
In Louis Lambert, l'autore ha narrato un po’ la sua storia, esponendo le sue teorie fisiologiche e filosofiche. Il lavoro può veramente chiamarsi uno studio; e molte pagine di esso son scritte con nobiltà e con grande sensibilità artistica.
La Recherche de l’Absolu è la storia di un erudito che diviene maniaco per la scienza, sì da trascurare qualunque altra cosa. — Le Chef-d'oeuvre inconnue (sic), breve racconto, è caratteristico come creazione: un grande pittore lavora con cura gelosa intorno ad un quadro rappresentante una donna; e, a furia di ritoccare, a furia di suggestionarsi in una visione ... cerebrale, finisce per mutare addirittura il suo capolavoro in un ammasso informe di tinte, dal quale soltanto qualche particolare della sua concezione balza ancora fuori.
Séraphîta è un racconto pieno di misticismo; le Réquisitionnaire un dramma che si svolge, in provincia, ai tempi della Rivoluzione; Un Drame au bord de la mer, forte novella nella quale assistiamo all’atto disperato di un padre che si fa giustiziere del figliuolo; El Verdugo, tragicissimo e poderoso episodio della conquista della Spagna da parte dei Francesi, etc.
Agli Studi analitici appartiene la Physiologie du mariage, così celebre e così discussa.
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Mentre apparivano, disordinatamente, le diverse opere che dovevano poi prendere il loro posto nell’organismo della Comédie Humaine, Balzac pubblicava — a dieci per volta — i suoi Contes drolatiques. Lo stesso autore li ha definiti: « ...E, su le basi di questo palazzo, io, fanciullo e gaio, avrò tracciato l’immenso arabesco dei Contes drolatiques[»].
Balzac autore drammatico.
L’autore della Comédie Humaine non dimenticò mai di aver cominciato la sua carriera di scrittore col famoso dramma Cromwel (sic) che il consigilo (sic) di famiglia condannò inesorabilmente. E, a più riprese, con un accanimento degno di miglior successo, volle tentare il teatro. Su questo punto della vita artistica di Balzac ci sarebbe da scrivere un intero volume, tanti sono gli aneddoti graziosi ed interessanti. A noi basterà accennare ai lavori che il grande romanziere destinò al teatro ed all’esito che essi ebbero.
Vautrin, dramma in cinque atti, cadde rumorosamente al teatro della Porte Saint Martin la sera del 14 marzo 1841. — La stessa sorte ebbero Les Ressources de Quinola, commedia a grandi scene, di costumi spagnuoli, dell’epoca di Filippo II, al teatro Odéon, il 19 marzo 1842, e Pamela Giraud, specie di melodramma in prosa, il 26 settembre del 1843, al teatro della Gaiété.
Un solo lavoro di Balzac ebbe successo grandissimo sul teatro: Mercadet e, per un’ironia della sorte, l’autore non potette assistere alla gloriosa rappresentazione della sua commedia al Gymnase. Per mille incidenti il lavoro fu presentato al pubblico soltanto il 23 agosto 1851 e cioè un anno dopo la morte dello scrittore.
L’influenza dell’opera di Balzac è stata grandissima, nella letteratura francese. Parecchi critici han notato che, prima di tutto, essa si è fatta sentire nel teatro, verso il 1855, con Les Faux Bonshommes di Théodore Barrière; le Demi-Monde di Dumas figlio, Les Lionnes pauvres di Augier, ecc. In questi lavori si notano le prime tracce di una rappresentazione più esatta della vita reale, che — senza dubbio — è dovuta allo studio dell’opera del grande romanziere.
Il romanzo, per un po’ di tempo ancora, rimase quello che era, o quasi, prima di Balzac. La sua trasformazione, per molte ragioni — tra le quali non ultima quella che i contemporanei del romanziere illustre non si resero esatto conto della vera differenza tra i suoi libri e quelli degli altri — fu molto lenta. Non sarebbe neanche preciso dire che Flaubert in Madame Bovary si sia ispirato al genere di Balzac; ma è certo che la vera e propria influenza balzacchiana nel romanzo francese si comincia a riscontrare palesemente nei lavori dell’ultima maniera di George Sand, come il Marquis de Villemer, in Monsieur de Camors di Ottavio Feuillet; nell’Education sentimentale del Flaubert e, via via, nei romanzi dei fratelli de Goncourt, fino ad Emilio Zola e alla scuola naturalista. Certo eran vive e sentite anche altre influenze — come per esempio quella di Dickens, in qualche romanzo di Daudet — ma esse non hanno veramente avuto valore che insieme con quella di Balzac. Possiamo, dunque dire col Brunétiere che: «la forma del romanzo di Balzac, da una cinquantina d’anni, domina sui romanzieri moderni, come la forma della commedia di Molière, per centocinquanta anni s’è imposta agli autori drammatici».
Alle pp. 43-44, è presente una essenziale Bibliografia degli studî consacrati allo scrittore francese.
(1) Cfr. Carlo Baudelaire, (Vita aneddotica) di G. di Belsito - Quintieri editore, Milano.
Edipi, A proposito del “Mosè” (Ricordi e fantasie), «Rivista dei Teatri», Milano, Anno II, N. 11, 20 Maggio 1915, pp. 13-14.
Sotto l’abile direzione di Pietro Mascagni, il quale — secondo il mio modesto parere — in questo momento, è, non forse il più completo, ma certo il più potente «operista» del mondo, fu rappresentato — or non è molto — al Quirino di Roma, il Mosé, di Giovacchino Rossini.Erano molti anni, che non veniva ridato in Italia il meraviglioso «oratorio» del grande pesarese — e mi fa meraviglia, che nessuno abbia pensato a ripetere, o a riassumere quanto per esso scrisse uno dei più profondi e colti ingegni della letteratura mondiale: Balzac!Nel suo romanzo Massimilla Doni, la bella fiorentina, moglie del fedifrago, opulente e musicomane duca Cataneo, H. De Balzac scioglie un vero inno alle meraviglie del Mosè — e questo per bocca della duchessa Cataneo, iniziata dal marito a comprenderle e a rivelarle. Comincia a far notare la potenza dei tre accordi in do maggiore, coi quali comincia l’opera — descrive l'introduzione, che ha per soggetto la terribile elegia di un popolo colpito dalla mano di Dio: un gemito agghiacciante.«Cher Rossini — dice — tu as bien fait de jeter cet os à rouger (sic) aux Tedeschi qui nous refusaient le don de l’harmonie et la Science!» E dimostra la semplicità con la quale l’A. seppe raggiungere i più grandi effetti, in rapporto al sentimento degli attori e all’ambiente.Una volta trovata la frase capitale, Rossini l’a promenée de tonalités, en tonalités, en groupant les masses et ses personnages sur ce motif par des modulations et par des cadences d’une admirable souplesse. Sulla guida dello Strunz il Balzac descrive musicalmente tutta l’opera, rivelandone con ammirabile tecnica le peregrine bellezze; e, come Rossini abbia saputo afferrare l’anima dell’ascoltatore passando dal do minore al sol minore, riprendendo il do, per ritornare alla dominante il sol, riprendendo in fortissimo sulla tonica mi bemolle, e arrivare al fa maggiore e ritornare al do minore, fino — poi — all’esplosione di tutti i dolori, con la frase:O nume d'Isräel!Se brami in libertàIl popol suo fedel,Di lui, di noi pietà.
Tutta l’opera è descritta – lo ripeto — minutamente, e per darne un’idea, basterà ch'io ripeta le parole di Balzac, relative allo spuntar del sole nel Mosè — all’inno del sole rossiniano.«La luce è una sola e stessa sostanza, ovunque simile a se medesima, e i cui effetti non sono variati che dagli oggetti che incontra – Ebbene, il musicista prese per base della sua musica un unico motivo, un semplice accordo in do. Il sole appare e versa i suoi raggi sulle cime, poi di là nelle valli — allo stesso modo l’accordo si inizia sulla prima corda dei primi violini con una dolcezza boreale, e si spande in tutta l’orchestra, vi anima, a uno a uno gl’istrumenti — e vi si spiega.Come la luce si va colorando dappresso gli oggetti, l’A. risveglia ogni sorgente di armonia fino a che tutte splendono nell’insieme. I violini, che non si erano peranco intesi, hanno dato il segnale col loro dolce tremolo, vagamente agitato come le prime onde luminose. Questo grazioso e gaio movimento quasi luminoso che vi accarezza l’anima, l’abile musicista l’ha unito con accordi di bassi, e una fanfara indecisa di corni, contenuti nelle loro note più cupe, allo scopo di rappresentare le ultime ombre fresche, che tengono ancora in signoria le valli, mentre i primi fuochi giocano su le cime.«Puis les instruments à vent s’y son méles (sic) doucement en renforçant l’accord général. Les voix s’y sont unies par des soupirs d’allégresse et d’étonnement. Enfin les cuivres ont résonné brillamment, les trompettes ont éclaté! La lumière, source d’harmonie, a inondé la nature, toutes les richesses musicales se sont alors étalées avec une violence, avec un éclat pareils à ceux des rayons du soleil oriental. Il n’y a pas jusqu’au triangle dont l’ut répété ne vous ait rappelé le chant des oiseaux au matin par ses accent aigu (sic) et ses agaceries lutines».Sempre la stessa tonalità — Ecco il segreto del grande maestro: l’unità! Una cosa sola e variata – Una sola frase e mille sentimenti – un solo accordo, e tutte le espressioni della natura al suo risveglio, e tutta la gioia di un popolo.Quale critico saprebbe ora dare una così esatta idea di una musica sublime, con uno studio altrettanto tecnico, e un sentimento così vasto?Nell’occasione della solenne resurrezione del Mosè ho creduto non inutile ricordare la «critica» dell’Autore del Mercadet, tanto più che dal ... generalissimo Joffre all’infuori, pare che ora nessuno studi più il Balzac!Massimilla Doni, fu pubblicata dal Meline, di Bruxelles, nel 1839 [!], con Une fìlle d'Ève, dedicata dal grande Balzac nel febbraio di quell’anno a una illustre dama di Milano, la Contessa Bolognini nata Vimercate; dalla quale l'A. era stato ospite.Lo ricordo con sommo piacere, in omaggio all'illustre casa ospitale dell’ospitalissima città.
Eucrinos, Nostre Corrispondenze. Dalla Sicilia, «La Vita cinematografica. Settimanale internazionale illustrata», Torino, Anno VI, N. 9, 7 Marzo 1915, p. 76.Catania, 24 febbraio.Cinema Olympia. […] Le programmazioni «Pathé» si sono succedute regolarmente con: Il tranello, Supremo sentimento, Marinetta e l’eredità di Orsola, che effettivamente aveva troppa rassomiglianza col lavoro di Balzac, da cui fu tratto.Gilotti Micheggi, Il Giuoco dei bussolotti ovvero Tuca cal’ava tuca can l’ho pu. Veduto attraverso la grande cronaca (Romanzo semiserio), «Gagliaudo. Settimanale umoristico», Alessandria, Anno I, N. 7, 7 Febbraio 1915, pp. 2-3.p. 2. [Il giovane avvocato] Parte per Parigi. Un viaggio nella patria dove Balzac, Sue, Ponson du Terrail, hanno trovato e creato tante sinistre figure, tanti drammi passionali, era, necessario. Non si è grandi penalisti se non si conosce Voutrin (sic) e il «Maestro».Giulietta, Vespe e zanzare. Il solletico, «Il Buon Senso. Organo democratico cristiano quindicinale», Barletta, Anno XIV, Num. 9, 1° Maggio 1915, p. 2.Se l’avesse saputo che non erano i soli commercianti (eccezioni a parte) a pensarla così, ma che ci sono anche persone illustri, se ne sarebbe forse anche gloriato. Se avesse saputo, per esempio, che Balzac diceva: «La immoralità è tale quando coloro che la compiono sono ancora in pochi: essa è come un privilegio; quando si generalizza, cessa di essere la immoralità, e la voce della coscienza non vale un cavolo», avrebbe potuto prendersela a letterato.
Dino Mantovani, Pagine d’arte e di vita raccolte a cura di Luigi Piccioni. Con un profilo dettato da Enrico Bettazzi, Torino, S.T.E.N. Società Tipografico-Editrice Nazionale, 1915.Il retaggio del secolo, pp. 13-25.pp. 22 e 24. Cfr. 1900.
Guido Mazzoni, Paolo Emilio Pavolini, Letterature straniere. Manuale comparativo di esempi con speciale riguardo alle genti ariane per cura di Guido Mazzoni e Paolo Emilio Pavolini, Firenze, G. Barbèra, Editore, 1915.Cfr. 1906.
Achille Neri, Una lettera di Bianca Milesi Mojon. Estratto dalla Rivista Ligure di Scienze, Lettere ed Arti, Genova, Tipografia Carlini fu Gio. Batta, 1915, pp. 3-12.La lettera qui riprodotta è indirizzata da Bianca Milesi Mojon (Milano, 1790-Parigi, 1849) alla scrittrice tedesca Amalia Emma Sofia Weiss Schoppe ed è datata: Paris, 17 juillet 1835.p. 5. Je vous déclare mon manque total d’admiration pour les deux ecrivains (sic) à la mode, Jules Jannin (sic) et Balzac.
Alfredo Oriani, La Vergine in Ombre di occaso, Bari, Gius. Laterza & Figli, 1915 («Opere di Alfredo Oriani», VII), pp. 169-178.p. 177. Le mezze-vergini di Marcel Prevost (sic) non erano che mezze figure dipinte vivacemente e duramente sopra un ventaglio. La facilità del suo trionfo parigino non basterà quindi a farlo credere un rivelatore della donna cinquant’anni dopo Balzac, il più gran genio dello scorso secolo, il solo uomo davanti al quale l’oscura anima femminile aprisse tutte le proprie fecondità.Meglio di ogni altro egli saprebbe oggi dirci il segreto di quelle fanciulle, che aspettano in agguato il marito o ne rianimano la stanchezza sensuale coll’acre sensazione della verginità.Arrigo Pozzi, Rassegna bibliografica. II. Carducci, Foscolo, Mistral e Balzac, «Vita e Pensiero. Rassegna italiana di coltura», Milano, Anno I, Fasc. 10, 30 maggio 1915, pp. 608-610.p. 610. Per conoscere Balzac Giacomo di Belsito ha scritto un opuscolo, che ha trovato ospitalità cortese e decorosa nei “Minimi di Coltura„ dell’editore Quintieri. Quarantaquattro pagine sono troppo poche per discorrere decentemente, se pur modestamente, di uno scrittore fecondo come l’autore della Comédie Humaine. L’opuscolo è riuscito a mala pena un indice. Il Di Belsito, che ha al suo attivo altri lavori, i quali, senza costituire alcun che di importante nei riguardi della sua attività letteraria, sono sempre una promessa per il futuro, deve evitare le opere che, come questa, hanno troppo il carattere di compilazione. Perché può fare di più; e non sarebbe giusto, nè opportuno dirgli bravo, quando è evidente che nessun sforzo egli ha fatto per poterselo meritare.
P. Ilario Rinieri, Carteggio di Giuditta Sidoli con Giuseppe Mazzini e con Gino Capponi nell’anno 1835, «Il Risorgimento italiano. Nuova Serie pubblicata dalla Società Storica Subalpina», Torino, Fratelli Bocca, Anno VIII, 1915, pp. 97-161.p. 152, nota (1). È riportato il giudizio di Mazzini sull’attore Gustavo Modena contenuto in una lettera a Giuditta Sidoli del 2 marzo 1835: «Gustave est lancé – il m’écrit des lettres, en français, qui ressemblent à des mauvais chapitres de Balzac […]».[5]Vittorio Savorini, Ricordi vari dal 1857 al 1879, «Rivista Abruzzese di Scienze, Lettere ed Arti», Teramo, Anno XXX, Fascicolo X, Ottobre 1915, pp. 505-530.p. 528. «Al di là». Tanto nell’uno che nell’altro lavoro [Alfredo Oriani] si rivelava un seguace del Balzac, per il quale aveva un vero entusiasmo e lo fece amare anche a me.
Silvio Serafini, La France littéraire contemporaine. Morceaux choisis des plus célèbres auteurs de nos jours précédés d’un essai historique et critique par Luigi Gerboni suivi d’un appendice sur la guerre italo-turque. Livre destiné aux Écoles secondaires et aux personnes cultivées. Orné de 74 portraits, Città di Castello, Casa Tipogr. Editrice S. Lapi; Milano-Roma-Napoli, Società Editrice D. Alighieri, 1915:Honoré de Balzac, pp. 336-339;Provisions arrachées [da Eugénie Grandet], pp. 339-343;La convoitise de l’argent sèche le coeur [idem], ivi;La fin d’un avare [idem], pp. 348-350;Le glenage [da Les Paysans], pp. 351-352;Un habillement étrange [da Le Cousin Pons], pp. 352-356;Le grand jeu [idem], pp. 356-359.Cfr. 1907.
Simplicissimus, Del successo, «La Stampa», Torino, Anno XLIX, Num. 122, 4 Maggio 1915, p. 3.La giustizia, in arte, non è di questo mondo. Voi sapete come Balzac definiva la gloria: le soleil des morts.[6]Spectator, Corriere. […] È morto Jarro, «L’Illustrazione Italiana», Milano, Anno XLII, N. 8, 21 Febbraio 1915, pp. 156-157.
p. 157. Balzac, mi pare, ha scritto che gli nomini frugali, i bevitori d’acqua, sono capaci di tutto: il caro, pantagruelico Jarro non fu capace che di gioia e di bene! ...
Gaetano Tempestini, Belletristica italiana, «La Voce», Firenze, Anno VII, Num. 11, 15 Maggio 1915, pp. 699-714.p. 704. E giacchè siamo tra i vecchi restiamoci. Giovanni Verga era riuscito, molti anni fa, ad essere riguardato come un grane romanziere e l’unico rivale italiano di Balzac, di Zola e di Maupassant. Non possiamo negargli una certa attitudine alla novella, anche se lunga, ma la sua presente inazione e il suo inesplicabile silenzio non lo rendono meritevole di un posto cospicuo in questo discorso.Michele Viterbo, [Sulla morte di] Pietro Palumbo, «Archivio Pugliese del Risorgimento Italiano. Rivista Storica Trimestrale», Bari, Anno II, Fasc. II-III-IV, Aprile a tutto Dicembre 1915, pp. 198-200.p. 199. Preferì discorrere spiritualmente coi morti, indagarne il pensiero e descriverne l’opera, anziché accomunarsi con tanti vivi, vanesii e prepotenti ... Balzac diceva che codesto è un mezzo mirabile per isfuggire ed amare ad un tempo la società umana.
Annie Vivanti Chartres, L’Invasore. Dramma in tre atti, Milano, Dott. Riccardo Quintieri – Editore, 1915.p. 103.Atto secondo.DELIO: E mi ha portato via tutti i miei romanzi francesi per prestarli a quelle donne. Anche il mio Balzac, edizione di lusso.Adattamenti teatrali.Gabba la morte. Riduzione di Valentino Soldani. Compagnia Renzi-Gabrielli. Attori: Severino Renzi, Ferruccio Garavaglia, ecc. Stagione 1915-1916.
[1] Si tratta, presumibilmente, della versione italiana de L’Héritage d’Ursule, film diretto, nel 1915, da Daniel Riche, interpretato da Armand Bour e Sylvie (nel ruolo di Ursule) e prodotto da Pathé frères.
[2] Cfr. L. de Royaumont, Les récits de guerre dans Balzac, «Revue politique et littéraire. Revue Bleue», Paris, 53e année, 2e trimestre 1915, pp. 605-608 ; 633-636.
Marco Stupazzoni